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T.A.R. Friuli Venezia Giulia 421/2001 |
in
nome del popolo italiano Il
Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, nelle
persone dei magistrati: Vincenzo
Sammarco – Presidente Enzo
Di Sciascio - Consigliere Vincenzo
Farina – Consigliere relatore ha
pronunciato la seguente s
e n t e n z a sul
ricorso n.240/99 proposto da DANIELI Marina, rappresentata e difesa dall’ avv. Anna Fabbro, con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maritza Filippuzzi ,in
Trieste,via San Francesco n.9; c
o n t r o il
Comune di Buttrio, in persona del Sindaco
pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Luca Ponti e Luca De
Pauli, e da ritenersi domiciliato presso la Segreteria del Tribunale; per
l’annullamento: a-
del provvedimento del Sindaco di Buttrio prot.n.2347 del 10.3.1999,con
il quale è stata respinta la domanda della ricorrente volta ad ottenere
il rilascio della autorizzazione paesaggistico-ambientale per
l’esecuzione dei lavori di recinzione(staccionata in legno)di taluni
fondi di sua proprietà ; b-
del parere negativo espresso 3.3.1999 dalla Commissione edilizia
integrata ai sensi della legge regionale 19 novembre 1991,n.52,
richiamato nel provvedimento sindacale; c-
degli artt. 25.1.9 e 27.3.9 delle norme tecniche di attuazione del Piano
regolatore generale comunale di Buttrio adottato con deliberazione del
Consiglio comunale n.93 del 19.12.1998; d-
di ogni atto comunque ad essi antecedente e/o conseguente; Visto
il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria
generale con i relativi allegati; Visti
gli atti tutti di causa; Data
per letta alla pubblica udienza del
20.6.2001 la relazione del consigliere Vincenzo Farina ed uditi i
difensori delle parti costituite; Ritenuto
e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: f
a t t o Il
ricorso mira all’annullamento: a- del provvedimento del Sindaco di
Buttrio prot.n.2347 del 10.3.1999,con il quale è stata respinta la
domanda della ricorrente volta ad ottenere il rilascio della
autorizzazione paesaggistico-ambientale per l’esecuzione dei lavori di
recinzione(staccionata in legno)di taluni fondi di proprietà della
Danieli; b-
del parere negativo espresso 3.3.1999 dalla Commissione edilizia
integrata ai sensi della legge regionale 19 novembre 1991,n.52,
richiamato nel provvedimento sindacale;c- degli artt.25.1.9 e 27.3.9
delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale
comunale di Buttrio adottato con deliberazione del Consiglio comunale
n.93 del 19.12.1998;d- di ogni atto comunque ad essi antecedente e/o
conseguente. La
deducente ha ripercorso i punti salienti della vicenda,originata dagli
impugnati atti del Sindaco e della Commissione edilizia, basati sul
contrasto con le disposizioni ,anch’esse impugnate, del P.R.G.,le
quali stabiliscono che nelle “zone degli ambiti boschivi E 2” e
nella “zona di interesse agricolo-paesaggistico in ambito collinare-E
4.2“ “è vietata qualsiasi recinzione dei fondi,ad esclusione di
quelle realizzate con vegetazione naturale autoctona”. A
sostegno del gravame,la Danieli ha dedotto i vizi di difetto di
motivazione,illogicità e contrasto con le suindicate prescrizioni del
P.R.G.C.,sul rilievo che le gravate norme pianificatorie non indicano le
specie facenti parte della vegetazione naturale autoctona. Nel
caso in cui -aggiunge la deducente- le ripetute prescrizioni si leggano
nel senso della ammissibilità delle sole delimitazioni realizzate con
siepi,le medesime e le conseguenziali determinazioni comunali impugnate
non si sottrarrebbero all’annullamento giurisdizionale per violazione
dei principi e della normazione di diritto positivo sul diritto di
proprietà, nonché per violazione degli artt.41 e 42 della
Costituzione. Si
è costituito in giudizio l’intimato Comune,chiedendo il rigetto del
gravame.
D
I R I T T O 1.
Il ricorso mira all’annullamento: a- del provvedimento del Sindaco di
Buttrio prot.n.2347 del 10.3.1999,con il quale è stata respinta la
domanda della ricorrente volta ad ottenere il rilascio della
autorizzazione paesaggistico-ambientale per l’esecuzione dei lavori di
recinzione(staccionata in legno)di taluni fondi di proprietà della
Danieli; b-
del parere negativo espresso 3.3.1999 dalla Commissione edilizia
integrata ai sensi della legge regionale 19 novembre 1991,n.52,
richiamato nel provvedimento sindacale;c- degli artt.25.1.9 e 27.3.9
delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale
comunale di Buttrio adottato con deliberazione del Consiglio comunale
n.93 del 19.12.1998;d- di ogni atto comunque ad essi antecedente e/o
conseguente. 2.In
rito, l'eccezione comunale di irricevibilità del ricorso( notificato il
giorno 9.4.1999) , nella parte relativa all’ impugnazione della
deliberazione consiliare
19.12.1998,n.93, recante la adozione del P.R.G.C., non è fondata. La
giurisprudenza ha,infatti, da tempo
(Cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Ap., 9 marzo 1983 n. 1)
avvertito che un piano
regolatore adottato è suscettibile di essere immediatamente lesivo,
e,quindi, direttamente impugnabile allo stesso modo ed alle stesse
condizioni del piano approvato; ne deriva che il piano adottato, nella
misura in cui è direttamente impugnabile, diviene inoppugnabile se
decorre il termine per eventuali ricorsi e l'applicazione delle misure
di salvaguardia non riapre i termini per chi li abbia lasciati decorrere
inutilmente. Va puntualizzato, in questo contesto, che l'adozione di uno
strumento di programmazione generale o della relativa variante è
impugnabile direttamente, indipendentemente dall'applicazione di
misure di salvaguardia, solo
se dalle previsioni ivi contenute derivi un
immediato e diretto pregiudizio per le private situazioni (Cfr.,Cons.
Stato, IV Sez., 15 luglio 1983 n. 538; Cons. Stato, Ap., 9 marzo 1983 n.
1 cit., IV Sez., 30 settembre 1976 n. 827, IV Sez., 11 maggio 1979 n.
312 e 17 febbraio 1981 n. 165, V Sez. 12 febbraio 1976 n. 239 e 19
febbraio 1974 n. 192, IV Sez. 3 giugno 1987 n. 326, 17 ottobre 1985 n.
454, 17 aprile 1973 n. 421, 20 marzo 1973 n. 245, 19 ottobre 1971 n. 890
e 15 luglio 1983 n. 538;T.A.R. Calabria, Catanzaro 2 marzo 1992 n. 96). Nel
caso di specie, non può fondatamente sostenersi che gli artt.25.1.9 e
27.3.9 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale
comunale di Buttrio determinassero un immediato e diretto pregiudizio per la sfera giuridica della
istante, non riguardando specificatamente
la proprietà attorea. E'
stato anche ritenuto che le Norme tecniche di attuazione, rientrando tra
le disposizioni programmatiche del P.R.G., non sono immediatamente
lesive, con la conseguenza che devono essere impugnate unitamente al
provvedimento applicativo (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 14 settembre 1989
n. 589 ; T.A.R. Valle d'Aosta, 5 marzo 1992 n. 24). Nel
caso di cui alla presente controversia, la ricorrente non era, dunque,
tenuta ad impugnare direttamente(nel termine di decadenza)
gli artt.25.1.9 e 27.3.9 delle Norme tecniche di attuazione del
Piano regolatore generale comunale di Buttrio: norme prive del connotato
della immediata lesività della posizione giuridica della istante. Inutile
aggiungere che, a fortiori, nessun onere aveva la ricorrente di gravarsi
contro la deliberazione del Consiglio comunale di Buttrio n. 65 del
27.11.2000( riguardante l’ esame delle osservazioni e delle
opposizioni presentate nei confronti del P.R.G.C.), nella parte in cui
era stata respinta la sua osservazione circa la possibilità di
consentire la installazione di staccionate per delimitare le proprietà. In
conclusione, nella fattispecie, le impugnate disposizioni pianificatorie
(introdotte con la deliberazione n.93/1998)
che, sostanzialmente, hanno portato all'adozione del diniego di
autorizzazione paesaggistico-ambientale del 10.3.1999, non possono
ritenersi di per sé, ed autonomamente, lesive dell'interesse della
ricorrente, e quindi impugnabili nel termine di decadenza decorrente
dall'adozione della variante. Conseguentemente
è tempestiva l'impugnazione dell'atto di adozione della variante,
unitamente all'atto che ha negato la autorizzazione paesaggistica. 3.Nel
merito il gravame si appalesa infondato. Ragioni
di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente
i due motivi del gravame. Gli
impugnati atti del Sindaco e della Commissione edilizia sono basati
sulle disposizioni , anch’esse impugnate, del P.R.G.( artt. 25.1.9 e
27.3.9 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale
comunale di Buttrio adottato con deliberazione del Consiglio comunale
n.93 del 19.12.1998), le quali stabiliscono che nelle “zone degli
ambiti boschivi E 2” e nella “zona di interesse
agricolo-paesaggistico in ambito collinare-E 4.2“ “è vietata
qualsiasi recintazione dei fondi,ad esclusione di quelle realizzate con
vegetazione naturale autoctona”. Gli
immobili della ricorrente ricadono nelle zone suddette. Come
si è accennato,la recinzione richiesta dalla Danieli consisteva in una staccionata
in legno: pertanto,la recinzione non sarebbe stata realizzata “con
vegetazione naturale autoctona”, ossia con una siepe
formata da una specie autoctona, siccome stabilito dal P.R.G.C. Invero,
la locuzione: “ è vietata qualsiasi recintazione dei fondi,ad
esclusione di quelle realizzate con vegetazione naturale autoctona”,
non consente, de plano, che
le recinzioni possano consistere in
staccionate o in palizzate, ancorché costruite con materiale
ligneo tratto dalla “ vegetazione naturale autoctona”. Ne
consegue,contrariamente a quanto opina la deducente, che nessun obbligo
aveva la Amministrazione di indicare (o di verificare in corso
d’opera) le “essenze utilizzabili” per la realizzazione della
staccionata. La
questione si sposta, allora , sulla ammissibilità di introdurre una
siffatta previsione (“è vietata qualsiasi recintazione dei fondi,ad
esclusione di quelle realizzate con vegetazione naturale autoctona”)
nello strumento urbanistico comunale. Il
che comporta l’esame dei poteri pianificatori locali in materia di
tutela paesaggistico-ambientale, giacché le impugnate disposizioni sono
chiaramente preordinate ad assicurare questa tutela. Al
riguardo appare utile
ricordare che l'introduzione nel nostro ordinamento degli strumenti di
pianificazione urbanistica fu originariamente operata con riguardo alla
sola attività edilizia inerente ai nuclei abitati e che entro tale
limite detti strumenti vennero mantenuti per lungo tempo: basti in
proposito ricordare che l'art. 70 del regolamento della legge comunale e
provinciale approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2321, ebbe ad annoverare
fra le materie proprie dei regolamenti edilizi comunali i « piani
regolatori dell'ingrandimento e della livellazione o di nuovi
allineamenti delle vie, piazze o passeggiate pubbliche »; basti
ricordare, altresì, che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 consentì ai
Comuni di dotarsi di « piani regolatori edilizi » e di «piani di
ampliamento », indicando i primi (art. 86) come destinati a tracciare
« le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte
dell'abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli
edifici, per raggiungere l'intento », e i secondi (art. 93) come
destinati di contro a tracciare « le norme da osservarsi
nell'edificazione di nuovi edifici, al fine di provvedere alla salubrità
dell'abitato ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione ».
Né, d'altro canto, più ampio oggetto ebbero le successive leggi che,
con procedura speciale, approvarono gli strumenti urbanistici di talune
città, dalla legge 11 aprile 1889, n. 60, relativa al « piano
regolatore edilizio e di ampliamento » della città di Bologna, alla
legge 5 aprile 1908, n. 141 relativa al « piano regolatore unico » per
la città di Torino, al R.D.L 6 luglio 1931, n. 981 convertito nella
legge 24 marzo 1932, n. 355 relativo al piano regolatore della città di
Roma, alla legge 19 febbraio 1934, n. 433 relativa al «piano regolatore
di massima edilizio e di ampliamento » della città di Milano, etc. In
presenza di siffatta situazione normativa, appare di tutta evidenza la
portata innovativa - puntualmente, del resto, sottolineata nei lavori
preparatori (v. la relazione al disegno di legge n. 2038 alla Camera dei
fasci e delle corporazioni, XXX legislatura, Raccolta di atti e
documenti, vol. XXI) - dell'art.
7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, là dove stabilì, al primo
comma, che « il piano regolatore generale di un Comune deve considerare
la totalità del territorio comunale ». Vero
è che la correlazione di detto art. 7, primo comma, con la definizione
che della disciplina urbanistica la stessa legge del 1942 forniva
all'art. 1, sembrava voler continuare a limitare l'ambito di tale
disciplina e, di riflesso, degli strumenti pianificatori attuativi di
essa, alla sola attività edilizia;così come è vero che ciò trovava
sostanziale riscontro negli elementi elencati al secondo comma del
menzionato art. 7, destinati a concretizzare le indicazioni essenziali
dei piani regolatori generali, tanto da indurre la giurisprudenza ad
affermare, in più occasioni, la legittimità delle previsioni di
classificazioni a verde agricolo solo in quanto dirette a contenere
l'ampliamento dei nuclei abitati (Cfr. Cons.St.,Sez. IV, 19 ottobre
1960, n. 855; Sez. IV, 27 febbraio 1959, n. 269). Simile limitazione,
però, deve intendersi venuta meno allorché l'art. 1 della legge 19
novembre 1968, n. 1187, alla necessaria considerazione da parte del
piano dell'intero territorio comunale, saldò anche la prescrizione « dei vincoli da osservare nelle zone a carattere storico,
ambientale, paesistico »: in tal modo, infatti, allo sganciamento
avvenuto nel 1942 dei piani regolatori generali dal loro originario
stretto riferimento ai nuclei abitati, ha finito col correlarsi un
elemento atto a trovare esplicazione, a differenza di quelli contemplati
dalla primitiva formulazione del più volte citato art. 7, secondo
comma, pur su parti inedificate e inedificabili del territorio comunale,
in funzione di difesa da possibili fattori pregiudiziali di qualunque
tipo, e pertanto anche diversi dall'attività edilizia. E
che proprio tale portata debba attribuirsi a detto elemento risulta
chiaramente dalla circostanza che là dove, come nell'art. 17, quinto
comma, della legge 6 agosto 1967 n. 765, in sede di regolamentazione
urbanistica il legislatore ha voluto circoscrivere la tutela dei
caratteri storici, artistici ed ambientali ai soli nuclei abitati, lo ha
fatto usando non già il generico termine di « zone », bensì quello
specifico di «agglomerato urbano ». A
quanto precede va, poi, aggiunto che, parallelamente, anche la nozione
di urbanistica andava progressivamente evolvendosi; particolarmente,
poi, con la legge 28 gennaio 1977, n. 10, che all'art. 1, considerava,
in un unico ambito, la trasformazione urbanistica e l'edilizia del
territorio; e soprattutto con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 che,
all'art. 80, definiva la materia come disciplina dell'uso del territorio
comprensivo di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali,
riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo,
nonché la protezione
dell'ambiente. A
quest’ultimo proposito,è a dirsi che le funzioni amministrative
riferibili alla protezione dell'ambiente rientrano tra quelle relative
alla materia urbanistica; pertanto, le funzioni attribuite alle Regioni
dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 in tema di tutela delle zone di
particolare interesse ambientale rappresentano le condizioni minime di
salvaguardia, non riducibili dagli strumenti urbanistici, con la
conseguenza che il Comune ha il potere di introdurre un'autonoma
disciplina urbanistica di salvaguardia ispirata a fini di tutela
ambientale, volta a rafforzare i vincoli già esistenti o ad introdurne
di nuovi ( Cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio, I Sez., 30 novembre 1989,
n. 1729 e 3 giugno 1995, n. 960). Ora
-osserva il Collegio- considerato che il piano regolatore può prevedere
l'adozione di particolari tipologie edilizie e può imporre l'uso di
specifici materiali se la relativa prescrizione corrisponda ai criteri
di conservazione e restauro che caratterizzano l'edificazione della
zona(Cfr. T.A.R. Lazio,I,15 settembre 1998,n.2582), non sembra precluso
al Comune dettare particolari prescrizioni, ispirate a fini di tutela
ambientale, in materia di recinzioni della proprietà privata: semprechè
–alla stregua dei principi generali, e, segnatamente, di quello di
buona amministrazione, sancito dall’art. 97 della Carta costituzionale
– si appalesino rispettose dei canoni di logicità, di equità, di
imparzialità, di economicità , e non contrastino con la normazione di
diritto positivo di carattere inderogabile. In
particolare, con riferimento ai rilievi attorei, non è revocabile in
dubbio che le prescrizioni in parola debbano osservare la normativa
civilistica non derogabile
,e, precisamente, l’art. 841 del Codice civile, che così
dispone:”Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo”.
Questo articolo -ritiene il Collegio- non è, però, vulnerato dalle
previsioni pianificatorie impugnate, dato che esse non impediscono
l’esercizio di questo diritto (la chiusura del fondo) da parte
del proprietario. Né
può fondatamente assumersi che nella fattispecie i principi di cui si
è fatto cenno siano stati disattesi, dato che le previsioni in parola,
frutto di una legittima discrezionalità tecnico-amministrativa,
non appaiono collidere – se correttamente lette - con i canoni
di logicità, di equità ,di imparzialità, di economicità ,né,
tampoco, con i principi di rango costituzionale sull’iniziativa
economica privata (art.41) e sulla proprietà privata (art. 42). Ed
invero, non può fondatamente sostenersi che la imposizione di una
particolare modalità costruttiva delle
recinzioni , le quali –è d’uopo sottolineare - non vengono
toccate nella loro ontologica essenza dalle gravate previsioni,
pregiudichino il libero esercizio di diritti costituzionalmente
garantiti. In
questo contesto argomentativo, non può stabilirsi
che le siepi siano inidonee ad “assolvere la funzione di
protezione tipica dell’opera di recinzione”, come assume
l’istante, dato che la funzione naturale della siepe è proprio quella
di “protezione, di barriera, contro agenti esterni, umani, ferini o
atmosferici”(Cfr., secondo una risalente giurisprudenza, Cass., 7
ottobre 1965,n.2079). Non
sembra inutile aggiungere che le gravate disposizioni pianificatorie
vietano la “ recintazione “ dei fondi, ad esclusione di quelle
realizzate mediante una siepe
formata da una specie autoctona( la dimensione della siepe – occorre
sottolineare – non è stata regolamentata) , ma non vietano affatto
(argomentando a contrariis, secondo il consueto criterio ermeneutico) le
staccionate (come quella chiesta dalla deducente), o altri manufatti
similari (per esempio le palizzate o le reti, o, come si dirà subito
dopo, i cancelli) che non abbiano la funzione specifica di recintare i fondi, ossia la funzione di “ cingere tutt’intorno
“ i fondi. Ciò è
significativo, perché le ripetute disposizioni, così come sono state
formulate, non escludono, a rigore, la realizzazione di
opere (anche diverse dalle siepi) che non fungano da recinzione
vera e propria, ossia che non siano collocate sul confine
dei fondi (i quali –in forza delle ripetute previsioni - non possono
essere delimitati che da siepi
“ realizzate con vegetazione naturale autoctona”) , ovvero la
realizzazione di cancelli: il che, de plano, contribuisce ulteriormente
a salvaguardare il diritto di proprietà nella sua pienezza
ordinamentale. Quanto
al cenno attoreo alla mancanza di “cancelli”, in conseguenza
della siepe, che precluderebbe il libero esercizio del diritto di
proprietà, va detto che l’opposto diniego non verteva sulla
realizzabilità o meno di cancelli nell’ambito di una recinzione a
siepe: di conseguenza, trattasi di doglianza ultronea rispetto
all’oggetto del contendere, che potrà essere fatta valere se e in
quanto verrà precluso alla ricorrente, con un provvedimento ad hoc,
la realizzazione di appositi cancelli . La doglianza si appalesa,
pertanto, inammissibile in quanto il suo eventuale accoglimento
non arrecherebbe alcun vantaggio alla deducente, dato che la
pretesa sostanziale(la realizzazione di una una staccionata
in legno) verrebbe comunque disattesa in sede di rinnovazione delle
previsioni pianificatorie, in ipotesi annullate dal Tribunale per questo specifico
motivo, e , cioè, per il
divieto di installare cancelli. Ma,
quand’anche si ritenesse ammissibile la doglianza, è a dire che le
previsioni de quibus riguardano
esclusivamente la “ recintazione dei fondi”: in questo concetto
–come già si è accennato - non sembra si possano
far rientrare i “cancelli” ( e ciò a fortiori se ,in
ipotesi, questi ultimi non insistano sulla linea di confine, delimitata
dalla siepe); i quali, pertanto, esulano dalla previsione comunale sulle
modalità costruttive delle recinzioni.
Di qui un ulteriore profilo di inammissibilità, posto che la ricorrente
ha denunciato un aspetto delle gravate previsioni urbanistiche che in
realtà non esiste. 4.
Alla stregua delle suesposte osservazioni, il ricorso va, in
conclusione,respinto. 5.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. p.
q. il
Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia,
definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni
contraria istanza ed eccezione, lo rigetta. Condanna
la ricorrente al rimborso
delle spese e competenze giudiziali nei confronti dell’Amministrazione
resistente, che liquida in complessive £.5.000.000 (cinque
milioni). Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così
deciso in Trieste, in camera di consiglio, il
20.6.2001. Vincenzo
Sammarco – Presidente Vincenzo
Farina - Estensore Depositata
nella segreteria del Tribunale il 23 luglio 2001 |