| sommario | legislazione | giurisprudenza | tabelle |modulistica || pubblicazioni | recensioni | links | utilities | |iusambiente è |
T.A.R. Friuli Venezia Giulia 11/2002 |
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO repubblica
italiana in
nome del popolo italiano Il
Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, nelle
persone dei magistrati: Vincenzo
Sammarco – Presidente Enzo
Di Sciascio - Consigliere Vincenzo
Farina – Consigliere relatore ha
pronunciato la seguente s
e n t e n z a sul
ricorso n. 621/00 proposto dalla società
“TENUTA NOBILE CASTELDUINO” s.r.l.
, in persona dell’Amministratore delegato, rappresentata e difesa
dall’ avv. Giovanni Battista Verbari , con domicilio eletto presso lo
studio del medesimo, in Trieste, Piazza N. Tommaseo n.4 ; c
o n t r o 1)
il Comune
di Duino Aurisina,in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e
difeso dall’avv Alessandro Giadrossi, con domicilio eletto presso lo
studio del medesimo, in Trieste,via Santa Caterina n.5; 2)
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,in persona del Presidente della
Giunta regionale pro tempore, non costituita in giudizio; 3)
la Provincia di Trieste, in persona del Presidente della Giunta
provinciale pro tempore, non costituita in giudizio; per
l’annullamento: 1)della
deliberazione del Consiglio comunale di Duino Aurisina n.36 del 29-30
settembre 1999,con la quale l’intimato Comune ha approvato la variante
generale n.18 al vigente P.R.G.C. entrata in vigore a seguito del decreto
n.0173/Pres. del 25.5.2000, con il quale il Presidente della Giunta
regionale ha confermato la esecutività della cennata deliberazione
consiliare n.36/1999,disponendo l’introduzione delle modifiche
indispensabili per il totale superamento delle riserve formulate in ordine
alla variante stessa con deliberazione della Giunta regionale n.2472 del
28.8.1998; 2)
del suddetto del decreto n.0173/Pres. del 25.5.2000, nella parte che
interessa la proprietà della ricorrente; 3)
degli atti prodromici,presupposti,conseguenziali e comunque
connessi, e, in particolare , della cennata deliberazione n.36/1999,nella
parte in cui non ha accolto la osservazione(rubricata al n. 97) della
ricorrente; per
la fissazione dei
criteri in base ai quali l’Amministrazione comunale deve proporre alla
ricorrente una
idonea misura riparatoria per l’omessa previsione di indennizzo
per le illegittime reiterazioni o apposizione del vincolo di
inedificabilità assoluta sugli immobili di proprietà della medesima
ricorrente; Visto
il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria
generale con i relativi allegati; Visti
gli atti tutti di causa; Data
per letta alla pubblica udienza del
20.12.2001 la relazione del consigliere Vincenzo Farina ed uditi i
difensori delle parti costituite; Ritenuto
e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: f
a t t o La
società ricorrente è proprietaria di diverse aree nel Comune di Duino
Aurisina. Queste
aree erano state inserite dalla precedente variante n. 10 in zone diverse,
e, precisamente, nelle seguenti zone: 1) “Zona di tutela e riserva
F2(boschiva)”; 2) “Zona produttiva agricola E 2(boschiva)”, 3)
“Zona produttiva agricola E 4(di interesse agricolo paesaggistico)”. Le
medesime aree sono state inserite dalla impugnata variante generale n.18
al vigente P.R.G.C. , in ragione della loro rispettiva natura, nelle: 1)
“Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”; 2) parte
nelle “Aree di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici
(F2a)” e parte nelle zone così classificate: “Pinete ed arbusteti di
nocciolo”; 3) parte nelle “Aree di tutela della complessità degli
ecosistemi naturalistici (F2a)”, e parte nelle nelle zone così
classificate:“Pinete ed arbusteti di nocciolo”. La
ricorrente, con
una “osservazione” alla adottata variante n. 18, aveva chiesto,
in particolare, che le
aree, appartenenti al proprio compendio immobiliare, classificate
dalla medesima variante come “Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”, fossero
classificate come “Aree di preminente interesse agricolo E 5”. Il
Comune respingeva detta osservazione sulla base della considerazione
che:”La proposta non è coerente con le finalità di tutela.L’area in
questione(Hermada) possiede un elevato valore paesaggistico-ambientale,
così come ampiamente illustrato dalle analisi condotte sulla vegetazione,
sulla fauna, sull’assetto e le dinamiche del paesaggio e sulla
vulnerabilità dell’ambiente”. A
sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto i seguenti mezzi: 1.
Violazione
dell’art. 42 della Costituzione. Carenza di potere. Eccesso di potere
sotto vari profili: sviamento, di potere, carenza di presupposti,
presupposti erronei, carenza di motivazione. La
impugnata variante opererebbe, in parte qua, una espropriazione senza
indennizzo. 2.
Incompetenza
assoluta e relativa. I
vincoli paesaggistici(come quelli contestati dalla ricorrente) possono
essere introdotti – così assume la deducente – solo dalla Regione ,
attraverso specifici strumenti, quali i piani territoriali regionali
paesistici(nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), o dalla
Provincia, attraverso il Piano territoriale di coordinamento, ma non già
dai Comuni. 3.
Sviamento
di potere,
posto che l’intimato Comune , con le gravate previsioni, ha, in realtà,
avuto di mira la istituzione di un parco naturale(che rientra nella
competenza della Regione e non del Comune). 4.
Contraddittorietà
rispetto alla delibera consiliare 26 giugno 1995 n. 64 con cui sono stati
approvati gli indirizzi per la formazione del nuovo piano,
avendo il Comune intimato penalizzato in modo sostanziale l’attività
agricola , in dissonanza con gli indirizzi in parola. 5.
Contraddittorietà
e carenza di motivazione, carenza di presupposti,
avendo i terreni della ricorrente una chiara vocazione agricola. Si
è costituito in giudizio l’intimato Comune ,chiedendo il rigetto del
gravame.
D
I R I T T O 1.
In rito, va estromessa la Provincia di Trieste evocata in giudizio dalla
ricorrente: essa non assume nè la veste di parte resistente né quella di
parte controinteressata. 2.
Nel merito, il ricorso si appalesa infondato. Ragioni
di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente
tutti i motivi del gravame. Preliminarmente,
al fine di inquadrare in modo idoneo la materia del contendere,si rende
necessario svolgere alcune considerazioni di carattere generale circa i poteri
pianificatori locali in materia di
tutela ambientale, giacchè le impugnate disposizioni
pianificatorie, concernente la proprietà attorea, sono chiaramente
preordinate ad assicurare questa tutela. Come
già si è detto, i beni immobili della istante erano stati inseriti dalla
precedente variante n. 10 in zone diverse, e, precisamente, nelle
seguenti: 1) “Zona di tutela e riserva F2(boschiva)”; 2) “Zona
produttiva agricola E 2(boschiva)”, 3) “Zona produttiva agricola E
4(di interesse agricolo paesaggistico)”. I
medesimi beni
sono stati inseriti dalla gravata variante nelle: 1) “Aree di
tutela della
complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”; 2) parte nelle
“Aree di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici
(F2a)” e parte nelle aree così classificate:“Pinete ed arbusteti di
nocciolo”; 3) parte nelle “Aree di tutela della complessità degli
ecosistemi naturalistici (F2a)”, e parte nelle nelle aree così
classificate:“Pinete ed arbusteti di nocciolo”. La
ricorrente, con
una “osservazione” alla adottata variante n. 18, aveva chiesto,
in particolare, che le
aree, appartenenti al proprio compendio immobiliare, classificate
dalla medesima variante come “Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”, fossero
classificate come “Aree di preminente interesse agricolo E 5”. Il
Comune respingeva detta osservazione sulla base della considerazione
che:”La proposta non è coerente con le finalità di tutela.L’area in
questione(Hermada) possiede un elevato valore paesaggistico-ambientale,
così come ampiamente illustrato dalle analisi condotte sulla vegetazione,
sulla fauna, sull’assetto e le dinamiche del paesaggio e sulla
vulnerabilità dell’ambiente”. Ciò
ricordato, è d’uopo prendere le mosse dalla considerazione
che l'introduzione nel nostro ordinamento degli strumenti di
pianificazione urbanistica fu originariamente operata con riguardo alla
sola attività edilizia dei nuclei abitati, e che entro tale limite detti
strumenti vennero mantenuti per lungo tempo: basti in proposito rammentare
che l'art. 70 del regolamento della legge comunale e provinciale,
approvato con R.D. 8 giugno 1865, n. 2321, ebbe ad annoverare fra le
materie proprie dei regolamenti edilizi comunali i « piani regolatori
dell'ingrandimento e della livellazione o di nuovi allineamenti delle vie,
piazze o passeggiate pubbliche »;
che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 consentì ai Comuni di dotarsi
di «piani regolatori edilizi » e di « piani di ampliamento »,
indicando i primi (art. 86) come destinati a tracciare « le linee da
osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell'abitato in cui sia da
rimediare alla viziosa disposizione degli edifici, per raggiungere
l'intento» e i secondi (art. 93) come destinati di contro a tracciare «
le norme da osservarsi nell'edificazione di nuovi edifici, al fine di
provvedere alla salubrità dell'abitato ed alla più sicura, comoda e
decorosa sua disposizione ». Né, d'altro canto, più ampio oggetto
ebbero le successive leggi che, con procedura speciale, approvarono gli
strumenti urbanistici di talune città, dalla legge 11 aprile 1889, n. 60,
relativa al « piano regolatore edilizio e di ampliamento » della città
di Bologna, alla legge 5 aprile 1908, n. 141 relativa al « piano
regolatore unico » per la città di Torino, al R.D.L 6 luglio 1931, n.
981 convertito nella legge 24 marzo 1932, n. 355 relativo al piano
regolatore della città di Roma, alla legge 19 febbraio 1934, n. 433
relativa al «piano regolatore di massima edilizio e di ampliamento »
della città di Milano, ecc. In
presenza di siffatta situazione normativa, appare di tutta evidenza la
portata innovativa - puntualmente, del resto, sottolineata nei lavori
preparatori(v. la relazione al disegno di legge n. 2038 della Camera dei
fasci e delle corporazioni, XXX legislatura, Raccolta di atti e documenti,
vol. XXI) - dell'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150(“Legge
urbanistica”), là dove stabilì, al primo comma, che « il piano
regolatore generale di un Comune deve considerare la totalità del
territorio comunale ». Vero
è che la correlazione di detto art. 7, primo comma, con la definizione
che della disciplina urbanistica la stessa legge del 1942 forniva all'art.
1, sembrava voler continuare a limitare l'ambito di tale disciplina, e, di
riflesso, degli strumenti pianificatori attuativi di essa, alla sola
attività edilizia; così come è vero che ciò trovava sostanziale
riscontro negli elementi indicati al secondo comma del menzionato art. 7,
destinati a concretizzare le indicazioni essenziali dei piani regolatori
generali: tanto da indurre la giurisprudenza ad affermare, in più
occasioni, la legittimità delle previsioni di classificazioni a verde
agricolo solo in quanto dirette a contenere l'ampliamento dei nuclei
abitati (Cfr. Cons.St., Sez. IV, 19 ottobre 1960, n. 855; Sez. IV, 27
febbraio 1959, n. 269). Simile limitazione, però, deve intendersi venuta
meno allorché l'art. 1 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, alla
necessaria considerazione da parte del piano dell'intero territorio
comunale, ampliò lo spettro di intervento pianificatorio ai <<
vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale,
paesistico >>: in tal modo, infatti, allo sganciamento avvenuto
nel 1942 dei piani regolatori generali dal loro originario stretto
riferimento ai nuclei abitati, ha finito col saldarsi un elemento
funzionalizzato alla
difesa da possibili fattori pregiudizievoli di ogni tipo,
eppertanto anche svincolati dall'attività edilizia in sé e per sé
considerata. E
che proprio tale portata debba attribuirsi a detto elemento risulta
chiaramente dalla circostanza che là dove, come nell'art. 17, quinto
comma, della legge 6 agosto 1967, n. 765, in sede di regolamentazione
urbanistica il legislatore ha voluto circoscrivere la tutela dei caratteri
storici, artistici ed ambientali ai soli nuclei abitati, lo ha fatto
usando non già il generico termine di « zone », bensì quello specifico
di «agglomerato urbano ». A
quanto precede va, poi, aggiunto che, parallelamente, anche la nozione di
urbanistica andava progressivamente evolvendosi; in particolare,
la legge 28 gennaio 1977, n. 10, all'art. 1 considerava, in un
unico ambito concettuale, la trasformazione urbanistica e l'edilizia del
territorio. Questa tendenza
si accentuava con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che, all'art.
80, definiva la materia come disciplina dell'uso del territorio
comprensivo di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali,
afferenti la salvaguardia e la trasformazione del suolo, nonché la
protezione dell'ambiente. A
quest’ultimo proposito, è a dirsi che le
funzioni attribuite alle Regioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 in tema
di tutela delle zone di particolare interesse ambientale condizionano la
regolamentazione soltanto perché rappresentano le condizioni minime di
salvaguardia, non riducibili dagli strumenti urbanistici, con la
conseguenza che, contrariamente a quanto opina la deducente, il Comune
ha il potere di introdurre un'autonoma disciplina urbanistica di
salvaguardia ispirata a fini di tutela ambientale, volta a rafforzare i
vincoli già esistenti o ad introdurne di nuovi ( Cfr., fra le tante,
T.A.R. Lazio, I Sez., 30 novembre 1989, n. 1729 e 3 giugno 1995, n. 960). Ordunque,
il significato del termine « urbanistica» è andato sempre più
chiarendosi come la generale disciplina dell'uso del territorio: intesa,
cioè, come regolamentazione degli insediamenti umani nel territorio e non
solo come disciplina dello sviluppo della città. In
questo contesto, la giurisprudenza ha avvertito che le scelte urbanistiche
destinate a tutelare l’ambiente(anche quando consistono nell’imprimere
ad un’area il connotato di zona agricola o di parco privato o di verde
privato), non richiedono una diffusa analisi argomentativa con riguardo al
valore del paesaggio, a mente dell’art. 9 della Costituzione (Cfr., tra
le più recenti, Cons.St., IV, 1°.2.2001, n.420; 8 maggio 2000, n. 2639 e
19 gennaio 2000,n. 245). Ciò
posto, occorre svolgere alcune ulteriori considerazioni sull’argomento. Il
legislatore, attraverso l'indicazione di valori per la prima volta «normativizzati»
(acqua, aria, suolo, valori artistici, storici, archeologici,
paesaggistici, lo stesso paesaggio come specchio della civiltà e della
cultura nella natura) ha inteso riportare le singole parti all'integrità
del tutto cui appartengono, cioè all'ambiente
come « ciò che circonda la persona » e ne determina la qualità della
vita sotto il profilo fisico e morale; e questo ha fatto con il
riconoscimento formale dell'ambiente, come bene unitario sebbene a varie
componenti, in armonia con i precetti costituzionali che vogliono
quest'ultimo in posizione primaria (cfr. sent. Corte cost. n. 641 del 30
dicembre 1967; T.A.R. Lombardia, 17 gennaio 1990, n.15). In
particolare, con la sentenza testè citata, la Corte costituzionale ha
osservato come la circostanza che « l'ambiente possa essere fruibile in
varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie
norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non
fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene
unitario che l'ordinamento prende in considerazione » e che tutela
proprio in quanto « elemento determinativo della qualità della vita »:
il bene
giuridico « ambiente » - ha sottolineato il Giudice delle leggi -
appartiene alla categoria dei «cosiddetti beni liberi, fruibile
dalla collettività e dai singoli » e come tale non è oggetto di
situazioni soggettive di tipo appropriativo. Detto
questo, quanto ai soggetti pubblici istituzionalmente deputati a dettare
norme in materia urbanistica, non è revocabile in dubbio – lo si è già
accennato - che, alla stregua delle suesposte osservazioni, essi possano
statuire anche in materia ambientale: materia,
questa, sussumibile nella nozione di “urbanistica”. Più
specificatamente, in relazione al caso di specie, è a dirsi che
lo Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia – in realtà - non
prevede espressamente una competenza regionale per la tutela
dell'ambiente. Tuttavia,
come esattamente rilevato nel piano urbanistico regionale, in coerenza con
una evoluzione dottrinale e anche legislativa oramai datata(di cui si è
parlato sopra), la possibilità di dettare norme, stabilire vincoli e
procedure a tutela dell'ambiente naturale deve ritenersi compresa nella
competenza legislativa e amministrativa in materia urbanistica,
che è comune a tutte le Regioni a statuto ordinario come a quelle statuto
speciale : anche per il Friuli-Venezia Giulia l’ urbanistica è indicata fra le materie di competenza primaria
dall’ art. 4 n. 12 dello Statuto(Cfr., secondo una giurisprudenza
risalente, Cons. St., VI, 15 settembre 1986,n.720). Assodato
questo, quanto alla istituzionale competenza comunale in materia
urbanistica, essa – ripetesi -
è pacifica ,alla
stregua
delle previsioni ordinamentali; in particolare (da ultimo)
l’art.13 del decreto legislativo 18 agosto 2000,n.267 (recante il
:”Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”), che
ha novellato l’art. 9 della
legge 8 giugno 1990 n. 142, così recita:” 1. Spettano al comune
tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il
territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla
persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e
dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad
altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze[……]”. Per
quel che riguarda l’ordinamento del Friuli-Venezia
Giulia, specifiche disposizioni attribuiscono ai Comuni poteri
pianificatori in materia ambientale: in particolare, la legge regionale 19
novembre 1991, n. 52(ad oggetto:”Norme regionali in materia di
pianificazione territoriale ed urbanistica”), all’art. 29( Finalità)
ha stabilito che:” 1. I Comuni devono dotarsi di un piano regolatore
generale comunale (PRGC) al fine di disciplinare l'uso e l'assetto
dell'intero territorio comunale[……]. 2.
Il PRGC è lo strumento di sintesi di tutte le disposizioni in materia di
assetto territoriale del territorio comunale.
3.
In particolare il PRGC è finalizzato a garantire: a)
la
tutela e l'uso razionale delle risorse naturali nonché la salvaguardia
dei beni di interesse culturale, paesistico ed ambientale;[……]”. Il
successivo art. 30( Contenuti ed elementi) ha previsto che :”1. Il PRGC,
che considera la totalità del territorio comunale, deve
contenere:[…….] c) la definizione degli interventi per la tutela e
valorizzazione delle risorse naturali, ambientali, agricole, paesistiche e
storiche, con l'indicazione dei vincoli di conservazione imposti da
normative sovraordinate;[……] 2.
Con il PRGC possono essere posti vincoli di inedificabilità relativamente
a: a)
protezione
delle parti del territorio e dell'edificato di interesse ambientale,
paesistico e storico-culturale;”[…..]. Fermi
restando siffatti poteri in capo ai Comuni, occorre doverosamente
puntualizzare che in
sede di pianificazione del territorio questi ultimi non possono in alcun
caso trascurare l'esistenza e la cogenza di altri strumenti pianificatori,
ancorché riconducibili ad altri soggetti istituzionali (in particolare, i
Comuni non possono disattendere i piani territoriali paesistici elaborati
dalla Regione od altri piani similari), considerata la tendenziale
unitarietà ed omogeneità delle previsioni che devono caratterizzare, in
un coordinato assetto globale, i diversi strumenti pianificatori del
territorio: questo perché il potere pianificatore è preordinato alla
ordinata programmazione e sviluppo delle aree abitate
ed alla salvaguardia dei valori non solo urbanistici, ma – si
ribadisce ancora una volta - anche dei valori ambientali esistenti (Cfr.,
ex pluribus,
Cons. Stato, IV Sez., 14 dicembre 1993, n. 1068;T.A.R. Lazio, II,
14 settembre 1994,n.1028). E’
d’uopo ulteriormente precisare che l'Autorità urbanistica,
nell'esercizio dei suoi poteri di pianificazione, non è vincolata – di
norma - al pedissequo recepimento dei vincoli discendenti dai
provvedimenti adottati dalle Amministrazioni preposte alla tutela degli
interessi di carattere storico, ambientale e paesistico, ma è legittimata
ad una nuova e diversa valutazione degli stessi: la quale, nel rispetto
dei vincoli predetti, può portare a nuove ed ulteriori limitazioni (Cfr.,
Cons. Stato, Ap., 19 marzo 1985, n. 6; T.A.R. Toscana, 16 novembre
1987,n.1349). Inoltre
– sempre in relazione al caso di specie e con riferimento ai rilievi
attorei – va detto che
i
beni aventi valore ambientale e paesistico costituiscono una
categoria originariamente di interesse pubblico, rispetto alla quale è da
escluderne l'equiparazione a quella relativa ai vincoli imposti con
provvedimenti amministrativi comportanti la espropriazione: vincoli
soggetti all'obbligo costituzionalmente garantito di corrispondere un
indennizzo. Sotto
questo profilo le doglianze attoree vanno disattese, dato che le impugnate
previsioni pianificatorie non hanno introdotto – de plano – dei
vincoli a contenuto espropriativo(comportanti, in quanto tali, l’obbligo
dell’indennizzo). Alla
luce di quanto testè detto, la competenza comunale ( e regionale, secondo
lo schema dell’atto complesso) è fuori discussione. Questa
conclusione non è scalfita dal fatto che la legge ha previsto la
redazione di piani paesistici ed ambientali o di “piani territoriali
regionali paesistici”(art. 1 bis della legge 8 agosto 1985, n.431;
art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977,n. 616; artt. 5 , comma 3, 18, 134, 139
della legge regionale 19 novembre 1991, n. 52; artt. 138 ss. , art. 149
del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490). Ed invero, non bisogna
confondere il generale potere pianificatorio comunale in materia
ambientale, di cui si è parlato, con il potere attribuito dalla legge ad
altri soggetti, e , segnatamente, alla Regione ed alla Provincia(ma anche
allo Stato) di predisporre degli speciali strumenti di
pianificazione nella medesima materia, ai quali gli enti
sottordinati(in particolare i Comuni) devono uniformarsi. Su
questo punto si è già accennato
sopra. Pertanto,
la specifica disciplina dettata dall’intimato Comune nei confronti dei
terreni attorei non doveva mutuare il proprio titolo legittimante dai
ripetuti strumenti sovraordinati. Non
giova alla ricorrente neppure il richiamo alla legge
6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”) ,
nonchè all’ art. 19 della legge regionale n. 52 del 1991, a sostegno
della tesi per cui la istituzione dei parchi naturali è soggetta
ad una particolare disciplina regionale, non ancora attuata: disciplina
che avrebbe dovuto indefettibilmente governare l’amplissimo spettro
degli interventi limitativi, analoghi a quelli afferenti, per l’appunto,
la istituzione di un parco, adottati dal Comune – Ente privo di
competenza nella materia de qua - nei confronti della proprietà attorea. Osserva
il Collegio che il caso di specie non integra – pacificamente - quello
della istituzione di un parco, bensì quello della protezione ambientale
di beni di comprovata valenza paesaggistico-ambientale, sostanzialmente
riconosciuta dalla stessa deducente: di qui la inconferenza delle
richiamate disposizioni. Venendo
agli altri vizi dedotti dalla ricorrente, per quanto concerne il lamentato
difetto di motivazione, di istruttoria e di presupposti,
va ricordato che le
scelte urbanistiche costituiscono apprezzamento di merito
sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da
errori di fatto, da travisamento,
o da abnormi illogicità e contraddittorietà (Cfr. tra le tante,
Cons.St., Ad. plen., 22 dicembre 1999,n. 24; IV, 25 luglio 2001,n. 4077;
22 maggio 2000, n. 2934; 9
gennaio 2000, n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121;T.A.R. Lombardia,
Brescia 28 giugno 1990 n. 770, T.A.R. Toscana, I Sez., 27 gennaio 1994 n.
39; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia,24 settembre 1994,n.349;T.A.R.Abruzzo,Pescara,11
luglio 1998,n.496);in particolare, è stato deciso che la destinazione
data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del
territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non
necessitano di apposita motivazione,
oltre a quella che si può evincere dai criteri generali di ordine
tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso:
criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo
accompagnano,richiamati dal provvedimento conclusivo (Cfr.Cons. Stato, Ad.
plen., 22 dicembre 1999,n. 24 ,cit.; IV, 25 luglio 2001,n. 4077, cit.; 9
gennaio 2000,n. 245 cit.; 8 febbraio 1999,n. 121,cit.; IV,12 giugno
1995,n.439; 4 marzo 1993 n. 240;
IV Sez., 11 dicembre 1979 n. 1141). Ciò
precisato, ritiene il Collegio di dovere, altresì, richiamare il
consolidato - e risalente - orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la
disciplina del territorio comunale non
comportano di regola la necessità di una specifica
motivazione che tenga conto delle aspirazioni
dei privati (Cfr.per tutte,Cons.St., Ap., 21 ottobre 1980 n. 37; IV
Sez., 11 gennaio 1985 n. 2; IV Sez., 2 luglio 1983 n. 488). Tale
principio (che comunque non preclude al giudice amministrativo di
verificare se le scelte operate siano irrazionali o manifestamente
illogiche e contraddittorie) è operante anche quando l'Autorità
urbanistica adotti una variante, anche generale, al piano vigente (Cfr.Cons.St.,IV
Sez., 30 giugno 1993, n. 642; IV Sez., 2 luglio 1983, n. 488), sulla base
di una diversa valutazione delle esigenze pubbliche (Cfr.,Cons.St.,IV Sez.,
20 marzo 1985, n. 96), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla
relazione d'accompagnamento al progetto di modificazione (Cfr.Cons.St.,IV
Sez., 4 marzo 1993, n. 240; IV Sez., 11 dicembre 1979, n. 1141), pur
quando essa disponga vincoli sulla proprietà privata, prevedendone
l'espropriazione o la inedificabilità assoluta. I
suesposti
principi in tema di motivazione degli strumenti urbanistici,
ribaditi dall'art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241(in
base al quale :” …….La motivazione non è richiesta per gli atti
normativi e per quelli a contenuto generale”…), subiscono,
però, un correttivo – così è stato stabilito da una
giurisprudenza lontana nel tempo, ma che ancora oggi incontra un
significativo seguito -
quando particolari situazioni abbiano creato aspettative
qualificate
o concreti affidamenti (Cfr.Cons.St.,IV Sez., 4 settembre 1985, n.
328; IV Sez., 13 aprile 1984, n. 243) in favore di soggetti, le cui
posizioni appaiono meritevoli di speciale considerazione (Cfr.,Cons.St.,IV
Sez., 13 maggio 1992, n. 511; IV Sez., 27 aprile 1989, n. 267). E’
necessario, peraltro, precisare, che
i proprietari di aree interessate dal piano regolatore non hanno
una aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria,
o
comunque , ad una destinazione migliorativa
rispetto ad una precedente determinazione dell’Amministrazione, ma
soltanto una aspettativa generica ad una reformatio
in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario che aspiri ad
una utilizzazione più proficua dell’immobile(Cfr., Cons. St., IV, 25
luglio 2001, n. 4077 cit.) In
questo contesto non è inutile ricordare che la posizione del privato è
recessiva di fronte al potere di pianificazione rimesso dall'ordinamento
all'Ente esponenziale della comunità e nell'esercizio del quale
l'Amministrazione si fa portatrice dell'interesse collettivo( Cfr. T.A.R.
Toscana, III, 21 novembre 1998, n.396). Ora,
la giurisprudenza
ha da tempo avvertito che l'Autorità urbanistica può esercitare i
propri poteri di modifica di un piano urbanistico, solo se sussistono adeguate
ragioni di pubblico interesse, da esternare in una specifica
motivazione, quando: -intenda
superare gli impegni già presi con la stipula di una convenzione di
lottizzazione (Cfr. Cons.St.,IV Sez., 13 luglio 1993 n. 711; IV Sez., 14
maggio 1993 n. 531; IV Sez., 1 luglio 1992 n. 653; IV Sez., 22 gennaio
1990 n. 24; IV Sez., 30 marzo 1987 n. 183; IV Sez., 19 giugno 1985 n. 239;
IV Sez., 28 gennaio 1985 n. 27; IV Sez., 18 ottobre 1984 n. 767; IV Sez.,
27 giugno 1984 n. 486; IV Sez., 7 marzo 1984 n. 134; IV Sez., 13 febbraio
1984 n. 82; V Sez., 12 febbraio 1976 n. 239), ovvero intenda incidere
sulle posizioni di coloro che hanno ottenuto una sentenza dichiarativa
dell'obbligo di predisporre la convenzione, dopo che questa sia stata
autorizzata (Cfr.Cons.St.,V Sez., 8 settembre 1992 n. 776); -debba
tener conto di un giudicato di annullamento di un diniego di concessione
urbanistica (Cfr.Cons.St.,Ad. plen., 8 gennaio 1986 n. 1); -
intenda
superare gli standards
minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968 (Cfr., Cons. St., Ad. Plen., 22
dicembre 1999, n. 24; IV Sez., 22 maggio 2000, n. 2934 cit.). La
motivazione è stata, inoltre, ritenuta necessaria quando un vincolo
preordinato alla espropriazione o comportante inedificabilità assoluta è
decaduto per il decorso del quinquennio, ai sensi dell'art. 2 della legge
19 novembre 1968, n. 1187 ( Cfr.,Corte cost., 12 maggio 1982 n. 92; Cons.
Stato, Ap., 2 aprile 1984 n. 7; Ap., 30 aprile 1984 n. 10; Corte cass.,
Sez. Un., 10 giugno 1983 n. 3987), e l'Amministrazione intenda reiterarlo
(Cfr.Cons.St.,II Sez., 24 ottobre 1990 n. 438/90; IV Sez., 3 maggio 1990
n. 330; v. anche Corte cost., 22 dicembre 1989 n. 575). Questa
motivazione – sembra opportuno precisarlo - è stata , peraltro,
individuata dalla più recente giurisprudenza(Cfr., Cons. Stato, Ad. plen.,22
dicembre 1999,n. 24; IV, n. 2934/2000 cit.) nei criteri di ordine tecnico
seguiti per la redazione del piano, e non già in uno specifico apparato
giustificativo. Come
si vede agevolmente, nessuna delle ipotesi suindicate ricorre nel caso di
specie. Non
è, comunque,
ravvisabile una
situazione che
abbia creato qualificate aspettative o concreti affidamenti
in capo alla deducente: la cui posizione appaia, pertanto, meritevole di
particolare considerazione (Cfr., ancora, Cons. Stato, IV Sez., 14 aprile
1998,n. 605 ; 12 giugno 1995, n. 439; 5 dicembre 1994, n. 992;
12 dicembre 1990, n. 1002 , 13 maggio 1992 n. 511; id. V Sez., 27
aprile 1989 n. 267
; IV, 4 settembre 1985 n. 328;13 aprile 1984 n. 243). A questa
conclusione si perviene procedendo all'individuazione - in relazione alla
situazione soggettiva evidenziata dal gravame - di eventuali posizioni
consolidate da precedenti atti amministrativi, ovvero di ingenerate
condizioni di affidamento (quanto alla vocazione agricola dei terreni
di proprietà della ricorrente: la quale, in particolare, aveva
chiesto, mediante la osservazione n. 97 del 17.4.1998 alla impugnata
variante , che le
aree, appartenenti al proprio compendio immobiliare, classificate
dalla medesima variante come “Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”, fossero
classificate come aree “di preminente interesse agricolo E5”, con la
possibilità di funzionamento delle aziende agricole e di accesso degli
utenti in caso di sviluppo agrituristico), delle quali la variante de qua
abbia determinato il sacrificio o la compromissione; con successiva
riserva di (eventuale) verifica della effettiva configurazione di una
congrua esternazione a conforto delle determinazioni adottate. La
disamina oggetto del presente punto viene esplicitata rappresentando i
presupposti di riferimento rispetto al preesistente assetto urbanistico, a
raffronto con le modificazioni, o, più esattamente, con le sostanziali
conferme operate dagli atti oggetto di censura. Il
Collegio esprime l’avviso che la variante impugnata
non abbisognava di una specifica motivazione
in ordine alla comparazione tra gli interessi pubblici e quelli privati
coinvolti, in quanto
non ha inciso su preesistenti
aspettative qualificate della
ricorrente. Le
aree della società ricorrente erano state inserite dalla precedente
variante n. 10 in zone diverse, e, precisamente, nelle seguenti: 1)
“Zona di tutela e riserva F2(boschiva)”; 2) “Zona produttiva
agricola E 2(boschiva)”, 3) “Zona produttiva agricola E 4(di interesse
agricolo paesaggistico)”. In
particolare, come ricordato dal Comune,l’area , di proprietà della
ricorrente, denominata “Hermada”, ”è sottoposta a vincolo
paesaggistico con preciso decreto(17 dicembre 1971) e [……] le aree
contermini al Monte Hermada costituiscono un elemento naturale e del
paesaggio di particolare valore ambientale”. Con
la variante de qua le particelle immobiliari in questione
sono state inserite
nelle: 1) “Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”; 2) parte
nelle “Aree di tutela della complessità degli ecosistemi naturalistici
(F2a)” e parte nelle zone così classificate: “Pinete ed arbusteti di
nocciolo”; 3) parte nelle “Aree di tutela della complessità degli
ecosistemi naturalistici (F2a)”, e parte nelle nelle zone così
classificate:“Pinete ed arbusteti di nocciolo”. Tali destinazioni di
zona sono state supportate, come dichiarato dal Comune, e, come risulta
anche dalla documentazione versata al processo(segnatamente per quanto
concerne le zone di interesse paesaggistico-ambientale), da specifici
studi ed approfondimenti tematici, che hanno indotto l’Autorità
procedente
ad assumere le determinazioni conseguenziali. In
questo contesto, va puntualizzato che , come risulta dalle norme della
variante(v. Capo 1.1.1., art. 1.1.1.1.),nelle aree F2a sono consentiti
numerosi interventi edilizi ed “utilizzazioni” compatibili con la
destinazione impressa. Sempre
in relazione alle aree F2a, è d’uopo sottolineare che il Comitato
tecnico regionale, in sede di parere sulla variante(n. 88/1-T/98 del
15.6.1998), ha, tra l’altro, affermato che:”In queste aree la tutela
della complessità naturalistica e del paesaggio, assume un carattere
prioritario”. Quindi,
non è revocabile in dubbio che gli immobili attorei possedessero , anche
anteriormente alla variante de qua, una particolare valenza
paesaggistico-ambientale, che la stessa ricorrente riconosce. A
tal proposito, preme sottolineare che quest’ultima non ha addotto alcun
elemento a sostegno della non ricorrenza di questo presupposto, ovverossia
della esistenza di una
situazione di interesse ambientale , suscettibile di venire
tutelata in sede di variante. Preme,
altresì, mettere in evidenza che la deducente(come si è visto),con la
osservazione alla variante,
ha lamentato la avvenuta classificazione di taluni suoi terreni
nelle “Aree
di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”(chiedendo
che fossero classificati come “Aree di preminente interesse agricolo E
5”): non ha lamentato
la classificazione di altri terreni nelle zone a:“Pinete ed
arbusteti di nocciolo”. Ciò è significativo del fatto che l’istante,
contrariamente a quanto dedotto in ricorso, ha convenuto – attraverso il
suo comportamento concludente - sulla giustezza, almento in parte, delle
scelte pianificatorie comunali. Ora,
l’Amministrazione ha sostanzialmente confermato la valenza
paesaggistico-ambientale del compendio immobiliare attoreo, già tenuta
presente in sede di variante n. 10. Il
fatto che taluni terreni, compresi in questo compendio, avessero anche dei
connotati
tali da farle considerare idonee alla coltivazione , e, più in
generale allo svolgimento dell’attività agricola, come dedotto dalla
ricorrente e come
sembra emergere dalla documentazione versata al processo o,
tampoco, che fossero stati utilizzati in passato a questo scopo, non fa
venir meno – de plano – la razionalità di fondo che ha presieduto le
scelte pianificatorie adottate dall’amministrazione. Ed invero, appare
assai problematico sotto i profili della logica , e ancor di più, sotto
il profilo del buon governo del territorio, sottrarre ad un assetto
omogeneo, ordinato e razionale singoli terreni, di chiaro interesse
naturalistico, incardinati in comprensori caratterizzati da una vocazione
naturalistica unitaria.
Contrariamente
opinando, si verrebbe a vanificare la tutela dei valori ambientali ,
assumendo come prevalenti
considerazioni legate ad un pregresso utilizzo agricolo dei
terreni, ovvero ad un possibile futuro utilizzo agricolo. Non
vi è chi non veda tutta la debolezza di siffatta impostazione. Ritornando
alla problematica relativa alla asserita situazione di
affidamento che si sarebbe creata in capo alla deducente in
conseguenza della originaria vocazione agricola dei terreni de quibus, è
a dire che la sola preesistente (parziale) capacità agricola, in
relazione
alla vocazione naturalistica dell’area, non è suscettibile di
configurare una situazione del privato particolarmente meritevole di
tutela: tale
da ingenerare il convincimento che la situazione iniziale
avrebbe costituito un limite preciso per la
attività pianificatoria dell'Amministrazione. Stante
la pregressa(e
parziale) vocazione agricola non può,de plano, affermarsi che
i suoli di proprietà della parte ricorrente non possano essere
sussunti nelle categorie urbanistiche di cui si è detto: ricorrono,
infatti, i presupposti per legittimare la contestata classificazione. Per
la porzione di territorio sulla quale la parte ricorrente vanta dei
diritti dominicali non è dunque ravvisabile una posizione
legittimante, rappresentata dalla passata vocazione agricola. Va
conseguentemente esclusa una
compressione della possibilità di utilizzo dei cespiti immobiliari
come voluta dalla ricorrente, realizzata dalla disciplina urbanistica del
piano regolatore generale introdotto dalla variante, non ravvisandosi
quella situazione di affidamento particolarmente protetta di cui si è
parlato. In
realtà, nella fattispecie è ravvisabile solo una aspettativa generica ad
una reformatio in melius , analoga a quella di ogni altro proprietario
di aree che aspira ad una più proficua utilizzazione dell’immobile(Cfr.,
Cons. St., IV Sez., 22 maggio 2000, n. 2934 ). Come
corollario,va detto che la variante,in parte qua,non doveva essere
assistita dalla
coordinata di legittimità rappresentata da una congrua
esternazione , che fornisse compiuta evidenza all'operata comparazione
dell'interesse pubblico con quello privato in relazione alla destinazione
di zona
originariamente stabilita: era bastevole una congrua motivazione
circa la accertata valenza paesaggistico-ambientale delle aree de quibus. Sotto
il profilo motivazionale, peraltro, si è già detto che le
scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente, non richiedono una
diffusa analisi argomentativa con riguardo al valore del paesaggio, a
mente dell’art. 9 della Costituzione (Cfr.,Cons.St., IV, 1°.2.2001,n.420;
8 maggio 2000,n. 2639 e 19 gennaio 2000,n. 245). L’aspetto
testè trattato, inerente alla destinazione impressa al terreno in
questione dai cennati strumenti urbanistici comunali, consente di
contestare l’impianto attoreo sotto un altro profilo(di cui già si è
accennato). Contrariamente
a quanto assume la deducente, non è revocabile in dubbio che
l'Amministrazione,in relazione ad entrambe le aree di cui si è
detto (F2a e “Pinete ed arbusteti di nocciolo” ), non ha imposto o,
tampoco, reiterato un vincolo a contenuto espropriativo o di
inedificabilità assoluta, ma ha attribuito una destinazione
urbanistica alle aree medesime, confermando, sostanzialmente, la vocazione
naturalistica delle medesime:ed invero,la destinazione impressa dalla
variante n.10 del 1986
non era soggetta,de plano,alla decadenza per decorso del
quinquennio, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge 19 novembre
1968, n. 1187 (che prevede la decadenza per « le indicazioni di piano
regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed
assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a
vincoli che comportino l'inedificabilità »).Il significato
dell'espressione « vincoli che comportino l'inedificabilità » va
individuato-rileva il Collegio- alla luce delle ragioni che hanno indotto
il legislatore a formulare la norma, e dunque alla luce dei principi
enucleati dalla Corte costituzionale con la sentenza 29 maggio 1968, n.
55,la quale si è a sua volta richiamata alla
precedente sentenza 20 gennaio 1966, n. 6. Secondo
il Giudice delle leggi, ai vincoli preordinati all'esproprio vanno
equiparate (ai fini dell'applicabilità dei principi concernenti la
temporaneità dei vincoli) solo quelle limitazioni « tali da svuotare di
contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto
profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione
inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una
penetrante incisione sul suo valore di scambio » (in tal senso, v. Corte
cost., 20 gennaio 1966, n. 6, cit., punto 4 della motivazione),ossia
quelle limitazioni che, pur non importando il trasferimento coattivo del
bene, non consentono al suo titolare la coltivazione o comunque la
possibilità di utilizzarlo; tra le quali rientrano, ad esempio, le
imposizioni di servitù militari (in quanto configuranti « un caso
analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del fondo »:
Corte cost., 6 aprile 1993, n. 138). Tutti
gli altri vincoli di inedificabilità, che non siano preordinati
all'espropriazione e che consentano al titolare del bene di utilizzarlo in
qualche modo(compreso il vincolo a verde privato, o, per fare il caso di
cui alla presente controversia, un vincolo preordinato alla tutela di
prevalenti esigenze di natura ambientale), non costituiscono altro che
espressione del potere di pianificazione, cioè del potere della Autorità
urbanistica di zonizzare il territorio comunale, al fine di programmare
l'ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i valori
urbanistici e ambientali esistenti. Tale
interpretazione del primo comma del citato art. 2 L.n.1187/1968 è
confermata dal fatto che la decadenza per il decorso del quinquennio ha
luogo qualora entro tale termine « non siano stati approvati i relativi
piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione
convenzionati ». Va
osservato,in questo contesto, che anche la Corte di cassazione (I Sez., 29
novembre 1989, n. 5215) ha
precisato che i vincoli di zonizzazione o di « azzonamento del
territorio » non possono essere equiparati ai vincoli preordinati ad una
successiva espropriazione od ai vincoli di inedificabilità. La Corte,
dovendosi occupare della questione se l'indennità di espropriazione (nel
regime antecedente alla emanazione dell'art. 5 bis del D.L. 11 luglio
1992, n. 333, come convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359) debba
essere calcolata tenendo conto dell'incidenza negativa dei vincoli di
destinazione che vengono fissati dagli strumenti urbanistici, ha chiarito
che l'art. 2, primo comma, della ripetuta legge n. 1187 del 1968 prevede
la decadenza, per il decorso del quinquennio, delle sole prescrizioni «
specifiche riguardanti singoli immobili interessati alla realizzazione di
opere pubbliche previste nel piano e da effettuare nell'interesse della
collettività », e non anche delle prescrizioni « dirette a
regolamentare l'attività edilizia dei privati in funzione delle diverse
zone in cui è stato suddiviso il territorio comunale » (concludendo nel
senso che, per determinare il valore di mercato di un immobile
espropriato, deve tenersi conto dell'incidenza negativa dei vincoli di
destinazione). La
giurisprudenza della Corte costituzionale ha inoltre affermato che : “il
problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come
alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un
termine di durata massima dell'efficacia del vincolo (sent. n. 55 del
1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995; n.179 del 1999) - si può porre sul
piano costituzionale quando si tratta di vincoli che: -
siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere
sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto
pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del
contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente
operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (sent. n. 6
del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più
recenti, le sentt. nn. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del
1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non
siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal Legislatore dello
Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto
speciale, sent. n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988); -
superino la durata che dal Legislatore sia stata determinata come limite,
non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo
urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato
colpito dal vincolo, ove non intervenga l'espropriazione (sent. n. 186 del
1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata
all'esproprio) attraverso l'approvazione di piani particolareggiati o di
esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati
dalla legge; -
superino
sotto un profilo quantitativo (« per la maggiore o minore incidenza che
il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto »: sent. n. 6 del
1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della priorità,
che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti
preordinati alla funzione sociale (art. 42 comma 2 della Costituzione)
“. In
particolare, in relazione al caso di cui alla attuale controversia, il
Giudice delle leggi,con la richiamata sentenza n.179/1999 del 20 maggio
1999(la quale ha rappresentato un fondamentale punto di approdo nella
materia in argomento), ha stabilito che non sono inquadrabili negli schemi
dell'espropriazione,
dei vincoli indennizzabili(quelli, cioè,comportanti inedificabilità
assoluta) e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico
ambientale, «in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione
in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla
legge » (v. sentt. n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da interpretarsi in
maniera unitaria con la coeva sent. n. 55 del 1968, cit.; n. 9 del 1973;
n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344
del 1990). Il
Collegio non può non condividere tali argomentazioni,che si riassumono
nella considerazione essenziale per cui
i vincoli di destinazione, propri della zonizzazione, costituiscono
manifestazioni della potestà conformativa, non di quella espropriativa. Pertanto,alla
stregua della surriferita giurisprudenza,può stabilirsi che l'art. 2,
primo comma, della legge n. 1187 del 1968 prevede la decadenza per il
decorso del quinquennio (oltre che dei vincoli preordinati
all'espropriazione) dei soli vincoli che, pur non portando all'alienazione
del bene, precludono al titolare di utilizzarlo. Nel
caso di cui alla
controversia in esame, risulta, innanzitutto, per tabulas dalla
normativa della variante impugnata che l’area di proprietà della
ricorrente conserva una congrua possibilità utilizzatoria, anche a fini
edificatori, sia pure in relazione a specifici interventi: ne consegue che
l’area stessa non può considerarsi assolutamente inedificabile. In
buona sostanza, la previsione urbanistica di zonizzazione consente al
titolare dell'area di utilizzarla in base alla sua naturale
vocazione(analogamente a quanto accadeva nella vigenza della variante n.
10). Dunque,non
essendo l’area soggetta a vincolo espropriativo, è dato concludere che
non ricorre nel caso di specie la ipotesi di cui all’art.2 della
L.n.1187/1968. Inoltre,
ed in modo ancor più risolutivo, è a dirsi che i beni immobili sui quali
insistono i terreni della deducente hanno un
valore paesistico ambientale,
in virtù della loro localizzazione, di talchè esula del tutto lo
schema di cui all’art.2 della L.n.1187/1968, richiamato dalla
ricorrente, nella previsione pianificatoria impugnata. Erroneamente,
quindi, la ricorrente
si è rifatta ai principi in materia di vincoli espropriativi o
comportanti inedificabilità assoluta enunciati dalla giurisprudenza. Tutte
le considerazioni attoree fondate su questo
assunto si appalesano, dunque, prive di pregio. In
questo contesto il riferimento fatto dall’istante all’art. 42 della
Carta costituzionale sulla proprietà privata appare del tutto
inconferente ed incongruo. Diveramente
opinando, si verrebbe a dare alla Costituzione una lettura affatto avulsa
dalla lettera e dalla ratio della disposizione in parola. Quanto
alla motivazione effusa dal Comune a sostegno del rigetto della osservazione
n. 97 presentata dalla ricorrente,di cui si è già parlato(la
deducente si era
lamentata della
classificazione di taluni suoi terreni nelle
“Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”,
chiedendo che venissero riclassificati come “Aree di preminente
interesse agricolo E 5”) ,non sembra inutile ricordare che le
osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale di un Comune si
riferiscono a due distinte sfere di interessi; le prime, infatti, si
sostanziano in suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o
di previsioni specifiche di esso, che incidono su situazioni di interesse
diffuso di tutti i residenti nella zona; le seconde, invece, si
concretizzano in vere e proprie censure a specifiche previsioni
urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su
posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di
pianificazione e non rientrano, quindi, nel modello partecipativo ma
costituiscono, al contrario, esercizio di un vero e proprio interesse
oppositivo (Cfr.T.A.R. Puglia,II,20 ottobre 1994,n.1379). Detto
questo,è pacifico che le suddette osservazioni ed
opposizioni impongono all'Amministrazione ,anche in ossequio al
citato art.3 della legge 7 agosto 1990,n.241,l’obbligo di motivare
adeguatamente la loro reiezione, in modo che sia assicurata l'esigenza che
le scelte urbanistiche siano non soltanto formalmente legittime, ma anche
in concreto razionali ed opportune nell'interesse reale della popolazione. (Cfr.Csi,1°
giugno 1993,n.227;T.R.G.A.,Bolzano,25 febbraio 1998,n.42). Nel
caso di specie,l’Amministrazione non si è sottratta a questo
obbligo,dato che ha esternato in modo appropriato le ragioni a sostegno
del rigetto della osservazione,collegandole all’”elevato valore
paesaggistico-ambientale” dell’area de qua: si è già detto
diffusamente che il piano regolatore generale può autonomamente dettare
norme specifiche per la salvaguardia delle zone ritenute di interesse
ambientale( Cfr.,tra le tante, T.A.R. Marche, 2 ottobre 1998,n.1127). Non
pare al Collegio che l’Amministrazione – alla luce del ripetuto
indirizzo giurisprudenziale - fosse tenuta ad ulteriori e più puntuali
ragguagli motivazionali, né fosse tenuta
ad effettuare una ulteriore e più approfondita istruttoria sulla
natura dei terreni de quibus. La
vocazione naturalistica dell’area, conosciuta dalla
ricorrente(la quale non risulta che avesse fatto valere giudiziariamente,all’epoca,i
propri asseriti diritti),era già stata accertata
in precedenza, in sede di variante n.10/1986. Riguardo
al cenno attoreo alla circostanza che non tutti i terreni di sua proprietà
sarebbero
riconducibili all’area dell’ ”Hermada”, cui ha fatto
riferimento il Comune rigettando la osservazione della deducente(”La
proposta non è coerente con le finalità di tutela.L’area in questione(Hermada)
possiede un elevato valore paesaggistico-ambientale, così come ampiamente
illustrato dalle analisi condotte sulla vegetazione, sulla fauna,
sull’assetto e le dinamiche del paesaggio e sulla vulnerabilità
dell’ambiente”), esso è del tutto erroneo,inconferente e fuorviante. Si
è visto che tutti indistintamente i terreni attorei avevano avuto, in
base alla precedente variante n. 10,
una
destinazione dettata dalla loro accertata vocazione naturalistica:
quest’ultima è stata sostanzialmente confermata con la variante in
parola, anche in relazione ai terreni oggetto della osservazione. Ciò
rende di per sé
inconferente il fatto che questi terreni siano riconducibili o meno
all ‘area dell’
“Hermada”. In
realtà, con la locuzione:”L’area in questione(Hermada) possiede un
elevato valore paesaggistico-ambientale[…..]”, il Comune ha inteso
riferirsi specificatamente ai terreni in parola, classificati come:
“Aree di tutela
della complessità degli ecosistemi naturalistici(F2a)”: terreni
facenti parte(v. la relazione alla variante: punto 4.2.1) “del
territorio, che ha come epicentro il complesso del Monte Hermada, ma
interessa anche aree verso San Pelagio e verso la costa[……]”.
Di qui anche l’infondatezza (oltre all’inconferenza)dell’assunto
attoreo. In
definitiva,
non è fondatamente disconoscibile che era nel potere del Comune,
alla stregua dei ripetuti principi sulla protezione dell’ ambiente,
introdurre la contestata classificazione. Non
miglior sorte ha il
quarto mezzo, con il quale si denuncia il contrasto della variante
con le direttive per la sua adozione, enucleate con deliberazione
consiliare n.64 del 26.61995. Posto
che trattasi di direttive di massima, non cogenti, come risulta dalla loro
formulazione letterale, come risulta dalla relazione alla variante (v., in
particolare, il punto 2.2.1.), non può fondatamente disconoscersi che
quest’ultima abbia tradotto in termini operativi gli indirizzi dettati
dalla deliberazione consiliare n.64 del 26.61995. Più
specificatamente, la circostanza che le direttive fossero volte, tra
l’altro, a valorizzare l’attività agricola - la quale, invece,
sarebbe stata penalizzata dalla variante n. 18 -
appare del tutto ininfluente ai fini che qui rilevano: se – come
accertato – i terreni in parola hanno quelle specifiche caratteristiche,
bene ha
fatto il Comune ad imprimere loro le contestate destinazioni
urbanistico-edilizie. Inutile
aggiungere della assoluta inconferenza anche del cenno fatto al c.d. Parco
del Carso(che si vorrebbe surrettiziamente costituire – così assicura
l’istante – con atti amministrativi), posto che esso, oltre ad essere
indimostrato, frutto di
mera illazione, non incide minimamente sulle considerazioni
fondamentali svolte in ordine alla legittimità dell’operato comunale. 4.
In conclusione,alla luce delle complessive considerazioni che
precedono,il ricorso va respinto. 5.
Le
spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. p.
q. m. il
Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia,
definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni
contraria istanza ed eccezione, estromette
dal giudizio la Provincia di Trieste; rigetta
il ricorso. Condanna
la ricorrente
al rimborso delle spese e competenze giudiziali nei confronti della
Amministrazione resistente, che liquida in £. 5.000.000(cinque milioni). Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così
deciso in Trieste, in camera di consiglio, il
20.12.2001. Vincenzo
Sammarco – Presidente Vincenzo
Farina - Estensore Depositata
nella segreteria del Tribunale |