- Sezione Terza -
composto dai signori
Francesco
Corsaro
PRESIDENTE
Umberto Realfonzo
COMPONENTE
Stefania Santoleri
COMPONENTE, relatore
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sul ricorso n.
9852/02, proposto dal CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI INGEGNERI
DELLA PROVINCIA DI TERAMO in persona del legale rappresentante
p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Mauro Di Dalmazio ed
elettivamente domiciliato presso
l’Avv. Marco
Iannacci nello studio legale C.M.S. Adonino Ascoli e Cavasola
Scamoni sito in Roma, Via De Petris n. 86.
contro
l’ISTITUTO
NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE – I.N.F.N. –
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici di Roma,
Via dei Portoghesi n. 12 è domiciliato per legge.
per l'annullamento
del silenzio
diniego sulla richiesta di accesso ai documenti inoltrata dal
Consiglio ricorrente in data 10/6/02 e ricevuta in data 12/6/02,
nonché per la declaratoria del diritto del ricorrente a detto
accesso e per il conseguente ordine all’ente di ostensione della
documentazione richiesta.
Visto
il ricorso con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione
resistente;
Visti
tutti gli atti di causa;
Relatore alla Camera di Consiglio del 28 novembre 2002 la Dott.ssa
Stefania Santoleri,
e udito, altresì, l’Avv.
Paolo Bonolis su delega dell’Avv. Di Dalmazio per la parte
ricorrente.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
ESPOSIZIONE IN
FATTO.
Con nota del
10-12/6/02 il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della
Provincia di Teramo, inoltrava al Laboratorio Nazionale del Gran
Sasso – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – una richiesta di
accesso e conseguente estrazione di copia di tutte le informazioni
disponibili in forma scritta, visiva o sonora relative a studi,
progetti e dati inerenti la sicurezza del sistema integrato dei
laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie
stradali, delle falde idriche del Gran Sasso con riferimento,
altresì, all’incidenza che esso sistema assume sullo stato delle
acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del
territorio interessato, nonché sulle attività, le misure e gli
strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.
L’Amministrazione
non ha dato riscontro alla richiesta del ricorrente.
Si è quindi
formato il silenzio rifiuto avverso il quale insorge con il
presente ricorso il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di
Teramo, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Illegittimità
del diniego e declaratoria di legittimità dell’accesso ai sensi
degli artt. 1 e ss. del D.Lgs. 24/2/97 n. 39
La fattispecie in
esame ricadrebbe nell’ambito della disciplina di cui al D.Lgs. n.
39/97 che avrebbe liberalizzato l’accesso alle informazioni in
materia ambientale, in modo da garantire un controllo e una
protezione diffusi.
In base alla
suddetta disciplina, di origine comunitaria, sarebbero venuti meno
i limiti soggettivi ed oggettivi già previsti in materia di
accesso dalla L. n. 241/90.
Ne consegue
l’illegittimità del diniego tacito opposto dall’I.N.F.N., soggetto
destinatario della domanda e ricompreso nel novero delle
Amministrazioni cui risulta applicabile la disciplina del D.Lgs.
n. 39/97, considerato che gli atti richiesti, sufficientemente
individuati, non sarebbero ricompresi tra quelli di indicati
nell’art. 4 dello stesso D.Lgs. n. 39/97 per i quali non sarebbe
possibile l’accesso.
2) Illegittimità
del silenzio-diniego e conseguente illegittimità del diritto di
accesso ai sensi dell’art. 22 e ss. della L. 241/90
Ritiene il
ricorrente che, comunque, anche alla stregua della disciplina
comune, il diniego sarebbe illegittimo.
Il Consiglio
dell’Ordine ricorrente, infatti, sarebbe titolare di una posizione
differenziata, avendo un interesse concreto ed attuale alla
conoscenza dei suddetti documenti per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti.
L’acquisizione
delle informazioni in questione sarebbe necessaria agli iscritti
per poter svolgere senza rischi la loro attività professionale
(che si svolge sul territorio sul quale insiste principalmente il
sistema Gran Sasso), essendo indispensabile per effettuare i
lavori di progettazione, la conoscenza della morfologia dei
terreni, dei fenomeni di infiltrazioni idriche, dei possibili
cedimenti strutturali, ecc.
Insistono quindi
per l’accoglimento del ricorso.
L’Amministrazione
intimata si è costituita in giudizio.
Alla Camera di
Consiglio del 28 novembre 2002, su richiesta di parte ricorrente,
il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO.
Con la
raccomandata del 10/6/02, pervenuta il 12/6/02, il Consiglio
dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo, aveva chiesto all’I.N.F.N.
di “fornire tutte le informazioni disponibili in forma scritta,
visiva o sonora relative a studi, progetti e dati inerenti alla
sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle
attività ivi svolte, delle gallerie stradali, della compresenza di
persone, delle captazioni idropotabili, delle falde idriche del
Gran Sasso con riferimento altresì all’incidenza che esso sistema
assume sullo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora,
della fauna e del territorio interessato, nonché sulle attività,
le misure e gli strumenti di tutela delle predette componenti
ambientali”.
A questa richiesta
l’Istituto non ha dato riscontro, e quindi il Consiglio
dell’Ordine ricorrente ha provveduto alla rituale impugnazione del
silenzio rifiuto sostenendone l’illegittimità e chiedendo al
Tribunale di accertare il suo diritto all’esibizione della
documentazione (o meglio delle informazioni) richieste.
Deduce il
ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, che il diritto ad
ottenere le informazioni in questione, di natura ambientale,
discenderebbe direttamente dalla disciplina contenuta nel D.Lgs.
n. 39/97 che assicura “a chiunque” la libertà di accesso alle
informazioni relative all’ambiente in possesso delle autorità
pubbliche, non essendo neppure previsto per il richiedente di
fornire giustificazioni in ordine al proprio interesse.
Il Legislatore,
infatti, al fine di garantire un controllo diffuso sulla qualità
del bene ambientale, avrebbe introdotto una sorta di tutela
desoggettivizzata, che prescinde cioè, da qualunque limitazione di
ordine soggettivo e dunque dall’accertamento di qualsivoglia
posizione di interesse.
Di qui la propria
legittimazione a richiedere la documentazione in questione,
documentazione, peraltro, non ricadente nei divieti di cui
all’art. 4 del D.Lgs. n. 39/97, e sufficientemente individuata.
Il ricorrente, ha
sostenuto poi, con il secondo motivo, la sussistenza del suo
diritto all’esibizione degli atti anche in applicazione della
disciplina comune contenuta nella L. n. 241/90, avendovi un
interesse concreto ed attuale, per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti.
Il Consiglio
dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo, che è deputato alla cura
degli interessi della categoria, ha chiesto i suddetti documenti
in modo da garantire ai propri iscritti la necessaria informazione
sulla morfologia dei terreni, sui fenomeni di infiltrazioni
idriche con i correlati indebolimenti strutturali, al fine di
consentire loro di svolgere al meglio la loro attività
professionale, che si attua, di fatto, nella zona del Teramano nel
quale sono collocati i Laboratori dell’I.N.F.N.
Ritiene il
Collegio di dover preventivamente svolgere alcune osservazioni in
ordine alla legittimazione al ricorso da parte degli ordini
professionali, ai requisiti previsti dalla L. n. 241/90 per
l’accesso ai documenti, e alla diversa disciplina, di origine
comunitaria, contenuta nel D.Lgs. 24/2/97 n. 39.
Secondo il
costante orientamento giurisprudenziale, gli ordini professionali
sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti
lesivi non solo della sfera giuridica dell’ente come soggetto di
diritto, ma anche gli interessi di categoria dei soggetti
appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la rappresentanza
istituzionale (T.A.R. Marche 11/2/2000 n. 167; C.d.S. Sez. VI
15/4/99 n. 471; C.d.S. Sez. V 7/3/01 n. 1339; ecc.); essi,
infatti, per la loro peculiare posizione esponenziale nell’ambito
della rispettiva categoria e per le funzioni di autogoverno della
categoria stessa, costituiscono enti che, pur se su base
associativa e volontaristica, sono istituzionalmente preordinati a
curare gli interessi giuridici ed economici della categoria
obiettivamente ed unitariamente considerata (così T.A.R. Sicilia
Sez. I Catania 1/8/95 n. 1982) e vantano pertanto una posizione
legittimante quando contestino la legittimità di un atto
amministrativo suscettibile di recare danno ad un interesse
generale della categoria rappresentata, comprimendo
arbitrariamente la sfera delle attribuzioni professionali o,
comunque, incidendo negativamente sulla stessa (T.A.R. Calabria
Sez. Catanzaro 29/10/97 n. 627).
Abbastanza
recentemente la giurisprudenza si è occupata della questione
relativa alla legittimazione all’accesso da parte di un soggetto
portatore di un interesse collettivo (nella fattispecie si
trattava del Codacons) ed ha chiarito che il diritto di accesso ai
documenti amministrativi ex art. 22 comma 1 della L. 7/8/90 n. 241
non può legittimamente concernere gli atti contenenti elementi
informativi estranei alla sfera soggettiva del richiedente, in
quanto, è necessario un diretto nesso di strumentalità tra il
contenuto dei documenti che il privato chiede di conoscere ed il
fine di tutela della situazione giuridicamente rilevante di cui
egli è titolare (cfr. C.d.S. Sez. V 19/1/99 n. 45).
L’interesse
giuridicamente rilevante che legittima la richiesta di accesso
deve essere infatti concreto e personale, e cioè immediatamente
riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti e
specificamente inerente alla situazione da tutelare (C.d.S. Sez.
VI 3/12/98 n. 1649).
In altre parole,
proprio perché l’accesso non è consentito a “chiunque”, ma solo a
chi vanti un interesse qualificato per la tutela di una posizione
giuridicamente rilevante (posizione più ampia di quella richiesta
per l’interesse all’impugnazione), che ricorre, in sintesi, quando
il documento in questione sia idoneo a spiegare effetti diretti o
indiretti nei suoi confronti (C.d.S. Sez. IV 3/2/96 n. 98; 14/1/99
n. 32; ecc.), nel caso della richiesta di accesso presentata da un
soggetto deputato alla cura di un interesse collettivo, qual è
l’ordine professionale, deve trattarsi di un documento inerente al
medesimo interesse collettivo di cui è titolare.
L’ordine
professionale, non potrebbe quindi chiedere, alla stregua dei
principi sopra esposti, informazioni non aventi alcuna pertinenza
con gli interessi di categoria, dovendo sempre sussistere quel
legame teleologico tra gli interessi di competenza dell’ordine ed
i documenti dei quali si chiede l’esibizione.
In questo sistema,
delineato dalla L. 7/8/90 n. 241, nel quale il diritto di accesso
ai documenti amministrativi non si atteggia come una sorta di
azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo
generalizzato sull’Amministrazione - giacché da un lato
l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da
accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e
ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e
dall’altro la documentazione richiesta deve essere direttamente
riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben
individuabile - (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n.
5930), si innesta la disciplina speciale, di origine comunitaria,
che riguarda propriamente la libertà di accesso alle informazioni
in materia di ambiente.
Il D.Lgs. 24
febbraio 1997 n. 39, nel suo settore di applicazione, stravolge il
sistema comune ampliando sia soggettivamente che oggettivamente
l’accesso alle informazioni ambientali, ed introducendo quell’azione
popolare che la giurisprudenza aveva negato in relazione alla
disciplina contenuta nella L. n. 241/90.
Il legislatore,
nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia
ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi
debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da
una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per
presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in
questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni
ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti
beni.
Anche dal punto di
vista oggettivo vi è stata un’estensione del diritto di accesso,
che non riguarda più soltanto i documenti (anche se estensivamente
individuati) ma le “informazioni relative all’ambiente” intese
come “qualsiasi informazioni in forma scritta, visiva, sonora o
contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque,
dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e
degli spazi naturali, nonché le attività, comprese quelle nocive,
o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle
predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate
a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi
di gestione dell’ambiente”.
Infine, l’art. 4
del D.Lgs. n. 39/97 esclude il diritto all’informazione ambientale
quando dalla divulgazione dei dati possa derivare un danno
all’ambiente stesso, ovvero in casi tassativamente determinati
dalla medesima disposizione; il rifiuto può essere altresì
disposto quando la richiesta sia talmente generica da non
consentire l’individuazione dei dati da mettere a disposizione.
Terminata questa
breve premessa, è possibile esaminare la questione dedotta in
giudizio.
Ritiene parte
ricorrente che la propria richiesta, riguardando la materia
ambientale, debba essere esaminata alla stregua della disciplina
del D.Lgs. n. 39/97 con tutte le necessarie conseguenze in ordine
alla legittimazione, all’interesse, e al tipo di informazioni ivi
previste.
La tesi attorea è
soltanto in parte condivisibile, poiché soltanto taluni dei
documenti dei quali si chiede l’accesso attengono specificatamente
alla materia ambientale.
Pertanto, solo ove
si tratti di informazioni ambientali, può ritenersi sussistente la
legittimazione da parte del Consiglio dell’Ordine Professionale,
giacché nel concetto di “chiunque” previsto dall’art. 1 del più
volte citato D.Lgs. n. 39/97, non può non ricomprendersi qualunque
soggetto, e quindi anche l’ordine professionale.
D’altronde, come
ricordato, il legislatore non ha richiesto neppure l’allegazione
di un particolare interesse per accedere alle informazioni
ambientali: se ne deve dedurre che il Consiglio dell’Ordine degli
Ingegneri di Teramo ben poteva chiedere all’I.N.F.N. di fornire le
informazioni ambientali in suo possesso.
Correlativamente
l’Istituto, sicuramente destinatario delle norme in questione
perché ricompreso nel concetto di “autorità pubbliche” di cui alla
lett. b) dell’art. 2 del D.Lgs. n. 39/97, avrebbe dovuto fornire
le informazioni di cui aveva disponibilità.
Ciò, ovviamente,
solo purché si tratti effettivamente di informazioni ambientali, e
non nell’ipotesi in cui, unitamente ad esse, siano state chieste
ulteriori informazioni che esulano dal campo di applicazione della
disciplina speciale di cui al D.Lgs. n. 39/97, e ricadano invece
nell’ambito della disciplina comune della L. n. 241/90.
In questo ultimo
caso, infatti, la domanda di accesso e l’impugnazione del silenzio
rifiuto devono essere esaminate alla stregua dei principi in
precedenza esposti in ordine alla legittimazione e all’interesse
dell’ordine professionale.
Questa distinzione
è importante perché, a giudizio del Collegio, con la richiesta del
10/6/02, il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo non
intendeva acquisire soltanto informazioni propriamente ambientali
(quali sono quelle che riguardano le “captazioni idropotabili, le
falde idriche, lo stato dell’acqua, dell’aria, del suolo, della
flora, della fauna, e del territorio interessato, nonché le
attività, le misure e gli strumenti di tutela delle predette
componenti ambientali”), ma anche informazioni “relative a studi,
progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei
laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie
stradali, della compresenza di persone”, informazioni queste, che
non possono essere annoverate tra quelle propriamente ambientali
per le quali il legislatore ha introdotto il principio della
massima trasparenza.
Sebbene il
Legislatore abbia ricompreso nell’ambito delle informazioni in
materia ambientale non soltanto quelle relative allo stato dei
beni ambientali, ma anche quelle relative alle “attività, comprese
quelle nocive,… che incidono o possono incidere negativamente
sulle predette componenti ambientali” ovvero “le attività o le
misure destinate a tutelarle”, nondimeno ritiene il Collegio che
la richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei
laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, al fine di
consentire allo stesso soggetto richiedente di poter valutare
quali siano i rischi connessi allo svolgimento dell’attività di
ricerca ivi svolta, esuli dall’ambito di applicazione della
predetta disposizione.
Il Collegio, in
mancanza di informazioni da parte dell’Istituto intimato, non
conosce compiutamente quale sia l’attività propriamente svolta
all’interno dei laboratori sotterranei del Gran Sasso, e se vi sia
una qualche tipologia di attività che non possa essere divulgata
(e correlativamente non possano essere oggetto di esibizione gli
eventuali progetti che la riguardano), ma in generale ritiene che
la divulgazione degli studi sulla sicurezza delle strutture
sotterranee, degli impianti ivi realizzati (a quanto consta, già
da molto tempo) per poter svolgere l’attività di ricerca, non
possa essere giustificata da ragioni ambientali che risultano
adeguatamente soddisfatte attraverso l’acquisizione diretta delle
informazioni su tutte le sue componenti.
La sicurezza degli
impianti, delle gallerie, e le misure adottate perché l’attività
di ricerca non arrechi danni a terzi, è un interesse che trascende
la tutela ambientale, investendo anche e soprattutto, la sicurezza
e l’incolumità delle persone che operano all’interno dei
laboratori.
Pertanto, ritiene
il Collegio, che non possa ragionevolmente fondarsi sulla
disciplina sulla trasparenza in materia ambientale, la richiesta
di accesso agli studi sulla sicurezza dei laboratori.
Né potrebbe
ritenersi legittimato l’ordine professionale in questione sulla
base della disciplina comune della L. n. 241/90, non essendo
istituzionalmente deputato alla cura della sicurezza né dei
luoghi, né delle persone che vi operano.
Il Consiglio
dell’Ordine è legittimato ad agire solo per la cura di interessi
collettivi e può richiedere la sola documentazione ad essa
pertinente: la sicurezza dei laboratori sotterranei non rientra
negli interessi della categoria, non essendo gli ingegneri, liberi
professionisti, istituzionalmente deputati alla valutazione dei
rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca svolta
presso i laboratori dell’I.N.F.N.
Ritiene il
Collegio, però, che nonostante non possa ritenersi ammissibile
l’accesso alle informazioni “sugli studi, progetti e dati inerenti
alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e
delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali e della
compresenza di persone”, nondimeno attraverso l’acquisizione di
tutte le altre informazioni richieste con l’istanza del 10/6/02 e
relative propriamente ai beni ambientali, l’interesse del
ricorrente sia sostanzialmente soddisfatto ben potendo conoscere
compiutamente qual’è la condizione attuale del territorio, delle
captazioni idropotabili e delle falde idriche, elementi questi
che, dalla lettura degli atti, paiono particolarmente
significativi per il Consiglio dell’Ordine ricorrente.
La conoscenza dei
dati in possesso dell’Amministrazione intimata e relativi ai
suddetti elementi, può scongiurare quei rischi paventati nel
ricorso, e consentire agli iscritti di poter validamente svolgere
la loro attività di progettazione.
In conclusione, il
ricorso deve essere accolto solo in parte, disponendosi l’ordine
per l’I.N.F.N. di fornire tutte le informazioni disponibili in
forma scritta visiva o sonora relative alle captazioni
idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo stato delle
acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del
territorio interessato, alle attività, alle misure e agli
strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.
Le spese di lite
possono essere equamente compensate tra le parti, ricorrendone
giusti motivi.
P. Q. M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter-
accoglie
nei limiti di cui
in motivazione il ricorso in epigrafe indicato, e per l’effetto
ordina all’I.N.F.N. in persona del legale rappresentante p.t., di
fornire al Consiglio dell’Ordine ricorrente tutte le informazioni
disponibili in forma scritta visiva o sonora relative alle
captazioni idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo
stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna
e del territorio interessato, alle attività, alle misure e agli
strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così
deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2002. |