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Sentenza 119 del 26 marzo 2010 |
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REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo italiano LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:
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nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, commi 1 e 2,
3, 4, 7, comma 1, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n.
31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per
la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29
dicembre 2008, depositato in cancelleria il 31 dicembre 2008 ed iscritto
al n. 105 del registro ricorsi 2008. Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia; udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro; uditi l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Federico Massa per la Regione Puglia. RITENUTO IN FATTO 1.1. – Con ricorso notificato alla Regione Puglia il 29 dicembre 2008, e depositato presso la Cancelleria della Corte Costituzionale il 31 dicembre 2008 (reg. ric. n. 105 del 2008), il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, commi 1 e 2, 3, 4, 7, comma 1, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), per violazione degli art. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione. 1.2. – L’art. 1 della legge regionale n. 31 del 2008 stabilisce che la Giunta regionale può stipulare e approvare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte di operatori industriali, sia previsto il rilascio di autorizzazioni per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili. La norma è emanata in attuazione dell’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), il quale consente alle Regioni e agli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità). Quest’ultima norma disciplina l’autorizzazione unica per l’installazione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili e, al comma 6, stabilisce il divieto di subordinare la stessa autorizzazione a misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province. Per effetto di tale divieto sarebbe ravvisabile il contrasto dell’impugnata norma regionale con l’art. 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004. Considerando, inoltre, che in base al disposto dei commi 1 e 2 del richiamato art. 1, le autorizzazioni sono rilasciate ai soli “operatori industriali”, di fatto si stabilirebbe a favore di taluni soggetti una via per l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti in esame, parallela e diversa rispetto a quella prevista in via generale dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. L’indicazione, da parte della norma statale, di un procedimento unico, varrebbe come principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»: la disposizione risulterebbe ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, mirando a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione del procedimento amministrativo, con modalità certe ed entro un termine definito. La norma regionale, pertanto, ad avviso del ricorrente, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Essa inoltre lederebbe gli art. 3 e 41 della Costituzione, creando una procedura che recherebbe un vantaggio competitivo a favore di alcuni soggetti, non giustificato da ragioni di interesse pubblico o di riallineamento fra concorrenti, con lesione del principio di uguaglianza e del principio di libertà di iniziativa economica. 1.3. – L’art. 2, commi 1 e 2, della legge regionale n. 31 del 2008 vieta la realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica in numerose aree, e precisamente nelle zone agricole considerate di particolare pregio, nei siti della Rete Natura 2000 (siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale), nelle aree protette nazionali e in quelle regionali, nelle oasi regionali e nelle zone umide tutelate a livello internazionale. Al riguardo – rileva il ricorrente – l’art. 12, comma 1, del citato d.lgs. n. 387 del 2003 stabilisce che «le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti». Il successivo comma 10 dispone che le Regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti sulla base di linee guida – volte in particolare ad assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo agli impianti eolici – approvate in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali. Le richiamate disposizioni statali costituiscono principi fondamentali in materia di energia, configurandosi, di conseguenza, la violazione, ad opera del citato art. 2, commi 1 e 2, dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Inoltre – si rileva ancora nel ricorso – limitandosi aprioristicamente il libero accesso al mercato dell’energia, si creerebbe uno squilibrio nella concorrenza fra le diverse aree del Paese e tra i diversi modi di produzione dell’energia, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che stabilisce la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. 1.4. – L’art. 3 della legge regionale n. 31 del 2008 prevede la denuncia di inizio attività (DIA) per numerosi tipi di impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, tenendo conto della collocazione e delle caratteristiche di essi. A tale riguardo l’impugnato articolo individua alcune aree e condizioni per le quali viene aumentata la soglia per l’effettuazione degli interventi di installazione di impianti da fonte rinnovabile, tramite DIA. La norma, però, non tiene conto dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale, al terzo periodo, stabilisce che «maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività» possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. La norma, pertanto, determinerebbe una lesione di tale principio fondamentale e, quindi, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. 1.5. – L’art. 4 della legge regionale n. 31 del 2008 – osserva il ricorrente – stabilisce una lunga serie di impegnative condizioni alle quali subordina l’autorizzazione regionale alla realizzazione dell’impianto, con riferimento sia alla convocazione della conferenza di servizi di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, sia agli adempimenti successivi al rilascio dell’autorizzazione, ma non tiene in considerazione il disposto dell’art. 12, comma 3, del citato d.lgs. n. 387 del 2003. Quest’ultimo, infatti, prevede soltanto l’autorizzazione unica in sede regionale (o in sede provinciale, su delega della regione) assentita «nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico». L’indicazione di tale procedimento si configura come principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». La disposizione statale, invero, risulta finalizzata alla semplificazione amministrativa ed alla celerità e a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione con modalità certe ed entro un termine definito del procedimento autorizzativo, alla stregua della giurisprudenza costituzionale. La norma regionale, quindi, violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. 1.6. – L’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008 stabilisce la disciplina transitoria, prevedendo l’applicabilità delle norme regionali anche alle procedure in corso per le quali non risultino formalmente concluse le conferenze dei servizi ovvero non sia validamente trascorso il termine di trenta giorni dalla formale presentazione di dichiarazione di inizio attività. La norma de qua risulterebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché, attribuendo efficacia retroattiva alla legge regionale per i procedimenti pendenti, modificherebbe le condizioni per l’autorizzazione degli impianti, e lederebbe, di conseguenza, il principio fondamentale posto dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che, in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», fissa in centottanta giorni il termine massimo per l’autorizzazione delle installazioni. 2. – Si è costituita in giudizio la regione Puglia, chiedendo dichiararsi l’infondatezza del ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri. La Regione premette che il governo del settore energetico, considerato nel suo complesso, ha assunto negli ultimi anni un rilievo assolutamente strategico anche nel sistema delle relazioni tra Stato e Regioni. La legge impugnata, dettando «Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale», rientra certamente – osserva la Regione costituita – nell’ambito di competenza della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», riconducibile alla potestà legislativa ripartita tra lo Stato e le Regioni. La disciplina in esame, tuttavia, riguarderebbe, più o meno direttamente, altri interessi e settori, dal «governo del territorio», alla «tutela della salute», alla «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali»; ed anche, per l’impatto che un certo sistema di produzione energetica determina sul territorio, quelli del «turismo», dell’«agricoltura» e del «commercio». La molteplicità degli interessi coinvolti, nel quadro di un nuovo ruolo riconosciuto alle Regioni dalla Riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, sarebbe connessa ad ambiti materiali, tutti appartenenti alla legislazione concorrente o a quella residuale regionale, con l’unica eccezione della «tutela dell’ambiente», materia di pertinenza esclusiva statale, ma che la consolidata giurisprudenza costituzionale considera come “valore” da tutelare, piuttosto che semplice ambito materiale. E’, quindi, assolutamente indispensabile – rileva la Regione Puglia – che su di essi la voce e il ruolo della Regione siano forti ed incisivi. L’intervento legislativo regionale, censurato dallo Stato, sarebbe in realtà pienamente coerente ed in linea con il quadro costituzionale e con le diverse competenze istituzionali. La disciplina statale avrebbe attribuito in maniera incontrovertibile il potere di rilascio delle autorizzazioni alla costruzione degli impianti di produzione di energia alle Regioni. 2.1. – Riguardo all’art. 1 della legge regionale n. 31 del 2008, la norma sarebbe pienamente coerente ed in linea con il quadro costituzionale e con le diverse competenze istituzionali. La difesa erariale incorrerebbe in un equivoco là dove si basa sull’assunta identità di significato del termine «compensazione» nelle due norme poste a raffronto, mentre il termine è utilizzato nei testi di legge in modi e con accezioni diverse fra loro: il divieto cui fa riferimento l’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003 riguarda misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province, laddove quelle previste dall’art. 1 sono quelle collegate alle riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali. In sostanza, la legge statale vieterebbe alle Regioni di subordinare il rilascio delle autorizzazioni ad interventi compensativi in favore delle Regioni stesse. La legge regionale, invece, molto più semplicemente, prevederebbe la possibilità di stipulare accordi tesi al rilascio delle autorizzazioni a favore di quegli operatori industriali che, esercitando o volendo esercitare attività caratterizzate da significative immissioni in atmosfera di «sostanze incidenti sulle alterazioni climatiche», si impegnano a ridurre le emissioni inquinanti. La norma perseguirebbe in tal modo l’obiettivo, proprio anche della legislazione nazionale di principio, di favorire lo sviluppo della produzione energetica da fonti rinnovabili, al contempo determinando le condizioni per la contestuale e proporzionale riduzione delle attività a maggior impatto ambientale. In secondo luogo, la manifesta infondatezza della questione proposta nel ricorso sarebbe avvalorata dalla recente giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 383 del 2005 e 248 del 2006). Questa ha riconosciuto una irragionevole compressione della potestà regionale riguardo all’art. 1, comma 4, lettera f, della legge n. 239 del 2004, che individuava puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe stata preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni in sede di esercizio delle proprie competenze costituzionalmente garantite (sent. n. 383 del 2005). Del tutto priva di fondamento sarebbe altresì la lamentata violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione. La legge regionale non determinerebbe alcuna irragionevole discriminazione fra concorrenti, posto che il rilascio di autorizzazioni «a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali» può riguardare solo quei soggetti capaci di produrre, in ragione della loro natura ed attività, tali emissioni. La riduzione delle emissioni può essere richiesta solamente a coloro che producono le emissioni inquinanti, non ad altri. Non sarebbe poi esatto che non vi sia un interesse pubblico sotteso alla disciplina regionale, dal momento che proprio la finalità della disposizione censurata sarebbe quella di far coesistere le esigenze di produzione energetica con quelle di riduzione delle emissioni inquinanti (quindi di tutela dell’ambiente), che rappresenta certamente un pubblico interesse di primario valore. 2.2. – Neppure meritevole di accoglimento sarebbe la censura rispetto ai commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge pugliese, che individuano una serie di zone nelle quali è vietata la realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, asseritamente in contrasto con la disciplina statale che qualifica (art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003) come «di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti» le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti. Le Regioni, nel quadro ed in armonia con la competenza statale in materia ambientale, nell’esercitare la competenza che loro appartiene riguardo ad altre materie – ad esempio, il governo del territorio – possono introdurre ulteriori strumenti di tutela, legati alla specificità dei luoghi. Sarebbe dunque pienamente compatibile con il quadro costituzionale un intervento legislativo che sottragga alcune zone dalla possibilità di essere “invase” e deturpate dall’impiantistica di produzione energetica soprattutto nel caso in cui la pre-condizione posta dalla legge statale (linee guida in sede di Conferenza unificata) tardi a realizzarsi. Una visione sistematica della norma impugnata evidenzierebbe che i divieti, posti dal comma 1, non sono per nulla onnicomprensivi ed assoluti: rispetto ad essi, operano le deroghe previste dal comma 3 in forza delle quali l’installazione di impianti fotovoltaici è consentita, anche in quelle zone, nel caso si tratti di impianti esclusivamente finalizzati all’autoconsumo; con potenza elettrica nominale fino a 40 kW; realizzati sulle coperture degli edifici o fabbricati agricoli, civili, industriali o sulle aree pertinenziali ad essi adiacenti; da realizzarsi in aree industriali dismesse. 2.3. – Quanto alla censura dell’art. 3 della legge regionale n. 31 del 2008, la Regione Puglia, premesso che il d.lgs. n. 387 del 2003 reca l’attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, osserva che il favor che la disciplina comunitaria riserva alle fonti energetiche rinnovabili, in un’ottica di protezione e tutela dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile attraverso l’incentivazione del consumo di elettricità prodotta da fonti ecocompatibili, richiede una peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio, a fronte della quale la parziale lettura della norma regionale prospettata dal ricorrente ometterebbe del tutto di evidenziare che la previsione della DIA nel caso degli impianti presi in considerazione dalla norma regionale non costituisce obbligo assoluto e indefettibile, né rappresenta l’unica modalità di avvio del procedimento, poiché il comma 2 dell’art. 3 della legge regionale fa salva la facoltà dell’interessato di chiedere l’autorizzazione comunale per gli impianti descritti al comma 1. In quest’ottica il decreto ministeriale cui fa riferimento il comma 5 dell’art. 12, quale strumento per concordare soglie maggiori per gli impianti da avviare tramite DIA, costituirebbe un mero strumento che nulla aggiungerebbe al principio ispiratore della legge nazionale, che ben potrebbe essere osservato anche con altri strumenti, particolarmente ove sia in gioco un interesse peculiare della Regione nel perseguimento degli obiettivi di adattamento alla realtà locale dei diversi profili della fornitura di energia, nella misura in cui – come la giurisprudenza costituzionale ammette – non vengano pregiudicati gli assetti nazionali del settore energetico e gli equilibri su cui esso si regge nel suo concreto funzionamento. Il più ampio ricorso alla procedura della DIA piuttosto che dell’autorizzazione per talune tipologie di impianti (che peraltro, quanto al tipo di fonte rinnovabile utilizzata, sono perfettamente coincidenti con quelle previste dal legislatore nazionale), è chiaramente volta dall’art. 3 della legge regionale n. 31 del 2008 ad ottenere effetti di razionalizzazione e di semplificazione delle procedure necessarie per avviare la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, pur tuttavia nel rispetto delle esigenze di tutela ambientale sottese al quadro normativo di riferimento. 2.4. – Quanto alla denuncia dell’art. 4 della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008, la difesa erariale, nel censurare detta norma, che, imponendo una serie di impegnative condizioni per l’autorizzazione regionale alla realizzazione dell’impianto, contrasterebbe con l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003 – che invece, ai fini della semplificazione amministrativa, prevede solo un’autorizzazione unica in sede regionale – non sembrerebbe cogliere la ratio insita della disposizione impugnata, che, pretendendo la prova di un’adeguata capacità finanziaria nel soggetto proponente l’impianto, tenderebbe a garantire la concreta ed effettiva fattibilità, dal punto di vista economico-industriale, degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. L’interesse alla verifica della concreta fattibilità degli interventi proposti discenderebbe dalla qualificazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza degli interventi medesimi (art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003), nel perseguimento dell’obiettivo dell’aumento complessivo della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, dei quali, quindi, è indispensabile garantire l’effettiva realizzazione. Né potrebbe ritenersi che le prescrizioni regionali in esame determinino impropri sbarramenti all’accesso al relativo mercato, atteso che i requisiti e le condizioni richiesti sono calibrati con specifico e puntuale riferimento alla natura ed alla dimensione dell’intervento proposto. 2.5. – Sull’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, osserva la Regione che esso, recando una disciplina transitoria per le procedure in corso, per le quali non risultino ancora formalmente concluse le conferenze di servizi di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 – e quindi riguardando situazioni giuridiche non ancora compiutamente definite e fasi procedimentali non certo caratterizzate da definitività degli effetti – dà corretta applicazione al principio di carattere generale tempus regit actum, che governa la successione di leggi nel procedimento amministrativo: le modifiche introdotte alla disciplina che regola un determinato procedimento amministrativo debbono trovare applicazione dal giorno della loro entrata in vigore, anche nei riguardi delle istanze presentate anteriormente, per le quali il procedimento stesso non si sia concluso. Pertanto, in forza di tale principio – che implica che il provvedimento finale del procedimento esprima l’assetto pubblicistico degli interessi coinvolti nella fattispecie ed obbedisca alle scelte di valore espresse dalla legge vigente alla data di adozione dell’atto – dovrà trovare applicazione, per tutti i procedimenti pendenti e non ancora conclusi e definiti, la disciplina specifica formulata dalla Regione nel legittimo esercizio delle proprie competenze legislative. 3. – Nell’imminenza dell’udienza, la Regione Puglia ha presentato memoria, con cui amplia le argomentazioni difensive dell’atto di costituzione. Il quadro normativo ha delineato un chiaro favor da parte dell’ordinamento internazionale, comunitario e nazionale all’incremento dell’«energia pulita». Peraltro il legislatore nazionale, in attuazione di quanto disposto a livello internazionale e comunitario, ha riconosciuto un chiaro ruolo alle Regioni nella disciplina del procedimento teso alla realizzazione degli impianti di energie rinnovabili. In ottemperanza al ruolo centrale ad essa riconosciuto, la Regione Puglia, con la legge n. 31 del 2008, avrebbe, tra l’altro, bilanciato l’esigenza di istallare gli impianti con la tutela dei siti di interesse comunitario e delle zone di protezione speciale, nonché delle altre aree naturali e protette, ottemperando agli obblighi imposti dalla legge all’ente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna alcune disposizioni della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), per violazione degli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione. La legge disciplina i titoli abilitativi (autorizzazione unica regionale e denuncia inizio attività) alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, con riferimento all’obiettivo finale della riduzione del carico di inquinamento. Va premesso che tale disciplina attiene alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, attribuita alla potestà legislativa concorrente (sentenze n. 364 del 2006 e n. 383 del 2005). 2. – L’art. 1 della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008 è censurato per violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché, stabilendo che la Giunta regionale possa stipulare e approvare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte di operatori industriali, sia previsto il rilascio di autorizzazioni, si porrebbe in contrasto con l’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), che, pur consentendo di stipulare accordi con soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fa salvo il divieto previsto dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), di subordinare l’autorizzazione per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili a misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province. La norma regionale, inoltre, consentendo il rilascio delle autorizzazioni previo accordo sulla compensazione ai soli operatori industriali, creerebbe una procedura che reca un vantaggio competitivo a favore di alcuni soggetti, con lesione del principio di uguaglianza e del principio di libertà di iniziativa economica. 2.1. – La questione non è fondata in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. 2.2. – Va premesso che per misure di compensazione s’intende, in genere, una monetizzazione degli effetti deteriori che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’installazione di un determinato impianto s’impegna ad assicurare all’ente locale cui compete l’autorizzazione determinati servizi o prestazioni. La legge statale vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio di titoli abilitativi per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili, tenuto anche conto che, secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione (art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in attuazione dell’art. 6 della direttiva 2001/77/CE). Devono, invece, ritenersi ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene “compensato” dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente. L’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239 del 2004, dopo aver posto il principio della localizzazione delle infrastrutture energetiche in rapporto ad un adeguato equilibrio territoriale, ammette concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto ambientale, prevedendo in tal caso misure di compensazione e di riequilibrio (anche relativamente ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, a seguito della sentenza n. 383 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili dalle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale). A tal fine, il comma 5 dell’art. 1 della legge n. 239 del 2004 afferma il diritto di Regioni ed enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003: quest’ultimo vieta che l’autorizzazione possa prevedere (o essere subordinata a) compensazioni (evidentemente di natura patrimoniale) a favore della Regione o della Provincia delegata. La sentenza di questa Corte n. 248 del 2006 ha ammesso che una norma regionale, in via generale, possa prevedere misure di compensazione quale contenuto di un’autorizzazione, a fini di riequilibrio ambientale. 2.3. – L’art. 1 della legge regionale n. 31 del 2008 non consente la fissazione di compensazioni patrimoniali a favore degli enti locali (come invece la norma regionale oggetto di scrutinio nella recente sent. n. 282 del 2009). Il sistema complessivo in cui s’inserisce la disposizione convince della inequivoca riferibilità all’ambiente, posto lo stretto collegamento alle riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali, nel quadro complessivo del riequilibrio ambientale, ed in considerazione della proporzione quantitativa che si vuole instaurare, all’interno degli accordi, tra le riduzioni delle emissioni inquinanti e la potenza degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili autorizzati, comunque coerenti con gli obiettivi del piano energetico ambientale regionale. 2.4. – E’ da escludere anche il contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione. La norma regionale non preclude il rilascio di autorizzazioni per l’installazione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili ad operatori non industriali: essa stabilisce semplicemente, ai fini del riequilibrio ambientale, che, ove il proponente sia operatore industriale, l’accordo pre-autorizzativo possa prevedere una compensazione, nel senso della diminuzione delle quantità delle emissioni inquinanti delle industrie di cui l’operatore stesso è titolare. 3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, altresì, l’art. 2, commi 1 e 2, della citata legge regionale n. 31 nella parte in cui vieta la realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica in determinate parti del territorio regionale, precisamente nelle zone agricole considerate di particolare pregio (anche individuate dai Comuni con delibera consiliare), nei siti della Rete Natura 2000 (siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale), nelle aree protette nazionali e in quelle regionali, nelle oasi regionali e nelle zone umide tutelate a livello internazionale. La norma si porrebbe in contrasto con l’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003, che dichiara di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti le opere autorizzate per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, comprese le opere connesse e infrastrutturali, e con il comma 10 dello stesso art. 12, in base al quale l’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti può avvenire solo sulla base di linee guida approvate nella Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali. 3.1. – La questione è fondata. 3.2. – Pur non trascurandosi la rilevanza che, in relazione agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio, occorre riconoscere prevalente risalto al profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento presso i diversi ambiti territoriali (sent. n. 166 del 2009): diversamente, l’adozione, da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di una disciplina come quella oggetto di censura provoca l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio, dal momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente. L’assenza delle linee guida nazionali non consente, dunque, alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Di conseguenza l’individuazione di aree territoriali ritenute non idonee all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, non ottemperando alla necessità di ponderazione concertata degli interessi rilevanti in questo ambito, in ossequio al principio di leale cooperazione, risulta in contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (sent. n. 382 del 2009). La dichiarazione di illegittimità costituzionale incide sugli interi commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge regionale impugnata e va estesa al comma 3, che contenendo deroghe al divieto di installazione di impianti nelle zone di cui al comma 1, resta privo di oggetto. Va affermata, peraltro, la necessità, al fine del perseguimento della esigenza di contemperare la diffusione degli impianti da energie rinnovabili con la conservazione delle aree di pregio ambientale, che lo Stato assuma l’iniziativa di attivare la procedura di cooperazione prevista per l’elaborazione delle linee guida. 4. – A parere della difesa erariale, l’art. 3 della legge regionale n. 31 del 2008, che attribuisce rilevanza alla collocazione e alle caratteristiche degli impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile, estendendo l’ambito di applicabilità del regime semplificato della denuncia di inizio attività (DIA), sarebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia, sancito – in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. – dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale, al terzo periodo, stabilisce che «maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività» possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata. 4.1. – La questione è fondata. 4.2. – La costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse, sono soggetti all’autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003). Sussiste una procedura autorizzativa semplificata in relazione agli impianti con una capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile: agli impianti rientranti nelle suddette soglie si applica la disciplina della DIA, di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), da presentare al Comune competente per territorio. La norma regionale censurata – per alcune tipologie di impianti specificamente elencati, per la produzione di energia da fonti rinnovabili, non solo solare ed eolica, ma anche per impianti idraulici, a biomassa e a gas – ha previsto l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003. Riguardo alle ipotesi di applicabilità della procedura semplificata di DIA in alternativa all’autorizzazione unica, è riconoscibile l’esercizio della legislazione di principio dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato, per esigenze di uniformità, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale (sentenza n. 383 del 2005); ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di procedure semplificate (in tal senso le sentenze n. 336 del 2005, in materia di comunicazioni elettroniche, e n. 62 del 2008 in materia di smaltimento rifiuti). La norma regionale è allora illegittima, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente: la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 va limitata ai commi 1 e 2. 5. – E’ inoltre censurato l’art. 4 della legge regionale n. 31 del 2008 nella parte in cui stabilisce «una lunga serie di impegnative condizioni» alle quali subordina l’autorizzazione regionale alla realizzazione dell’impianto, con riferimento sia alla convocazione della conferenza di servizi di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, sia agli adempimenti successivi al rilascio dell’autorizzazione. Ne risulterebbe messa in discussione la conclusione del procedimento autorizzativo con modalità certe ed entro termini definiti, come previsto dall’art. 12, comma 3, del citato d.lgs. n. 387 del 2003, nell’obiettivo della semplificazione amministrativa e della celerità. 5.1. – La questione è inammissibile. 5.2. – La doglianza non risponde ai requisiti di chiarezza e completezza richiesti per la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, a maggior ragione nei giudizi in via principale (sentenza n. 139 del 2006). Le condizioni ulteriori richieste al proponente dall’art. 4 della legge regionale, ai fini della realizzazione dell’impianto, si pongono nella fase preliminare alla convocazione della conferenza di servizi (comma 1), e nella fase successiva al conseguimento dell’autorizzazione unica (comma 2). La difesa erariale non esamina le singole condizioni con cui il legislatore regionale – al quale comunque compete dettare la normativa di dettaglio riguardo agli aspetti procedimentali secondo le proprie esigenze, purché non contraddica le norme di cornice – avrebbe appesantito il procedimento per conseguire l’autorizzazione unica, tanto più che, per sua stessa ammissione, alcuni di tali adempimenti riguarderebbero la fase successiva al rilascio del titolo abilitativo. 6. – E’ censurato, infine, l’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, che contiene una disciplina transitoria, e prevede l’applicabilità della nuova normativa regionale alle procedure in corso per le quali non risultino formalmente concluse le conferenze dei servizi ovvero non sia validamente trascorso il termine di trenta giorni dalla formale presentazione di dichiarazione di inizio attività. La norma contrasterebbe con il principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che fissa in centottanta giorni il termine massimo per l’autorizzazione alle installazioni. 6.1. – La questione non è fondata. 6.2. – La norma, che rende applicabile la nuova disciplina regionale, non è dilatoria rispetto ai termini di conclusione del procedimento autorizzatorio. Gli adempimenti imposti al proponente dalla norma – produzione di documentazione bancaria – costituiscono in realtà disposizioni ad integrazione della disciplina statale sull’autorizzazione unica (in quanto tali compatibili con la competenza regionale concorrente in materia: sentenza n. 246 del 2006), al fine di garantire l’attuazione dei comuni obiettivi di incentivazione del ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, attraverso una puntuale verifica dell’affidabilità economica dei proponenti, spesso in numero maggiore rispetto alla disponibilità delle aree idonee all’installazione di impianti. Tale esigenza è inoltre salvaguardata dalla previsione di decadenza dall’autorizzazione, ove il proponente, che non ottemperi alle prescrizioni post-autorizzazione (art. 4, comma 2), non dia prova di adeguata capacità finanziaria ed operativa ai fini dell’esecuzione dell’opera. La produzione della documentazione bancaria è condizione per la convocazione della conferenza di servizi (e dunque la norma è inapplicabile per le conferenze già in corso), e la documentazione da presentare a garanzia della costruzione dell’opera non incide sui tempi di emissione del titolo abilitativo, comportando bensì una verifica a posteriori. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale); dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della citata legge della Regione Puglia n. 31 del 2008; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7, comma 1, della stessa legge della Regione Puglia n. 31 del 2008, sollevate, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 3 e 41, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alfio FINOCCHIARO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2010. |