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T.A.R. Friuli Venezia Giulia - Sentenza n. 555 del 02 settembre 2004 |
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REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo italiano Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:
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SENTENZA |
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sul ricorso n. 316/04 proposto da H3G s.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido
Bardelli, Alessandra Bazzani e Alessandro Tudor, con domicilio eletto
presso l’ultimo in Trieste, via S. Nicolò 30, come da mandato a margine
del ricorso; c o n t r o il Comune di Trieste, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Serena Giraldi e Oreste Danese, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Trieste, via Genova 2, come da deliberazione giuntale n. 302 dd. 1.7.2004 e da mandato a margine dell’atto di costituzione; e nei confronti della Regione Friuli - Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica, non costituita in giudizio; per l’annullamento della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 di approvazione delle direttive di una variante al PRGC in ordine alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile e di adozione della salvaguardia ai sensi degli artt. 31 e 32 della L.R. n. 52/91; della comunicazione P.G. 59704 dd. 5.4.2004 del dirigente dell’Area competente, diretta anche alla ricorrente, con cui si informa dell’applicazione, a seguito della deliberazione predetta, delle misure di salvaguardia nelle aree ed edifici, individuati con apposito elaborato grafico ad essa allegato; della mozione votata dal Consiglio comunale in data 31.7.2003, non nota alla ricorrente; Visto il ricorso, notificato il 14.5.2004 e ritualmente depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata; Visti gli atti tutti di causa; Data per letta alla pubblica udienza del 14 luglio 2004 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i difensori presenti delle parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F A T T O La ricorrente rappresenta di essere titolare di licenza individuale per la prestazione del servizio pubblico di comunicazioni mobili secondo lo standard UMTS e l’installazione della relativa rete sul territorio italiano, ai sensi dell’art. 6, 6° comma, lett. c) del D.P.R. 19.9.1997 n. 318, rilasciata dall’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, che la obbliga, fra l’altro, ad installare detta rete in tutti i capoluoghi di Regione entro il 30.6.2004, pena l’applicazione di sanzioni, fino all’eventuale revoca della citata autorizzazione. Diversamente da altri gestori, non essendo titolare di precedente licenza per comunicazioni mobili secondo lo standard GSM, essa deve installare ex novo gli impianti necessari a fornire il servizio, di cui è licenziataria, senza potersi avvalere, riconvertendoli, di quelli GSM. Per questa ragione ha presentato al Comune intimato numerose istanze di concessione edilizia per l’installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, ad oggi non riscontrate. Con la deliberazione consiliare impugnata, oltre ad approvare le direttive per una variante al PRGC diretta a regolare l’installazione e modifica di dette stazioni, si è vietato di installarle sugli immobili vincolati ai sensi del D. Lgs. n. 490/99, in determinati siti dichiarati sensibili e negli ambiti posi a 100 m. di distanza da essi, disponendo, in ordine a tali localizzazioni, non solo la sospensione dell’esame delle domande di concessione e autorizzazione edilizia, non ancora rilasciate e pendenti, in contrasto con le direttive stesse, ma altresì, in via immediata, la salvaguardia ai sensi dell’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91 nei confronti delle iniziative negli immobili e siti sopra descritti. Con la successiva comunicazione dirigenziale, pur essa oggetto di gravame, indirizzata anche alla ricorrente, si precisa che gli immobili e le aree oggetto di salvaguardia immediata sono quelle in cui operano i divieti di installazione, posti dalla menzionata deliberazione, e che dalla sua approvazione consegue la sospensione dell’esame delle domande di concessione o autorizzazione edilizia in contrasto con essa non ancora rilasciate o che verranno presentate. I predetti atti e provvedimenti sono illegittimi per i seguenti motivi: 1) Violazione dell’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91 ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e motivazione, incompetenza, violazione degli artt. 82 della L.R. n. 52/91 e 50 e 51 del D. Lgs. n. 267/00. Gli atti impugnati sarebbero illegittimi nella parte in cui dispongono misure di salvaguardia, discendenti dai divieti di installazione, previsti dalla deliberazione consiliare oggetto di gravame al punto 2) lett. a), b) e c) in quanto: a) l’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91 consentirebbe al Consiglio comunale di prevedere la sospensione dell’esame delle singole domande di concessione o autorizzazione edilizia in contrasto con le direttive, con provvedimento da notificare al richiedente, una volta sentita la Commissione edilizia, mentre, nel caso di specie, esso avrebbe disposto un’applicazione generalizzata delle misure di salvaguardia, estesa genericamente a tutte le istanze, che si assumono in contrasto, cui non sia ancora seguito il rilascio del titolo autorizzativo, senza sentire l’organo consultivo né individuare ogni domanda cui si applica la predetta sospensione, né il motivo di contrasto; b) in subordine la competenza ad adottare l’atto di salvaguardia spetterebbe al dirigente responsabile e non al Consiglio comunale; 2) Violazione degli artt. 31 e 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91 ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, di istruttoria e di motivazione. La salvaguardia sarebbe stata applicata non alle domande di concessione o autorizzazione in contrasto con le direttive, ma a quelle in contrasto con i divieti di installazione approvati con la medesima deliberazione consiliare impugnata, contravvenendo al dettato normativo. Invero la deliberazione censurata non si limiterebbe ad adottare direttive consistenti, come di norma, nell’indicazione degli obiettivi fondamentali della futura pianificazione, quanto piuttosto conterrebbe specifiche e puntuali previsioni di dettaglio, immediatamente esecutive, contenenti divieti più ampi e incisivi di quelli delle direttive stesse, il che sarebbe precluso all’amministrazione in questa fase. 3) Violazione degli artt. 8, 6° comma della L. 22.2.2001 n. 36, 4 del D.M. 10.9.1998 n. 381, 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13, della L.R. n. 52/91 e incompetenza. Violazione degli artt. 2 del D.P.R. 19.9.1997 n. 318, 231 del D.P.R. 29.3.1973 n. 156, della L. 15.3.1997 n. 59, del D. Lgs. 31.3.1998 n. 112, dell’art. 4 della L. 31.7.1997 n. 259. Eccesso di potere per contraddittorietà con la licenza individuale rilasciata alla ricorrente, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento, violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 41 Cost. e del principio di concorrenza e disparità di trattamento. I divieti di installazione e le misure di salvaguardia previsti dalla deliberazione consiliare impugnata sarebbero illegittimi in quanto: - non consentirebbero di realizzare una rete di telefonia cellulare UMTS in grado di coprire l’intero territorio comunale, secondo gli obblighi della propria licenza individuale; - con palese sviamento si utilizzerebbero i poteri comunali in materia urbanistica e di installazione di impianti di telefonia cellulare per una generalizzata imposizione di limiti e divieti, tale da compromettere la possibilità del gestore di organizzare il servizio, utilizzando allo scopo criteri, quali il rispetto della zonizzazione urbanistica e della distanza fra edifici non per individuare la localizzazione degli impianti, ma per impedirla; - si violerebbe l’art. 6, 23° comma, della L.R. n. 13/00, che impone ai Comuni di tenere conto delle esigenze di copertura del servizio sul territorio e di consentire una diffusione capillare delle stazioni UMTS. 4) Violazione degli artt. 1, 3, 4 e 8 della L. 22.2.2001 n. 36 e del DPCM 8.7.2003. Incompetenza. Violazione dell’art. 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13 e dell’art. 89 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e s.m.i. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza ed illogicità. Anche i singoli divieti di installazione di impianti per la telefonia cellulare introdotti dalla deliberazione consiliare impugnata sarebbero illegittimi. Facendone separata menzione ci si riferisce agli impianti da installarsi in: a) immobili vincolati ai sensi del Titolo I del D. Lgs. 29.10.1999 n. 490 in quanto l’amministrazione comunale sarebbe radicalmente incompetente a provvedere alla loro tutela, spettando ad altre autorità valutare la compatibilità di installazioni di stazioni radio base, che li concernano; b) edifici indicati nelle “Linee guida applicative del D.M. n. 381/98 dato che detto richiamo sarebbe già superato con l’entrata in vigore del DPCM 8.7.2003, che disciplinerebbe compiutamente la tutela degli ambiti “sensibili”, e a cui il Comune avrebbe dovuto fare esclusivo riferimento, rilevando che, se esso intendesse disciplinare autonomamente la tutela della popolazione per l’esposizione a campi elettromagnetici, a prescindere da detto atto normativo, sarebbe all’evidenza incompetente, spettando detta tutela allo Stato ai sensi degli artt. 1, 4 e 8 della L. n. 36/2001, e che non avrebbero, in ogni caso, alcun significato in ordine ad esigenze sanitarie i riferimenti, in generale, alle sedi di servizi pubblici o di pubblica utilità ovvero alle zone di verde pubblico e verde attrezzato, contenuti nella deliberazione impugnata, dovendosi, se del caso, esaminare in concreto l’attività svolta in ogni singolo edificio ed area da tutelare; c) ambiti posti a 100 metri dagli edifici e zone “sensibili” considerato che l’amministrazione in tal modo introdurrebbe autonomamente, con palese incompetenza, una limitazione fondata su parametri diversi da quelli, di cui al DPCM 8.7.2003, per esigenze, come risulta dal rigetto di un emendamento al riguardo, di carattere sanitario che il Comune non sarebbe chiamato a tutelare, come rilevato anche dal Segretario comunale, che ha espresso al riguardo una riserva, superata peraltro senza motivazione; 5) Violazione dell’art. 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, difetto di istruttoria e motivazione, sviamento. Sarebbe illegittimo introdurre limitazioni che riguardano indiscriminatamente tutti gli impianti, potendosi condizionare la concessione edilizia, ai sensi della norma in rubrica, ad accertamenti riguardanti l’eventuale negativa influenza del singolo impianto di telefonia cellulare su servizi e infrastrutture, senza peraltro adottare criteri, che consentano alle amministrazioni comunali la più ampia discrezionalità, in dissonanza con la disciplina statale e regionale e in contrasto con il principio di ragionevolezza; 6) Eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria. Violazione dell’art. 6, 23° comma, lett. c) bis della L.R. 3.7.2000 n. 13. I divieti introdotti con la deliberazione impugnata sarebbero in contrasto con le esigenze di diffusione capillare degli impianti delle reti per la telefonia mobile UMTS, motivate dalle sue caratteristiche tecniche e dal suo carattere di pubblico servizio, riconosciute dalla deliberazione in rubrica, che impedirebbe di applicare a detti impianti la stessa disciplina applicabile a quelli GSM; 7) Eccesso di potere per violazione dei principi di concorrenza ed imparzialità e per illogicità e difetto di istruttoria. Illogicamente i divieti oggetto di gravame impedirebbero l’installazione di nuovi impianti, consentendo il mantenimento di quelli esistenti, svantaggiando i gestori di sola telefonia mobile UMTS, quali la ricorrente, attualmente privi di una rete di telefonia cellulare, a differenza delle imprese che gestiscono da tempo reti GSM, che possono essere agevolmente, senza necessità di nuovi impianti, alla tecnologia UMTS, disponendo in violazione dei principi di imparzialità e di concorrenza; 8) Illegittimità derivata. Le censure finora esposte ai numeri da 3) a 7) nei confronti della deliberazione consiliare impugnata determinano, in via derivata, l’illegittimità della comunicazione dirigenziale, pure oggetto di gravame, e delle misure di salvaguardia in essa contenute, in quanto si fondano su detto atto deliberativo. 9) Violazione degli artt. 8, 1° comma, della L. 22.2.2001 n. 36, 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13. Eccesso di potere per difetto di presupposto, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Le direttive approvate con la deliberazione impugnata, in quanto si propongono di individuare, nel territorio comunale, le aree in cui sia compatibile l’installazione o la modifica di antenne radio base, con ciò presupponendo un preesistente generalizzato divieto di localizzazione, cui possono essere introdotte eccezioni soltanto dall’amministrazione comunale mentre, al contrario, per la natura di pubblico servizio della relativa rete, dovrebbe essere garantita una capillare diffusione di tali impianti sul territorio, con limitazioni solo in presenza di espresse e puntuali previsioni in tal senso. 10) Violazione degli artt. 1, 4 e 8 della L. 22.2.2001 n. 36. Incompetenza. Violazione dell’art. 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13. Violazione del Titolo I e del Titolo II del D. Lgs. 29.10.1999 n. 490. Incompetenza. Violazione del DPCM 8.7.2003. Eccesso di potere per contraddittorietà con la nota prot. n. PT/16275/1.410 dd. 7.12.2000 della Direzione regionale della pianificazione territoriale. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, per contraddittorietà ed illogicità. Sarebbero illegittime le singole direttive alla variante da adottarsi nella parte in cui: 1) si propongono di “rivisitare quanto attualmente previsto dal PRGC vigente”, senza nemmeno individuare le disposizioni che si intendono modificare; 2) definiscono in astratto e in base a criteri generici come “luoghi adibiti a permanenze non inferiori alle quattro ore” tutti gli immobili e le aree aventi determinate caratteristiche senza procedere ad alcuna verifica in concreto, come previsto dal DPCM 8.7.2003, della sussistenza, caso per caso, di detto presupposto; 3) impongono limitazioni all’installazione di stazioni radio base riferite a zone urbanistiche fondate sui criteri della “distanza da edifici sensibili” o dei “servizi pubblici o di pubblica utilità”. Al riguardo si richiamano le considerazioni già svolte con il quarto motivo di gravame in relazione all’incompetenza del Comune al perseguimento, mediante le limitazioni suddette, di finalità sanitarie, che esso ammette nell’ambito delle stesse direttive censurate, laddove indicano l’individuazione del “limite di distanza … a tutela della popolazione dalla esposizione conseguente alla variazione del valore di fondo delle emissioni”; 4) impongono limitazioni e fasce di rispetto in relazione alle modalità di installazione su edifici soggetti a vincoli ex Titolo I del D. Lgs. n. 490/99, la cui tutela spetta ad altra autorità. 5) ometterebbero di considerare la disciplina della progettazione delle stazioni radio base di telefonia cellulare in zone di vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi del Titolo II della predetta legge delegata, introdotto, con la nota in rubrica, dal competente organo regionale, facendo inoltre generico e inconferente riferimento all’installazione di impianti fuori dei centri abitati, che sottintenderebbe l’impedimento alla localizzazione di stazioni radio base nel centro abitato, nelle aree cioè dove il servizio di telefonia cellulare è maggiormente necessario; 6) introdurrebbero, nel caso in cui la previsione di una “particolare attenzione” all’installazione di impianti di telefonia cellulare nelle zone A0/A2/Ae/B0b preluda all’imposizione di limitazioni, fondate esclusivamente sulla destinazione urbanistica dell’area e non su specifici interessi da tutelare, disposizioni irragionevoli, consistenti in parametri e divieti in astratto, senza considerare le peculiari caratteristiche sia degli impianti da installare sia dell’ambito in cui vengono installati; 7) verrebbe omesso, in sede di indicazione degli obbiettivi, cui dovrebbero conformarsi le nuove NNTTAA al PRGC previste dalle direttive, sia di prevedere, in via preventiva la possibilità della verifica, da parte dei gestori di telefonia cellulare, di garantire la copertura del servizio UMTS, che di prevedere, in via successiva, la derogabilità delle limitazioni, qualora impediscano di coprire l’intero territorio comunale, in ottemperanza agli obblighi imposti dalla licenza individuale; 11) Illegittimità derivata. La comunicazione dirigenziale e le misure di salvaguardia sarebbero illegittime in via derivata, per i motivi esposti sub 9) e 10) ove si fondino su un asserito contrasto con le direttive adottate. Si è costituito in giudizio il Comune intimato, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse là dove impugna parti della deliberazione, oggetto di gravame, diverse da quelle che impongono misure di salvaguardia, le uniche che ritiene lesive, ed ha quindi controdedotto ai motivi di gravame. D I R I T T O 1.0 Deve innanzitutto provvedersi all’estromissione della Regione Friuli Venezia Giulia, non essendo in discussione, nel presente giudizio, alcun atto regionale. 1.1 In via preliminare il Comune intimato eccepisce che, avendo la ricorrente un interesse attuale all’annullamento soltanto della parte della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 impugnata che: a) applica il regime di salvaguardia negli edifici e siti in cui non è consentita, in base alle direttive approvate l’installazione di stazioni radio base di telefonia cellulare (punto 2) del dispositivo); b) dispone la sospensione dell’esame delle richieste di concessione o autorizzazione edilizia per detti impianti, che siano in contrasto con le direttive stesse; debbano essere dichiarate inammissibili per difetto di interesse tutte le censure che sono dirette all’annullamento di altre parti del provvedimento, quali le direttive con esso approvate, che non inciderebbero direttamente su interessi della ricorrente, ovvero di altri atti, quali la mozione consiliare comunale approvata il 31.7.2003, che ha valenza meramente interna e non è più menzionata, in seguito all’approvazione di un emendamento, nel testo definitivo della gravata deliberazione, e la comunicazione dd. 5.4.2004 dell’applicazione della salvaguardia alla ricorrente, avente valore puramente informativo. 1.2 Tale eccezione non può essere condivisa. 1.3 Anche, infatti, a voler accedere all’assunto dell’amministrazione, secondo cui solo l’applicazione delle misure di salvaguardia lederebbe la ricorrente, non può essere disconosciuto l’interesse della medesima ad impugnare la determinazione delle direttive, sia nella parte normativa che in quella grafica, da cui detta salvaguardia discende, per ottenere, in via strumentale, l’annullamento delle determinazioni lesive in via derivata, per il venir meno del loro unico presupposto. 1.4 Peraltro, osserva il Collegio, la tesi del Comune è comunque indifendibile, dal momento che, nel caso di specie, la volontà espressa dal Consiglio comunale con la deliberazione impugnata, di provvedere, ai sensi dell’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91, all’adozione di direttive con contestuale applicazione della salvaguardia, da cui deriva la sospensione di ogni intervento in contrasto con esse, in attesa dell’adozione di una futura variante, non è scindibile, come esso vorrebbe, in due momenti distinti. Come si verifica nell’analogo caso dell’impugnazione del PRGC adottato, è l’esistenza – qui obbligatoria- della salvaguardia che determina l’interesse a gravarsi contro detto strumento e non soltanto contro la misura sospensiva, che non ha autonoma consistenza, al di là delle disposizioni che la determinano, onde, per le medesime ragioni, l’adozione discrezionale di dette misure derivante da direttive vincolanti la futura pianificazione consente di impugnare queste ultime, da cui discendono, per volontà dell’organo deliberante, le prime, che ne sono mera conseguenza. 1.5 Allo stesso modo non può essere negato l’interesse all’impugnazione della comunicazione, che rende efficaci nei confronti della ricorrente le direttive adottate e, di conseguenza, la sospensione di ogni determinazione sulle domande di concessione ed autorizzazione edilizia, da essa presentate e da presentare. 1.6 Diversamente deve concludersi nei confronti dell’impugnazione della mozione del Consiglio comunale, indicata in epigrafe. Se invero essa può ben essere, in sé, oggetto di censure, che ridondano sulla deliberazione 20/04, di cui costituisce comunque un presupposto, anche se la sua menzione è stata esclusa dal testo dell’atto deliberativo con un emendamento, deve constatare il Collegio che nessuna precisa doglianza risulta esposta in ricorso nei suoi confronti, onde questo, nella parte in cui la fa oggetto di gravame, va ritenuto inammissibile. 2.0 Il ricorso va pertanto esaminato, salvo che per quest’ultima parte, nel merito. 2.1 Esso è fondato. Risultano in particolare assorbenti le censure di cui al primo, terzo, quarto e ottavo motivo di gravame, nei limiti di seguito indicati. 2.2 Condivide il Collegio l’assunto, di cui al primo motivo di gravame, secondo cui, in caso in cui il Consiglio comunale apporvi direttive, che definiscano gli obiettivi strategici di un emanando strumento urbanistico, ai sensi dell’art. 31 della L.R. n. 52/91, e discrezionalmente ritenga, ai sensi del successivo art. 35, di imporre la salvaguardia, in aree indicate in apposito elaborato grafico, sugli interventi che contrastino con le direttive stesse, il Sindaco o altro organo competente ai sensi dello statuto comunale debba puntualmente esaminare le istanze di concessione, che gli pervengono, e sospendere ogni determinazione su quelle che siano in contrasto con le direttive stesse, notificando il relativo provvedimento al richiedente. Non può invece a ciò provvedere il Consiglio, genericamente estendendo, come nel caso di specie, con la propria deliberazione, a tutte le istanze di concessione non ancora rilasciate, in contrasto con le direttive, l’operatività della salvaguardia, senza puntuale indicazione di quelle sottoposte alle relative misure. Invero il secondo comma del citato art. 35 della L.R. n. 52/91, che recita “Il Consiglio comunale, in sede di adozione delle direttive di cui all’art. 31, può prevedere che sia adottata analoga determinazione (la sospensione di ogni determinazione) con provvedimento da notificare al richiedente” va correttamente inteso non nel senso di autorizzare il Consiglio medesimo a disporre esso stesso l’applicazione della salvaguardia, con la deliberazione suddetta, genericamente di tutte le istanze in contrasto con le direttive. Invero ad esso spetta di deliberare che la sospensione di ogni determinazione “sia adottata”, e quindi non l’adotta esso stesso, “con provvedimento da notificare al richiedente” e per giunta “sentita la Commissione edilizia comunale”, come pure dispone il citato art. 35, 2° comma, il che dimostra che ogni istanza di concessione deve essere esaminata singolarmente, con l’ausilio di detto organo consultivo, che opera non in generale, ma su singole domande, onde individuare se essa si ponga o non in contrasto con le direttive deliberate dal Consiglio e se, di conseguenza, debbano essere applicate le misure di salvaguardia, ovviamente motivando sul punto nel provvedimento da notificare al richiedente. Così non è avvenuto nel caso di specie, dove alla deliberazione consiliare, che indica in via generale i siti sottoposti a salvaguardia, è seguita l’impugnata comunicazione dirigenziale P.G. 59704 dd. 5.4.2004, inviata alla ricorrente, che si limita a riportarne, fra l’altro in modo non del tutto coincidente con il dispositivo del citato provvedimento, l’elencazione. In tal modo illegittimamente si lascia al privato l’individuazione delle proprie istanze, presentate o da presentarsi, in contrasto con le direttive e dei motivi del contrasto stesso, dovendo invece su di esse, una volta proposte, pronunciarsi, di volta in volta, la Commissione edilizia, l’acquisizione del cui parere non è prevista dal provvedimento impugnato, e quindi l’organo deputato all’applicazione delle misure di salvaguardia, cui la norma commette la decisione sulla loro applicabilità al caso concreto, indicando, in caso positivo, le ragioni per cui la singola domanda di concessione esaminata non sia compatibile con il rispetto delle direttive. E’ pertanto violato in più punti, nei termini sopra indicati, l’art. 31, 2° comma, della L.R. n. 52/91. 2.3 Non può che concordarsi sulla parte del terzo motivo con cui, sotto diversi profili, si contesta la violazione, a mezzo della deliberazione n. 20/04, dell’art. 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13. Detta disposizione, subordinando l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile a concessione o autorizzazione edilizia comunale, obbliga il Comune a tener conto, agli effetti del loro rilascio: 1) delle esigenze di copertura del servizio sul territorio; 2) delle misure adottate al fine di ridurre l’impatto ambientale degli impianti; 3) della verifica della eventuale localizzazione, nelle aree interessate, di infrastrutture e servizi influenzabili negativamente dalla presenza degli impianti; 4) della verifica del rispetto dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, delle misure di cautela e degli obiettivi di qualità fissati dalla normativa, a mezzo di pareri obbligatori preventivi dell’ARPA e dell’Azienda dei servizi sanitari competente; 5) delle particolari caratteristiche ed esigenze e della ridotta potenza delle reti UMTS, quale quella di cui è licenziataria la ricorrente, che ne motivano una diffusione capillare; Se peraltro i punti 3) e 4) di detta disposizione vanno applicati a ciascun impianto, anche autorizzato da un punto di vista urbanistico - edilizio, con la prescritta obbligatoria audizione degli organi tecnici indicati dalla norma, ad avviso del Collegio l’obbligo di perseguire gli obbiettivi della minimizzazione dell’impatto ambientale e della copertura del servizio radiomobile sul territorio, di cui ai punti 1), 2) e, in parte, anche 5), fonda altresì l’esercizio di una potestà urbanistica del Comune diretta, se del caso, a disciplinare la localizzazione di detti impianti con norme urbanistiche, in base alle quali poter raggiungere detti obiettivi e rilasciare i provvedimenti autorizzatori predetti; L’obbligo di finalizzare detta potestà al perseguimento delle summenzionate esigenze della riduzione dell’impatto ambientale e della copertura del territorio, fa sì che essa non sia, come di norma, libera ma incontra il limite della loro necessaria considerazione, in applicazione la prima dell’art. 5 della L. 22.2.2001 n. 36 e la seconda in applicazione prima dell’art. 2, 1° comma, del D.P.R. 19.9.1997 n. 318, di attuazione di direttive europee, ed ora, dopo la sua abrogazione, degli artt. 3, 25, 26 e 38 del D. Lgs, 1.8.2003 n. 259, che approva, sempre in attuazione di norme comunitarie, il codice delle comunicazioni elettroniche, che ha sancito la libertà, tranne i divieti derivanti da specifiche disposizioni di legge e di regolamenti di attuazione, dell’attività di fornitura di reti di comunicazione elettronica, e il diritto, una volta ottenuta l’autorizzazione generale o, fino al suo esaurimento, la licenza individuale, di fornire tali reti e i relativi servizi al pubblico. Tali principi la legislazione urbanistica della Regione Friuli Venezia Giulia, le cui competenze sono fatte in ogni caso salve (art. 4, 4° comma) ha voluto autonomamente, seppur implicitamente, recepire con l’art. 6 della L.R. n. 13/00. Del resto il limite della considerazione della necessità di copertura del territorio, è da considerarsi immanente al sistema, come ritenuto dalla giurisprudenza (T.A.R. Puglia, II Sez. 26.7.2001 n. 3136; T.A.R. Umbria 18.8.2001 n. 438) che il Collegio condivide e derivante dal carattere di servizio di preminente interesse nazionale, proprio delle reti di telecomunicazione accessibili al pubblico, quali quelle di telefonia mobile (art. 3, 2° comma, del D. Lgs. n. 259/03) onde l’esercizio della potestà urbanistica in materia deve perciò tenerne conto, anche perché, come osservato dalla ricorrente, le licenze dei gestori del servizio radiomobile di comunicazione li obbligano a costruire una rete con progressiva copertura del territorio nazionale, con il rischio di sanzioni, che possono giungere fino alla sospensione o alla revoca del titolo, che consente di esercitare il servizio (art. 32, 2°, 3° e 4° comma del D. Lgs. n. 2 59/03). Osserva il Collegio che, se il Comune, con la deliberazione impugnata, ha indubbiamente cercato di minimizzare l’impatto ambientale, non si è invece minimamente preoccupato delle esigenze di copertura del servizio nel territorio. Ciò non risulta tanto dalla peraltro accurata relazione tecnica della ricorrente, tesa a dimostrare che essa verrebbe impedita dalle direttive approvate, ma balza all’evidenza anche di un profano esaminando l’allegato B del provvedimento impugnato, che, nel rappresentare graficamente le parti del territorio comunale sottoposto a salvaguardia (e le relative misure possono durare fino a due anni) vi include la gran parte del centro urbano e, in genere, delle zone più popolose della città, proprio quelle, cioè, dove si concentra il maggior numero di telefoni cellulari, onde sarebbe impedito alla ricorrente di fornire alla maggior parte della popolazione un servizio di qualità soddisfacente, violando così gli obblighi che le derivano dalla propria licenza. Del resto l’atto deliberativo impugnato non si limita a prevedere direttive di massima, che possono essere confermate o non dalla futura variante mirante a regolamentare la localizzazione degli impianti di telefonia cellulare. Esso invece fin d’ora include fra gli obiettivi fondamentali, e quindi immodificabili, dello strumento adottando, l’indicazione di una serie di “specifici edifici e siti, in cui non è consentita l’installazione di stazioni radio base o la modifica di quelle esistenti” dove pertanto l’applicazione della salvaguardia non vuole tutelare gli approfondimenti necessari, in sede di definizione della variante, ma tutela scelte già effettuate in sede di direttiva, che perciò saranno contenute nello strumento. Essa perciò è destinata a durare almeno fino alla conferma o meno della variante stessa, nel cui testo adottato la sospensione di ogni determinazione sulle istanze di intervento in detti edifici e aree sarà contenuta, in sede di approvazione. Tali divieti di installazione si riferiscono: a) agli immobili vincolati ai sensi del Titolo I° del D. Lgs. n. 490/99; b) agli edifici sedi di servizi pubblici o di pubblica utilità (ospedali, case di cura e di riposo, scuole, impianti sportivi e ricreativi) e alle zone classificate come U2 dal PRGC (zone di verde pubblico e verde attrezzato); c) agli ambiti posti nel raggio di 100 m dagli edifici e dalle zone, indicate sub b); Ancorché sembri trattarsi di circoscritte interdizioni, invece la salvaguardia di detti edifici o ambiti provoca il divieto di installare o modificare impianti di telefonia cellulare, assunto come obiettivo fondamentale della futura variante, in gran parte del centro urbano e delle zone residenziali, in quanto la deliberazione impugnata precisa che l’elaborato grafico B, allegato al provvedimento, che indica gli immobili soggetti a salvaguardia, è il risultato degli appena indicati divieti. Risulta pertanto, dalle considerazioni suesposte, violato l’art. 6, 23° comma, della L.R. n. 13/00, nella parte in cui obbliga il Comune, in sede di definizione dei criteri e delle norme urbanistiche a cui subordinare il rilascio di concessioni o autorizzazioni edilizie per impianti di telefonia cellulare, a considerare le esigenze di copertura del territorio, in modo che siano compatibili con gli obiettivi di qualità del servizio richiesto, dalla competente autorità nazionale, ai gestori, copertura che, nella specie, non può essere assicurata per l’estensione spaziale e temporale delle misure di salvaguardia, imposte dall’atto impugnato. Con ciò non si vuole negare la potestà urbanistica comunale di imporre limiti, attraverso strumenti pianificatori, agli insediamenti di strutture di telefonia cellulare in determinate zone, al fine di diminuire l’impatto ambientale, ma tali limiti non possono essere assoluti e il Comune deve in ogni caso rendere possibile, con tali strumenti, una localizzazione alternativa in altre zone degli impianti tali da assicurare che comunque il segnale raggiunga le stazioni mobili in possesso dei singoli utenti nel territorio con buone caratteristiche qualitative, il che non è possibile nel caso di specie, data l’estensione delle misure di salvaguardia imposte dalle direttive impugnate, nei termini appena esposti. 2.4 E’ pure fondato, nei limiti di seguito indicati, il quarto motivo. 2.5 Invero, se anche può concedersi che gli interessi pubblici in materia di tutela dei beni culturali e di urbanistica, pur espressione di potestà distinte e indipendenti tra loro, facenti capo rispettivamente allo Stato e alla Regione, possono determinare provvedimenti diversi incidenti sugli stessi immobili, non è consentito che il Comune, nell’esercizio di poteri di governo del territorio, si proponga finalità di tutela del patrimonio culturale, arrogandosi il potere di definire da solo i mezzi di conservazione. Va condivisa pertanto la censura che investe il divieto di installazione di stazioni radiobase su edifici tutelati ai sensi del Titolo I° del D. Lgs. 29.10.1999 n. 490, all’epoca vigente, di cui al punto 2, lett. A della deliberazione impugnata, in quanto posto con la motivazione, contenuta a pag. 2, lett. D, dell’allegato A, contenente le direttive, secondo cui “al fine di mantenere inalterata la percezione visiva del patrimonio edilizio storico – architettonico, anche in funzione del contesto in cui è inserito, andrà verificata l’opportunità di stabilire un adeguato intorno di rispetto, ferma restando l’inopportunità di consentire l’installazione di impianti radiobase su immobili vincolati ai sensi del Titolo I° del D. Lgs. 490/99”. E’ evidente infatti l’illegittimità in cui incorre il Comune, da qualificarsi eccesso di potere per sviamento, nell’avvalersi dei propri poteri di pianificazione urbanistica per esercitare la diversa funzione, ad esso non spettante, di tutela dei beni culturali, in modo da impedire che l’organo statale competente, attraverso l’esercizio dei poteri di autorizzazione e approvazione di sua spettanza, ai sensi degli artt. 149, 3° comma, lett. a) del D. Lgs. 31.3.1998 n. 112 e 23 e 24 del D. Lgs. n. 490/99 possa anche consentire le installazioni su edifici vincolati, che il Consiglio comunale ha inteso vietare. 2.6 Del pari è illegittimo il divieto, posto con il punto 2, lett. B, del dispositivo della deliberazione impugnata, di non consentire l’installazione di impianti di telefonia mobile negli edifici, che costituiscono sedi di servizi pubblici o di pubblica utilità o sono situati in zone di verde pubblico o verde attrezzato, in attuazione della direttiva, di cui all’allegato A, pag. 2, rispettivamente alle lett. C n. 1 (che peraltro dispone solo di “valutare accuratamente” allo scopo tali edifici) e lett. B n. 3 (che anche si propone solo di “valutare la possibilità” di introdurre dette limitazioni). Parte ricorrente rileva che detto divieto è posto in pretesa osservanza del D.M. n. 381/98 e delle relative “linee applicative”, entrambi superati dal DPCM 8.7.2003, che sarebbe illegittimo disciplinare autonomamente profili, quali la tutela della popolazione dai campi elettromagnetici, che spettano esclusivamente allo Stato, che verrebbe incongruamente sostituito il criterio della presenza di sede di servizi pubblici o quello di destinazione a verde pubblico o attrezzato con quello, unico considerato dal legislatore statale ed unico ad avere un significato di tutela sanitaria, di superamento o meno dei limiti di emissioni elettromagnetiche. Nei termini e nei limiti di seguito precisati queste osservazioni colgono nel segno. Invero nuovamente il Comune pone preventivamente, a mezzo di direttive, espressione della sua potestà urbanistica, dei limiti, stavolta attinenti all’osservanza di limiti dell’esposizione ai campi elettromagnetici, che si risolvono in un divieto a priori di installazione su determinati edifici o in determinate zone. Peraltro la normativa statale invocata si fonda su livelli limite di campo elettrico o di esposizione a campi magnetici, che non devono essere superati nemmeno dagli impianti autorizzati (e significativa è, al riguardo, la prescrizione dell’art. 5, che prescrive azioni di risanamento a carico dei titolari di impianti esistenti e che hanno perciò ottenuto l’autorizzazione, ove detti limiti siano superati). Non può quindi fondarsi sul citato decreto ministeriale alcun divieto generalizzato e preventivo di installazione. In tal senso è, del resto, eloquente la legislazione regionale in materia. Il più volte citato art. 3, 26° comma, della L.R. n. 13/00 chiaramente prescrive la “verifica dell’eventuale localizzazione nelle aree interessate di infrastrutture e di servizi, influenzabili negativamente dalla presenza degli impianti” e di “verifica del rispetto dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici e delle misure di cautela e degli obiettivi di qualità fissati dalla normativa”, operazioni da effettuarsi a posteriori e che, quindi, non dipendono da una valutazione preventiva in sede pianificazione urbanistica, ma da accertamenti condotti in sede di autorizzazione del singolo impianto. Inoltre le verifiche in questione, pur spettando al Comune, presuppongono l’obbligatoria “acquisizione del parere dell’ARPA e dell’Azienda per i Servizi sanitari”, cioè degli organi tecnici competenti in materia ambientale e sanitaria. Non è quindi consentito, con l’esercizio di poteri urbanistici in sede di direttiva, introdurre a priori divieti assoluti di installazione di stazioni radio base su determinati immobili, in pretesa ottemperanza a norme nazionali per ridurre l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, senza nessun accertamento tecnico in concreto che induca a ritenere che i valori di esposizione vengano, con la localizzazione non consentita, superati o, quanto meno, siano superati i limiti di cautela. Ovviamente tali accertamenti, come del resto prevede la L.R. n. 13/00, devono intervenire su ogni singolo impianto, per cui si chieda l’autorizzazione. 2.7 Analogamente può concludersi, per le stesse ragioni, per l’illegittimità del divieto assoluto di installazione, di cui al punto 2) lett. C del dispositivo dell’atto impugnato, nonché, in termini diversi, a pag. 2 dell’Allegato A al punto C n. 2, il quale non consente di localizzare o modificare stazioni radio base anche nella fascia di 100 metri di distanza dai confini delle sedi di servizi pubblici e delle zone di verde pubblico e attrezzato, di cui si è appena finito di discorrere, con l’aggravante che dalla discussione del provvedimento risulta un parere negativo degli uffici al riguardo, sollevato dal Segretario generale, secondo cui tale ulteriore limite mancava di qualsiasi base normativa. Nonostante ciò il provvedimento è stato approvato senza esternare le ragioni per le quali si riteneva di poter superare detto parere. 2.8 Come conseguenza della constatata illegittimità della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 deriva altresì quella della comunicazione dirigenziale P.G. 59704 dd. 5.4.2004, impugnata per illegittimità derivata. 3.0 In conclusione, previa estromissione dal giudizio della Regione Friuli Venezia Giulia, il ricorso, assorbita ogni altra censura, deve essere dichiarato inammissibile in relazione all’impugnazione della mozione approvata dal Consiglio comunale in data 31.7.2003, e va per il resto accolto, con annullamento dei rimanenti atti impugnati, indicati in epigrafe. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P. Q. M. il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, estromette dal giudizio la Regione Friuli Venezia Giulia, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo accoglie, nei termini di cui in motivazione, e, di conseguenza, annulla la deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 e la conseguente comunicazione dirigenziale P.G. 59704 dd. 5.4.2004. Condanna l’amministrazione comunale intimata al rimborso delle spese e competenze giudiziali a favore della ricorrente, che liquida in complessivi € 2500 (duemila cinquecento). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 14 luglio 2004. f.to Vincenzo Sammarco - Presidente f.to Enzo Di Sciascio - Estensore f.to Eliana Nardon - Segretario Depositata nella segreteria del Tribunale il 2 settembre 2004 f.to Eliana Nardon |