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 T.A.R. Friuli Venezia Giulia - Sentenza n. 552 del 02 settembre 2004

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:

Vincenzo Sammarco – Presidente
Enzo Di Sciascio – Consigliere, relatore
Vincenzo Farina - Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA


sul ricorso n. 281/04 proposto da Vodafone Omnitel N.V., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Mantovan e Gianni Sadar, con domicilio eletto presso l’ultimo in Trieste, via Filzi 8, come da mandato a margine del ricorso;
c o n t r o
il Comune di Trieste, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Serena Giraldi e Oreste Danese, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Trieste, via Genova 2, come da mandato a margine dell’atto di costituzione;
per l’annullamento
della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 di approvazione delle direttive di una variante al PRGC in ordine alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile e di adozione della salvaguardia ai sensi degli artt. 31 e 35 della L.R. n. 52/91, nelle parti in cui non consente l’installazione di nuove stazioni radio base o la modifica di quelle esistenti;
Visto il ricorso, notificato il 7.5.2004 e ritualmente depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Visti i motivi aggiunti di gravame, ritualmente notificati e depositati
per l’annullamento
del provvedimento del Dirigente del servizio concessioni edilizie P.G. prot. n. 2004/76548 dd. 3.5.2004, con cui è stato sospesa ogni determinazione sulla domanda della ricorrente per la riconfigurazione di una stazione radio base;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 14 luglio 2004 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i difensori presenti delle parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
La ricorrente è titolare di licenza individuale per la prestazione del servizio pubblico di comunicazioni mobili e l’installazione delle relative reti sul territorio italiano, rilasciata dall’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, che la obbliga, fra l’altro, ad installare detta rete in tutti i capoluoghi di Regione entro il 30.6.2004, pena l’applicazione di sanzioni, fino all’eventuale revoca della citata autorizzazione.
Essa rappresenta che, con la deliberazione consiliare impugnata, oltre ad approvare le direttive per una variante al PRGC diretta a regolare l’installazione e modifica di dette stazioni, si è vietato di installarle sugli immobili vincolati ai sensi del D. Lgs. n. 490/99, in determinati siti dichiarati sensibili e negli ambiti posi a 100 m. di distanza da essi, e dispone, in ordine a tali localizzazioni, non solo la sospensione dell’esame delle domande di concessione e autorizzazione edilizia, non ancora rilasciate e pendenti, in contrasto con le direttive stesse, ma altresì, in via immediata, la salvaguardia ai sensi dell’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91 nei confronti delle iniziative negli immobili e siti sopra descritti.
Ritenendo illegittimo, nella parte impugnata, il predetto provvedimento, ne chiede l’annullamento deducendo:
1) violazione ed errata applicazione dell’art. 31 della L.R. 19.11.1991 n. 52 e s.m.i. ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e sviamento in quanto la norma emarginata consentirebbe di impartire direttive, che incidono sugli obiettivi e sulle strategie dello strumento adottando, mentre quelle contenute nell’Allegato A della deliberazione impugnata, proponendosi di modificare soltanto gli artt. 9 e 15 delle NNTTAA del vigente PRGC, disciplinanti gli impianti tecnologici delle reti di telecomunicazioni, sarebbero privi di tale carattere strategico e sarebbero meramente strumentali al blocco, mediante le conseguenti misure di salvaguardia, dell’installazione di nuovi impianti o di modifica di quelli installati, ancor prima che sia adottata la necessaria variante urbanistica.
2) violazione degli artt. 4 e 8 della L. 22.2.2001 n. 36 e degli artt. 3 e 4 del DPCM 8.7.2003 ed incompetenza assoluta dal momento che l’amministrazione, pur formalmente utilizzando poteri in materia di governo del territorio, avrebbe in realtà inteso assicurare la tutela della salute della popolazione dai campi elettromagnetici, in violazione delle competenze attribuite allo Stato e alla Regione e introducendo non consentiti limiti generalizzati di esposizione, diversi da quelli previsti dallo Stato o comunque una deroga, nei fatti elusiva di detta normativa statale, con atti che non costituirebbero espressione di pianificazione urbanistica.
3) violazione degli artt. 3 e 8 della L. n. 36/01; incompetenza assoluta per il fatto che, con le direttive impugnate, sarebbe il Comune ad adottare criteri localizzativi degli impianti di telefonia cellulare, la cui formulazione spetta invece alle Regioni.
4) violazione dell’art. 3 della L. 7.8.1990 n. 241 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione non essendo indicati né gli obiettivi di natura urbanistica che si prefigge né i criteri per raggiungerli, né spiegherebbe perché intende impedire l’installazione in numerosi siti di impianti a rete, pur richiedendo la fornitura del servizio di telecomunicazione reti idonee a coprire l’intero territorio nazionale.
5) violazione degli artt. 21 e 23 del D. Lgs. 29.10.1999 n. 490 ed eccesso di potere per sviamento nell’assunto che il Comune intenderebbe, vietando in assoluto l’installazione di stazioni radio base su immobili vincolati ai sensi della disposizione in epigrafe, modificare il sistema di gestione dei beni culturali voluto dal legislatore, che prevede anche la possibilità di autorizzazione da parte dell’autorità statale competente.
6) violazione degli artt. 3, 4 e 86 del D. Lgs. 1.8.2003 n. 259 e dell’art. 6, 23° comma, della L.R. 3.7.2000 n. 13 ed eccesso di potere per illogicità perché, in tesi, affermando l’art. 3, 2° comma, del D. Lgs. 259/03 che “la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica … è di preminente interesse generale” e il successivo art. 4, 3° comma, che dev’essere promossa “la loro diffusione sul territorio nazionale”, tant’è vero che equipara, all’art. 86, le loro infrastrutture ad opere di urbanizzazione primaria, farebbe dell’esigenza di copertura del territorio con dette reti, che devono espandersi con il moltiplicarsi degli apparecchi ricevitori e le cui antenne si concentrano là dove maggiore è la richiesta del servizio, ossia nei centri urbani, con una diminuzione, peraltro delle potenze irraggiate, il principio fondamentale dell’azione amministrativa nel settore assieme a quello di minimizzazione dei rischi per la popolazione, come stabilito dall’art. 6, 23° comma, della L.R. n. 13/00 e come riconosce lo stesso Comune nella deliberazione impugnata, che peraltro illogicamente, con le direttive emanate, frustrerebbe questa esigenza.
7) violazione dell’art. 35 della L.R. n. 52/91 e incompetenza in quanto illegittimamente il Consiglio comunale avrebbe disposto, con la deliberazione impugnata, di sospendere l’esame non solo delle istanze di autorizzazione e concessione in contrasto con le direttive, che vengono presentate, ma anche di quelle non ancora rilasciate e che verranno presentate, con ciò applicando direttamente la salvaguardia, senza che sia consentito l’esame delle domande predette da parte del Sindaco, organo competente, sentita la Commissione edilizia.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso perché il danno non sarebbe attuale , in quanto le istanze di “riconfigurazione” dei propri impianti, di cui la ricorrente lamenta la sottoposizione al regime di salvaguardia sono ancora soggette ad esame, e non potrebbe essere ora dato per scontato che ne sarà sospeso l’esame, esponendo quindi le ragioni per cui ritiene i motivi di gravame altresì infondati nel merito.
La ricorrente ha quindi impugnato la comunicazione dirigenziale in epigrafe, con cui è stata sospesa ogni determinazione sull’istanza di modificazione di un proprio impianto.
Ha dedotto, al riguardo, in via di illegittimità derivata, i primi sei motivi di gravame già prospettati nei confronti della deliberazione impugnata, nonché il seguente motivo di illegittimità propria:
1) violazione dell’art. 35 della L.R. n. 52/91 in quanto l’organo emanante ha provveduto all’adozione della misura di salvaguardia senza il parere della Commissione edilizia, prescritto dalla norma in rubrica.
Il Comune intimato ha eccepito, con memoria, che, avendo la ricorrente un interesse attuale all’annullamento soltanto della parte della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004 impugnata la quale:
a) applica il regime di salvaguardia negli edifici e siti in cui non è consentita, in base alle direttive approvate l’installazione di stazioni radio base di telefonia cellulare (punto 2) del dispositivo);
b) dispone la sospensione dell’esame delle richieste di concessione o autorizzazione edilizia per detti impianti, che siano in contrasto con le direttive stesse (punto 4) del dispositivo);
debbano essere dichiarate inammissibili per difetto di interesse tutte le censure che sono dirette all’annullamento di altre parti del provvedimento, quali le direttive con esso approvate, che non inciderebbero direttamente sulla posizione della ricorrente.
Ha quindi controdedotto anche ai motivi aggiunti.
La ricorrente ha replicato con memoria.
D I R I T T O
1.0 Vanno esaminate in primo luogo le eccezioni preliminari del Comune, che debbono essere tutte disattese.
1.1 La prima, che fa leva sulla pretesa non attualità del danno arrecato alla ricorrente dalle misure di salvaguardia, approvate con la deliberazione impugnata, sulle istanze di “riconfigurazione” da essa avanzate, la cui compatibilità con dette misure sarebbe tuttora all’esame degli uffici comunali, è smentita non solo, e non tanto, dall’applicazione, con atto dd. 3.5.2004, della salvaguardia a una di dette istanze, oggetto dei motivi aggiunti, quanto dalla anteriore comunicazione dirigenziale P.G. 59704 dd. 5.4.2004, indirizzata anche alla Vodafone Omnitel N.V., che rende efficaci nei confronti della ricorrente le direttive adottate e, di conseguenza, la sospensione di ogni determinazione sulle domande di concessione ed autorizzazione edilizia, da essa presentate e da presentare.
1.2 Quanto alla seconda va osservato che
a) anche a voler accedere all’assunto dell’amministrazione, secondo cui solo l’applicazione delle misure di salvaguardia lederebbe la ricorrente, non può essere disconosciuto l’interesse della medesima ad impugnare la determinazione delle direttive, sia nella parte normativa che in quella grafica, da cui detta salvaguardia discende, per ottenere, in via strumentale, l’annullamento delle determinazioni lesive in via derivata, per il venir meno del loro unico presupposto.
b) in ogni caso la tesi del Comune è indifendibile, dal momento che, nella fattispecie qui esaminata, la volontà espressa dal Consiglio comunale di Trieste con la deliberazione oggetto di gravame, di provvedere, secondo il dettato dell’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91, all’adozione di direttive per una futura variante con contestuale applicazione di misure di salvaguardia, dalle quali deriva la sospensione di ogni intervento in contrasto con esse, in attesa che sia adottato detto strumento urbanistico non è scindibile, come esso vorrebbe, in due momenti distinti.
Come si verifica nell’analogo caso dell’impugnazione del PRGC adottato, l’esistenza di misure di salvaguardia determina l’interesse a gravarsi contro lo strumento urbanistico e non soltanto contro la salvaguardia stessa, che non ha autonoma consistenza, al di là delle disposizioni che la determinano.
Allo stesso modo la discrezionale adozione di dette misure contestualmente all’adozione di direttive vincolanti la futura pianificazione consente di impugnare queste ultime, da cui discendono, per volontà dell’organo deliberante, le prime, che ne sono mera conseguenza.
Per le stesse ragioni non può essere negato l’interesse all’impugnazione, con i motivi aggiunti, della misura di salvaguardia, di cui si è detto, per la sua funzione di applicazione in concreto della deliberazione, oggetto dei motivi originari, alla ricorrente.
2.0 Il ricorso deve essere, quindi esaminato nel merito.
2.1 Esso è fondato ed al riguardo appaiono assorbenti il secondo, quarto, quinto, sesto, settimo motivo, nonché il motivo aggiunto di gravame, nelle parti di seguito precisate.
2.2 Per il suo carattere logicamente pregiudiziale, in quando astrattamente idoneo, se accolto, a travolgere l’intero provvedimento, oggetto dei motivi originari, anche se, in concreto, ne viene chiesto l’annullamento in parte qua, il Collegio ritiene di esaminare, insieme al quarto, il sesto motivo di ricorso.
Con essi si contesta al Comune di non aver tenuto conto – e di non aver motivato al riguardo – dell’esigenza di copertura del territorio da parte del gestore di reti di comunicazioni elettroniche, qual è la ricorrente, in spregio alla legislazione nazionale e regionale e senza indicarne le ragioni.
L’assunto è condiviso dal Collegio.
Appare opportuno prendere le mosse dal disposto dell’art. 6, 23° comma, della L.R. n. 13/00, di cui si contesta la violazione, a mezzo della deliberazione impugnata..
Detta disposizione, subordinando l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile a concessione o autorizzazione edilizia comunale, obbliga il Comune a tener conto, agli effetti del loro rilascio:
1) delle esigenze di copertura del servizio sul territorio;
2) delle misure adottate al fine di ridurre l’impatto ambientale degli impianti;
3) della verifica della eventuale localizzazione, nelle aree interessate, di infrastrutture e servizi influenzabili negativamente dalla presenza degli impianti;
4) della verifica del rispetto dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, delle misure di cautela e degli obiettivi di qualità fissati dalla normativa, a mezzo di pareri obbligatori preventivi dell’ARPA e dell’Azienda dei servizi sanitari competente;
5) delle particolari caratteristiche ed esigenze e della ridotta potenza delle reti UMTS, quale quella di cui è licenziataria la ricorrente, che si propone di realizzarla nel territorio comunale mediante le contestate modifiche di impianti GSM, che ne motivano una diffusione capillare;
Se peraltro i punti 3) e 4) di detta disposizione vanno applicati a ciascun impianto, in quanto ne prevedono la verifica, anche se collocato in zona in cui ne è consentita l’installazione da un punto di vista urbanistico - edilizio, con la prescritta obbligatoria audizione degli organi tecnici indicati dalla norma, ad avviso del Collegio l’obbligo di perseguire gli obbiettivi della minimizzazione dell’impatto ambientale e della copertura del servizio radiomobile sul territorio, di cui ai punti 1), 2) e, in parte, anche 5), fonda altresì l’esercizio di una potestà urbanistica del Comune diretta, se del caso, a disciplinare la localizzazione di detti impianti con norme urbanistiche, in base alle quali poter raggiungere detti obiettivi e rilasciare i provvedimenti autorizzatori predetti.
L’obbligo di finalizzare detta potestà al perseguimento delle summenzionate esigenze della riduzione dell’impatto ambientale e della copertura del territorio, fa sì che essa non sia, come di norma, libera ma incontra il limite della loro necessaria considerazione, in applicazione la prima dell’art. 5 della L. 22.2.2001 n. 36 e la seconda in applicazione prima dell’art. 2, 1° comma, del D.P.R. 19.9.1997 n. 318, di attuazione di direttive europee, ed ora, dopo la sua abrogazione, degli artt. 3, 25, 26 e 38 del D. Lgs, 1.8.2003 n. 259, che approva, sempre in attuazione di norme comunitarie, il codice delle comunicazioni elettroniche, il quale ha sancito la libertà, tranne i divieti derivanti da specifiche disposizioni di legge e di regolamenti di attuazione, dell’attività di fornitura di reti di comunicazione elettronica, e il diritto, una volta ottenuta l’autorizzazione generale o, fino al suo esaurimento, la licenza individuale, di fornire tali reti e i relativi servizi al pubblico e che, a mezzo degli artt. 3, 4 e 86, ne ha sancito il carattere di preminente interesse generale, equiparando gli impianti ad opere di urbanizzazione ed ha stabilito che ne debba essere promossa la diffusione sul territorio nazionale.
Tali principi la legislazione urbanistica della Regione Friuli Venezia Giulia, le cui competenze sono fatte in ogni caso salve (art. 4, 4° comma) ha voluto autonomamente, seppur implicitamente, recepire con l’art. 6 della L.R. n. 13/00.
Del resto il limite della considerazione della necessità di copertura del territorio, è da considerarsi immanente al sistema, come ritenuto dalla giurisprudenza (T.A.R. Puglia, II Sez. 26.7.2001 n. 3136; T.A.R. Umbria 18.8.2001 n. 438) che il Collegio condivide, sempre attuale e coerente con l’attuale ordinamento, anche se, in origine, sviluppatasi su norme in parte superate, e derivante dal cennato carattere di servizio di preminente interesse nazionale, proprio delle reti di telecomunicazione accessibili al pubblico, quali quelle di telefonia mobile (art. 3, 2° comma, del D. Lgs. n. 259/03) onde l’esercizio della potestà urbanistica in materia deve perciò tenerne conto, anche perché, come osservato dalla ricorrente, le licenze dei gestori del servizio radiomobile di comunicazione li obbligano a costruire una rete con progressiva copertura del territorio nazionale, con il rischio di sanzioni, che possono giungere fino alla sospensione o alla revoca del titolo, che consente di esercitare il servizio (art. 32, 2°, 3° e 4° comma del D. Lgs. n. 259/03).
Osserva il Collegio che, se il Comune, con la deliberazione impugnata, ha indubbiamente cercato di minimizzare l’impatto ambientale, non si è invece minimamente preoccupato delle esigenze di copertura del servizio nel territorio.
Un tanto balza all’evidenza anche di un profano esaminando l’allegato B del provvedimento impugnato, che, nel rappresentare graficamente le parti del territorio comunale sottoposto a salvaguardia (e le relative misure possono durare fino a due anni) vi include la gran parte del centro urbano e, in genere, delle zone più popolose della città, proprio quelle, cioè, dove si concentra il maggior numero di telefoni cellulari, onde sarebbe impedito alla ricorrente di fornire alla maggior parte della popolazione un servizio di qualità soddisfacente, violando così gli obblighi che le derivano dalla propria licenza.
Del resto l’atto deliberativo impugnato non si limita a prevedere direttive di massima, che possono essere confermate o non dalla futura variante mirante a regolamentare la localizzazione degli impianti di telefonia cellulare.
Esso invece fin d’ora include fra gli obiettivi fondamentali, e quindi immodificabili, dello strumento adottando, l’indicazione di una serie di “specifici edifici e siti, in cui non è consentita l’installazione di stazioni radio base o la modifica di quelle esistenti” dove pertanto l’applicazione della salvaguardia non vuole tutelare gli approfondimenti necessari, in sede di definizione della variante, ma tutela scelte già effettuate in sede di direttiva, che perciò saranno contenute nello strumento.
Essa perciò è destinata a durare almeno fino alla conferma o meno della variante stessa, nel cui testo adottato la sospensione di ogni determinazione sulle istanze di intervento in detti edifici e aree sarà contenuta, in sede di approvazione.
Tali divieti di installazione, oggetto principale del presente gravame, si riferiscono:
a) agli immobili vincolati ai sensi del Titolo I° del D. Lgs. n. 490/99;
b) agli edifici sedi di servizi pubblici o di pubblica utilità (ospedali, case di cura e di riposo, scuole, impianti sportivi e ricreativi) e alle zone classificate come U2 dal PRGC (zone di verde pubblico e verde attrezzato);
c) agli ambiti posti nel raggio di 100 m dagli edifici e dalle zone, indicate sub b);
Ancorché sembri trattarsi di circoscritte interdizioni, invece la salvaguardia di detti edifici o ambiti provoca il divieto di installare o modificare impianti di telefonia cellulare, assunto come obiettivo fondamentale della futura variante, in gran parte del centro urbano e delle zone residenziali, in quanto la deliberazione impugnata precisa che l’elaborato grafico B, allegato al provvedimento, che indica gli immobili soggetti a salvaguardia, è il risultato degli appena indicati divieti.
Risultano pertanto, dalle considerazioni suesposte, violati l’art. 6, 23° comma, della L.R. n. 13/00, nella parte in cui obbliga il Comune, in sede di definizione dei criteri e delle norme urbanistiche a cui subordinare il rilascio di concessioni o autorizzazioni edilizie per impianti di telefonia cellulare, a considerare le esigenze di copertura del territorio, in modo che siano compatibili con gli obiettivi di qualità del servizio richiesto, dalla competente autorità nazionale, ai gestori, copertura che, nella specie, non può essere assicurata per l’estensione spaziale e temporale delle misure di salvaguardia, imposte dall’atto impugnato, nonché gli articoli del codice delle comunicazioni, menzionati dalla ricorrente o indicati dal Collegio, che stanno alla base della necessità del rispetto del criterio suindicato.
Con ciò non si vuole negare la potestà urbanistica comunale di imporre limiti, attraverso strumenti pianificatori, agli insediamenti di strutture di telefonia cellulare in determinate zone, al fine di diminuire l’impatto ambientale, ma essi non possono essere assoluti e il Comune deve in ogni caso rendere possibile, con tali strumenti, una localizzazione alternativa in altre zone degli impianti tali da assicurare che comunque, anche in caso di loro sviluppo quantitativo, il segnale raggiunga le stazioni mobili in possesso dei singoli utenti nel territorio con buone caratteristiche qualitative, il che non è possibile nel caso di specie, data l’estensione delle misure di salvaguardia imposte dalle direttive impugnate, nei termini appena esposti.
2.3 E’ pure fondato il settimo motivo di ricorso, come, per motivi in parte analoghi, il motivo aggiunto.
Per quanto concerne la prima censura considerata va tenuto presente che, in caso in cui il Consiglio comunale approvi direttive, che definiscano gli obiettivi strategici di un emanando strumento urbanistico, ai sensi dell’art. 31 della L.R. n. 52/91, e discrezionalmente ritenga, ai sensi del successivo art. 35, di imporre la salvaguardia, in aree indicate in apposito elaborato grafico, sugli interventi che contrastino con le direttive stesse, il Sindaco o altro organo competente ai sensi dello statuto comunale deve puntualmente esaminare le istanze di concessione, che gli pervengono, e sospendere ogni determinazione su quelle che siano in contrasto con le direttive stesse, notificando il relativo provvedimento al richiedente.
Non può invece a ciò provvedere il Consiglio, genericamente estendendo, come nel caso di specie, con la propria deliberazione, a tutte le istanze di concessione non ancora rilasciate, in contrasto con le direttive, l’operatività della salvaguardia, senza puntuale indicazione di quelle sottoposte alle relative misure.
Invero il secondo comma del citato art. 35 della L.R. n. 52/91, che recita “Il Consiglio comunale, in sede di adozione delle direttive di cui all’art. 31, può prevedere che sia adottata analoga determinazione (la sospensione di ogni determinazione) con provvedimento da notificare al richiedente” va correttamente inteso non nel senso di autorizzare il Consiglio medesimo a disporre esso stesso l’applicazione della salvaguardia, con la deliberazione suddetta, genericamente di tutte le istanze in contrasto con le direttive, ivi comprese quelle non ancora proposte.
Invero ad esso spetta di deliberare che la sospensione di ogni determinazione “sia adottata”, e quindi non l’adotta esso stesso, “con provvedimento da notificare al richiedente” e per giunta “sentita la Commissione edilizia comunale”, come pure dispone il citato art. 35, 2° comma, il che dimostra che ogni istanza di concessione deve essere esaminata singolarmente, con l’ausilio di detto organo consultivo, che opera non in generale, ma su singole domande, onde individuare se essa si ponga o non in contrasto con le direttive deliberate dal Consiglio e se, di conseguenza, debbano essere applicate le misure di salvaguardia, ovviamente motivando sul punto nel provvedimento da notificare al richiedente.
Così non è avvenuto nel caso di specie, dove alla deliberazione consiliare, che indica in via generale i siti sottoposti a salvaguardia, è seguita la già menzionata comunicazione dirigenziale P.G. 59704 dd. 5.4.2004, inviata anche alla ricorrente, che si limita a riportarne, fra l’altro in modo non del tutto coincidente con il dispositivo del citato provvedimento, l’elencazione.
In tal modo illegittimamente si lascia al privato l’individuazione delle proprie istanze, presentate o da presentarsi, in contrasto con le direttive e dei motivi del contrasto stesso, dovendo invece su di esse, una volta proposte, pronunciarsi, di volta in volta, prima la Commissione edilizia, l’acquisizione del cui parere non è prevista dal provvedimento impugnato, e quindi l’organo deputato all’applicazione delle misure di salvaguardia, cui la norma commette la decisione sulla loro applicabilità al caso concreto, indicando, in caso positivo, le ragioni per cui la singola domanda di concessione esaminata non sia compatibile con il rispetto delle direttive.
La norma invece prevede che la salvaguardia, nel modo che si è detto, venga applicata ad ogni istanza che, presentata e sottoposta all’esame dell’organo tecnico e decisionale competenti, sia trovata non conforme alle direttive approvate e non, genericamente, a tutte le istanze, anche future, di cui si ipotizza il contrasto con le stesse.
E’ pertanto violato in più punti, nei termini sopra indicati, l’art. 35, 2° comma, della L.R. n. 52/91.
Ad identica conclusione deve pervenirsi nei confronti del provvedimento del Dirigente del servizio concessioni edilizie P.G. prot. n. 2004/76548 dd. 3.5.2004, oggetto del motivo aggiunto, che, se è conforme a detta norma in quanto la salvaguardia, nei confronti di un singolo impianto, è applicata per un contrasto constatato dall’organo volitivo, se ne distacca in quanto, conformemente alla deliberazione oggetto dei motivi originari, che non la prevede, non è stata sottoposta all’esame del menzionato organo consultivo.
E’ pertanto illegittima anche la determinazione, oggetto dei motivi aggiunti.
2.4 Condivide altresì il Collegio, al di là dei riferimenti normativi e della conseguente distribuzione delle competenze, solo in parte pertinenti, il secondo motivo di gravame.
Invero con palese sviamento e violazione di legge il Comune pone preventivamente, a mezzo di direttive, espressione della sua potestà urbanistica, dei limiti, attinenti all’esposizione ai campi elettromagnetici, che si risolvono in un divieto a priori di installazione dei impianti per stazioni radio base su determinati edifici o in determinate zone.
Non giustifica tale determinazione la pretesa osservanza del D.M. n. 381/98 e delle sue linee guida applicative.
La normativa statale invocata si fonda, infatti, su livelli limite di campo elettrico o di esposizione a campi magnetici, che non devono essere superati nemmeno dagli impianti autorizzati (e significativa è, al riguardo, la prescrizione dell’art. 5, che prescrive azioni di risanamento a carico dei titolari di impianti esistenti e che hanno perciò ottenuto l’autorizzazione, ove detti limiti siano superati).
Non può quindi basarsi sul citato decreto ministeriale né su ogni altra norma di carattere sanitario alcun divieto generalizzato e preventivo di installazione.
In tal senso è, del resto, eloquente la legislazione regionale in materia.
Il più volte citato art. 3, 26° comma, della L.R. n. 13/00 chiaramente prescrive la “verifica dell’eventuale localizzazione nelle aree interessate di infrastrutture e di servizi, influenzabili negativamente dalla presenza degli impianti” e la “verifica del rispetto dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici e delle misure di cautela e degli obiettivi di qualità fissati dalla normativa”, operazioni da effettuarsi a posteriori e che, quindi, non dipendono da una valutazione preventiva in sede pianificazione urbanistica, ma da accertamenti condotti in sede di autorizzazione del singolo impianto.
Inoltre le verifiche in questione, pur spettando al Comune, presuppongono l’obbligatoria “acquisizione del parere dell’ARPA e dell’Azienda per i Servizi sanitari”, cioè degli organi tecnici competenti in materia ambientale e sanitaria.
Non è quindi consentito, sotto il pretesto dell’esercizio di poteri urbanistici in sede di direttiva, introdurre a priori divieti assoluti e generalizzati di installazione di stazioni radio base su determinati immobili, in pretesa ottemperanza a norme nazionali per ridurre l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, senza nessun accertamento tecnico in concreto che induca a ritenere che i valori di esposizione vengano, con la localizzazione non consentita, superati o, quanto meno, siano superati i limiti di cautela.
Ovviamente tali accertamenti, come del resto prevede la L.R. n. 13/00, devono intervenire su ogni singolo impianto, per cui si chieda l’autorizzazione.
Risulta perciò violato l’art. 6, 23° comma, di detta legge regionale e il tentativo, attuato con la deliberazione impugnata, di avvalersi di poteri urbanistici di direttiva, necessariamente di carattere preventivo e generalizzato, per vietare l’installazione di impianti, adducendo pretese finalità igienico – sanitarie, il cui perseguimento impone invece accertamenti successivi caso per caso, si risolve in eccesso di potere per sviamento.
2.5 Deve pure concordarsi sull’illegittimità del generale divieto di installazione su immobili vincolati in base al Titolo I° del D. Lgs. n. 490/99.
E’ evidente infatti l’illegittimità in cui incorre il Comune, da qualificarsi eccesso di potere per sviamento, nell’avvalersi dei propri poteri di pianificazione urbanistica per esercitare la diversa funzione, ad esso non spettante, di tutela dei beni culturali, in modo da impedire che l’organo statale competente, attraverso l’esercizio dei poteri di autorizzazione e approvazione di sua spettanza, ai sensi degli artt. 149, 3° comma, lett. a) del D. Lgs. 31.3.1998 n. 112 e 21, 23 e 24 del D. Lgs. n. 490/99 possa anche consentire le installazioni su edifici vincolati, che il Consiglio comunale ha inteso vietare.
3.0 In conclusione il ricorso dev’essere accolto, con annullamento della deliberazione consiliare n. 20/2004 nella parte impugnata con i motivi originari e del conseguente provvedimento di salvaguardia, oggetto dei motivi aggiunti di gravame.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie, nei termini di cui in motivazione, e, di conseguenza, annulla il punto 2) del dispositivo della deliberazione consiliare n. 20 dd. 8.3.2004, in uno con le disposizioni delle premesse e degli allegati, che ne costituiscono il presupposto, nonché il provvedimento dirigenziale prot. n. 2004/76548 dd. 3.5.2004.
Condanna l’amministrazione intimata al rimborso delle spese e competenze giudiziali a favore della ricorrente, che liquida in complessivi € 2500 (duemila cinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 14 luglio 2004.
f.to Vincenzo Sammarco - Presidente
f.to Enzo Di Sciascio - Estensore
f.to Eliana Nardon - Segretario
Depositata nella segreteria del Tribunale
il 2 settembre 2004
f.to Eliana Nardon