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Consiglio di Stato sez. VI – sentenza 10 dicembre 2002 n. 6586 |
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello proposto da WIND Telecomunicazioni S.p.a. con sede in Roma rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Sartorio e Luca Di Raimondo ed elettivamente domiciliata in Roma, via della Consulta n. 50; contro il Comune di Ceglie Messapica, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Bruno Belli presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste n. 87; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Lecce, Sez. I, 6 marzo 2002, n. 1027. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune appellato; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 10 dicembre 2002 il Consigliere Lanfranco Balucani e uditi, altresì, l’Avv. Di Raimondo, l’Avv. Sartorio e l’Avv. Magno per delega dell’Avv. Belli; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Con ricorso giurisdizionale proposto dinnanzi al TAR Puglia, sede di Lecce, la Wind Telecomunicazioni S.p.a. impugnava il Regolamento per l’istallazione, la modifica e l’adeguamento delle stazioni radio base per telefonia cellulare approvato dal Comune di Ceglie Messapica con delibera del Commissario prefettizio 25.7.2001, n. 24, nonché gli atti soprassesori e i provvedimenti di diniego adottati dallo stesso Comune sulla istanza della società volta ad installare impianti di telecomunicazioni. Il TAR adito con sentenza 6 marzo 2002 n. 1027 respingeva il ricorso avendo ritenuto infondati tutti i motivi con i quali la ricorrente società impugnava la procedura seguita per l’approvazione del regolamento e le singole norme regolamentari che limitavano la possibilità di installare gli impianti per la telefonia cellulare. Avverso l’anzidetta pronuncia la società ha rinnovato le censure già prospettate nel giudizio di primo grado, deducendo i seguenti motivi: 1) Con l’entrata in vigore della L. 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sull’elettromagnetismo) non risultano attribuiti ai Comuni poteri autonomi in materia di tutela della salute da ipotizzabili fonti di inquinamento elettromagnetico. Il regolamento adottato dal Comune è pertanto illegittimo non potendo essere esercitato alcun potere regolamentare (volto a introdurre divieti e limiti in tema di installazione di impianti per telefonia cellulare) prima che apposite leggi regionali, ai sensi dell’art. 8, 1° comma, abbiano individuato tra l’altro, i siti di trasmissione e prima che siano stati adottati il decreto presidenziale di cui all’art. 4, 2° comma, ed il regolamento governativo di cui all’art. 5, 1° comma. 2) La sentenza appellata è erronea e contraddittoria in quanto da un lato il regolamento è ritenuto applicabile anche alle istanze presentate prima della sua adozione, dall’altro si esclude però che esso possa essere assimilato ad un regolamento di natura edilizia. In realtà tale regolamento si pone come modifica del vigente regolamento edilizio comunale o addirittura del vigente PRG, per cui la relativa procedura non poteva prescindere dalla approvazione regionale. 3) La sentenza appellata è erronea nella parte in cui ritiene il ricorso ammissibile limitatamente alla impugnativa delle disposizioni del Regolamento applicate nella fattispecie. 4) E’ altresì erronea laddove ritiene inammissibili <<tutte le censure appuntate contro tutte le disposizioni dell’impugnato regolamento, diverse da quelle espressamente richiamate dal Comune per esprimere il proprio diniego, rispetto ai chiesti titoli abilitativi>>. 5) Il regolamento ha travolto i “tetti di radiofrequenza” fissati a livello statale, introducendo limiti di esposizione ancora più restrittivi, in aperta deroga a quanto stabilito dal D.L. n. 381/1998. 6) La sentenza appellata non può essere condivisa allorché esclude che le opere afferenti la realizzazione di impianti per telefonia cellulare rientrino tra le opere di urbanizzazione primaria (compatibili con ogni tipo di zonizzazione). 7) I provvedimenti impugnati in primo grado hanno prodotto gravi danni alla WIND, per cui il Comune deve essere condannato al risarcimento degli stessi ex art. 35 D.lgs. n. 80/1998. Il Comune appellato si è costituito in giudizio ed ha contestato la fondatezza dei motivi di gravame instando per la reiezione dell’appello. DIRITTO Con la sentenza appellata il TAR ha ritenuto la legittimità del regolamento adottato dal Comune di Ceglie Messapica con delibera del Commissario prefettizio 25.7.2001, n. 24 per disciplinare la istallazione di impianti di telefonia cellulare nell’ambito del territorio comunale. Nell’esame dei motivi di appello prospettati avverso la anzidetta sentenza viene anzitutto in rilievo la questione della sussistenza, in capo al Comune, del potere di introdurre divieti e limiti in tema di installazione di impianti di telefonia cellulare. Per esattamente valutare le censure riproposte dalla appellante Wind Telecomunicazioni S.p.a. nei confronti di detto regolamento – che preclude la realizzazione della stazione radio-base progettata dalla società – occorre premettere che il regolamento in questione è stato emanato per il dichiarato scopo di garantire la tutela della pubblica salute da fonti di inquinamento elettromagnetico e segnatamente per <<minimizzare gli effetti della esposizione della popolazione e del relativo inquinamento>>, secondo quanto espresso nelle premesse della delibera di approvazione. In vista di tale finalità esso prevede: - che la istallazione degli impianti di telefonia cellulare sia consentita solo nelle zone E, semprechè per un raggio di cinquanta metri non vi siano abitazioni o immobili con permanenza umana di almeno otto ore al giorno; - che è comunque vietata la istallazione degli impianti su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, nonché a distanza inferiore a duecento (o cento) metri; - che siano osservati “obbiettivi di qualità” più rigorosi rispetto a quelli fissati con il D.M. 10 settembre 1998, n. 381; - che la istallazione, come pure la modifica o l’adeguamento degli impianti sia in ogni caso soggetta al rilascio di apposita concessione edilizia (nel rispetto del regolamento comunale). Ciò posto, si tratta di stabilire se le suindicate previsioni, sulle quali si appuntano le censure della società appellante, rientrino o meno nel potere regolamentare attribuito al Comune dell’art. 8 ult. comma della L. 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sull’elettromagnetismo) <<per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici>>. Al riguardo la Sezione ha già avuto modo di osservare che la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con il D.M. 381/1998) non rientra nell’ambito delle competenze attribuite ai Comuni dal citato art. 8. Ma alla stregua della disposizione in esame nemmeno è consentito che il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adotti <<misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale>>; ovvero di introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc….) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo (cfr. in tal senso Cons. St. VI, 3 giugno 2002, n. 3095). In definitiva la attribuzione ai Comuni di un potere regolamentare volto a <<minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici>> (oltre che <<per assicurare il coretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti>>) deve essere esercitato pur sempre nel rispetto del quadro normativo di riferimento. Ne consegue che non può il regolamento comunale sovrapporre un proprio autonomo sistema di cautele (per prevenire i rischi dell’elettromagnetismo) alla specifica normativa statale che ha fissato i limiti delle esposizioni. Il regolamento oggetto di impugnativa risulta viziato per un ulteriore profilo, denunciato con il primo motivo di appello La concreta esplicazione del potere regolamentare attribuito ai Comuni presupponeva infatti che le Regioni avessero provveduto – nel rispetto degli standards fissati dallo Stato, e fatte salve le competenze dello Stato e delle Autorità indipendenti – a porre in essere una serie di atti normativi previsti dallo stesso art. 8 L. n. 36, e, tra questi, quelli necessari a disciplinare <<l’esercizio delle funzioni relative alla individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti di telefonia mobile>> (comma 1°, lett. a); <<le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla istallazione degli impianti>> (lett.b); <<la individuazione degli strumenti e delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità>> (lett. e). Le Regioni erano inoltre chiamate, ai sensi del 4° comma, art. 8 cit., a definire, con riferimento alle materie indicate al precedente 1° comma, <<le competenze che spettano alle province e ai comuni>>. A fronte della necessaria preventiva determinazione del ruolo riservato ai Comuni non può certo ritenersi che siffatta funzione sia stata assolta (come invece adombrato nella sentenza appellata) dalla previgente L.R. Puglia 20 novembre 2000, n. 17, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia ambientale”, che al titolo V si occupava di <<inquinamento elettromagnetico>>. La anzidetta legge regionale non abilitava i Comuni a introdurre normative ulteriori e più restrittive a protezione della salute pubblica, ma conferiva agli stessi (con l’art. 21) limitati compiti meramente amministrativi di organizzazione finalizzati a garantire il rispetto dei criteri e dei valori fissati dallo Stato (con il D.M. n. 381/1998) e gli ulteriori obiettivi di qualità individuati dalla Regione. Per concludere sul punto si appalesa fondata la censura dell’appellante secondo cui il potere regolamentare attribuito al Comune, ex art. 8 L. n. 36/2001, non avrebbe potuto essere esercitato se non previa definizione, da parte della legge regionale, delle competenze spettanti allo stesso Comune (in tal senso anche il Cons. St. V, 18 novembre 2002, n. 6391). Occorre aggiungere che anche il motivo con cui si deduce un vizio procedimentale del regolamento “de quo” appare fondato. Ove si consideri infatti che detto regolamento in quanto innova il regime della concessione edilizia (alla quale è sottoposta la realizzazione di qualsivoglia impianto di telefonia cellulare), e viene ad incidere sulla stessa normativa di zona (con riguardo alla localizzazione degli impianti) introduce in definitiva vere e proprie modificazioni nel regolamento edilizio comunale, se non nello stesso Piano regolatore vigente. Ed in relazione a tali effetti non si poteva prescindere - come invece è stato fatto – dalla prescritta approvazione regionale. Per quanto precede l’appello in esame deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado avverso l’impugnato regolamento comunale. Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio tra le parti in causa. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello in epigrafe indicato nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2002 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: Giorgio GIOVANNINI Presidente Sergio SANTORO Consigliere Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere Giuseppe ROMEO Consigliere Lanfranco BALUCANI Consigliere Est.
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