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T.A.R. Pescara 272/2002

                                                                           

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER L’ABRUZZO SEZIONE STACCATA DI PESCARA

 

composto dai magistrati:

dott. Antonio Catoni                                            Presidente

dott. Mario Di Giuseppe                                     consigliere relatore

dott. Dino Nazzaro                                              consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1154  del 1998 , proposto dalla società COSTRUZIONI s.n.c. di CAMPERCHIOLI & D’ATTILIO, con sede in Montesilvano, in persona dell’Amministratore pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. Fernando Di Benedetto e Giuseppe Bruno, presso gli stessi elettivamente domiciliato in Pescara, via Conte di Ruvo n.74 ;

CONTRO

COMUNE di CITTA’ SANT’ANGELO , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Cerceo, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Pescara, via Fabrizi n. 31 ;

per l’annullamento

del provvedimento 23.11.1998 n.17659 del Dirigente dell’area tecnica del Comune di Città Sant’Angelo, relativo a diniego di concessione edilizia, nonché degli atti connessi ivi compresi i pareri richiamati.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto  l’ atto  di costituzione in giudizio del predetto Comune;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 6.12.2001, il cons. Di Giuseppe;

Uditi l’avv. Di Benedetto  per la parte ricorrente e l’avv. Cerceo  per la parte resistente ;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

La snc COSTRUZIONI di Camperchioli e D’Attilio, con sede in Montesilvano, in quanto proprietaria di un terreno in località Marina del Comune di Città Sant’Angelo, distinto in catasto al foglio 19, patricelle 16-642-643-645, di superficie complessiva di mq.1368, su cui insiste un fabbricato rurale fatiscente, dopo aver frazionato l’area in due lotti di superficie, rispettivamente, di mq.723 e mq.645, chiedeva concessione edilizia per realizzare due distinti edifici ad uso abitativo di volumetria pari, rispettivamente, a mc.1608,39 e mc.1560,63, secondo distinti progetti all’uopo redatti e presentati il 24.11.1997 a corredo della originaria domanda del 15.2.1995.

La Commissione edilizia comunale, acquisiti documentazione e parere legale al riguardo ed effettuato sopralluogo, infine, esprimeva parere contrario nella seduta del 19.11.1998.

Seguiva il provvedimento 23.11.1998 n.17659 del Dirigente dell’Area Tecnica del Comune che, richiamato il parere CEC ed il parere legale, negava la concessione edilizia per vari motivi ivi elencati, fra cui in particolare quello relativo alla violazione dell’art.33 NTA per superamento del volume massimo di mc.2000 consentito nella zona.

Tale provvedimento negativo veniva dall’interessata impugnato con ricorso notificato il 14.12.1998 e depositato il 30.12.1998 ( n.1154/98 reg.gen.) per i seguenti motivi:

I-violazione e falsa applicazione degli artt.7 e segg. della legge n.241 del 1990, poiché all’interessata non è stata data comunicazione della richiesta di parere legale, mentre sarebbero state utili le delucidazioni provenienti dalle osservazioni che la stessa avrebbe potuto presentare in fase partecipativa al procedimento;

II-violazione e falsa applicazione dell’art.33 NTA del PRG, nonché eccesso di potere per carente istruttoria, erronea e falsa rappresentazione dei fatti, perplessità ed assenza dei presupposti, poiché per la zona in questione è prevista una edificabilità eccezionale, consentendosi un indice assai favorevole, sicchè la disciplina urbanistica della zona è il contrario di quanto ritenuto dal parere legale posto a fondamento del provvedimento.

Il ricorso conclude anche per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patito per l’illecito comportamento del Comune e per l’illegittimità del procedimento e degli atti impugnati.

Con memoria datata 21.11.2001 la difesa della ricorrente ha ulteriormente argomentato a sostegno del ricorso.

Per resistere si è costituito in giudizio il predetto Comune la cui difesa, con memorie datate 12.1.1999 e 21.11.2001, ha controdedotto nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione.

In sede cautelare, con ordinanza 14 gennaio 1999 n.21, il TAR ha respinto la domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.

D I R I T T O

Il ricorso in esame non può trovare accoglimento.

Il diniego di concessione edilizia impugnato si basa, fra l’altro ed essenzialmente, sulla considerazione che la progettata costruzione di due distinti edifici sul terreno preventivamente frazionato in due lotti, ciascuno a servizio di ognuno dei due edifici, contrasta con l’art.33 NTA del PRG nella parte in cui consente di realizzare un volume complessivo massimo di mc.2000.

L’art.33 cit.,infatti, disciplina l’edificazione nelle “zone residenziali sature A”, in cui ricade il terreno di che trattasi, prescrivendo, fra l’altro, che “Dovrà comunque rispettarsi un indice di occupazione del lotto di pertinenza non superiore al 50%. Si specifica che i parametri di P.d.F. e quelli di cui alla presente norma trovano applicazione per tutte le aree libere ricomprese nelle zone sature anche con diversa destinazione del P.d.F.. A tal fine si stabilisce che l’edificazione è consentita anche su lotti di misura inferiore al lotto minimo previsto in zona B1 di P.d.F.. Ma comunque non inferiori a mq.400. Si precisa altresì che il volume max per ogni lotto è pari a mc.2000”.

Orbene, la società interessata, una volta acquistata la proprietà del lotto di terreno su cui insiste un fabbricato fatiscente, ha proceduto al relativo frazionamento, ricavandone due distinti lotti; quindi, ha presentato due distinti progetti per costruire due distinti edifici che complessivamente realizzano un volume di mc.3168 circa.

In tal modo, quello che originariamente era un unico lotto su cui, in base all’art.33 cit., poteva realizzarsi una volumetria massima di mc.2000, attraverso il frazionamento in due lotti, viene ad essere sfruttato per una volumetria complessiva che supera di oltre il 50% quella massima consentita.

Senonchè, un tal modo di procedere non è consentito al proprietario che intenda costruire su un’area in zona residenziale satura.

Invero, la giurisprudenza ha ritenuto, in fattispecie analoga, che nel caso in cui un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, ove sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui è stato frazionato il detto fondo hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota d’acquisto (Cons. St., Sez.IV, 16 febbraio 1987 n.91).

Da tale indirizzo giurisprudenziale, il Collegio trae il principio secondo cui, attraverso lo stratagemma del successivo frazionamento di un fondo originariamente unico, non può realizzarsi una volumetria maggiore del limite massimo di densità volumetrica stabilito, per il fondo originario, dallo strumento urbanistico in relazione ad una determinata zona, così da aggirare la normativa di piano.

Tale è, ad avviso del Collegio, il significato dell’espressione “si precisa altresì che il volume max per ogni lotto è pari a mc.2000” contenuta nell’art.33 cit., così come tale è il significato dell’espressione “risulterebbe, nel caso di specie, violata la disposizione dell’art.33 NTA, relativa al volume max 2000 consentito” contenuta nell’ultimo capoverso della motivazione dell’atto impugnato.

Tanto comporta che il secondo motivo di ricorso è infondato laddove sostiene che il diniego di concessione edilizia impugnato viola l’art.33 delle NTA del PRG, con la conseguenza che tale diniego resta validamente e legittimamente basato su detta ragione principale, avente carattere assorbente rispetto agli altri motivi di minor rilievo, pure censurati, dall’esame dei quali il Collegio ritiene, quindi, di poter prescindere.

Infondato deve essere valutato anche il primo motivo di ricorso che sostiene che l’Amministrazione procedente ha violato gli artt.7 e segg. della legge n.241 del 1990 per non aver avvisato l’interessata della richiesta di parere legale sulla sua domanda di concessione edilizia, così da darle modo di presentare osservazioni e chiarimenti con riguardo alle questioni prospettate nella stessa richiesta di parere.

Ad avviso del Collegio tale pretesa non può essere condivisa, giacchè il parere che l’Amministrazione richiede ad un legale di fiducia trae origine da un rapporto privatistico normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente e mira a fornire all’Ente tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi, anche in vista di un ipotetico contenzioso futuro. Pertanto, non appare condivisibile la pretesa di essere avvisati della richiesta di parere legale e di conoscere preventivamente il contenuto dei quesiti posti dall’Amministrazione al proprio legale, onde inserirsi, mediante una sorta di contraddittorio, nel predetto rapporto riservato.

D’altronde, ciò che è tutelato dalla legge n.241 del 1990, invocata da parte ricorrente, consiste nel diritto dell’interessato di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare se pertinenti (art.10), mentre è prescritto l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento all’interessato (art.7), obbligo che non sussiste allorchè il procedimento inizi su impulso di parte (come nel caso di domanda di concessione edilizia), ma non è prescritto alcun obbligo di comunicare l’inizio di ciascuna fase del procedimento che, come quella relativa alla richiesta di parere legale, abbia carattere endoprocedimentale (oltre che riservato).

Per le argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto.

Deve essere respinta anche la domanda di risarcimento danni con lo stesso proposta, mancando questa, sia del presupposto logico consistente nella illegittimità dell’atto impugnato, sia della prova della illiceità del comportamento tenuto dall’Amministrazione nel procedimento seguito al riguardo.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo-Sezione Staccata di Pescara respinge il ricorso in epigrafe indicato. Respinge la domanda di risarcimento danni.

Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Città Sant’Angelo, delle spese del giudizio che liquida in complessive L.3.000.000 (lire tremilioni).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 6 dicembre 2001.

Antonio Catoni presidente

Mario Di Giuseppe estensore

 

Il Segretario d’udienza

 

Pubblicata mediante deposito in Segreteria in data 22.02.2002

Il Direttore di Segreteria