T.A.R. Lecce 1042/2002 |
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. I^ di Lecce composto dai signori magistrati: Aldo Ravalli
Presidente Paolo Severini Componente Maria Ada Russo
Componente relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso n. 1433/01 proposto
da Bruno Luigi, rappresentato e difeso dagli Avv.ti
Bacile e Rizzo, ed elettivamente domiciliato in Lecce presso lo
studio Bacile in via V. Veneto 280; CONTRO Comune di Ugento, rappresentato e difeso dall’Avv. Liviello ed elettivamente
domiciliato in Lecce presso il suo studio, Via 95° Reggimento Fanteria
n.1; per l’annullamento della
nota prot. n. 2086 del 5.2.2001, notificata in data 6.2.2001, con cui il
Dirigente dell’area urbanistica ha determinato di sospendere
l’efficacia della DIA prot. n. 15787 del 18.12.2000, relativa
all'immobile di proprietà del sig. Bruno; Visto
il ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti tutti di causa; Data per letta, alla pubblica udienza del 10 gennaio 2002, la
relazione della dott.ssa Maria Ada Russo e udito altresì l’Avv.
Bacile Pantaleo Ernesto e l’Avv. Angelo Vantaggiato, in sostituzione
dell’Avv. Mario Livello; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: Ritenuto
in fatto Il
ricorrente è proprietario di un’area sita in agro di Ugento sulla
quale ha realizzato una costruzione destinata ad attività artigianale;
successivamente il medesimo ricorrente ha destinato a locale commerciale
il vano già destinato ad ufficio, ricadente nel locale artigianale ed
ha presentato una richiesta di DIA, nella quale è stato evidenziato
come il “cambio di destinazione d’uso richiesto da ufficio a locale
commerciale non prevede alcuna esecuzione di opere ma solo e
semplicemente la diversa destinazione del vano, già destinato ad
ufficio e a rapporti con la clientela”. Tuttavia,
con il provvedimento impugnato, in data 5.2.2001 è stato comunicato al
ricorrente – sospendendo l’efficacia della DIA
prot. n. 15787 del 18.12.2000 – che “il cambio di
destinazione d’uso pur senza opere deve risultare conforme alla
destinazione di zona (nel caso specifico l’attività commerciale non
risulta prevista dalle NTA delle zone E/9 del PRG di Ugento) nonché non
avvenire tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico con diversi regimi urbanistici- contributivi, ciò sia in
riscontro della variazione degli standards urbanistici sia in merito al
recupero degli oneri nella misura massima corrispondente alla nuova
destinazione intervenuta nei 10 anni successivi all’ultimazione dei
lavori”. L’interessato
eccepisce i seguenti motivi di ricorso: 1.
violazione
di legge; violazione art. 25 u.c. legge 47/85 così come modificato
dall’art. 2, comma 60, legge 662/96; violazione di generali principi
in tema di assenso edilizio
relativo a mutamenti di destinazione d’uso; eccesso di potere; difetto
istruttorio; perplessità e contraddittorietà dell’atto
amministrativo. (In particolare, il ricorrente precisa che devono distinguersi
l’ipotesi del mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie
(sottoposto a mera autorizzazione in presenza di norma regionale di
riferimento) e quello con opere (che invece necessita di concessione
edilizia). Sostiene ancora il ricorrente che
– in mancanza di legge regionale (come nel caso della regione Puglia)
– non “può impedirsi il cambio di destinazione d’uso se non
previa accurata analisi della compatibilità dello stesso con
l’ambiente e la salute dei cittadini ….mentre nel caso di specie si
tratta del cambio di uso di un piccolo vano di mq. 13,50 da ufficio a
locale commerciale”.Infine, in relazione alla variazione degli
standards urbanistici, l’interessato ritiene che “l’incidenza
della variazione d’uso non è rapportabile all’interno degli
standards previsionale, che invece attengono alla pianificazione
territoriale, ma solo ed esclusivamente alla destinazione in concreto
perpetrata nell’uso in senso edilizio dell’immobile ….e poi semmai
si sarebbe dovuto procedere al pagamento degli oneri per la diversa
destinazione d’uso dell’immobile nella misura dovuta”). Con
memoria depositata il 18 giugno 2001 si è costituito il Comune di
Ugento. a)
nella stessa è stato specificato che “ai fini del ricorso alla
DIA è necessario che l’immobile non sia sottoposto ad alcun tipo di
vincolo di tutela ambientale giusta la disposizione di cui all’art. 4,
comma 8, del DL 398 del 1993 (nella specie l’immobile del ricorrente
ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico); inoltre, la
variazione d’uso di una parte dell’immobile del ricorrente – da
locale artigianale a locale commerciale – implicherebbe comunque il
passaggio ad un diverso regime urbanistico contributivo e, quindi, esso
non potrebbe farsi senza il recupero degli oneri concessori”. b)
infine, il Comune resistente ha precisato che “nelle zone verdi
di rispetto E/9 il Prg comunale vieta qualsiasi tipo di insediamento
edilizio, considerando preminente l’esigenza di salvaguardia
ambientale e, in ultimo, il
fabbricato de quo ricade nell’ambito di una zona completamente priva
di infrastrutture tanto da rendere il nuovo insediamento assolutamente
incompatibile con la destinazione urbanistica della zona”. Infine,
in data 28 dicembre 2001, il ricorrente ha depositato memoria conclusiva
nella quale ha specificato di non accettare il contraddittorio in
relazione alla prima argomentazione di parte difensiva in quanto
sarebbe, a suo avviso, inammissibile il riferimento ad un preteso
vincolo paesaggistico. Nella
stessa ha, ulteriormente, precisato che: a)
l’insediamento edilizio esiste ed è oggetto di condono; b
)la variazione d’uso riguarda un piccolo spazio di circa mq 13
già adibito ad ufficio che manterrebbe sostanzialmente i propri arredi
con l’aggiunta di uno stand rimovibile ove sarebbero alloggiati i
pneumatici offerti in vendita ai clienti, ovvero di una vettura
dimostrativa (in conclusione,
sostiene il ricorrente che l’entità della superficie del mutamento di
destinazione d’uso sarebbe irrilevante ai fini del carico urbanistico
e non comporterebbe alcun passaggio a diverso regime urbanistico
contributivo). Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica
udienza del 10.1.2002.
Considerato in diritto La
controversia concerne questione di mutamento di destinazione d’uso di
immobile (da ufficio a locale commerciale) in zona E/9 del Prg del
Comune di Ugento. L’interessato
eccepisce i seguenti motivi di ricorso: violazione di legge; violazione
art. 25 u.c. legge 47/85 così come modificato dall’art. 2, comma 60,
legge 662/96; violazione di generali principi in tema
di assenso edilizio relativo a mutamenti di destinazione d’uso;
eccesso di potere; difetto istruttorio; perplessità e contraddittorietà
dell’atto amministrativo. Il ricorso è fondato. La
questione dell’ammissibilità del predetto mutamento di destinazione
d’uso impone una riflessione a monte piuttosto ampia ed estesa circa i
limiti intrinseci (e per così dire impliciti) della pianificazione
urbanistica e territoriale; in altre parole, occorre chiedersi se,
quando e quanto sia possibile <<espandere>> e rendere
flessibili le previsioni degli strumenti urbanistici. Tradizionale
dottrina e giurisprudenza insegnano che la pianificazione riguarda sia
gli aspetti di assetto del territorio, con profili anche non
propriamente urbanistici, che
quelli urbanistici in senso
stretto. In
ogni caso, la ratio della
pianificazione è rinvenibile nell’aspirazione all’ordine e alla
globalità della totalità del territorio di riferimento e a garanzia
della stabilità delle previsioni urbanistiche e del relativo
affidamento del cittadino. E’
evidente che le Autorità – nello svolgimento del loro ruolo di governo del territorio – oltre a vedere
correlarsi naturalmente l’attività urbanistica e quella di
programmazione economica (cosa che, in alcuni casi, ha determinato un
incremento dei contenuti di dettaglio dei vari piani) – sono
consapevoli anche dell’evoluzione continua della situazione originaria
degli assetti. Tanto
premesso, è parimenti evidente che l’esigenza di ordine e globalità
della disciplina– per
evitare punti di rottura - deve essere controbilanciata da una certa
mobilità in relazione alle concrete esigenze di volta in volte espresse
dal contesto e dagli operatori privati e socio-economici interessati
(tanto spiega eventuali meccanismi derogatori o aggiuntivi per adeguare
le sfasature tra le previsioni di piano e gli assetti territoriali). Pure
la tradizionale distinzione in zonizzazioni e localizzazioni non deve
essere ingessata in rigidi schemi e meccanismi e deve, pertanto, essere
collegata con le situazioni di fatto ed i complessivi delicati aspetti
di ordine fisico, storico e socio-economico. Più
in dettaglio e per limitare le considerazioni ad una trattazione meno
generalizzata e più attinente al caso di specie, anche la distinzione
tra aree edificate e non edificate (zone agricole) è intesa, specie di
recente, dalla giurisprudenza in un senso meno rigido e maggiormente
flessibile, pur nel rispetto del principio del razionale e ordinato
sfruttamento del territorio di riferimento. Ad
esempio, per quanto da un lato le zone agricole (E) mantengono la loro
peculiare funzione di tutela del valore ambientale e di polmone verde,
d’altro canto, le stesse, in sede di legislazione regionale, vengono
anche considerate come zone produttive
e non vengono
limitate all’esercizio effettivo dell’agricoltura e dei suoi
interessi, ma sono volte ad evitare ulteriori insediamenti edilizi,
pregiudizievoli per l’equilibrio complessivo del territorio. Sul
punto, la giurisprudenza ha chiarito che la destinazione a verde
agricolo ben può essere diretta ad assicurare il bilanciamento tra aree
edificate e non (cfr., Cons. Stato, sez. IV, n. 581 del 1 giugno 1993;
sez. V, n. 968 del 28 settembre 1993; sez. IV, n. 464 dell’11 giugno
1990). A
prescindere da eventuali problemi di costituzionalità delle riserve a
destinazioni di zona (in passato sollevati e risolti dalla Corte
Costituzionale –cfr. Corte Costituzionale n. 789 del 23 giugno 1988)
una questione interessante, che costituisce anche uno dei profili più delicati, è quella del rapporto tra la destinazione a
zona agricola e le eventuali attività compatibili. La
verifica di questo profilo comporta delle significative conseguenze
sulla soluzione dei problemi relativi al mutamento di destinazione
d’uso. Partendo
sempre dalla precisazione che la destinazione a zona agricola non può
restringersi alla sola coltivazione del fondo e che la stessa preclude
gli insediamenti residenziali tout
court, si ritiene che il
problema cui si accennava prima (del mutamento di destinazione) deve
essere risolto in base a principi di carattere generale; in altre
parole, sono ammissibili tutte quelle attività integrative e aggiuntive
o migliorative che non si pongono insanabilmente in
contrasto con la zona e con la sua destinazione. Al
riguardo, il concetto di <<contrasto>> va inteso utilizzando
il criterio della prevalenza della
destinazione (utilizzato anche in ambito comunitario) sullo svolgimento
delle altre attività. E’
appena il caso di precisare che sono stati ritenuti ammissibili in zona
agricola una serie di interventi (a titolo esemplificativo, si
richiamano: deposito di esplosivi, discariche, e impianti
idroelettrici). Peraltro, è sempre necessaria una valutazione caso per
caso relativa alla compatibilità; tuttavia, siffatta operazione
dimostra e conferma la sussistenza di una certa flessibilità dello
strumento di pianificazione (oltre che la sua opportunità). Ad
esempio, si ritiene che i casi di destinazione ad insediamenti
industriali implicano l’esclusione, dalle relative zone, di
costruzioni diversamente caratterizzate (abitative, per esempio). Invece,
nelle altre zone devono essere di volta in volta effettuate delicate
valutazioni, considerati una serie di elementi (caratteri e limiti da
osservare con riguardo all’edificazione in relazione ad altezze,
distanze e rapporti tra scoperto e coperto) Mutatis
mutandis, le
stesse considerazioni fin qui svolte valgono anche in relazione alla
ammissibilità del mutamento d’uso (o di destinazione d’uso)
su una concessione già rilasciata (e, pertanto, in ordine a fabbricati
già esistenti, ma inseriti in una determinata zona e destinazione di
zona). In
proposito, prima di richiamare la normativa specifica sul tema, si deve
precisare che, ad avviso del Collegio - valorizzando il concetto
di un ampio godimento degli immobili da parte dei proprietari, che trova
la previsione costituzionale dell’art. 42 – possono ritenersi
ammissibili quei mutamenti che – nell’ottica di un
<<arricchimento dei contenuti degli strumenti urbanistici di
pianificazione>> e fermo restando il rispetto dei principi
generali di base - non comportino uno stravolgimento così significativo
della destinazione di zona ed una incompatibilità intollerabile
rispetto alla ratio della previsione originaria dello strumento urbanistico di
regolazione del territorio. Appare
opportuno, a questo punto, richiamare la normativa in materia di
mutamento di destinazione d’uso. L’art.
1 della legge n. 10/77, in ordine alla trasformazione urbanistica del
territorio e concessione di edificare, prevede che <<ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la
esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del
sindaco, ai sensi della presente legge>>. L’art.
25 della legge n. 47 del 1985, relativo alla semplificazione delle
procedure, nel testo modificato dall'art. 4, D.L. 5 ottobre 1993, n. 398
e sostituito dall'art. 2, comma 60, L. 23 dicembre 1996, n. 662,
stabilisce all’ultimo comma che <<le
leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti,
subordinare a concessione, e quali mutamenti, connessi e non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti siano
subordinati ad autorizzazione>>.. L'art.
25 legge cit. ha, in sostanza, demandato alle Regioni la predisposizione
dei criteri della eventuale «...regolamentazione, in ambiti determinati
del proprio territorio, delle destinazioni d'uso degli immobili, nonché
dei casi in cui per la variazione di esse sia richiesta la preventiva
autorizzazione del sindaco. La mancanza di tale autorizzazione
comporta... le sanzioni... ed il conguaglio del contributo di
concessione se dovuto». Peraltro,
anche l’art. 8 della stessa legge, relativo alla determinazione delle
variazioni essenziali, dispone che <<le
Regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto
approvato …. tenuto conto che l'essenzialità ricorre esclusivamente
quando si verifica una o più delle seguenti condizioni>>
tra le quali alla
<<lettera a) mutamento della destinazione d'uso che implichi
variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile
1968 pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968…>>. Infine,
l’art. 4, comma 7, del D.L. n. 398/93 alla lettera e) disciplina la
denuncia di inizio di attività. In
giurisprudenza con una
analisi puntuale ed attenta- è stata ricostruita la ratio
della legge n. 47 del 1985 in relazione alla formulazione dell'art. 1
della legge n. 10 del 1977 (che allargava l'ambito dell'attività
edilizia dalle singole costruzioni alla «trasformazione del territorio»),
ed è stato precisato che la legge del 1985, senza grande chiarezza,
tendeva a recuperare gli aspetti positivi di due posizioni dottrinarie
che si erano affermate all’epoca (si fa riferimento ad un primo
orientamento più aderente
allo spirito ed alla lettera della legge n. 10 del 1977, che estendeva
sotto il controllo pubblicistico «...ogni
attività comportante trasformazione urbanistica...» e ad un secondo
indirizzo, ancorato all'impianto originario della legge n. 1150 del
1942, e riconducibile ad
una visione più «statica» dell'urbanistica che legava strettamente il
momento della licenza edilizia all'esecuzione di opere; in base a questa
seconda impostazione la costruzione esaurirebbe temporalmente la
funzione della previsione urbanistica che tornerebbe in rilievo
solamente nel caso di modificazioni strutturali.) Orbene,
la Regione Puglia non ha emanato la relativa normativa La
giurisprudenza (ex multis,
T.a.r. Campania, sez. I, 30-10-1992, n. 382) ha chiarito che possono
aversi due distinte situazioni: 1)se
la disciplina urbanistica permette in una certa zona più utilizzazioni,
non si versa nel caso di «trasformazione urbanistica del territorio»
ai sensi dell'art. 1 della legge n. 10 del 1977 quando si ha allocazione
di una di queste in un immobile senza far ricorso ad opere (è infatti
evidente che in tali casi la previsione di una pluralità di possibili
attività nell'ambito del comparto sia preceduta da una previa
valutazione delle compatibilità socio-territoriale delle stesse con il
tessuto urbanistico e conseguentemente, qualora venga posta in essere
un'attività consentita dalla normativa urbanistica, non è necessaria né
concessione, né autorizzazione al mutamento funzionale di destinazione
in quanto la stessa disciplina pianificatoria attribuisce in via
generale ai proprietari di immobili di utilizzare liberamente gli stessi
nell'ambito delle attività consentite); 2)
se invece il mutamento riguarda una delle attività non ammesse dalla
disciplina di zona si deve distinguere a seconda se la Regione abbia
emanato o meno i criteri
per la regolamentazione delle destinazioni d'uso degli immobili di cui
all’art. 25 citato (a:nella prima ipotesi è possibile far luogo
all'autorizzazione edilizia, previo conguaglio degli oneri di
urbanizzazione, se dovuti, se la variazione di destinazione richiesta
sia compatibile con gli usi ammessi in deroga alla disciplina dell'area;
b:nella seconda ipotesi non è in
ogni caso possibile modificare ad
libitum le destinazioni d'uso degli immobili in contrasto con le
disposizioni del regolamento edilizio in quanto in tale ipotesi manca la
norma che legittima usi diversi in deroga alle norme regolamentari
valide ed efficaci quali quelle del regolamento edilizio). Nel
secondo caso (Regione che non emana i relativi criteri) non vi è dubbio
che la normativa urbanistica di zona costituisce un limite al cambio di
destinazione d’uso; tuttavia, se si accede all’impostazione della
naturale capacità espansiva degli strumenti urbanistici – se pure in
limitati casi e senza portare il principio a conseguenze aberranti –
tale limite non appare insuperabile. Da
un lato è copiosa la giurisprudenza che menziona la “normativa
urbanistica di zona” o “lo strumento urbanistico nell’ambito della
zona”. D’altro
canto è vero però che gli orientamenti giurisprudenziali, specie
recenti, valorizzano il concetto di <uso compatibile e valutazione
concreta della compatibilità degli interventi edilizi>. In
altre parole, il Collegio ritiene che possa aversi una situazione nella
quale: 1)l’intervento
edilizio progettato è volto a realizzare
opere di impatto poco significativo e incidente sul territorio in minima
parte (l’ipotesi è assai vicina al mutamento di destinazione d’uso
senza ricorso ad opere); 2)in
relazione a queste si deve
valutare la compatibilità concreta con la destinazione di zona, avuto
riguardo anche ad eventuali insediamenti preesistenti di altro tipo. Tanto
precisato: a)da
un lato, il Consiglio di Stato (C. Stato, sez. V, 21-07-1995, n. 1113)
ritiene che il mutamento d'uso non collegato a lavori di modifica o a
modificazioni del progetto in corso d'opera, non ha di per sé rilievo
ai fini urbanistici, restando in ogni caso urbanisticamente indifferente
il passaggio da una ad altra destinazione d'uso rientrante nelle varie
destinazioni d'uso consentite dallo <<strumento urbanistico
nell'ambito della zona>>. Altra
giurisprudenza (cfr., C. Stato, sez. V, 09-02-1996, n. 146) ha ritenuto
che, nel caso in cui la <<normativa urbanistica di zona>>
non consenta il mutamento di destinazione d'uso di un immobile, le
convenzioni intervenute tra il privato ed il comune anche in epoca
anteriore, non possono costituire deroga alla normazione urbanistica, in
quanto gli strumenti urbanistici successivi sono idonei tanto a limitare
le facoltà di un soggetto già destinatario di una concessione
edilizia, quanto ad influire sull'interpretazione e sull'attuazione
delle disposizioni contenute nella convenzione. Nello
stesso senso anche T.a.r. Sicilia, sez. Catania, 27-10-1994, n. 2377 in
base al quale, ai sensi dell'art. 10 l.reg.sic. n. 37/85, deve ritenersi
che ogni intervento di mutamento della destinazione di uso di un
immobile rispetto a quella impressa con precedente provvedimento
concessorio debba formare oggetto di provvedimento autorizzatorio, a
prescindere dalla sussistenza o meno di realizzazione di opere edilizie,
ed è ammesso solo a condizione che rientri tra i casi di mutamento
<<previsti dallo strumento urbanistico generale e rispetti le
prescrizioni di zona>>. b)la
giurisprudenza più recente appare, come si è detto, maggiormente orientata verso una interpretazione evolutiva
della normativa e dei concetti appena richiamati. Con
pronuncia del 1998 (C. Stato, sez. V, 03-01-1998, n. 24) il Consiglio di
Stato ha specificato che la richiesta di cambio della destinazione d'uso
di un fabbricato, qualora non inerisca all'ambito delle modificazioni
astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia
volta a realizzare un <<uso del tutto difforme>> da quelli
ammessi, si pone in <<insanabile contrasto con lo strumento
urbanistico>>, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera
modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del
territorio consentiti dal piano, bensì in un'alterazione idonea ad
incidere, significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal
piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati
in quella. Da
ultimo, a conforto della ricostruzione effettuata, si richiama la
pronuncia della Sezione V del Consiglio
di Stato (n. 949 del
23.2.2000) laddove, escludendo la sussistenza di un divieto assoluto di
mutamento delle destinazioni d'uso nelle zone agricole (in attesa che
gli strumenti urbanistici contengano una puntuale disciplina al
riguardo), precisa che, nelle more dell'adeguamento degli strumenti
urbanistici comunali alla suddetta normativa regionale, non può
disconoscersi il potere del Sindaco di assentire <<semplici
cambiamenti d'uso in zona agricola>>, tutte le volte che essi non
si pongano in aperto contrasto con l'assetto urbanistico vigente. Orbene,
nel caso in esame, non sussiste la normativa regionale, funzionalizzata
a prevedere e a disciplinare i casi in cui si possa fare eccezione alla
tassatività delle prescrizioni in materia di destinazioni d’uso degli
immobili. Tuttavia,
in base alle argomentazioni svolte circa la capacità espansiva dei
provvedimenti di pianificazione in relazione alla valorizzazione delle
esigenze dello sviluppo economico del territorio (che pure sono
rispettosi delle indicazioni comunitarie, anche in materia di libera
concorrenzialità) si ritiene ammissibile la richiesta trasformazione da
immobile originariamente assentito ad uso ufficio a locale commerciale)
in zona E/9 del Prg del Comune di Ugento. Sul
punto, il Collegio condivide le considerazioni svolte nel ricorso circa
il fatto che a)l’insediamento edilizio esiste ed è oggetto di
condono; b)la variazione d’uso riguarda un piccolo spazio di circa mq
13 già adibito ad ufficio che manterrebbe sostanzialmente i propri
arredi, con uno stand rimovibile. Peraltro,
il provvedimento impugnato è motivato soprattutto sulla base della
mancanza di conformità dell’intervento alla destinazione di zona
(l’attività commerciale non risulta prevista dalle NTA delle zone E/9
–verde di rispetto - del PRG del Comune di Ugento). Tuttavia,
dalla documentazione allegata si evince soltanto che <<in tale
zona è ammessa soltanto la manutenzione dei fabbricati già esistenti
con l’assoluto divieto di nuove costruzioni e di ampliamento>>
(nel caso in esame si tratta di insediamento edilizio già esistente e
di piccola entità). Trattasi
–peraltro- di questione diversa rispetto a quella risolta da
recentissima sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato (n. 6411
del 27 dicembre 2001) che ha ritenuto che comporta un diverso carico
urbanistico l’utilizzo di capannone -originariamente destinato ad
opificio industriale- per la gestione di beni finiti, prodotti da altra
azienda, regolando il flusso e il deflusso delle scorte sulla base di
valutazioni legate al ciclo di commercializzazione del bene prodotto (in
particolare, è stato ritenuto che tale attività, attratta
nell’ambito della disciplina civilistica dell’intermediazione
commerciale configura il passaggio del capannone dal settore industriale
a quello commerciale). Appare
opportuno richiamare, in ultimo, alcune decisioni giurisprudenziali che
–oltre ad effettuare la valutazione di compatibilità degli interventi
edilizi in atto- hanno valorizzato il concetto di <attività
libera>> (cfr. Cons.
di Stato, Sez. V,
27 dicembre 1998, n. 852; Sez. V,
10 marzo 1999, n. 231; T.A.R.
Lombardia, Sezione di Brescia, 24 ottobre 1991, n. 726). Ad
esempio, il Consiglio di Stato, con la prima decisione, ha ritenuto che
<<il mutamento di destinazione d'uso degli immobili deve essere
individuato in base al progetto presentato e non con riferimento ad
ipotesi future. La ratio
sottesa all'imposizione del contributo di urbanizzazione previsto dalla
L. 28 gennaio 1977 n. 10 contestualmente al rilascio di una concessione
di costruzione si fonda sul presupposto dei maggiori carichi urbanistici
che conseguono nella zona alla realizzazione dell'opera assentita;
pertanto, non è dovuto alcun contributo per le opere di trasformazione
di un immobile da una ad aItra destinazione, qualora da tali opere non
risultino mutate “in modo apprezzabile” le caratteristiche
urbanistiche della zona (nella specie si è ritenuto non dovuto il
contributo in questione con riguardo alla trasformazione di un immobile
da uffici a scuola)>>. Sempre
il Consiglio di Stato, con la richiamata pronuncia del 1999, ha
precisato che <<in via generale, salve eventuali normative
regionali richiamate nell'art. 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio
1985, n. 47, il mutamento di destinazione d'uso sotto il profilo
edilizio e urbanistico è rilevante solo se conseguente all'esecuzione
di opere tali da rendere l'immobile strutturalmente idoneo ad un uso
diverso da quello precedente. La modificazione d'uso meramente
funzionale (e cioè senza l'esecuzione di opere edilizie) deve invece
considerarsi attività libera, non soggetta nemmeno ad autorizzazione
edilizia>>. Il
Collegio ritiene che si inquadrano in questa (sia pur relativa e
limitata) liberalizzazione dei procedimenti assentivi degli interventi
(minori) e di limitata deregolamentazione anche i seguenti indici ed
aspetti: a)alcune
posizioni dottrinarie recenti, peraltro minoritarie, relative alla
questione delle “opere interne” (di cui all’art. 26 della legge n.
47 del 1985 e alla una nuova definizione legislativa contenuta negli
artt. 4, 7° c., lett. e) del D.L. n. 398/93, conv. in l. n. 493/93, 2,
60° comma, della l. n. 662/96 e 11 del D.L. n. 67/97, conv. con
modificazioni in l. n. 137/97), in base alle quali
non sussisterebbe più il divieto di un aumento delle superfici
utili o di modifica (fuori dal centro storico) della destinazione
d’uso o, per gli immobili della zona A, di modifica delle originarie
caratteristiche costruttive, salvo il rispetto del numero delle unità
immobiliari (si parla infatti di “opere interne di singole unità
immobiliari”); in
particolare, la destinazione d’uso sarebbe stata praticamente
deregolamentata; b)la
circostanza che l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, nel parere
n. 3 del 29 marzo 2001, reso sullo “Schema di testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, ha
convenuto sull’opportunità di sostituire il termine concessione
con un nome nuovo (quale permesso
-corrispondente al termine francese permis
de construction ou de batir- o permissione
o assentimento o altro, il
quale dia il segnale della rivisitazione sistematica operata dalle norme
riformatrici e assestata nel testo unico); che, peraltro, non denoti una
recessione del diritto del proprietario e per converso non disconosca la
funzione sociale del diritto ad edificare, affermata dalla Costituzione;
c)alcune
considerazioni che si traggono dalla lettura del nuovo T.U.
dell’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380) che, in primo luogo, è volto alla riduzione dei titoli
abilitativi (la concessione edilizia e la denuncia di inizio attività,
con conseguente superamento dell’autorizzazione) e che, ad esempio,
sul problema della gratuità o meno della denuncia di inizio attività,
ha demandando all’autonomia comunale la scelta tra le due possibili
soluzioni, ma ha previsto comunque che, in assenza di specifica
deliberazione del Comune, l’intervento edilizio deve intendersi non
assoggettato ad oneri (si ritiene che le considerazioni svolte possono
restare ferme anche se l’art. 10 del citato D.p.r. n. 380 del 2001 ha,
sostanzialmente, confermata l’interpretazione (più restrittiva) della
legislazione precedente sul mutamento di destinazione d’uso
(nel senso che non risulta deregolamentato, essendo sottoposto
– a seconda delle zone e ferma restando una disciplina regionale – a
obbligo di permesso di costruire, o di denuncia di inizio di attività,
di cui all’art. 10, comma 1, lett. c) e comma 2)); d)la
circostanza che, nello stesso predetto parere dell’Adunanza Generale
del 2001 - se da un lato si evidenzia che <l’unicità della
disciplina della materia della concessione edilizia costituisce un punto
fondamentale di omogeneità, indispensabile per dare garanzia al
cittadino di uniformità di comportamenti in qualsiasi Regione egli
intenda operare nel settore; la stessa non può pertanto costituire
oggetto di una disciplina differenziata da Regione a Regione> -
dall’altro, si riscontra, in fatto, la sussistenza, in alcune
Regioni di una <legislazione in difformità dalla disciplina
generale, con l’istituzione, ad esempio, della cd. super
d.i.a., (sulla quale il Governo non ha ritenuto di sollevare in
proposito questione di legittimità costituzionale)>. Tale
diversificazione, avvertita a livello regionale, può essere letta come
un indice della naturale esigenza di evoluzione e di adeguamento della
normativa in materia. In
conclusione, per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto. Sussistono
giusti motivi per la compensazione delle spese. PQM Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez.I^ di Lecce,
definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per
l’effetto, annulla il provvedimento in data 5 febbraio 2001. Dichiara integralmente compensate
tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente Sentenza sia
eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso in Lecce nella camera
di consiglio del 10.1.2002. Presidente Aldo Ravalli Estensore
Maria Ada Russo |