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TAR Bari 3815/2002 |
||||||||||||||||||||||
sul
ricorso n. 1872/98 proposto
da Ripandelli Martuzzi Laura,
Sabini Ruenza e Sabini
Stefania, rappresentate e difese dagli avv.ti Francesco Zippitelli,
Domenico Denora e Anna Lillo, presso lo studio del primo elettivamente
domiciliate in Bari alla via Melo n. 13; contro Comune di
Altamura, in persona del
suo legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.
Loreto De Stefano e con lui elettivamente domiciliato in Bari alla via
A. Gimma n. 180, presso lo studio dell’avv. Domenico Cea; Regione
Puglia, in persona del suo
legale rappresentante p.t., non costituita; per
l’annullamento delle
deliberazioni n. 1 del 28 gennaio 1993 e n. 1 del 5 dicembre 1997 del
commissario ad acta della Regione Puglia; Visto
il ricorso con i relativi allegati; Visti
gli atti tutti della causa; Vista
la costituzione in giudizio dell’avv. Pasquale Medina in aggiunta per
i ricorrenti; Relatore designato il
magistrato Giuseppe Rotondo; Uditi all’udienza
del 24 aprile 2002 gli avv.ti Anna Lillo, Pasquale Medina e Loreto De
Stefano; Ritenuto in fatto e
considerato in diritto: FATTO Con atto notificato il 22 luglio 1998 e depositato il
successivo 13 agosto, le ricorrenti propongono l’epigrafato ricorso. Sostengono che illegittimamente il Comune di Altamura ha
impresso il vincolo archeologico sulle particelle in loro proprietà. Impugnano: 1)la deliberazione commissariale n. 1 del 28/1/93 con la
quale è stato adottato il progetto di adeguamento del P.R.G. del
territorio di Altamura alla legge Regione Puglia n. 56 del 1980; 2)la deliberazione commissariale n. 1 del 5/12/97 con la
quale il Comune di Altamura ha prestato piena e completa acquiescenza
alle decisioni sulle modifiche e prescrizioni apportate dalla Giunta
regionale, su parere del Comitato Urbanistico Regionale, al Piano
regolatore adeguato alla legge R.P. n. 56 del 1980. Contestano la legittimità di tutti gli atti di adeguamento
del preesistente P.R.G. alla legge regionale n. 56 del 1980. Chiedono: 1)che sia dichiarato invalido, nullo ed inefficace il
provvedimento deliberativo di rigetto del Commissario ad acta
sull’osservazione n. 84 spiegata dalle ricorrenti; 2)che sia dichiarata inesistente, invalida ed inefficace la
determinazione di zona archeologica assunta con lo studio del Piano
Particolareggiato della zona B1 sulle aree delle ricorrenti; con ordine
all’autorità comunale di ripristinare sulle aree la destinazione
originaria B1 di P.R.G.; 3)in ogni caso, che siano dichiarate libere da ogni vincolo
le particelle n. 140 e 154 non interessate dalla occupazione, né dal
decreto ministeriale. Con memoria depositata il 13 aprile 2002 le ricorrenti
insistono per l’accoglimento del ricorso. Si è costituito in giudizio il Comune di Altamura con
memoria depositata il 12 aprile 2002 chiedendo il rigetto del gravame
perché inammissibile ed infondato. All’udienza del 24 aprile 2002 il ricorso è stato
trattenuto per la decisione. DIRITTO La questione involge l’accertamento dell’esistenza di
vincolo archeologico sui suoli delle ricorrenti. L’esame della vicenda, in quanto impinge le modalità di
uso del territorio, rientra nella sfera di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo. Dalla documentazione versata in atti si evince quanto
segue: 1)
le ricorrenti sono proprietarie di tre particelle in catasto
Comune di Altamura, foglio 160/A, nn. 203, 140 e 154; 2)
Nel 1971/72 il Ministro per i Beni Culturali ha decretato
l’occupazione temporanea (soltanto) della particella 203; 3)
Nel 1974 è stato approvato il Piano Regolatore Generale del
Comune di Altamura che ha destinato l’intera zona di proprietà Sabini
a zona edificabile B1; 4)
Con lo studio del Piano Particolareggiato della zona B1,
approvato nel 1979, è stata introdotta, invece, la zona archeologica
sull’intera proprietà delle ricorrenti (tutte e tre le particelle); 5)
Con decreto del 1983 il Ministro per i Beni Culturali ed
Ambientali ha dichiarato di interesse particolarmente importante, ai
sensi della legge 1/6/39, n. 1089 la sola area relativa alla particella
203; 6)
In sede di
adeguamento del P.R.G. comunale alla legge R.P. n. 56 del 1980, il
Commissario ad acta ha confermato il vincolo archeologico (relativo a
tutte e tre le particelle) a suo tempo introdotto con lo studio del P.P.
del 1979. Di qui le ragioni del ricorso, col quale si deducono i
seguenti vizi: 1)
il vincolo sull’area si è protratto per più di 15 anni
incidendo sul diritto di proprietà delle ricorrenti; pertanto il potere
pubblico effettivamente esercitato è riconducibile ad un’azione
espropriativa che deve portare o al ripristino della edificabilità
delle aree o ad un’azione indennitaria e/o risarcitoria; 2)
l’occupazione
della Soprintendenza è ormai cessata da vari anni e non si giustifica
in assenza di beni da proteggere che abbiano un interesse
particolarmente importante dal punto di vista storico-culturale; 3)
il Comune di Altamura difetta di ogni competenza specifica nella
determinazione della zona archeologica nel cui ambito sono finite le
aree delle ricorrenti; 4)
il piano particolareggiato (del 1979) non può contenere norme e
prescrizioni difformi da quelle poste con il P.R.G. (del 1974); 5)
difetta una congrua e logica motivazione circa le ragioni che
hanno indotto il Commissario ad acta, in sede di adeguamento del P.R.G.
alla legge R.P. n. 56 del 1980, a non ricondurre i suoli delle
ricorrenti in zona B1, nonostante il vincolo per decreto ministeriale
fosse limitato alla particella 203 ed i tecnici comunale avessero così
relazionato: “si concorda con il progettista ritenendo inammissibile
la richiesta di variazione limitatamente alla zona sottoposta a vincolo
archeologico individuata in catasto alla particella 203 (lettera della
Soprintendenza) atteso che le altre particelle nn. 154 e 140 non
risultano vincolate”. In limine, va
rilevata l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui avversa
l’insistenza del vincolo archeologico sulla particella 203. Ed invero, il decreto ministeriale del 1983 è rimasto
inoppugnato; sicché resta precluso al Giudice amministrativo lo
scrutinio di legittimità in ordine ai presupposti di fatto e di diritto
che hanno motivato l’introduzione del vincolo e le ragioni che tuttora
ne giustificano la conservazione da parte dell’Autorità statale
preposta alla sua tutela. Deve osservarsi, in proposito, che la ritenuta afferenza
del presente giudizio alla sfera di giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativa non esclude che le censure avverso gli atti emanati
dall’Autorità amministrativa nell’esercizio di poteri autoritativi
(nella specie, decreto di imposizione del vincolo) vadano comunque fatte
valere secondo le regole proprie del giudizio di legittimità, stante la
natura di interesse legittimo delle posizioni soggettive che con quel
tipo ed esercizio di potere si confrontano. In ordine,
invece, alle doglianze mosse avverso la decisione del Commissario ad
acta di conservare tuttora, nel progetto di adeguamento di P.R.G. alla
legge R.P. n. 56 del 1980, la classificazione archeologica delle
restanti particelle il ricorso deve ritenersi
ammissibile e fondato. Sostiene il Comune resistente la tardività del proposto
gravame atteso che i termini di impugnativa dei Piani regolatori
decorrono dalla pubblicazione dei Piani stessi sul Bollettino regionale. L’eccezione non ha pregio. Ed invero, è noto che il termine di impugnazione degli
atti amministrativi decorre dalla loro piena conoscenza legale. Ebbene,
con riguardo specifico ai Piani regolatori siffatta conoscenza si
acquisisce (soltanto) all’esito delle espletate procedure di pubblicità
di cui all’art. 10, della legge n. 1150 del 1942. La prefata disposizione, infatti, fonda una presunzione
iuris et de iure di conoscenza del contenuto del P.R.G. che si collega
al deposito di tutti gli atti del procedimento di formazione del piano
stesso (deposito non ancora avvenuto all’epoca della proposizione del
ricorso in esame) e che ben si giustifica in ragione delle esigenze di
certezza e di inoppugnabilità delle scelte urbanistiche, una volta
decorso il termine di impugnazione, uguale per tutti i cittadini. Deve concludersi, quindi, per la tempestività
dell’odierno gravame atteso che il Piano regolatore, con i relativi
allegati, risulta essere stato depositato presso il Comune di Altamura,
con affissione all’albo pretorio, in data 25 febbraio 1999. La
circostanza che il ricorso sia stato proposto in anticipo rispetto a
tale data (22 luglio 1998, in seguito alla avvenuta pubblicazione della
delibera di approvazione regionale del Piano sul B.U.R.P n. 48 del 25
maggio 1998) non ne preclude il suo esame (per difetto di attualità
dell’interesse ad agire) in quanto deve farsi applicazione, nella
fattispecie, del principio di economia dei mezzi processuali, corollario
del più generale principio di conservazione degli atti, in funzione di
effettività della tutela giurisdizionale. Nel merito il ricorso è fondato. Osserva il Collegio che la valutazione operata dall'Autorità
comunale sul valore archeologico di un bene, effettuata in occasione
dell’esercizio di poteri urbanistici (nella specie, adeguamento del
P.R.G. alla normativa regionale), non può costituire ex sé ragione
sufficiente a sorreggere l’inclusione del bene medesimo tra quelli
vincolati in quanto la stessa si risolve in una inconferente valutazione
di merito non supportata dalla legittimazione dell'esercizio di uno
specifico potere attribuito dall'ordinamento all'Autorità comunale. Come già ha avuto modo di chiarire la stessa
giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR CA n. 680 del 1990) deve
ritenersi illegittima la prescrizione contenuta nello strumento
urbanistico con la quale viene esteso un preesistente vincolo
archeologico ad altre aree, poiché l'imposizione di tale vincolo è
provvedimento tipico che deve essere adottato dall'Amministrazione che
cura in via primaria l'interesse pubblico alla conservazione dei beni
archeologici. Ne consegue che illegittimamente, per difetto assoluto di
competenza, il Comune di Altamura – in sede di adeguamento del P.R.G.
alla legge regionale - ha introdotto (rectius, mantenuto) il vincolo
archeologico sulle particelle nn. 154 e 140 delle ricorrenti. Altrettanto fondato è il dedotto vizio di eccesso di
potere sotto i profili della carenza di istruttoria ed insufficiente
motivazione - in parte qua - dell’atto impugnato. Ed invero, l’Ufficio tecnico comunale nel pronunciarsi
sulla osservazione n. 84 (relativa alle particelle in questione) ha così
relazionato: “si concorda con il progettista ritenendo inammissibile
la richiesta di variazione limitatamente alla zona sottoposta a vincolo
archeologico individuata in catasto alla particella 203 atteso che le
altre particelle nn. 154 e 140 non risultano vincolate”. Orbene, se anche il Comune avesse voluto estendere - ai
fini prettamente urbanistici - sulle particelle limitrofe alla 203 il
vincolo in questione (per la realizzazione, ad esempio, di un parco
archeologico) esso avrebbe dovuto onerarsi di una specifica motivazione,
sia per giustificare una scelta di segno diverso rispetto a quella
logicamente desumibile alla stregua degli esiti istruttori di cui alla
sequenza procedimentale (relazione Ufficio Tecnico), sia per rendere
ostensibili le ragioni (rectius, le finalità urbanistiche) della
specifica compressione impressa su determinate particelle all’interno
dell’area omogenea. Col proposto ricorso, le ricorrenti sostengono, altresì,
che l’imposizione del vincolo archeologico sulla particella 203 abbia
comportato, di fatto, una sostanziale espropriazione della relativa
proprietà; sicché andrebbe loro riconosciuto almeno l’indennizzo. La pretesa è infondata. L’imposizione di vincolo archeologico su un determinato
terreno non ne esclude, in linea di principio, la edificabilità essendo
astrattamente concepibile un particolare tipo di costruzioni realizzato
senza che i reperti archeologici subiscano un uso incompatibile col loro
carattere storico o artistico; ferma restando la necessità
dell'acquisizione dell'autorizzazione della competente Soprintendenza
chiamata a valutare, ai sensi degli artt. 11 e 12 L. 1 giugno 1939 n.
1089, la compatibilità della costruzione con la fruibilità dei ruderi
(cfr. Cass. civ. 14 dicembre 1979 n. 6519). Ne consegue che il vincolo archeologico non è, di per sé,
ostativo all'edificazione, richiedendosi soltanto l'autorizzazione
dell'autorità competente prima dell'inizio della costruzione. Deve concludersi, pertanto, nel senso che il vincolo
archeologico, normalmente, ha carattere conformativo della proprietà:
le limitazioni che ne conseguono, dunque, non costituiscono
manifestazione della potestà espropriativa, bensì, di quella
conformativa della proprietà privata, ammessa senza indennizzo
dall’art. 42, II c., della Costituzione. In definitiva, il ricorso va accolto limitatamente alle
particelle nn. 154 e 140 del foglio 160/A del Comune di Altamura: ne
consegue l’illegittimità - in parte qua -, nei limiti
dell’interesse dei ricorrenti, degli atti impugnati. Le
spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari - Sezione
II, accoglie, nei limiti
e sensi in motivazione, il
ricorso n. 1872/98, meglio in
epigrafe specificato. Condanna
il Comune di Altamura, in
solido con la Regione Puglia, al pagamento delle spese di giudizio in favore
delle ricorrenti che si liquidano in complessivi € 1.000,00 (euromille/00). Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 24
aprile 2002, con l’intervento dei Magistrati: Michele
PERRELLI
Presidente Vito
MANGIALARDI
Componente Giuseppe
ROTONDO
Componente, Est. |