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T.A.R. Lazio 3474/2003 |
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Sezione seconda); ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 14442 del 2000, proposto da Gesmundo Vincenzo, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Vespaziani ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questi in Roma, alla via Tacito n. 23; contro Ministero per i beni e le attività culturali e Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in persona dei rispettivi rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso la cui sede – in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12 - domiciliano per legge; e nei confronti di Comune di Forano Sabino, in persona del legale rappresentante, non costituito in giudizio; per l'annullamento del provvedimento della Soprintendenza per il Lazio, con il quale “è stato annullato il provvedimento n. 123 del 27 marzo 2000 del Comune di Forano con cui si autorizza, ai sensi dell’art. 151 del predetto T.U. il sig. Gesmundo Vincenzo a realizzare pertinenze e locali per impianti a servizio dell’abitazione, consistenti in una vasca per piscina in c.a. nel Comune di Forano”. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 26 marzo 2003 il consigliere Massimo L. Calveri e uditi l’avv. G. Vespasiani per il ricorrente e l’avv. M. Greco per l’amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Il sig. Vincenzo Gesmundo, in qualità di proprietario dell’immobile sito nel Comune di Forano Sabino, distinto al catasto al fg. 4, part,. 460, in data 18 marzo 2000, chiedeva al Comune di Forano, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, l’autorizzazione per realizzare una vasca adibita a piscina, di pertinenza dell’abitazione in un’area sottoposta al vincolo con deliberazione della G.R. n. 10591 del 15 dicembre 1989. Il Comune, con provvedimento n. 123 del 27 marzo 2000, autorizzava l’intervento edilizio, ai sensi dell’art. 151 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, ritenendolo compatibile con il vincolo paesaggistico. Con il provvedimento soprintendizio in epigrafe veniva però disposto l’annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato dal Comune. Avverso tale provvedimento negativo è insorto l’interessato, con ricorso notificato il 17 luglio 2000, deducendone l’illegittimità per violazione ed eccesso di potere sotto distinti profili. L’amministrazione intimata ha resistito al ricorso. Alla pubblica udienza del 26 marzo 2003, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.- Il ricorrente, sig. Vincenzo Gesmundo, in data 18 marzo 2000, presentava al Comune di Forano istanza intesa a ottenere, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, l’autorizzazione per la realizzazione di una vasca di pertinenza dell’abitazione, da realizzarsi su area sottoposta a vincolo paesaggistico con delibera della Giunta regionale n. 10591 del 5 dicembre 1989. Con atto del 27 marzo 2000, sulla base del parere favorevole della Commissione edilizia, il Comune rilasciava l’autorizzazione, ritenendo l’opera progettata compatibile con il contesto paesistico e panoramico vincolato con le previsioni del P.T.P. n. 4, approvato dalla Giunta regionale del Lazio n. 24 del 6 luglio 1998. All’autorizzazione apponeva la seguente condizione: “vengano rispettate scrupolosamente le caratteristiche costruttive riportate nella relazione tecnica; vengano messe a dimora quindici alberati di alto fusto tipico del luogo con h. minima dell’impianto ml. 4,50 con obbligo dell’attecchimento; vengano inserite inoltre essenze arboree di vario tipo intorno alla vasca per occultare la vista e ben inserire nell’ambiente l’opera da realizzare”. Trasmessa l’autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, questa, con decreto notificato all’interessato il 22 maggio 2000, ne disponeva l’annullamento. In particolare, sulla premesse: - che “le opere previste dalla determinazione comunale ricadono nel PTP n. 4 – Valle del Tevere – zona a trasformabilità limitata – art. 5/b zone agricole”; - che “in tali zone ogni intervento deve essere indirizzato alla conservazione dell’uso dei valori tipici e tradizionali propri dell’agricoltura e alla difesa dell’esercizio dell’impresa agricola, considerato come strumento attivo per la conservazione dei beni ambientali”; - che “inoltre è vietata ogni attività comportante trasformazione dell’uso del suolo diverso dalla sua notevole vocazione per l’utilizzazione agricola”; la Soprintendenza per il Lazio annullava l’autorizzazione comunale, rilevando come l’autorità decidente non avesse spiegato i motivi di compatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela ambientale. Rilevava, altresì, che, ove attuata, l’autorizzazione avrebbe comportato l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta e che attraverso detta autorizzazione si sarebbe consentita una modifica del vincolo paesaggistico, in violazione di quanto prescritto dagli artt. 145 e 146 del T.U. approvato con d.lgs, n. 490 del 1999. 2.- Insorgendo contro l’atto di annullamento, il ricorrente ne ha dedotto l’illegittimità sotto più profili, anzitutto evidenziando l’insussistenza dell’asserita carenza di motivazione del provvedimento comunale, la quale sarebbe anzi esaustiva per aver spiegato la compatibilità ambientale dell’opera autorizzata attraverso un suo armonico inserimento nell’ambiente circostante. In secondo luogo, la determinazione impugnata, nella parte in cui afferma che nelle zone vincolate sarebbe vietata ogni attività implicante la trasformazione del suolo per uso diverso dall’utilizzazione agricola, denoterebbe una volontà antistorica di “museificare e cristallizzare” l’ambiente agricolo contrastandone le esigenze di sviluppo economico e sociale. Una siffatta visione urterebbe, poi, con il quadro legislativo e regolamentare che afferisce alla zona territoriale su cui insiste l’opera non autorizzata, definita “agricola a trasformabilità limitata” e che consente appunti interventi di modificazione dello stato dei luoghi e delle edificazioni. Inoltre, l’autorità tutoria non avrebbe considerato che, secondo gli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Forano, è consentito nelle zone agricole un intervento edilizio del tipo di quello denegato. Se, poi, nelle zone agricole a trasformabilità limitata è consentita perfino la costruzione di impianti e industrie riguardanti i prodotti agricoli, costituisce un assurdo –ad avviso della ricorrente - ritenere interdetta la costruzione di una piscina, trattandosi di intervento infrastrutturale di modeste dimensioni, certamente destinato a servizio dell’agricoltura. 3.- Ancorché ben sostenuta, e con profili argomentativi non privi di suggestione, la tesi che precede non può trovare adesione. Occorre, anzitutto, procedere dal quadro normativo di riferimento in cui si iscrive la vicenda all’esame. Come puntualmente riferito dalla parte ricorrente, i lavori da eseguire ricadono in “zona agricola a trasformabilità limitata”, i cui interventi sono disciplinati dalla legge regionale 6 luglio 1998, n. 24, allegato A4 – ambito territoriale n. 4 Valle del Tevere, e, più specificamente, dal testo coordinato delle norme tecniche di attuazione del P.T.P. di detto ambito territoriale, approvato con deliberazione della G.R. Lazio 30 luglio 1999, n. 4474. In particolare, l’art. 5 del precitato allegato A4, che attiene alla “trasformabilità delle aree tutelate”, dispone, alla lett. b), che “nelle zone di trasformabilità limitata (tav. E-3.) gli interventi di modificazione dello stato dei luoghi e di edificazione, previsti dal P.R.G. vigenti o in formazione, sono consentiti con modalità regolamentate ai fini della tutela”. L’art. 14 della deliberazione della G.R. Lazio n. 4474/1999 che attiene partitamene alle “aziende agricole in aree vincolate”, statuisce come, nell’ambito di dette aziende, “ubicate in aree sottoposte a vincolo ai sensi delle leggi n. 1497/1939 e 431/1985 e comunque classificate dal presente PTP, è consentita la realizzazione di manufatti, strettamente funzionali e dimensionati all’attività agricola”. Il successivo art. 16, che disciplina i criteri di “trasformabilità delle aree tutelate”, detta le seguenti, puntuali prescrizioni (lett. b1, b2 zone agricole): - ogni intervento nelle zone agricole deve essere indirizzato alla conservazione dei valori tipici e tradizionali propri dell’agricoltura e alla difesa dell’esercizio dell’impresa agricola considerato come strumento attivo per la conservazione dei beni ambientali; - nelle zone agricole è vietata ogni attività comportante trasformazione dell’uso del suolo diverso dalla sua naturale vocazione per l’utilizzazione agricola. Tanto considerato, deve affermarsi che l’autorità soprintendizia ha fatto corretta applicazione delle disposizioni che compongono il quadro normativo posto in subiecta materia. Il quale è nel senso che, all’interno degli ambiti delle aree tutelate, gli interventi edilizi e le modificazioni dello stato dei luoghi sono consentiti solo con modalità specificamente e organicamente funzionali all’attività agricola. Ciò in quanto gli interventi ipotizzabili in tali zone sono sottoposti non soltanto al generale limite che discende dagli strumenti urbanistici che conformano l’uso del suolo alla naturale destinazione dell’utilizzazione agricola, ma anche all’ulteriore e più stringente limite che discende dall’essere detti interventi sottoposti al vincolo di tutela paesistica. Con il che è da escludersi - per le situazioni che, come all’esame, ricadono in zone di tutela a trasformabilità limitata – che possa consentirsi un uso del suolo diverso dalla sua naturale vocazione per l’utilizzazione agricola. Orbene, facendo coerente applicazione degli ora enunciati principi, non può non rilevarsi – in linea con il provvedimento negativo qui contestato - che la costruzione di una piscina integra un’ipotesi edificatoria dissonante dalla non derogabile modalità regolamentata ai fini della tutela impressa al territorio sottoposto al vincolo. Invero, non rileva, ai fini dell’assentibilità dell’intervento – come pure si afferma in ricorso - che quest’ultimo si risolva in un episodio edificatorio “infrastrutturale di modeste dimensioni”, né è controversa la portata pertinenziale dell’opera all’impresa agricola a cui essa accede. Non è qui in considerazione, infatti, il limite quantitativo dell’impatto urbanistico o edilizio dell’opera, o il rapporto di strumentale utilità di quest’ultima alla res principale, quanto la sua natura che non potrebbe in alcun modo predicarsi come “strettamente funzionale e dimensionata all’attività agricola”, secondo la formula prescrittiva imposta dalle surrichiamate norme tecniche di attuazione del P.T.P. della Valle del Tevere. In proposito, non può che fermamente dissentirsi con l’insistita prospettazione secondo cui la realizzazione della piscina sarebbe “indirizzata alla difesa dell’esercizio dell’impresa agricola” (pag. 5 del ricorso), perché, al di là di ogni condivisibile considerazione circa la comodità (ma non indispensabilità, come pure si afferma) di tale struttura, risulta arduo qualificarla come naturalmente orientata a funzionalizzare l’attività agricola. Né, peraltro, nell’intento negatorio dell’autorità statale può rinvenirsi un’antistorica volontà di “museificare” l’ambiente agricolo protetto. La verità è che la zona de qua, come è stato sopra rilevato, implica una tasformabilità limitata, che smentisce di certo l’esistenza di un divieto generalizzato di ogni intervento edilizio. Ma gli interventi modificativi vanno operati nei limiti inderogabilmente imposti dalla pianificazione paesistica, essendo a quest’ultima riservata (come da ultimo ribadito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 14 dicembre 2001) la programmazione e la razionale gestione del vincolo, consentendo l’ambito delle modifiche consentite alle aree protette. Su tali considerazioni vanno disattesi i profili di censura variamente dedotti con il gravame; segnatamente di quella che si appunta sulla carenza di motivazione, in tema di esigenza di compatibilità ambientale dell’intervento autorizzato, contestata dal provvedimento impugnato alla determinazione dell’autorità comunale. In effetti, tale determinazione non spiega la compatibilità dell’opera con l’esigenza di conservazione della bellezza naturale oggetto del vincolo. Essa si risolve in un’affermazione apodittica e le condizioni che essa pone al fine dell’ottimale inserimento dell’intervento da realizzare (messa a dimora di alberi) è espressiva dell’intento di metamorfizzare un’opera estranea al contesto ambientale al quale dovrebbe accedere. Così operando, però – e ben lo ha rilevato il provvedimento impugnato - il provvedimento autorizzatorio, che è atto applicativo di gestione del vincolo e non modificativo di esso, ha la funzione di verificare la compatibilità dell’opera con le predette esigenze di conservazione del valore paesaggistico tutelato. Sicché, non potendo l’autorizzazione derogare all’accertamento contenuto nel provvedimento di vincolo, una valutazione di compatibilità che si traduca in un’oggettiva deroga di quest’ultimo, concreta un’autorizzazione illegittima (CdS, Sez. VI, 9 dicembre 1994, n. 1594). Il che è quanto avvenuto nella situazione all’esame 5.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto. Giusti motivi spingono, però, a compensare tra le parti spese di lite e onorari di causa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, decidendo il ricorso in epigrafe, lo respinge. Compensa tra le parti le spese di lite. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, dal Tar Lazio, Sezione seconda, nella camera di consiglio del 26 marzo 2003, con l’intervento dei signori: Domenico La Medica presidente Francesco Giordano presidente Massimo L. Calveri consigliere rel. est.
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