sul ricorso in appello n. 658 del
2001 proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente della
Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mirella
Viggiani e Maria Carmela Santoro ed elettivamente domiciliata presso
l’Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via Nizza
n. 56;
contro
il sig. Raffaele Ruggiero, rappresentato e difeso dall’avv. M.
Montefusco e con lo stesso elettivamente domiciliato presso la
segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, Piazza Capo di Ferro n. 13;
per l'annullamento
della sentenza n. 617 del 10 novembre 1999, resa inter partes dal
Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale del
sig. Ruggiero;
Visti gli atti tutti della causa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Relatore alla pubblica udienza del 15 luglio 2003 il Consigliere Dedi
Rulli; nessuno presente per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per
la Basilicata il sig. Ruggiero impugnava la determinazione dirigenziale
del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con la
quale gli era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della
L. 29 giugno 1939 n. 1497 per opere abusive realizzate in area
sottoposta a vincolo ambientale.
Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra
nella giuridizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il
gravame ritenendo fondato il primo motivo di ricorso con il quale
l’originaria ricorrente assumeva che il diritto di fare applicazione
dell’art. 15 della L. n. 1497 del 1939 era ormai prescritto essendo
decorso un quinquennio dalla cessazione dell’illecito ambientale,
decorrente dal momento in cui l’Amministrazione preposta alla tutela del
vincolo aveva epresso parere favorevole al mantenimento dell’opera
abusivamente realizzata.
Con atto notificato in data 22 dicembre 2000, la Regione Basilicata ha
impugnato la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi
che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed
erronea applicazione della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.
Afferma, al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di
cui al ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere
dell’autorità amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in
alternativa a quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi
non risulta sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione volti a
limitare nel tempo l’adozione delle dette misure sanzionatorie, così che
dovrebbe essere fatta applicazione del principio generale in base al
quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la potestà
pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito
alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe
controversie nel senso prospettato precisando che gli illeciti
amministrativi in materia paesistica ed urbanistica-edilizia hanno
carattere permanente con la conseguenza che la prescrizione quinquennale
di cui all’art. 28 della legge n. 689/81 inizia a decorrere solo dal
giorno in cui è cessata la permanenza.
Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza
peraltro indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta
soluzione) siffatto momento al rilascio, in favore dell’originario
ricorrente, del parere favorevole al mantenimento della costruzione
abusiva atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo
nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di riduzione in pristino
dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto dall’interessato.
Conclude, quindi, chiedendo l’annullamento della decisione impugnata.
Per resistere al giudizio si è costituito il sig. Ruggiero il quale, con
atto notificato in data 16 febbraio 2001, ha proposto ricorso
incidentale con cui, dopo aver ribadito la correttezza della decisione
resa dal giudice di primo grado, ripropone le censure già prospettate in
primo grado e non esaminate perché dichiarate assorbite in ragione della
fondatezza del motivo di gravame riconosciuto meritevole di accoglimento
ed in particolare:
a) “Illegittimità costituzionale” sul rilievo che, nella delega delle
competenze alle Regioni contenuta nel D.P.R. n. 616/77, non viene
indicata l’indennità prevista dalla legge n. 1497/39, così che la
normativa regionale di cui si è fatta applicazione deve ritenersi in
contrasto con gli artt. 117, 118 e 23 della Cost. per aver imposto una
prestazione patrimoniale in forza di un potere legislativo mai posseduto
né in via originaria, né in via delegata;
b) “Violazione di legge” per contrasto insanabile fra l’art. 15 della
legge del 1939 e l’art. 10 della legge regionale n. 50/93 per la parte
in cui la Regione ha previsto dei minimi inderogabili non previsti dalla
legge dello Stato; tra i motivi non esaminati dal giudice di primo grado
ripropone:
c) “Incompetenza assoluta, Eccesso di potere, Violazione di legge” per
mancato avviso dell’avvio del procedimento previsto dall’art. 7 della
legge n. 241/90, che gli avrebbe consentito di essere presente alla
predetta fase procedimentale;
d) “eccezione di prescrizione accolta dal giudice di prima istanza
sottoposta a gravame-controricorso”atteso che l’interpretazione della
decisione della VI° Sezione di Stato n.3184 del 2 giugno 2000, che la
difesa della Regione Basilica richiama a fondamento del proprio appello,
non è quella sostenuta dall’Ente locale ma deve essere intesa nel senso
che il parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva che
indica la scelta che l’Amministrazione ha inteso fare (non procedere
alla demolizione) ed è da questo momento che deve ritenersi decorrere il
termine di prescrzione, come ha correttamente precisato il Tribunale
adito.
Conclude, dunque, per la riezione dell’appello e la conferma della
decisione impugnata.
Alla pubblica udienza del 15 luglio 2003, non essendo presente nessuno
per le parti, la controversia è passata in decisione.
D I R I T T O
1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso
proposto dall’odierno appellato avverso la determinazione regionale di
applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno
1939 n. 1497, ritenendo prescritto il credito vantato
dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24 novembre 1981
n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.
La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi
argomentative e le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di
primo grado e richiama, a sostegno del richiesto annullamento, le più
recenti pronunzie di questo Consiglio che hanno esaminato i vari profili
relativi alla interpretazione della disciplina in materia.
2. Le questioni che vengono in rilievo in relazione all’odierna
controversia - e che saranno in seguito esaminate - non sono sconosciute
al Collegio che, in relazione alla fattispecie in esame, ritiene di
poter condividere, sia pure con alcune ulteriori precisazioni rese
necessarie dalla peculiarità della fattispecie ora in esame,
l’impostazione seguita e le conclusioni alle quali sono pervenute la
quinta e questa stessa Sezione nell’esame di controversie aventi
contenuto analogo (cfr. Sez. IV°, n. 6279 del 12 novembre 2002; Sez. V,°
n. 614 dell’8 giugno 1994, n. 3184 del 2 giugno 2000 e n. 5373 del 9
ottobre 2000).
I principi enucleati in quelle decisioni possono riassumersi nelle
seguenti considerazioni:
a) l’art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 va interpretato nel senso
che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli
paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che
prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non
rappresentando una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela
ambientale purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità
competente, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 28 febbraio 1985;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche in caso
in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art.
2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996, norma di natura
chiaramente interpretativa;
d) applicabilità, per espresso dettato legislativo, dell’art. 28, primo
comma, della L. n. 689 del 24 novembre 1981 il quale espressamente
dispone che il “diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni
indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni
dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, sia pure con i
temperamenti necessari attesa la particolare natura dell’illecito
sanzionato dal ricordato art. 15.
La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della
commissione della violazione, infatti, trova in astratto applicazione
anche in materia di illeciti amministrativi puniti con la pena
pecuniaria di cui alla normativa di tutela urbanistica-edilizia e di
tutela del paesaggio (Cass., 1° Sez. civ. n. 6967 del 25 luglio 1997).
3. Occorre, a questo punto, individuare il dies a quo dal quale inizia a
decorrere il quinquennio prescrizionale.
In proposito il giudice di primo grado, dopo aver precisato che il
comportamento sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge n. 1457 del
1939 ha carattere di illecito permanente, individua detto momento in
quello in cui l’Autorità preposta alla tutela del vincolo ha espresso
parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva realizzata, facendo
così venir meno l’antigiuridicità del fatto.
Siffatte conclusioni, peraltro immotivate, non possono essere condivise.
Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza, che l’illecito in
questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è
caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di
ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se
l’Amministrazione si determina con un provvedimento repressivo
(demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria), non è
“emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma
si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che
la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato
assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi (ovvero sia stata
pagata, a alternativa sanzione pecuniso dei luoghi (ovvero sia stata
pagata, in alternativa, la prevista sanzione pecuniaria).
Non è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il
giudice di primo grado, l’intervenuto parere favorevole al mantenimento
delle opere abusivamente realizzate posto in essere dalla Commissione
regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento
assetto del territorio in relazione al provvedimento rilascio della
concessione edilizia in sanatoria.
Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal
senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a
consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in
sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32
della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed
esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad
immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è,
quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto
dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il
provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in una
normativa diversa da quella prevista nella cd. legge di sanatoria,
disciplina che delinea un autonomo procedimento in cui intervengono
altre Amministrazioni in quanto titolari di interessi finalizzati alla
tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonchè alla
repressione di eventuali abusi.
Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone
anche l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base
al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione
dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del
1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione
di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura
fintanto che esso non sia risarcito per equivalente.
Infatti oblazione ed indennità risarcitoria hanno finalità diverse,
perché diversi sono i profili su cui vanno ad incidere, così che il
pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la
riscossione dell’altra con le ulteriori conseguenze connesse alle dette
differenze, compresa quella di cui ora si discute.
4. La fondatezza dell’appello principale impone al Collegio l’esame dei
motivi del ricorso di primo grado che il Tribunale Amministrativo
Regionale ha dichiarato assorbiti.
E’, infatti, fondata ed assorbente la riproposta doglianza (punto c del
fatto) relativa alla violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90 per
mancato avviso dell’avvio del procedimento finalizzato alla irrogazione
della sanzione in argomento.
Non vi sono, infatti, ragioni per escludere l’applicabilibilità della
norma generale sul procedimento amministrativo di cui all’art.7 della
legge n.241/1990 che prevede la comunicazione dell’inizio del
procedimento, con le modalità del successivo art. 8, ai soggetti nei
confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre
effetti diretti; siffatto onere è escluso nella sola ipotesi di esigenze
di particolare celerità di cui va, comunque, dato atto (e nel caso
insussistenti atteso che il nulla osta paesaggistico risale al 1994).
La norma stessa è inoltre applicabile anche agli vincolati (fra le
tante, C.d.S., Sez. V°, 23/2/2000 n.948) in quanto la partecipazione del
privato agli accertamenti che precedono siffatto genere di atti può far
emergere circostanze ed elementi tali da indurre la P.A. a recedere
dall’emanazione del provvedimento finale ovvero a modificarne il
contenuto.
Sul punto si è dunque precisato che detta fase procedimentale potrebbe
diventare superflua solo quando l’adozione del provvedimento finale sia
doverosa per l’amministrazione (oltre che vincolata), quando i
presupposti fattuali risultino assolutamente incontestati dalle parti,
quando il quadro normativo di riferimento non presenti margini di
incertezza sufficientemente apprezzabili, oppure nel caso in cui
l’eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata
violazione dell’obbligo formale di comunicazione, non privi
l’Amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un
nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla
decorrenza dei suoi effetti giuridici).
E nella specie vanno considerati anche il lungo tempo trascorso dal
momento iniziale dell’illecito e la complessità del procedimento, nel
corso del quale è anche prevista una perizia per la valutazione del
danno; e non vi è dubbio, quindi, che la partecipazione del destinatario
della sanzione al relativo procedimento avrebbe potuto, in ipotesi,
inserire nella valutazione fatta dall’Amministrazione elementi tali da
determinare un suo diverso contenuto, quanto meno sotto il profilo del
quantum.
La fondatezza del motivo appena esaminato conduce all’accoglimento del
ricorso di primo grado ed all’annullamento della determinazione
regionale impugnata in quella sede.
5. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto
per quanto precisato in motivazione; va accolto il ricorso incidentale
per il riproposto motivo del gravame di primo grado; la decisione
impugnata deve, quindi, essere riformata secondo le precisazioni appena
illustrate con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado
per la ritenuta fondatezza di una censura dichiarata assorbita dal
giudice di primo grado e riproposta in sede di appello (il caso non
rientra quindi nella fattispecie di cui all’art. 384, secondo comma,
c.p.c.).
Sussistono motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei
due gradi di giudizio. |