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Consiglio di Stato 6247/2001

                                                                           

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

           

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione  

ha pronunciato la seguente

        SENTENZA                 

sul ricorso n. 8117 del 1995 , proposto da Tabacchino Orfeo , rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Pizzutelli , elettivamente domiciliato in Roma, via Prestinari 13 presso lo Studio Ramadori

contro

il Comune di Frosinone rappresentato e difeso  dall’avv. Mario D’Ottavi, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, ia Banco di Santo Spirito n. 48,

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Latina , 16 gennaio 1995 n. 45, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Frosinone ;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 22 giugno 2001  il consigliere Marzio Branca,  e udit o l’avv. d’Ottavi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso del sig. Orfeo Tabacchino contro il provvedimento con il quale il Sindaco di Frosinone ha disposto l’annullamento della concessione edilizia, in precedenza assentita per lavori di ristrutturazione, essendo emerso che il fabbricato era stato demolito.

Il TAR ha osservato che nessun rilievo poteva attribuirsi alle ragioni, anche di ordine tecnico, che avevano provocato la demolizione, risultando assorbente la circostanza che alla costruzione di un nuovo edificio non può procedersi senza aver ottenuto i prescritti provvedimenti autorizzatori.

L’interessato ha proposto appello avverso la detta decisione  assumendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

Il Comune di Frosinone si è costituito in giudizio resistendo all’impugnazione.

Alla pubblica udienza del 22 giugno 2000  la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appellante adduce a sostegno dell’impugnazione un’ampia disamina della giurisprudenza amministrativa dalla quale si evincerebbe che il concetto di ristrutturazione edilizia include interventi come quello da lui eseguito e consistente nella demolizione di parte assai rilevante del fabbricato per procedere alla sua ricostruzione.

Osserva il Collegio che nella specie risulta ininfluente l’individuazione in astratto del concetto di ristrutturazione ai sensi dell’art. 31 lett. d) della legge n. 457 del 1978, dovendosi piuttosto verificare se possa ritenersi corretta la conclusione cui è pervenuto il TAR, il quale ha affermato che sussistevano i presupposti per procedere all’annullamento della concessione.

Per un verso, infatti, con la concessione non si è autorizzata una generica “ristrutturazione” dell’edificio, così generando un problema di interpretazione dell’atto, bensì la  “realizzazione di locali sottotetto uso servizi”, “zona a portico”, “modifica della struttura portante da muratura a c.a.”.; intervento, quest’ultimo che la stessa concessione ha assentito a titolo gratuito, valutandolo “assimilabile a manutenzione straordinaria”.

Per altro verso, il provvedimento di annullamento   impugnato è esplicitamente motivato dal rilievo che erano stati eseguiti, o in corso di realizzazione, opere difformi da quelle autorizzate, e il primo giudice ha appunto verificato che la concessione si riferiva ad interventi che non prevedevano la demolizione di parte consistente dell’immobile.

L’appellante contesta tale affermazione richiamandosi alla relazione tecnico illustrativa, allegata al progetto allegato all’istanza di concessione, nella quale si faceva espressa menzione della demolizione secondo il, non meglio specificato, sistema “scuci-cuci” e della totale ricostruzione del fabbricato.

Osserva tuttavia il Collegio come risulti chiaro dagli atti che la demolizione doveva considerasi un intervento non previsto dalla concessione.

A tale riguardo risulta decisiva la nota 3 agosto 1992, con la quale il direttore dei lavori, il giorno prima dell’accertamento compiuto sul posto dall’Ufficio Tecnico Comunale, ha ritenuto suo dovere informare il Comune che, a causa delle “gravi lesioni di due muri portanti perimetrali” e considerato che “eventuali puntellature non avrebbero potuto essere eseguite senza pregiudicare la sicurezza dei lavoratori”, si era dovuto procedere demolizioni parziali. Di analogo contenuto è la dichiarazione dello stesso ingegnere in data 26 febbraio 1993.

I predetti documenti attestano, oltre ogni ragionevole dubbio, che la demolizione delle mura non era prevista, e, quindi, non autorizzata, che, tuttavia, si era resa necessaria a causa della particolare qualità delle mura medesime, inidonee a sopportare, senza cedimenti, la modalità di intervento sulle fondamenta e sulle strutture portanti definita “scuci-cuci”.

La incontrovertibile realtà dei fatti come sopra sintetizzata non poteva non reagire sul versante giuridico-amministrativo rappresentato dal provvedimento concessorio, con il quale si era autorizzato un complesso di interventi che non avrebbero comunque comportato il tipo di ricostruzione che l’appellante è stato costretto a intraprendere, ossia la ricostruzione ex novo, non a mezzo “scuci-cusi”, di gran parte dell’immobile.

In altri termini, non essendo più possibile eseguire le opere per come erano state previste dalla concessione, quest’ultima doveva essere rimossa mediante un provvedimento di ritiro, che il Comune ha adottato prendendo atto di una sopravvenienza di fatto che ha fatto venir meno l’oggetto della concessione.

Nella vicenda in esame, quindi, non ha pregio il rilievo che il provvedimento concessorio non poteva essere annullato perché non era affetto dal alcun vizio originario, essendo ben noto al diritto amministrativo l’istituto della illegittimità sopravvenuta, che è conseguenza, non solo del venir meno di presupposti normativi, ma anche di vicende afferenti agli elementi strutturali del provvedimento, di odine soggetti od oggettivo.

In conclusione l’appello deve essere rigettato, ma sussistono ragioni per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,    rigetta l’appello in epigrafe;

dispone la compensazione delle spese;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella  camera di consiglio del 22 giugno   2001 con l'intervento dei magistrati:

Alfonso Quaranta                            Presidente

Andrea Camera                                Consigliere

Giuseppe Farina                               Consigliere

Corrado Allegretta                            Consigliere

Marzio Branca                                 Consigliere est.

 

 

     IL PRESIDENTE                             L’ESTENSORE

F.to Alfonso Quaranta                          F.to Marzio Branca

IL SEGRETARIO

F.to Franca Provenziani