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Consiglio di Stato 5926/2001 |
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di
Stato in
sede giurisdizionale,
Quinta Sezione ha pronunciato la seguente decisione sul
ricorso in appello n. 7561/95, proposto da Pietro PIUTTI,
rappresentato e difeso dall’avv. Marzio Albano, ed
elettivamente domiciliato in Roma, v. Cosseria n.2 (studio Folliero Orrù), contro il
Comune di Reana del Rojale, in persona del Sindaco
p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Mussato e Nicolò
Paoletti, e presso il secondo elettivamente domiciliato in Roma, v. B.
Tortolini n.324, per l'annullamento della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli- Venezia
Giulia 13 luglio 1994, n. 278, resa inter
partes, con la quale sono stati rigettati i quattro
ricorsi riuniti proposti dal ricorrente avverso ordini di
sospensione dei lavori e di demolizione di manufatti abusivi. Visto il
ricorso in appello con i relativi allegati; Visti
l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato; Visti gli
atti tutti della causa; Relatore alla
pubblica udienza del 22 giugno 2001 il Consigliere Gerardo Mastrandrea;
uditi per le parti gli avv.ti Mungari, su delega dell’avv. Albano, e
l’avv. Mussato; Ritenuto e
considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO
1. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata,
sono stati respinti quattro ricorsi riuniti proposti in prime cure
dall’attuale appellante avverso, nell’ordine, l’ordine di
sospensione di lavori concernenti opere abusive (in particolare
rifacimento di murature e sottofondazioni con inserimento di pilastri in
cemento armato), l’ordine di demolizione delle predette opere,
l’ordine di demolizione di altre opere abusive (relative questa volta
alla costruzione di una nuova ala dell’edificio a nord-ovest), il
provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune della suddetta
parte nuova di fabbricato. Il tutto eseguito in violazione, ad avviso
del Comune intimato, della concessione edilizia n. 43/87, rilasciata -
in data 24 aprile 1987 - al fine della ristrutturazione di un fabbricato
ad uso abitazione e
deposito gravemente danneggiato a seguito del sisma del 1976. Il menzionato
titolo di assenso edilizio è stato peraltro interessato, con ordinanza
sindacale n. 7 del 13 gennaio 1988, non contestata a tempo debito dal
reclamante, da una parziale declaratoria di decadenza in ragione di un
intervenuto contrasto con la variante n.26 dello strumento urbanistico
comunale vigente. I diversi
sopralluoghi dei tecnici comunali, sui quali hanno tratto fondamento le
determinazioni impugnate in primo grado e confermate dai primi giudici,
hanno dato modo di constatare che le murature portanti erano state
completamente ricostruite, e non solo consolidate come previsto dal
progetto approvato in occasione della concessione edilizia succitata, e
che era stata costruita una propaggine del tutto nuova
a Nord-Ovest del fabbricato.
2. Il Tribunale di prima istanza ha respinto i
ricorsi del sig. Piutti fondando le proprie argomentazioni precipuamente
su elementi di rilievo fattuale, visto che le opere, per stessa
ammissione di parte ricorrente, sono state eseguite in difformità del
provvedimento concessorio, e non rilevando in maniera decisiva l’entità
dell’abuso. 3.
Con l’appello in trattazione il sig. Piutti è tornato a dedurre
vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere, affermando
che in entrambi gli abusi si sarebbe trattato di interventi di lieve
entità e comunque sussumibili nella categoria delle varianti in corso
d’opera, che come è noto non possono essere oggetto di provvedimento
demolitorio.
4. L’appellato
Comune si è costituito in
giudizio per resistere all’appello, difendendo l’ineccepibilità
della sentenza gravata. Alla pubblica
udienza del 22 giugno 2001 il
ricorso in appello è stato introitato per la decisione. DIRITTO 1. L’appello non merita accoglimento. Con la
sentenza impugnata è stata confermata la legittimità delle decisioni
assunte dall’Amministrazione comunale, di carattere sospensivo,
demolitorio ed infine ablatorio, relativamente a due diverse fattispecie
di abuso edilizio poste in essere in relazione al medesimo fabbricato. In
particolare, in difformità dalla concessione edilizia n. 43 del 1987 -
parzialmente decaduta con atto sindacale n. 7/88, non impugnato
dall’istante, nella parte in contrasto con l’intervenuta
variante allo strumento urbanistico comunale - che assentiva alla
ristrutturazione di un fabbricato ad uso abitazione e deposito,
danneggiato dal sisma del 1976, risultavano realizzate, alla luce di due
diversi sopralluoghi, da un lato la demolizione delle sottofondazioni,
la ricostruzione della muratura e la demolizione delle fondazioni
(in relazione alla muratura esterna portante), dall’altro
l’edificazione ex novo della
propaggine nord-ovest del
fabbricato. 2. Il ricorrente, anche in sede di appello, ha
insistito nel qualificare le opere in questione come variazioni di
minima entità e comunque non essenziali, per cui il Comune, non
applicando tra l’altro la disciplina sulle varianti in corso d’opera
(art. 15 l. 47/85), sarebbe incorso nel travisamento dei fatti e
nell’erronea applicazione della normativa vigente.
3. Ciò posto, non
appare revocabile in dubbio, e in verità non è messo efficacemente in
discussione nemmeno dallo stesso ricorrente, che le opere realizzate
dall’appellante fossero realmente difformi da quanto assentito dalla
concessione, che si limitava a prevedere il consolidamento ed il
ripristino del fabbricato, in particolare mediante la creazione di un
locale adibito a scantinato non esistente, la conservazione e il
ripristino delle murature mediante la demolizione dei soli intonaci e
l’applicazione di rete elettrosaldata (e non dunque, come avvenuto,
tramite la completa ricostruzione delle medesime con pilastri in cemento
armato e mattoni pieni). Resta da
valutare se, a fronte anche della portata degli abusi, le sanzioni
adottate dal Comune rispondessero ad un quadro di legittimità. 4. Tanto premesso, scrutinando il lungo
dispiegamento dei motivi di appello, traenti origine dalle censure
dedotte in primo grado con i quattro diversi ricorsi introduttivi, può
prendersi le mosse dalle doglianze formulate in relazione ai ricorsi n. 365/89 e 396/89, inerenti alla prima tipologia di abuso. L’Amministrazione
comunale, nel disporre definitivamente la demolizione delle opere
abusive, una volta ordinata
la sospensione dei lavori, ha richiamato il disposto normativo
dell’art.12, comma 1, della l. 47/85, che prevede la demolizione, a
cura e spese dei responsabili dell’abuso, delle opere eseguite in
parziale difformità dalla concessione. Nella specie
l’Amministrazione comunale ha ritenuto, sulla base della propria
valutazione discrezionale, che la demolizione, nonostante riguardasse
strutture portanti, potesse avvenire senza pregiudizio della parte
eseguita in conformità, e pertanto non ha applicato la sanzione
pecuniaria a norma del comma 2 del citato art. 12. Sul punto comunque
nulla ha specificamente dedotto l’appellante. Quest’ultimo
ha invece impostato la propria trama argomentativa essenzialmente
sull’entità delle difformità, ritenute “minime e
necessitate”, e sull’includibilità degli interventi eseguiti
nell’ambito delle varianti in corso d’opera ex art. 15 l. 47/85, per
le quali non è prevista la sanzione demolitoria. Ciò posto,
in disparte la possibilità di effettuare conferenti distinzioni in base
all’entità di difformità, come nella specie, comunque accertate e
per le quali può essere invocata la doverosa repressione dell’abuso (cfr.
Cons. Stato, V, 19 marzo 1996, n. 270), nell’ipotesi in argomento non
si rinvengono elementi probatori a supporto della asserita entità
trascurabile delle difformità realizzate, atteso che, invece del
consolidamento dei muri, si è provveduto alla demolizione e alla
ricostruzione dei medesimi con l’inserimento di pilastri in cemento
armato e quindi con modifiche strutturali di un certo rilievo. Né, di
fronte all’accertata difformità rispetto al titolo edilizio, spetta
al giudice sindacare, nel merito delle valutazioni di competenza
dell’Amministrazione, se i muri portanti fossero effettivamente
vetusti ed in pessimo stato, così da giustificare la ben più
impegnativa opera di ricostruzione e rafforzamento avviata dal
ricorrente. La
“parziale difformità” è una categoria residuale nella quale non
rientrano da un lato i lavori effettuati senza concessione, in totale
difformità o in variazione essenziale, dall’altro quelli qualificati
varianti in corso d’opera, e che in effetti può trovare spazio in
caso di lavori murari non previsti, una volta semplicemente raffrontati
il progetto approvato e le opere in concreto realizzate.
Nella fattispecie non può trovare invece validamente spazio
applicativo l’istituto della variante in corso d’opera, che peraltro
avrebbe comunque preteso un iter procedurale d’approvazione, nel caso
nemmeno avviato. Corre
l’obbligo di evidenziare che la variante in corso d’opera di una
concessione edilizia, a norma dell’art. 15 l. 47/85, oltre che trovare
applicazione solo in caso di conformità agli strumenti urbanistici
vigenti delle opere difformi, pretende anche che le modificazioni
introdotte rispetto alla concessione originaria siano di consistenza
limitata (Cons. Stato, V, 11 aprile 1996, n. 392). Così, con
particolare attinenza alla vertenza in trattazione, non è stata giudicata di modesta entità - al punto di
costituire una variante in corso d’opera - la demolizione
e la ricostruzione di muri perimetrali; tali interventi, in caso
di violazione delle prescrizioni e delle modalità esecutive
della originaria concessione, integrano, per contro, gli estremi
della parziale difformità (cfr. Cass. pen., III, 12 maggio 1994). Gli
interventi rivolti al rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio
non possono, inoltre, essere
fatti rientrare nella fattispecie della manutenzione straordinaria (e
questo vale a maggior ragione, come si vedrà, anche per la seconda
tipologia di abuso). Non giova al
ricorrente nemmeno lamentare la mancanza di motivazione circa
l’interesse pubblico a provvedere, atteso che tale motivazione è
tradizionalmente ritenuta in re
ipsa a fronte della doverosa azione
ripristinatoria. Non
sussistono poi elementi obiettivi che confortino l’asserito intento
persecutorio e quindi lo sviamento che avrebbe contraddistinto, nel caso
di specie, l’azione amministrativa.
Non si ravvisa, infine, fatte salve le osservazioni sopra
riportate circa le valutazioni effettivamente sindacabili, la pretesa
contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione alla stregua
dell’emanazione di un’ordinanza di demolizione di un muro, emessa
nell’immediatezza dell’evento sismico del 1976, trattandosi in
quest’ultimo caso di provvedimento del tutto autonomo, intercorso
diverso tempo prima ed adottato in
seguito ad altra tipologia di valutazioni, connesse all’emergenza e
alla sicurezza pubblica. 5. Quanto alle doglianze riproposte in relazione ai
ricorsi originari nn. 828/92 e 1005/93, non è in verità richiesto al
Collegio un rilevante ulteriore sforzo di approfondimento, venendo ad
essere nuovamente invocate la minima entità delle difformità e la
riconducibilità dell’intervento all’ipotesi di variante in corso
d’opera, profili che stonano ancora di più, nella specifica
fattispecie, con la
demolizione e la completa ricostruzione
ex novo di un’ala del
fabbricato che, ai sensi del titolo concessorio, non doveva essere
interessata da alcun intervento. E’ dunque
evidente che si tratti di abuso legittimamente fatto rientrare
dall’Amministrazione comunale, come può evincersi dal provvedimento
impugnato (che sul punto non è generico), nell’ipotesi di esecuzione
di opere in assenza di concessione edilizia, in totale difformità dalla
medesima ovvero con variazioni essenziali, con le doverose conseguenze
dal punto di vista sanzionatorio. La
costruzione di un nuovo corpo di fabbrica non previsto dal progetto
approvato integra di certo gli estremi della modifica della sagoma e
delle superfici utili. In tale fattispecie non può quindi trovare
applicazione il citato art. 15 della l. 47/85, che consente varianti in
corso d’opera. 6. Alla stregua delle considerazioni suesposte
l’appello non può sfuggire alla reiezione. Sussistono,
nondimeno, i motivi per
disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti,
relativamente al presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo respinge. Spese del
presente grado compensate. Ordina che la
presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così
deciso in Roma, il 22 giugno 2001,
dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati: Alfonso
Quaranta
Presidente
Andrea
Camera
Consigliere Giuseppe
Farina
Consigliere Corrado
Allegretta
Consigliere
Gerardo
Mastrandrea
Consigliere est. L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE f.to
Gerardo Mastrandrea
f.to Alfonso Quaranta IL
SEGRETARIO f.to
Franca Provenziani |