| sommario | legislazione | giurisprudenza | tabelle |modulistica || pubblicazioni | recensioni | links | utilities | |iusambiente è |
Consiglio di Stato 125/2002 |
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio
di Stato
in sede
giurisdizionale Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 7044 del 2001, proposto da s.r.l.
SABER , rappresentata e difesa dagli avv. Paolo ed Elena Stella Richter
e con essi elettivamente domiciliata
presso il loro studio
, in Roma, viale G.
Mazzini, n. 11, contro il Comune
di Roma, rappresentato e
difeso dagli avv. Nicola Sabato e Rodolfo Murra e con essi elettivamente
domiciliato , in Roma,
via del Tempio di
Giove, n. 21, per
l'annullamento della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II ter
, n. 4856/01,
pubblicata il 1° giugno 2001. Visto
il ricorso con i relativi allegati; Visto
l'atto di costituzione in giudizio della parte sopra indicata;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti
gli atti tutti della causa; Viste
le ordinanze cautelari del 6 e 25 settembre 2001; Designato
relatore, alla pubblica udienza del 18 dicenbre 2001,
il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli
avvocati Paolo Stella Richter e Nicola Sabato;
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO 1.
Il
ricorso in epigrafe è stato notificato il 26 giugno e depositato il 3
luglio 2001. E’ impugnata la sentenza n. 4856/01 del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con la quale sono stati respinti i
ricorsi per l’annullamento delle determinazioni dirigenziali n. 1044/6
marzo 2000, di demolizione d’ufficio di opere abusivamente eseguite, e
n. 1913 del 20 dicembre 2000, di diniego di concessione edilizia. 2.
Sono
proposti i seguenti motivi: 2.1.
con
riguardo al primo provvedimento. Non sussistono i presupposti di cui
all’art. 4, comma 2, della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, per disporre la demolizione: manca il
requisito dell’urgenza e dell’opera solamente iniziata; esiste il
titolo per eseguire le opere, costituito dalle denunzie di inizio delle
attività; non c’è contraria previsione di norme urbanistiche; non
c’è vincolo di inedificabilità; 2.2.
non c’è
stato adeguamento al parere reso dalla Regione, come affermato dal
T.A.R. Il parere è, infatti, intervenuto in data successiva al 6 marzo
2000; 2.3.
i fatti
sono stati travisati, perché si tratta di un grande parcheggio, al di
sotto del piano di campagna, non già di un albergo annesso a quello
esistente; 2.4.
i motivi
aggiunti, proposti in prime cure, erano ammissibili; 2.5.
con
riguardo al secondo dei provvedimenti impugnati: sussistono i
presupposti richiesti dal parere della Regione Lazio: volumetria
assentita, che era stata regolarmente autorizzata, e standard
rispettati. 3.
Si è
costituito in giudizio il Comune di Roma, che, con memoria depositata il
16 luglio 2001, confuta analiticamente le censure dell’appellante, per
concludere per la
reiezione. 4.
Nella
camera di consiglio del 24 luglio 2001, l’esame della domanda di
sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata è stato riunito
alla trattazione del merito, per il quale è stata fissata l’udienza
del 18 dicembre 2001. Secondo un’acquisita consuetudine, ciò comporta
l’invariabilità, per le parti, della situazione di fatto esistente.
E’ stato poi segnalato dalla parte appellante, con ulteriore
richiesta, depositata il 6 settembre, di esame della domanda cautelare,
che gli organi del Comune stavano per dare inizio all’attività di
demolizione, conseguente al primo dei provvedimenti impugnati. Per
effetto di ciò, è stata doverosamente accolta la domanda di misure
cautelari urgenti, dapprima, con provvedimento presidenziale del 6
settembre 2001, adottato in conformità di quanto previsto dall’art.
21, comma ottavo, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, “anche in assenza
di contraddittorio”. Poi, con ordinanza collegiale, adottata nella
prima camera di consiglio utile, in data 25 settembre 2001, con
l’intervento di ambedue le parti, la misura è stata confermata,
essendo stato ritenuto necessario lasciare immutata, sino alla pronuncia
di merito, la situazione esistente, secondo quanto già considerato
nella prima camera di consiglio del luglio precedente ed essendo palese
l’irreparabilità del danno derivante da demolizione, se nel frattempo
eseguita. 5.
All’udienza
del 18 dicembre 2001, dopo gli interventi delle opposte difese, il
ricorso in appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. E’ parere del collegio che vada esaminata, prima delle
altre, la censura proposta con il terzo motivo, dove si sostiene che non
è stato edificato un albergo, fuori terra e senza rispetto degli
“standard” a verde e per parcheggi, come ha ritenuto il primo
giudice, ma che il manufatto di cui è causa è un grande parcheggio al
di sotto del piano di campagna, che è anch’esso uno “standard”.
E’ destinato ad essere interrato, “una volta ultimata la
sistemazione dei luoghi”, e ciò viene avvalorato, secondo la società
appellante, dalle fotografie che sono esibite e dal decreto 26 maggio
2001 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, che
ordina il dissequestro.
La censura va disattesa.
Non solo la documentazione fotografica, prodotta anche dal Comune
intimato, ma, in primo luogo, il decreto di dissequestro esibito,
dimostrano una diversa realtà, conforme a quella presa in
considerazione dal primo provvedimento impugnato. Infatti, sono stati
ordinati dissequestro e restituzione del solo “manufatto corpo C,
piano interrato”. E’ stato tenuto fermo il sequestro dei “piani
superiori del corpo C” e dei corpi A e B.
Resta perciò non contestata la situazione, in relazione alla
quale è stato pronunciato il primo dei provvedimenti impugnati, e cioè
il provvedimento n. 1044 del 6 marzo 2000 che dispone la demolizione, ai
sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Di fronte, vale a dire, a contestazioni non suffragate da
concreti supporti probatori, le opere edilizie in corso sono le
seguenti, come descritte nell’atto impugnato, e secondo una
ricostruzione che qui, per ragioni di maggior chiarezza, si può così
riassumere: -
sono
rilevabili più “corpi” in costruzione; -
il corpo
“A” si configura come
un manufatto di un “piano di circa mq. 800”, alto m. 4,50, “con
struttura in cemento armato e coperto”. E inoltre, con “copertura
dei pilastri, posti sul secondo livello … per una superficie totale di
mq. 1.100”. Ed infine, con realizzazione di un “cordolo” in
cemento armato posto all’altezza di 3 metri circa del secondo livello
“a legatura dei travi verticali”. Non si tratta perciò di
un’opera interrata, quale la sua destinazione a parcheggio dovrebbe
far ritenere; -
il corpo
“B” è un “manufatto di 3 piani di superficie coperta a piano di
circa mq. 1.100”, con altezza di m. 3,70, ovviamente per ciascun
piano, costruiti in cemento armato. E’ rilevata la “copertura e
tamponatura e tramezzatura del secondo e terzo livello” del fabbricato
“per una misura complessiva di mq. 2.200”, cioè di 1.100 mq. per
piano. E’ espressamente rilevato che “detti lavori non consentono
destinazione d’uso a parcheggio” e la conclusione appare da
condividere, data l’altezza e i caratteri dell’opera. Invero, viene
riferita anche la posa in opera di una guaina bituminosa sulla copertura
del terzo livello di tale fabbricato per circa mq. 1.100, e, sempre ivi,
“la realizzazione di 35 camere con relativo bagno; alcune con posa di
sanitari”. Si aggiunge infine che è completa l’intonacatura esterna
del fabbricato – situazione, questa, non compatibile con un divisato
successivo interramento – e che sono state “rifinite n. 11 stanze
complete di mobilio”. E’ stata realizzata una scala a chiocciola
interna che collega i tre livelli; -
il corpo
“C” è un manufatto “ad un solo piano di circa mq. 1.200” e di
altezza di metri 3,10. Vi sono anche due “sbancamenti per mq. 6.000 e
8.000 circa”; -
a ridosso
dei corpi B e C “è stato realizzato un manufatto composto di tre
livelli delle dimensioni di “ 15 metri per 10 metri per 3 metri, per
ciascun livello, e dunque di complessivi 450 metri quadrati e 1.350
metri cubi.
L’oggettiva consistenza e le caratteristiche delle opere sono,
d’altronde, confermate dalla domanda di concessione edilizia
dell’undici novembre 1998, sottoscritta dall’allora legale
rappresentante della società proprietaria e da un tecnico, e volta ad
ottenere la variazione della destinazione d’uso ad attività turistico
alberghiera, ritenendosi possibile l’applicazione dell’art. 14 della
legge regionale 3 marzo 1997, n. 20. Ivi si indicava che la “cubatura
da trasformare” era pari ad un volume di 24.278 metri cubi di locali
asseritamente interrati.
Non è ravvisabile, di conseguenza, il lamentato travisamento dei
fatti.
2. Con il primo motivo del ricorso in appello, si afferma che non
sussistono i presupposti per l’applicazione del citato art. 4, comma
2, della l. n. 47 del 1985. Si sostiene, in concreto, che manca il
presupposto dell’urgenza e dell’opera solamente iniziata; ed,
ancora, quello della mancanza di titolo, dato che era stata presentata
denunzia di inizio di attività (D.I.A.), legittimamente utilizzata; né
vi è la contraria previsione di norme urbanistiche, poiché non sono
tali le prescrizioni di piano regolatore; né, infine, si ha vincolo di
inedificabilità, e ciò sia per l’ampiezza dell’area (di mq.
47.000), sia perché un qualunque impedimento alla edificazione, quale
può essere la mancanza del lotto minimo, non può equipararsi ad un
vincolo di questo tipo.
Il motivo non si mostra fondato.
Quello dell’urgenza, è un requisito non prescritto dall’art.
4, comma 2, in esame, e perciò impropriamente invocato. Il
provvedimento di demolizione d’ufficio è giustificato allorché vi
sono opere edilizie che abbiano le caratteristiche descritte nella
norma. E si vedrà, qui di seguito, che tali caratteri sussistono.
Neppure è stabilito che debba trattarsi di opere solamente
iniziate. Né la lettera, né lo scopo rilevabile dalla disposizione in
esame possono far propendere in tal senso. E’ necessario e sufficiente
che, qualunque sia lo stato della costruzione, esse siano state eseguite
senza titolo e sulle aree come individuate dall’art.4.
La denuncia di inizio di attività non costituisce titolo per
costruire opere come quelle che si sono qui descritte. La D.I.A., con
riguardo al caso specifico, è consentita dall’art. 4, comma 7, lett.
h), del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398 – come modificato, da ultimo, da
d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 – per “parcheggi di pertinenza nel
sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato”. Nel caso in esame
la massima parte delle opere non è edificata nel sottosuolo, sicché
non si può riconoscere che sia stata legittimamente utilizzata la
denuncia in questione.
In ordine, poi, alla dedotta insussistenza di norme urbanistiche
che vietano l’edificazione, non può condividersi l’assunto che tali
non siano quelle di piano regolatore. Ed infatti, che la disposizione di
legge si riferisca alle destinazioni disposte da strumenti urbanistici,
si desume dal fatto che vi si fa cenno alle norme urbanistiche vigenti o
“adottate”. Ed è questo il tipico caso degli strumenti di
pianificazione. Nel caso in esame, l’area di cui si controverte ha
destinazione agricola, e la possibilità di edificazione è ammessa
entro misure assai limitate dall’esibito art. 11 delle norme tecniche
di attuazione.
Queste condizioni non ricorrono nel caso di specie, e si può così
passare all’ultimo profilo della complessa censura. Vi si sostiene che
altro è un vincolo di inedificabilità, altra è la possibilità di
costruire limitatamente, che si configurerebbe come un parziale
impedimento alla edificazione. La tesi non merita adesione, né in punto
di diritto, né in punto di fatto, cioè con riguardo alla specifica
consistenza del lotto in discussione.
Non sul piano giuridico, perché la formula di legge non può
essere intesa così come sostiene l’appellante, in difetto di
ulteriori precisazioni in essa contenute. Essa va interpretata nel senso
che sia in vigore un divieto di edificare, secondo un’accezione che può
desumersi anche da altre disposizioni della legge. E’ da richiamare
qui, in particolare, l’art. 33 della legge stessa, nel quale le opere
non suscettibili di sanatoria sono definite con riferimento a quelle che
siano in contrasto con una serie, appunto, di vincoli, fra i quali sono
elencati non solo quelli imposti, da leggi o da strumenti urbanistici,
per la tutela di interessi paesistici, ambientali, e di altro tipo, ma
è anche enunciato, alla lett. d), “ogni altro vincolo che comporti la
inedificabilità delle aree”. Non vi sono, perciò, neppure elementi,
desumibili dal sistema della legge, che possano indurre a circoscrivere
in misura restrittiva l’analoga formula utilizzata nell’art. 4,
comma 2, in esame. E’ infine, da rilevare che l’inedificabilità
derivante dall’art. 11 N.T.A. è imposta
anche per fini di tutela ambientale (come è consentito per le
destinazioni a verde agricolo: Sez. IV, n. 869 del 25 maggio 1998; n.
2639 dell’8 maggio 2000; n. 5091 del 26 settembre 2001), sicché il
vincolo ha anche il carattere che la società ricorrente assume debba
necessariamente sussistere.
In punto di fatto, poi, non è controverso che il lotto minimo
edificabile per le aree a destinazione agricola – nella specie: H2,
secondo le indicazioni delle N.T.A. richiamate sopra – deve avere una
consistenza di 50.000 metri quadrati. La ricorrente afferma che l’area
interessata sarebbe di 47.000 metri quadrati. Ciò è già, di per sé,
sufficiente per concludere per l’inedificabilità. Inoltre, neppure
risulta che la disponibilità dell’intera area, così misurata, sia
stata acquisita, né alla data dell’inizio della attività
edificatoria, né alla data del provvedimento impugnato. In ogni caso,
il divieto di edificazione è palesemente desumibile dal citato art. 11
delle N.T.A., nel quale: -
la zona
H, agro romano, sulla quale insiste l’area in discussione, è definita
come comprendente “le parti del territorio extraurbano … che
presentano valori ambientali essenziali per il mantenimento dei cicli
ecologici, per la tutela del paesaggio agrario, del patrimonio storico e
del suo complesso e per un giusto proporzionamento tra le aree edificate
e non edificate”. Vengono così in rilievo altre considerazioni poste
a base dello specifico vincolo di inedificabilità, che suffragano ancor
più la conclusione sopra enunciata, circa la sussistenza di un vincolo
contemplato dall’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985; -
sono
ammesse costruzioni necessarie alla conduzione agricola in un
appezzamento minimo di 50.000 o di 100.000 metri quadrati; -
la
specifica sottozona H2 riguarda ambiti “che richiedono una particolare
salvaguardia per motivi di difesa idraulica, archeologica, paesistica e
di difesa da inquinamento …”. 3. Con il
terzo motivo, si censura la sentenza appellata per avere affermato che
il provvedimento 6 marzo 2000 si sarebbe adeguato al parere
dell’Amministrazione regionale, che è invece posteriore.
La doglianza è irrilevante, e perciò inammissibile.
L’affermazione del primo giudice (pag. 26 della motivazione) è
di rincalzo alla conclusione sulla legittima applicazione dell’art. 4,
comma 2, più volte citato. Con la conferma di tale statuizione,
derivante da quanto si è fin qui considerato, il parere, sicuramente
successivo, della Regione, ma non necessario per l’adozione della
misura contestata dalla società appellante, vale sicuramente a ritenere
che non si poteva far luogo alla concessione richiesta, ma non è
elemento che ha spiegato un qualche effetto lesivo con riguardo al
provvedimento che dispone la demolizione.
4. Con il quarto motivo si contesta la dichiarazione di
inammissibilità dei motivi aggiunti notificati dopo la produzione di
atti, da parte del Comune, in esecuzione dell’istruttoria disposta dal
Tribunale amministrativo regionale.
La doglianza non ha pregio.
I motivi in parola prendevano spunto dalle due lettere, di un
altro ufficio del Comune e del Ministero dei lavori pubblici, nelle
quali si condivide la tesi che i vincoli di inedificabilità sussistono
anche in assenza di “lotto minimo”. Si pongono, cioè, in tema di
intepretazione dell’art. 4, comma 2, l. n. 47 del 1985. Da qui: -
a) la
loro non lesività, come non è lesivo alcun parere reso nell’ambito
di un procedimento. E’, invero, il provvedimento conclusivo che incide
sulla posizione giuridica del suo destinatario e che può essere
sindacato in ordine alla interpretazione data della norma applicata; -
b) le
specifiche censure proposte riguardano: b.1) il fatto che le opere
ricadono in zona “H2 di PRGC” e si pone la questione della
insussistenza di vincolo di inedificabilità. Questa era stata
affrontata e risolta dal primo giudice (pagg. 27/29 della motivazione)
ed ha trovato conferma, in senso opposto a quello sostenuto dalla società
appellante, in questa sede; b.2) la contestazione dell’esigenza di
esistenza del “lotto minimo” per costruire parcheggi interrati. E la
questione era stata parimenti decisa in senso negativo dal T.A.R. (pag.
25), quando ha rilevato che si trattava di corpi edilizi diversi, non di
parcheggi, ed ha trovato identica soluzione in questo grado; b.3) un
presunto difetto di istruttoria, perché si dava “per scontata
l’applicazione al caso di specie” dell’art. 4, comma 2, sulla
scorta del parere di un altro ufficio del Comune (dipartimento IX,
ufficio abusivismo edilizio, nota del 18 ottobre 1999). E non solo non
sussiste difetto di istruttoria se accertamenti sono stati compiuti da
altra unità organizzativa del medesimo ente, ma, come è fatto palese
dal tenore della lettera in esame, l’ufficio si è unicamente
pronunciato “circa l’applicazione della procedura semplificata
prevista dall’art. 4, comma 2, della legge 47/85 nei casi di abusi
edilizi realizzati in zona H di PRG e in assenza del lotto minimo”. 5. Con il
quinto motivo si critica la sentenza appellata ed il provvedimento che
ha respinto l’istanza di concessione edilizia, perché si sono
ritenuti insussistenti i presupposti indicati nel parere della Regione
Lazio, e cioè che la volumetria esistente fosse stata regolarmente
autorizzata e fossero previsti, nel progetto,
gli standard a verde e per parcheggi. Si aggiunge che il cambio
di destinazione d’uso era da autorizzare in applicazione dell’art.
14, comma 4, della legge reg.le 3 giugno 1997, n. 20.
Non merita adesione neanche la censura ora riferita.
Per quanto si è già sopra rilevato, nessuna volumetria era
stata assentita per le opere in questione, sicché manca la prima delle
condizioni indicate. E non occorre indugiare perciò sull’esistenza
dell’altra condizione.
Per quel che riguarda il comma 4 dell’art. 14 della legge reg.le
n. 20/1997, va posto in rilievo che in esso si prevede la possibilità
di variazioni di destinazione d’uso degli immobili utilizzati come
strutture ricettive con regolare autorizzazione di esercizio. E non è
questo il caso delle opere in esame, di certo non utilizzate come
strutture siffatte con regolare autorizzazione. Si prevede anche la
possibilità di tali variazioni “utilizzando edifici esistenti
ricadenti nella medesima area”. Ma tale condizione neppure sussiste,
poiché essa contempla costruzioni già esistenti, e quindi o compiute
prima dell’epoca in cui era necessario un provvedimento di licenza o
di concessione, o eseguite in conformità di un provvedimento siffatto,
o sanate. In nessuno di questi casi è riconducibile l’insieme di
opere in argomento.
6. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
Le spese sono poste a carico dell’appellante e sono liquidate
in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge l’appello.
Condanna la società appellante al pagamento delle spese
del grado, che liquida
in tremila euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma,
dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 18 dicembre 2001, con
l'intervento dei Signori:
Emidio Frascione
Presidente
Giuseppe Farina
Consigliere
rel. est
Paolo Buonvino
Consigliere
Goffredo Zaccardi
Consigliere
Marzio Branca
Consigliere L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE F.to
Giuseppe Farina
F.to Emidio Frascione IL
SEGRETARIO F.to
Francesco Cutrupi DEPOSITATA
IN SEGRETERIA Il
11 gennaio 2002 (Art.
55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE F.to Pier Maria Costarelli |