REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA
PUGLIA
PRIMA SEZIONE DI LECCE
Composto dai Signori Magistrati:
Aldo Ravalli Presidente
Enrico d’Arpe Componente
Ettore Manca Componente - relatore
ha pronunziato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 1180/05 presentato:
- da xxxxx xxxxx, rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Vantaggiato ed
elettivamente domiciliata in Lecce, presso lo studio del difensore,
xxxxx xxxxx;
contro:
- il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del
Ministro pro tempore, non costituito;
- la Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio, il
Patrimonio Storico ed Artistico per le Provincie di Lecce, Brindisi e
Taranto, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso cui è
per legge domiciliata;
- il Comune di Santa Cesarea Terme, in persona del Sindaco pro tempore,
non costituito;
- la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non
costituita;
- l’Assessorato all’Urbanistica della Regione Puglia, in persona del suo
dirigente pro tempore, non costituito;
per l’annullamento:
- del decreto prot. n. 2143/B di data sconosciuta con il quale la
Soprintendenza annullava il provvedimento del Sindaco del Comune di
Santa Cesarea Terme n. 1127, di autorizzazione paesaggistica in
sanatoria;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale e, in
particolare, della nota in data 27.1.05, prot. n. 691/04, del Dirigente
del Settore Urbanistico Regionale.
Visto il ricorso.
Designato alla pubblica udienza del 26 ottobre 2005 il relatore dott.
Ettore Manca e uditi gli Avv.ti presenti, come da verbale d’udienza.
Osservato quanto segue:
Fatto
1.- Nel ricorso si espone che:
1.2 la Sig.ra Miggiano è proprietaria, in Santa Cesarea Terme ed in
particolare in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di una casa
destinata alla residenza estiva, oggetto di alcuni interventi edilizi
abusivamente realizzati -in particolare consistenti in un piano
interrato ed in una modificazione degli accessi al camminamento comune.
1.3 Relativamente a tali opere ella presentava, nel marzo del 2001,
un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 13 l. 47/85: l’iter
amministrativo che ne seguiva, tuttavia, subiva una serie di
rallentamenti, anche dovuti alla pendenza per gli stessi fatti di un
processo penale.
1.4 Soltanto nel febbraio del 2005, dunque, l’A.C. rilasciava il
prescritto nulla-osta, poi inviato alla competente Soprintendenza.
1.5 Questa, con il decreto n. 2143/B, annullava tuttavia il
provvedimento comunale.
2.- Il decreto appena citato e gli altri atti indicati in epigrafe
venivano dunque impugnati per i seguenti motivi:
A) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt.
146 e 167 d.lgs. 42/04. Sviamento di potere. Travisamento dei fatti.
Violazione del giusto procedimento e dell’art. 97 Cost..
B) Violazione del principio di irretroattività delle norme che incidono
su fattispecie penali. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e
167 d.lgs. 42/04 in relazione all’art. 13 l. 47/85.
C) Errata applicazione dell’art. 146 d.lgs. 42/04.
3.- All’udienza del 26 ottobre 2005 la causa è stata introitata per la
decisione.
Diritto
1.- Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che di seguito
si indicheranno.
2.- Deve anzitutto rilevarsi che, su alcune delle questioni giuridiche
poste con il ricorso (v., in particolare, l’ultimo motivo di gravame),
il Tribunale si è già espresso con precedenti sentenze (v., fra le
altre, quelle nn. 8603/04 e 871/05), nelle cui motivazioni si esponeva
quanto segue.
2.2 Non può trovare accoglimento l’argomento di censura tendente ad
evidenziare il carattere non immediatamente operativo del divieto
contenuto nell’art. 146, comma 10, lett. C) del D. lgs. n. 42/2004
(<<L’autorizzazione paesaggistica:
… c) non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla
realizzazione, anche parziale, degli interventi>>), sul rilievo che lo
stesso dovrebbe entrare in vigore solo a far tempo dell’andata a regime
del nuovo procedimento autorizzatorio, con conseguente applicazione alla
fattispecie in esame della disciplina transitoria dettata dal successivo
art. 159 che non contempla espressamente tale divieto.
In senso contrario si osserva infatti che la disciplina transitoria
introdotta da quest’ultima norma -nel prevedere l’immediata
comunicazione, avente altresì per il privato efficacia notiziale di
avvio del procedimento, alla Soprintendenza delle autorizzazioni
rilasciate, unitamente ai relativi supporti documentali di parte ed
istruttori d’ufficio eventualmente nella forma di una relazione
illustrativa, nonché la fissazione del termine per il rilascio
dell’autorizzazione, delle relative sospensioni ed infine dei poteri
statali di annullamento e sostituzione- evidenzia già sul piano testuale
un contenuto meramente procedurale (peraltro coerente con la rubrica
“Procedimento di autorizzazione in via transitoria”), che non
interferisce sui profili sostanziali dell’esercizio del potere
concessorio e sulla sua connotazione in termini di necessaria
anteriorità rispetto alla realizzazione dell’opera. Sempre sul piano
lessicale tale conclusione rinviene ulteriori supporti argomentativi
nella lettera delle altre disposizioni contenute nel medesimo articolo,
le quali, per un verso, con un enunciato tipicamente ricognitivo di una
situazione di divieto di autorizzazione ex post, ribadiscono la
preclusione di dar inizio ai lavori in difetto della stessa (comma 2);
e, per altro verso, dettano una disciplina speciale ed a carattere
esplicitamente temporanea -che espressamente contempla il rilascio
dell’autorizzazione solo dopo l’approvazione dei piani paesaggistici-
per quelle fattispecie residuali oggetto di provvedimenti adottati ai
sensi dell’art. 1 quinquies del D. L. n. 312/1985 e pubblicati nella G.U
in data anteriore al 6.9.1985 (comma 5).
Emergono pertanto, già sul piano dell’interpretazione letterale delle
disposizioni in esame, la loro differente natura giuridica, la loro
diversa portata precettiva ed il conseguente regime giuridico scaturente
dalla loro combinazione: a fronte dell’immediatamente cogente previsione
relativa al divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria sancita
dal citato art. 146 (che è norma sostanziale ed espressione di un
giudizio di valore), il regime transitorio dettato dal successivo art.
159 trova applicazione limitatamente ai profili procedurali (che, in
quanto attinenti alle sole modalità di esercizio del potere, non ne
possono incidere l’intrinseca conformazione). In altri termini,
l’efficacia derogatoria di quest’ultima disciplina temporanea deve
ritenersi allo stato (e cioè sino all’approvazione dei piani
paesaggistici ai sensi dell’art. 156 ovvero ai sensi dell’art. 143 e
dopo il conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici ai sensi
dell’art. 145 del D. Lgs. n. 42/2004) prevalente solo sulle
corrispondenti norme che regolano il procedimento de quo nel suo regime
ordinario, senza che ciò comporti alcuna interferenza con la nuova
delimitazione e configurazione del potere autorizzatorio in questione,
il quale risulta, con norma immediatamente applicabile, delineato
dall’art. 146 nella sua sostanziale connotazione e nella sua estensione
operativa.
2.3 Questo principio d’altronde -e cioè l’immediata applicazione del
divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 146, comma
8, lett. C) del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in ragione della natura
sostanziale di tale norma delimitativa del relativo potere, come tale
non incisa dalle previsioni transitorie di rango esclusivamente
procedimentali del successivo art. 159-, non manifesta alcun profilo di
contrasto con l’impianto costituzionale, ponendosi per converso in un
rapporto di immediata inverazione, a livello di normativa primaria,
della tavola assiologica scaturente dalla Grundnorm: in positivo,
infatti, il fondamentale rango che il valore paesaggio rinviene nel
testo costituzionale e nella evoluzione della sensibilità
giuridico-sociale risulta pienamente ed effettivamente garantito proprio
attraverso un intervento amministrativo di tipo preventivo, che valuti
la compatibilità del progetto edificatorio con il contesto ambientale di
riferimento nella sua dimensione reale e nel suo intrinseco ed assoluto
significato, con esclusione di valutazioni operate in un quadro già
comunque inciso dall’opera ormai realizzata (e ciò esclude anche la
sussistenza delle contestate violazioni degli artt. 3 e 97 Cost.).
2.4 In negativo, a giudizio di questo Collegio, non risultano affatto
sussistere le prospettate censure di irragionevolezza e di
contraddittorietà intrinseca in ordine al delineato assetto legislativo
in materia.
Ed invero, in primo luogo, deve osservarsi che l’elaborazione
giurisprudenziale in tema di ammissibilità dell’autorizzazione
paesaggistica postuma ed il relativo supporto motivazionale, da un lato,
prendevano le mosse proprio dall’assenza di un espresso divieto
normativo, anche implicito, di adozione dell’atto a posteriori;
dall’altro, già si evidenziava l’impossibilità di richiamare nell’ambito
della materia della tutela del paesaggio la norma sull’accertamento di
conformità propria del settore edilizio (art. 13 L. n. 47/1985), e ciò
sia per il più pregnante significato che il valore paesaggio riceve in
forza dell’art. 9 Cost., sia per il contenuto valutativo sotteso
all’autorizzazione de qua a fronte del carattere fortemente vincolato
della sanatoria edilizia. Al riguardo, con particolare riferimento al
caso in questione ed alla fase transitoria in cui lo stesso si colloca,
occorre condividere l’osservazione secondo cui le motivazioni poste a
fondamento del divieto di autorizzazione paesaggistica e l’intrinseca
coerenza del sistema appaiono vieppiù consistenti proprio in relazione
alla caratteristica articolazione temporale e di progressivo
completamento della nuova normativa: è proprio in tale segmento storico/procedimentale
-in cui la connotazione dell’attuale pianificazione paesaggistica non
consente alla stessa di porsi quale stringente criterio per la verifica
della compatibilità di una trasformazione del territorio con il
superprimario interesse paesaggistico, a differenza di quanto
preconizzato dall’art. 143 D. Lgs. n. 42/2004 con riguardo ai futuri
piani dotatati di un ben maggiore livello contenutistico sul punto- che,
rimanendo siffatta verifica affidata ad un esercizio del potere
autorizzatorio fortemente discrezionale, resta particolarmente avvertita
la necessità di assicurare che tale valutazione abbia luogo di necessità
anteriormente alla modifica dello stato delle cose.
2.5 Ne consegue sia una piena razionalità nell’attuale assetto
normativo, sia un’ulteriore conferma dell’immediata applicabilità del
divieto in esame, atteso che lo spostamento della sua operatività al
termine della fase transitoria di cui all’art. 159 (e cioè una volta
introdotta la nuova pianificazione paesaggistica) finirebbe
contraddittoriamente per tradire la ragione giustificatrice propria
dell’introduzione del suddetto divieto.
2.6 Né, infine, colgono nel segno le pur perspicaci osservazioni in
ordine ad una intrinseca contraddittorietà del ricostruito sistema
normativo nella misura in cui lo stesso, a fronte di un assoluto divieto
di rilascio formale autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ha
mantenuto e riproposto la sanzione alternativa tra la demolizione
dell’opera ed il pagamento di un’indennità equivalente alla maggior
somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito (art. 167 D. Lgs.
n. 42/2004). In disparte il tema dell’idoneità di siffatta
argomentazione a fondare il dubbio di legittimità costituzionale
sull’art. 146 piuttosto che non su tale ultima normativa in ragione
degli già evidenziati valori sottesi al divieto di autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, deve osservarsi come siano profondamente
diversi ed incommensurabili gli ambiti operativi delle due norme, di tal
che alcuna incongruenza logico-giuridica può desumersi dal loro
confronto. Ed, invero, non appare corretta una ricostruzione della
fattispecie dell’alternativa sanzionatoria di cui al citato art. 167 in
termini tali da configurare nella decisione della P.A. di optare per la
sanzione pecuniaria in luogo della demolizione una sorta di
autorizzazione postuma implicita, con conseguente irrazionalità ed
illegittimità costituzionale della norma in contestazione in ragione
dell’assolutezza operativa che la caratterizza. In senso contrario
s’osserva che l’eventuale applicazione della sola sanzione pecuniaria,
da un lato, presuppone comunque l’accertamento di una violazione
rispetto al valore paesaggistico, sia pure di consistenza tale da non
imporre la demolizione dell’opera, laddove l’intervento autorizzatorio
esclude in radice ogni profilo di incidenza sullo stessa; dall’altro e
soprattutto, proprio in considerazione di tale diverso giudizio di
fondo, pur garantendo sul piano effettuale il mantenimento della
struttura, nondimeno -diversamente dall’intervento autorizzatorio- non
ne elide il carattere di illecito, condizionando la sorte giuridica (si
pensi alla circolazione del bene; al vincolo che dallo stesso deriva in
sede di successiva pianificazione territoriale; ecc.) e materiale (si
pensi ad un bene ancora a rustico o non ultimato) dell’opera edilizia.
Ne consegue che, in ragione dell’assoluta diversità dei rispettivi
ambiti operativi e delle connessa portata effettuale, alcuna
contraddizione discende dalla contemporanea vigenza delle due norme in
questione e della relativa conformazione dei rispettivi poteri in capo
all’amministrazione, di tal che, con specifico riguardo al caso di
specie, non può ritenersi illegittimo l’impugnato diniego per omesso,
preventivo esercizio del potere ex art. 167.
2.7 Ancora, non pare pertinente il riferimento ad una pretesa ed
irragionevole retroattività della nuova disciplina, atteso che, a fronte
della riconosciuta natura sostanziale della norma che delimita l’ambito
applicativo del potere autorizzatorio de quo, il principio tempus regit
actum, riferito all’iter amministrativo, implica che il provvedimento
finale del procedimento, che esprime l’assetto pubblicistico degli
interessi coinvolti nella fattispecie, deve obbedire alle scelte di
valore espresse dalla legge vigente alla data di adozione dell’atto.
2.8 Ai concetti fin qui richiamati, inoltre, si deve aggiungere che la
rigorosità del sistema normativo così come intepretato, ritenuta
irragionevole e sproporzionata dai ricorrenti, ne costituisce invece a
giudizio del Tribunale uno dei tratti più innovativamente
caratterizzanti, permeandone la ratio nel senso di attribuirgli una
valenza dissuasiva che, in assenza di questa immediata e piena
precettività, lo stesso non avrebbe certamente potuto assumere:
dissuasività che peraltro, come evidenziato in varie occasioni anche
dalla Corte di giustizia della Comunità europea, costituisce, insieme
alla effettività e alla proporzionalità -cui pure si fa riferimento nel
ricorso, e rispetto alla quale va ribadita la centralità dei valori
paesaggistici in gioco-, uno dei criteri tramite i quali valutare il
concetto di adeguatezza dei meccanismi sanzionatori.
3.- Tanto considerato con riguardo al tema, più generale, dei rapporti
tra gli artt. 146 e 159 del D.Lgs. 42/04, il Collegio rileva tuttavia
che la ricorrente sottolinea come alcune circostanze renderebbero quello
in esame un caso connotato da profili di specialità.
3.2 Si evidenzia, in specie, che l’articolazione temporale dell’iter
amministrativo poi sfociato nel decreto oggetto d’impugnazione dovrebbe
giustificare valutazioni diverse rispetto a quelle appena esposte, nel
senso, in particolare, dell’inapplicabilità della normativa introdotta
dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
3.2 Viene così fatto riferimento:
a) all’anteriorità dell’intervento edilizio abusivo -risalente ad un
periodo precedente al marzo del 2001- rispetto al Codice predetto;
b) all’avvenuto completamento, anche in questo caso diversi mesi prima
del 1° maggio 2004 -data di entrata in vigore del Codice-, della fase
istruttoria del procedimento, che solo per i ritardi della stessa p.a.
si sarebbe poi concluso nel corso del 2005, e dunque sotto la vigenza
del citato art. 146 D.Lgs. 42/04.
4.- Tanto esposto, occorre dunque chiedersi se la collocazione temporale
dell’abuso edilizio, della domanda di sanatoria e di parte del relativo
procedimento fossero elementi tali da rendere la fattispecie
assoggettabile al regime normativo precedente, o, per meglio dire, a
quello vigente all’epoca in cui la Miggiano realizzava le opere e ne
chiedeva la regolarizzazione.
4.2 Ad avviso del Collegio la risposta dev’essere negativa.
4.3 Nonostante le obiettive peculiarità del caso, difatti, lo stesso non
può comunque sfuggire alla regola generale valevole per le ipotesi di
successione di norme e disciplina del procedimento, e cioè quella
secondo cui tempus regit actum: ogni fase o atto dell’iter
amministrativo, dunque, viene disciplinato quanto alla struttura, ai
requisiti ed al ruolo funzionale dalle disposizioni di legge e di
regolamento vigenti alla data in cui ha luogo ciascuna sequenza. In
altri termini, gli atti emessi sotto l’imperio della legge precedente
conservano validità ma la produzione degli effetti finali sarà in ogni
caso regolata dalla normativa nel frattempo intervenuta (fra le molte,
T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 15 marzo 2005, n. 443; T.A.R. Lazio,
sez. III, 3 marzo 2005, n. 1622; Consiglio Stato, sez. VI, 12 maggio
2004, n. 2984; T.A.R. Lazio, sez. I, 21 dicembre 2004, n. 16971; T.A.R.
Liguria, sez. I, 11 marzo 2003, n. 282; Consiglio Stato, sez. IV, 2
aprile 2002, n. 1815).
4.4 Quanto, ancor più specificamente, al sopravvenire durante il corso
del procedimento di una nuova norma di legge che disciplini la materia
in maniera diversa da quella vigente al momento dell’avvio del
procedimento stesso o di una sua fase precedente, il principio in parola
comporta in particolare per l’amministrazione l’obbligo di applicare la
normativa in vigore al momento dell’adozione del provvedimento
definitivo: ricondotto alla fattispecie in esame, dunque, il principio
appena delineato imponeva al Sindaco di delibare l’istanza della
ricorrente secondo la disciplina nelle more intervenuta e, pertanto, di
respingerla sulla base del più volte citato art. 146 T.U. 42/04.
4.5 I ritardi accumulati dall’Amministrazione, d’altronde, oltre a non
poter incidere sull’ambito di efficacia della regola in parola, potevano
essere tempestivamente contrastati da parte della ricorrente mediante
gli strumenti previsti per i casi di inerzia della p.a. dal legislatore,
attivando, ad esempio, la procedura per silenzio rifiuto o, più nello
specifico, sollecitando l’intervento surrogatorio della Soprintendenza (cfr.
art. 151, u.c., T.U. 490/99).
4.6 Debbono pertanto disattendersi, per quanto fin qui scritto, i
rilievi di illegittimità prospettati, pur suggestivamente, dalla difesa
della Sig.ra Miggiano.
5.- Un ultimo cenno, infine, al tema dell’indennità pecuniaria ex art.
167 T.U. citato: la scelta tra demolizione delle opere e pagamento
dell'indennità attiene ad un momento successivo a quello concernente la
sanatoria dell’intervento abusivo, ed, anzi, presuppone la mancata
regolarizzazione dello stesso.
5.2 Nessuna violazione, dunque, neppure sotto quest’ultimo profilo.
6.- Per tutto ciò che si è fin qui esposto il ricorso va in definitiva
respinto.
7.- Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di
giudizio.
p.q.m.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Prima di
Lecce, respinge il ricorso n. 1180/05 indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 26 ottobre 2005.
omissis
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