IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione staccata di
Catania – Sezione Prima – nelle persone dei magistrati
Dott. Vincenzo Zingales – Presidente
Dott. ssa Rosalia Messina – Consigliere
Dott. Salvatore Gatto – Referendario, Relatore est.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
Sui seguenti ricorsi:
Ricorso nr. 138/2005, proposto da DOW POLIURETANI ITALIA Srl,
rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Florio, dall’Avv. Antonella
Capria, dall’Avv. Teodora Marocco, con domicilio eletto in Catania,
Viale XX Settembre, presso lo studio del primo, e con i motivi aggiunti
ad esso;
contro
I Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, della Salute,
delle Attività Produttive, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, dell’industria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
la Regione Siciliana, l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, il
Commissario Delegato per l’Emergenza rifiuti e tutela delle acque, la
Prefettura di Siracusa, l’APAT (Agenzia Protezione Ambiente e Servizi
Tecnici), l’ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente), le Capitanerie
di Porto di Augusta e di Siracusa, l’Istituto Superiore per la
Prevenzione e sicurezza del lavoro, l’Istituto Centrale per la ricerca
scientifica e tecnologica applicata al mare, l’ICRAM, l’Istituto
Superiore di Sanità, il Corpo Regionale delle Miniere, il Sub
commissario per la bonifica dei siti contaminati, tutte Amministrazioni
ed Enti ciascuna in persona del proprio legale rappresentante pro
tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello
Stato, con domicilio legale presso gli uffici di quest’ultima in
Catania, via V. Ognina 149;
e contro
i Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa ciascuno in persona del
rispettivo Sindaco Pro tempore, la Provincia regionale di Siracusa, il
Presidente del Piano di Risanamento Provincia di Siracusa, il Consorzio
della Provincia di Siracusa per la zona sud dell’Area di Sviluppo
Industriale della Sicilia Orientale, il Consorzio per le aree di
sviluppo industriale (ASI) di Siracusa, l’Azienda Sanitaria Locale 8 di
Siracusa, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante, non
costituiti;
I Comuni di Augusta e Melilli, ciascuno in persona del rispettivo
Sindaco Pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro Coppa, con
domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi,
viale XX Settembre nr. 51;
e nei confronti
della Società Sviluppo Italia in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Balestrazzi e
dall’Avv. Francesco Di Luciano, con domicilio eletto presso lo studio
del primo, in via Ruggero Settimo n. 3;
della Società Sviluppo Italia SPA– Aree produttive SPA , in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.
Marco Annoni, dall’Avv. Andrea Segato e dall’Avv. Giuseppe Tamburello,
con domicilio eletto, in Catania, presso lo studio di quest’ultimo in
via Monsignor Ventimiglia n. 145;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo:
del verbale della conferenza dei servizi decisoria convocata presso il
Ministero dell’Ambiente in data 19 ottobre 2004, nella parte meglio
indicata in ricorso;
della lettera del 25 ottobre 2004 del Dirigente della Divisione per la
qualità della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio (prot. 18032/QdV/DI (b/p)) di trasmissione del verbale
impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso con
particolare riferimento a quanto indicato in ricorso;
di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e né
comunicati alla ricorrente, e della conferenza di servizi istruttoria
convocata per il giorno 29 luglio 2004, con riferimento al procedimento
di bonifica de quo.
Con i motivi aggiunti al ricorso introduttivo notificato il 09.04.2005 e
depositato il 21 aprile 2005:
Del verbale della conferenza di servizi decisoria convocata presso il
ministero dell'ambiente in data 28 febbraio 2005, conosciuta in data 12
marzo 2005, avente ad oggetto il sito di interesse nazionale di Priolo
con particolare riferimento:al punto 18 dell'ordine del giorno ove: “ la
conferenza di servizi decisoria delibera di chiedere alla Dow
Poliuretani la presentazione entro il 30 aprile 2005 dei risultati della
caratterizzazione integrativa a maglia 50x50 nonché del progetto
definitivo di bonifica aggiornato sulla base dei risultati medesimi”.
Della lettera del 3 marzo 2005 del dirigente della divisione per la
qualità della vita del ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio di trasmissione del verbale impugnato
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso ed in
particolare dei documenti allegati al verbale impugnato, tra cui modo
particolare l'allegato B. C. D;
Di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e
comunicati alla ricorrente con riferimento al procedimento di bonifica
de quo.
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.
(con i motivi aggiunti notificati l’11 ottobre 2005 e depositati il 29
ottobre 2005, da valere anche come ricorso autonomo):
del verbale della conferenza dei servizi decisoria convocata presso il
Ministero dell’Ambiente in data 19 ottobre 2004, conosciuto in data 29
ottobre 2004 ed avente ad oggetto il sito di bonifica di interesse
nazionale di Priolo con particolare riferimento alla parte in cui
richiama “che la conferenza dei servizi decisoria tenutasi il 06/08/04
per il sito di bonifica di interesse nazionale di Venezia – Porto
Marghera ha deliberato di considerare almeno in fase di prima
applicazione,hot spot il caso di inquinamento che superi di oltre 10
volte il valore tabellare per i suoli e di 10 volte il valore tabellare
per le acque relativamente ai parametri persistenti, molto tossici e/o
cancerogeni” e delibera di “ chiedere a tutte le aziende titolari di
aree ubicate all'interno del perimetro del sito di interesse nazionale
di Priolo, qualora fossero evidenziati superamenti di oltre 10 volte dei
valori di concentrazione limite ammissibile indicati dalle tabelle
allegate al DM 471/99 nei suoli e/o nelle acque di falda, di adottare
immediati interventi di messa in sicurezza di emergenza della matrice
ambientale contaminata”;
della lettera del 25 ottobre 2004 del Dirigente della Divisione per la
qualità della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio (prot. 18032/QdV/DI (b/p)) di trasmissione del verbale
impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso ed in
particolare del documento trasmesso in allegato al verbale impugnato,
intestato al Ministero della Sanità Istituto superiore della sanità, n.
028690 AMPP/IA.12, ed avente ad oggetto “ in merito ai valori di
concentrazione limite degli idrocarburi nelle acque di falda si richiede
il parere di codesto istituto, anche la luce della recente sentenza
della Tar Campania n. 7756/ 04 del 3 maggio 2004 in allegato”, nonché
del documento intestato all’ISS, n. 36340-IA.12 ed avente ad oggetto “
richiesta di chiarimenti parametri idrocarburi nelle acque sotterranee
di cui al DM 471/99”, del documento dell’ISS n. 57058IA.12 avente ad
oggetto “ limiti accettabili nel suolo e nelle acque sotterranee di
inquinanti organici ed in organici non indicati nel DM 471/99” e del
documento ISS n. 02471 IA/12 avente ad oggetto “ decreto 25 ottobre
1999, numero 471, relativo alla messa in sicurezza, bonifiche e
ripristino ambientale di siti inquinati”, tutti allegati al verbale
impugnato sub C.
di tutti i verbali presupposti e conseguenti, anche non conosciuti e né
comunicati alla ricorrente, e della conferenza di servizi istruttoria
convocata per il giorno 29 luglio 2004, con riferimento al procedimento
di bonifica de quo.
Di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.
*******
E sui ricorsi:
Ricorso nr. 2662/2005, proposto da ENI SPA, rappresentata dall’Avv.
Stefano Grassi e dall’Avv. Corrado V. Giuliano, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Pasubio 33 e relativi
motivi aggiunti;
Ricorso nr. 2666/2005, proposto da SYNDIAL SPA, rappresentata dall’Avv.
Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo, in Catania Corso Italia 302, e relativi motivi
aggiunti;
Ricorso nr. 2667/2005, proposto da POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata
dall’Avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo, in Catania Corso Italia 302, e
relativi motivi aggiunti;
contro
I Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, della Salute e
delle Attività Produttive, la Regione Siciliana, l’Assessorato Regionale
all’industria della Regione Siciliana, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia, il
Vicecommissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque
in Sicilia, il Subcommissario per la bonifica dei siti contaminati,
l’Istituto Superiore di Sanità, l’Agenzia per la Protezione
dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT), l’ARPA Sicilia, il
Prefetto di Siracusa, l’Istituto centrale per la Ricerca Scientifica e
Tecnologica applicata al mare (ICRAM), l’Enea, l’ISPESL- DIP. DIPIA, in
persona dei rispettivi rappresentanti legali, tutte amministrazioni
rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Catania, nei cui uffici, in Catania, via V. Ognina 149, sono domiciliate
ex lege;
i Comuni di Priolo Gargallo e Siracusa, non costituiti, il Comune di
Augusta non costituito nel ricorso nr. 2666/05 ed i Comuni di Augusta e
Melilli, ciascuno in persona del rispettivo Sindaco Pro tempore,
rappresentati e difesi, gli ultimi due, dall’Avv. Pietro Coppa, con
domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi,
viale XX Settembre nr. 51;
la Provincia regionale di Siracusa, il Presidente del Piano di
Risanamento Provincia di Siracusa, il Consorzio della Provincia di
Siracusa per la zona sud dell’Area di Sviluppo Industriale della Sicilia
Orientale, il Consorzio per le aree di sviluppo industriale (ASI) di
Siracusa, l’Azienda Sanitaria Locale 8 di Siracusa, ciascuno in persona
del proprio legale rappresentante, non costituiti;
e nei confronti
della Società “Sviluppo Italia Aree Produttive” Spa e della Società
“Sviluppo Italia” Spa, ciascuna in persona del proprio legale
rappresentante legale di cui la prima rappresentata e difesa dall’Avv.
Marco Annoni, dall’Avv. Andrea Segato e dall’Avv. Giuseppe Tamburello,
con domicilio eletto, in Catania, presso lo studio di quest’ultimo in
via Monsignor Ventimiglia n. 145;
per l’annullamento
Con il ricorso introduttivo:
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio in data 18 luglio 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge
241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito
di interesse nazionale di Priolo;
- di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi
comprese la lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 14873/QDV/DI (VII/VIII/IX)
datata 21 luglio 2005, la lettera di convocazione della Conferenza dei
servizi per il 18 luglio 2005 prot. 13575/QDV/DI(VII/VIII) datata 7
luglio 2005, il provvedimento sconosciuto con cui le determinazioni sono
state recepite dall’Amministrazione, i documenti richiamati dal verbale
del 18luglio 2005, anche se materialmente ad esso non allegati ed in
particolare il documento ICRAM “valutazione dei dati della
caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta – Aree prioritarie ai
fini della messa in sicurezza di emergenza – Sito di interesse nazionale
diPriolo – del Luglio 2005 – prot. BOI-Pr_SI-GP_Rada di Augusta-01.02” e
l’allegato documento “Valori di intervento per i sedimenti di aree
fortemente antropizzata, con particolare riferimento al sito di bonifica
di interesse nazionale di Priolo:Rada di Augusta”;
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio in data 14 settembre 2005, ai sensi dell’art. 14 della
legge 241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al
sito di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi
comprese la lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 18317/QDV/DI (VII/VIII)
datata 15 settembre 2005, le lettere di convocazione della Conferenza
dei servizi per il 14 settembre 2005 prot. 17510/QDV/DI e 17659/QDV/DI
del 6 settembre 2005, il provvedimento sconosciuto con cui le
determinazioni sono state recepite dall’Amministrazione, i documenti
richiamati dal verbale del 18luglio 2005, anche se materialmente ad esso
non allegati ed in particolare il documento ICRAM “elaborazione e
valutazione dei risultati della caratterizzazione ambientale della Rada
di Augusta – Aree prioritarie ai fini della messa in sicurezza di
emergenza – Sito di interesse nazionale di Priolo – dell’ Agosto 2005 –
prot. BOI-SI-PR Rada di Augusta-01.04”;
nonché infine per l’annullamento in quanto occorrer possa:
- di tutti i verbali e documenti preparatori delle conferenze dei
servizi sia decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alle
Conferenze dei servizi del 18 luglio e del 14 settembre 2005, che
vengono impugnati quali atti presupposti, anche se non conosciuti e, in
particolare, del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza
dei servizi tenutasi in data 28 febbraio 2005 per il Sito di interesse
nazionale di Priolo, limitatamente al punto n. 21 dell’Ordine del giorno
(“varie ed eventuali”) sub 6; nonché di tutti i relativi allegati con
riferimento al sito di interesse nazionale di Priolo; del documento
“Progetto per la messa in sicurezza di emergenza RADA DI AUGUSTA – Sito
di Interesse nazionale di Priolo”, predisposto da Sviluppo Italia Aree
Produttive S.p.A. datato Agosto 2005, documento non conosciuto dalla
ricorrente; di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento
presupposto, connesso o conseguenziale;
e con la indicazione che tutti i provvedimenti sopra indicati vengono
impugnati in quanto di interesse ed, in particolare:
a)quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 18 luglio 2005,
limitatamente alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto
n. 2 dell’ordine del giorno: a1) La conferenza di servizi decisoria,
dopo ampia ed articolata discussione, nel prendere atto della grave
situazione di contaminazione riscontrata nelle due aree prioritarie
della Rada di Augusta , rappresentata dalle elevate e pericolose
concentrazioni di mercurio determinate nei sedimenti e dai livelli
riscontrati nei tessuti dei pesci all’interno della rada superiori al
limite previsto dalla normativa vigente come livello massimo nelle parti
commestibili dei prodotti della pesca, delibera di richiedere in primo
luogo l’immeditata attuazione di interventi di messa in sicurezza di
emergenza dei sedimenti nelle due aree prioritarie della Rada di Augusta
sino ad ora caratterizzate”; a2) “La conferenza di servizi decisoria
delibera inoltre di chiedere a tutti i soggetti titolari di concessioni
demaniali all’interno della rada di Augusta, nonché ai titolari di aree
a terra con presenza di contaminazione identica a quella rilevata nei
sedimenti della Rada di rimuovere, quale misura di messa in sicurezza di
emergenza, per tutto lo spessore indagato (>/=2m), i volumi di sedimento
le cui concentrazioni dei contaminanti sono superiori ai valori di
concentrazione limite indicati nella colonna B della tabella 1
dell’allegato 1 al d.m. 471/1999 (sedimenti colorati in rosso nella
cartografia presentata da ICRAM) e che, in caso di mancanza o
inadempienza dei concessionari, dovrà intervenire il Commissario
delegato in danno ai soggetti medesimi”; a3) “A tal fine, la conferenza
di servizi decisoria delibera di chiedere al Commissario delegato
l’elaborazione di un progetto preliminare di messa in sicurezza di
emergenza”; a4) “La conferenza di servizi decisoria delibera altresì di
richiedere di estendere la caratterizzazione a tutta la rada di
Augusta”; a5) “(La conferenza decisoria delibera altresì) “atteso che ad
oggi non risulta acquisita alcuna documentazione relativa alla
caratterizzazione delle aree contermini i pontili, peraltro richiesta
dalla conferenza di servizi decisoria del 28.02.2005, a tutti i soggetti
titolari di concessioni demaniali nella Rada di eseguire, entro 60
giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, la
caratterizzazione delle aree di propria competenza”; a6) “La conferenza
dei servizi decisoria delibera ancora di richiedere, in relazione allo
stato di estrema compromissione e pericolosità ambientale riscontrato
nella rada di Augusta, di provvedere, nelle aree già indagate, laddove
non sia stato raggiunto il livello roccioso di base, all’estensione
delle attività di caratterizzazione in profondità, oltre la quota
inizialmente prevista dal medesimo piano di caratterizzazione (2m) al
fine di investigare l’intero spessore di sedimenti incoerenti, qualora
risulti ancora contaminazione alla massima profondità finora indagata”;
b) quanto alla conferenza di servizi decisoria del 14 settembre 2005,
limitatamente alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto
n. 2b) dell’ordine del giorno: b1) La conferenza di servizi ha
deliberato di chiedere “alle aziende titolari di concessioni demaniali
all’interno della rada di procedere, entro 30 giorni dalla ricezione del
presente verbale, all’attuazione di interventi di messa in sicurezza di
emergenza”; b2) La conferenza di servizi ha deliberato di richiedere “al
Commissario delegato per l’emergenza dei rifiuti e tutela delle acque
della regione Siciliana di attivare i poteri sostitutivi in danno al
soggetto inadempiente, qualora entro tale termine le Aziende non
provvedano ad eseguire gli interventi suddetti; di farsi carico della
messa in sicurezza di emergenza anche dei sedimenti dell’area a mare
circostante il pontile consortile, peraltro prospiciente il pontile
della Marina Militare, del cui progetto costituirà una integrazione; di
estendere la caratterizzazione a tutta la Rada di Augusta, come peraltro
richiesto dalla Conferenza di servizi decisoria del 18/7/05”; b3) La
conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “All’Autorità Portuale
la puntuale identificazione dei soggetti titolari di concessioni
demaniali nella rada di Augusta”; b4) la Conferenza di servizi ha
deliberato di chiedere “Alle autorità di controllo (Provincia e ARPA)
nonché agli istituti scientifici nazionali (APAT, ISS, ICRAM) di
individuare le eventuali correlazioni esistenti tra la contaminazione
delle aree a terra e quella dei sedimenti all’interno della Rada di
Augusta, al fine della identificazione dei soggetti responsabili”.
Con i motivi aggiunti al ricorso introduttivo, notificati il 2 e 3 marzo
2006 e depositati in giudizio il 15 maggio 2006:
- del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio in data 16 dicembre 2005, ai sensi dell’art. 14 della
legge 241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al
sito di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale, ivi
comprese la lettera di trasmissione del verbale nr. prot. 26466/QDV/DI (VII/VIII/IX)
datata 27 dicembre 2005, la lettera di convocazione della Conferenza dei
servizi per il 16 dicembre 2005 prot. 24260/QDV/DI del 2 dicembre 2005,
il provvedimento sconosciuto con cui le determinazioni sono state
recepite dall’Amministrazione, i documenti richiamati dal verbale del 16
dicembre 2005, anche se materialmente ad esso non allegati ed in
particolare il documento ICRAM “valutazione delle analisi effettuate sui
sedimenti e biota delle due aree prioritarie della Rada di Augusta,
acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio al
prot. 16148/QDV/DI del 5 agosto 2005; il documento “Report finale
relativo alle indagini ambientali dei sedimenti e del biota della rada
di Augusta finalizzate alla messa in sicurezza di emergenza”, trasmesso
da Sviluppo Italia e acquisito dal Ministero dell’Ambiente al prot.
22360/QDV/DI dell’8 novembre 2005; il documento “identificazione dei
soggetti titolari di concessioni demaniali marittime, compresi i pontili
di attracco nella rada di Augusta, posta all’interno del perimetro del
sito di interesse nazionale di Priolo”, trasmesso dall’Autorità Portuale
ed acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio
al prot. 23146/QDV/DI del 16 novembre 2005; il documento “Risultanze
rilievi geofisici dell’area marino costiera compresa tra la diga foranea
della rada di Augusta e Capo Santa Panaria”, trasmesso dal Commissario
Delegato ed acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio al prot. 23439/QDV/DI del 21 novembre 2005; il documento
“Fase II caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta nel sito di
interesse nazionale di Priolo” trasmesso da ICRAM e acquisito dal
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio al prot. 18851/QDV/DI
del 23 settembre 2005 (documenti tutti sconosciuti dalla ricorrente); i
documenti materialmente allegati al verbale del 16 dicembre 2005, anche
se in esso non richiamati, ivi inclusa, in particolare, la nota APAT
prot. 0449 del 10 gennaio 2003 ad oggetto “Parere sui valori guida per
il Metil-terbutil-etere e Piombo tetraetile nel suolo e nelle acque
sotterranee. Procedimento di bonifica di interesse nazionale di Napoli
orientale, Verbale conferenza di servizi del 04/06/2002 e comunicazione
alla conferenza di servizi del 10/12/2002”, allegata al verbale sotto la
lettera E);
nonché infine per l’annullamento in quanto occorrer possa
dei verbali e dei documenti preparatori delle conferenze di servizi sia
decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alla Conferenza di
servizi del 16 dicembre 2005, anche se non conosciuti e, in particolare,
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
istruttoria tenutasi in data 4 agosto 2005 per il Sito di interesse
nazionale di Priolo; di ogni altro provvedimento, atto, verbale o
comportamento presupposto, connesso o conseguenziale;
e con la indicazione che tutti i provvedimenti sopra indicati vengono
impugnati sia in toto, sia nella parte in cui la conferenza dei servizi
ha adottato le seguenti determinazioni:
a) ha deliberato in merito alla messa in sicurezza di emergenza della
Rada di Augusta di “rinviare la discussione su questa specifica
problematica del presente punto all’Ordine del giorno ad una successiva
Conferenza di servizi di prossima convocazione (punto 2-a dell’ordine
del giorno); b) ha deliberato in merito ai documenti ICRAM prima
richiamati, “Report finale (omississ…” e “Valutazione delle analisi sui
sedimenti e sul biota… (omississ)” di richiedere “che siano utilizzate
le procedure operative idonee nel’esecuzione delle attività di
campionamento e di analisi per la determinazione dei composti volatili e
dell’HCB nelle attività di caratterizzazione future ed in corso nella
Rada di Augusta ed a completamento delle stesse attività integrative
relative ai rilievi batimetrici di dettaglio e indagini sulla colonna
d’acqua” (punto 2 dell’ordine del giorno, lettere b-c); c) ha deliberato
di “prendere atto del documento trasmesso dall’Autorità portuale
concernente la puntuale identificazione dei soggetti titolari di
concessioni demaniali nella Rada di Augusta e di chiedere all’Autorità
portuale medesima se le concessioni che risultano già scadute siano
state successivamente rinnovate” (punto 2 dell’ordine del giorno, lett.
“d”); d) ha preso atto dei rilievi geofisici effettuati da ARPA Sicilia,
ed ha deliberato di “approvare il documento…trasmesso da ICRAM
concernente l’aggiornamento del piano di caratterizzazione ambientale ..omississ…”
(punto 2 all’ordine del giorno, lettera e); ha deliberato di “approvare
il piano di caratterizzazione Fase II della Rada di Augusta, trasmesso
da ICRAM” (punto 2 all’ordine del giorno, lett. f).
E SUI RICORSI:
Ricorso nr. 81/2005, proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE,
rappresentata dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Daniela Anselmi,
dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv. Donato De Luca, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito
14;
Ricorso nr. 2671/2005, proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE,
rappresentata dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone
e dall’Avv. Donato De Luca, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito 14;
Ricorso n. 2703/2005 proposto da SASOL ITALY SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico
Peres, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
Ricorso n. 782/2006 proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE,
rappresentata dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone
e dall’Avv. Donato De Luca, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito 14;
Ricorso n. 2240/2006 proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentata
dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone e dall’Avv.
Donato De Luca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo,
in Catania via Lago di Nicito 14;
Ricorso n. 2241/2006 proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE,
rappresentata dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv. Giovanni Acquarone
e dall’Avv. Donato De Luca, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo, in Catania via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti nel giudizio nr. 81/2005; il Comune di
Augusta è costituito nei giudizi nn. 2703/2005, 782/06, 2240/06 e
2241/06; il Comune di Melilli è costituito nel giudizio nn. 2703/2005,
2240/06 e 2241/06; i suddetti Comuni sono rappresentati e difesi in
tutti i giudizi ove sono costituiti dall’Avv. Pietro Coppa, con
domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi,
viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
(nel ricorso nr. 2703/2005, 2671/05, 782/2006 e 2241/06)
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA e “Sviluppo Italia”
SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale, non
costituite nel giudizio nr. 782/2006 e nel giudizio nr. 2241/06; nel
giudizio nr. 2703/2005 e 2671/05 (in quest’ultimo, solo la Società
“Sviluppo Italia Aree Produttive) sono rappresentate e difese dall’Avv.
Marco Annoni, dall’Avv. Andrea Segato e dall’Avv. Giuseppe Tamburello,
con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via
Monsignor Ventimiglia n. 145;
per l’annullamento
con il ricorso nr. 81/2005:
del deliberato della conferenza dei servizi decisoria, convocata presso
il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio in data 19
ottobre 2004, pervenuto alla ricorrente in data 9 novembre 2004, avente
ad oggetto “Legge 426/98: sito di interesse nazionale di Priolo”, nella
sua totalità ed in particolare nelle parti in cui: “delibera di chiedere
a tutte le aziende titolari di aree ubicate nel perimetro del sito di
interesse nazionale di Priolo, qualora fossero evidenziati superamenti
di oltre 10 volte dei valori di concentrazione limite ammissibile
indicati dalle tabelle allegate al DM n. 471/1999 nei suoli e/o nelle
acque di falda, di adottare immediati interventi di messa in sicurezza
di emergenza della matrice ambientale contaminata” e della estensione di
tale obbligo anche alla rimozione dei c.d. “hot spots”, nella parte di
cui al punto 2.1 dell’ordine del giorno pag. 4 inerente ilPiano della
caratterizzazione di un’area relativa alla raffineria ISAB impianti Sud
di proprietà della ricorrente fissa parametri aggiuntivi rispetto a
quelli definiti nella tabella acque sotterranee dell’allegato 1 al DM
471/99, nella parte di cui alla pag. 4 punto 12 fissa il parametro di
ricerca “cianuri”, nonché nella parte in cui, pag. 31 prescrizione lett.
“g” fissa i valori di riferimento per il Piombo Tetraetile;
nonché per l’annullamento di ogni provvedimento presupposto,
conseguenziale, conseguente e/o comunque connesso e segnatamente per
quanto possa occorrere: di ogni allegato al verbale della Conferenza dei
servizi del 19 ottobre 2004, nonché di ogni altro atto comunque
richiamato nel verbale medesimo, anche se non materialmente allegato in
particolare le note dell’Istituto Superiore di Sanità del Ministero
della Sanità meglio indicate in atti; del verbale della Conferenza dei
servizi istruttoria del 29 luglio 2004 ove redatto e comunque del
documento preparatorio di data sconosciuta, predisposto in vista della
conferenza istruttoria del 29 luglio 2004, nonché di tutti i verbali e
documenti preparatori delle Conferenze dei servizi, sia decisorie che
istruttorie, presupposti e/o comunque connessi a quella del19 ottobre
2004, con riferimento al sito di interesse nazionale di Priolo e tutti i
relativi allegati;
(nel ricorso nr. 2671/05)
Del deliberato delle conferenze dei servizi decisorie, del 18 luglio e
del 14 settembre 2005, nelle parti meglio indicate in atti (quanto alla
conferenza dei servizi del 18 luglio 2005, punto 2 dell’ordine del
giorno, pagg. 5 e 6, quanto alla conferenza dei servizi del 14 settembre
2005, punto 2.b dell’ordine del giorno, pag. 9);
di ogni provvedimento presupposto, conseguenziale, conseguente e/o
comunque connesso, segnatamente:
tutti i documenti richiamati dai verbali delle Conferenze del 18 luglio
e del 14 settembre 2005;
il documento ICRAM datato agosto 2005, prot. Bol-Si-Pr-Rada di Augusta –
01-04;
il progetto di messa in sicurezza di emergenza predisposto da Sviluppo
Italia Aree Produttive SPA datato agosto 2005;
(nel ricorso nr. 2703/2005)
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio in data 18 luglio 2005, ai sensi dell’art. 14 della legge
n. 241/1990 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al
sito di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi
comprese:
la lettera prot. 14873/QDV/DI (VII/VIII/IX) datata 21 luglio 2005,
pervenuta in data successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio con cui il verbale è stato trasmesso alla ricorrente;
la lettera prot. 13575/QDV/DI (VII/VIII) datata 7 luglio 2005, pervenuta
in data successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio con cui è stata convocata la Conferenza di servizi per il
giorno 18 luglio 2005;
i documenti richiamati dal verbale del 18 luglio 2005, anche se
materialmente ad esso non allegati, e, in particolare, il documento
ICRAM “valutazione dei dati della caratterizzazione ambientale della
Rada di Augusta – Aree prioritarie ai fini della messa in sicurezza di
emergenza – Sito di interesse nazionale di Priolo – del Luglio 2005 prot.
BoI-Pr-SI-GP-Rada di Augusta-01.02” e l’allegato documento “Valori di
intervento per i sedimenti di aree fortemente antropizzate, con
particolare riferimento al sito di bonifica di interesse nazionale di
Priolo: Rada di Augusta”, documenti non conosciuti dalla ricorrente;
NONCHÉ, PER L’ANNULLAMENTO
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi
decisoria convocata e tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio in data 14 settembre 2005, ai sensi dell’art. 14
della legge n. 241/1990 e sue successive modificazioni ed integrazioni,
relative al sito di interesse nazionale di Priolo (doc. 5);
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi
comprese:
la lettera prot. 18317/QDV/DI (VII/VIII) datata 15 settembre 2005,
pervenuta in data successiva, del Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio con cui il verbale è stato trasmesso alla ricorrente
(doc. 6);
le lettere prott. 17509/QDV/DI del 2 settembre 2005 e 17664/QDV/DI del 6
settembre 2005, pervenute in data successiva, del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio con cui è stata convocata la
Conferenza di servizi per il giorno 14 settembre (doc. 7);
il documento ICRAM “Elaborazione e valutazione dei risultati della
caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta – Aree prioritarie ai
fini della messa in sicurezza di emergenza – Sito di interesse nazionale
di Priolo” dell’Agosto 2005 prot. BoI-SI- Pr -Rada di Augusta-01.04,
documento non conosciuto dalla ricorrente;
NONCHÉ INFINE
PER L’ANNULLAMENTO, PER QUANTO OCCORRA
di tutti i verbali e documenti preparatori delle conferenze di servizi
sia decisorie che istruttorie presupposti e conseguenti alle Conferenze
di servizi del 18 luglio e del 14 settembre 2005, in quanto non già
impugnati, anche se non conosciuti e, in particolare, del verbale e
delle determinazioni assunte alla Conferenza di servizi tenutasi in data
28 febbraio 2005 per il Sito di interesse nazionale di Priolo
limitatamente al punto n. 21 dell’Ordine del giorno (“varie ed
eventuali”), sub. 6; nonché di tutti i relativi allegati, con
riferimento al sito di interesse nazionale di Priolo;
del documento “Progetto per la messa in sicurezza di emergenza RADA DI
AUGUSTA – Sito di interesse nazionale di Priolo”, predisposto da
Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.A. datato Agosto 2005, documento non
conosciuto dalla ricorrente;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto,
connesso o consequenziale.
≈ ≈ ≈
Tutti i provvedimenti sopra indicati vengono impugnati, in particolare:
quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 18 luglio 2005,
limitatamente alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto
n. 2 dell’ordine del giorno (pagg. 5-6):
• a1) La conferenza di servizi decisoria, dopo ampia e articolata
discussione, nel prendere atto della grave situazione di contaminazione
riscontrata nelle due aree prioritarie della Rada di Augusta,
rappresentata dalle elevate e pericolose concentrazioni di mercurio
determinate nei sedimenti e dai livelli riscontrati nei tessuti dei
pesci all’interno della Rada superiori al limite previsto dalla
normativa vigente come livello massimo nelle parti commestibili dei
prodotti della pesca, delibera di richiedere in primo luogo l’immediata
attuazione di interventi di messa in sicurezza di emergenza dei
sedimenti nelle due aree prioritarie della Rada di Augusta sino ad ora
caratterizzate”.
• a2) “La conferenza di servizi decisoria delibera inoltre di chiedere a
tutti i soggetti titolari di concessioni demaniali all’interno della
Rada di Augusta nonché ai titolari di aree a terra con presenza di
contaminazione identica a quella rilevata nei sedimenti della Rada di
rimuovere, quale misura di messa in sicurezza di emergenza, per tutto lo
spessore indagato (>/= 2m), i volumi di sedimento le cui concentrazioni
dei contaminanti sono superiori ai valori di concentrazione limite
indicati nella colonna B della tabella 1 dell’allegato 1 al d.m. 471 del
1999 (sedimenti colorati in rosso nella cartografia presentata da ICRAM)
e che, in caso di mancanza o inadempienza dei concessionari dovrà
intervenire il Commissario delegato in danno ai soggetti medesimi”;
• a3) “A tal fine la conferenza di servizi decisoria delibera di
chiedere al Commissario delegato l’elaborazione di un progetto
preliminare di messa in sicurezza di emergenza”
• a4) “La conferenza di servizi decisoria delibera altresì di richiedere
di estendere la caratterizzazione a tutta la rada di Augusta”;
• a5) (la conferenza di servizi decisoria delibera altresì), “atteso che
ad oggi non risulta acquisita alcuna documentazione relativa alla
caratterizzazione delle aree contermini i pontili, peraltro richiesta
dalla conferenza di servizi decisoria del 28.02.05 a tutti i soggetti
titolari di concessioni demaniali nella Rada, di eseguire, entro 60
giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, la
caratterizzazione delle aree di propria competenza”;
• a6) “la conferenza di servizi decisoria delibera ancora di richiedere,
in relazione allo stato di estrema compromissione e pericolosità
ambientale riscontrato nella Rada di Augusta, di provvedere, nelle aree
già indagate, laddove non sia stato raggiunto il livello roccioso di
base, all’estensione delle attività di caratterizzazione in profondità,
oltre la quota inizialmente prevista dal medesimo piano di
caratterizzazione (2m) al fine di investigare l’intero spessore di
sedimenti incoerenti, qualora risulti ancora contaminazione alla massima
profondità finora indagata”;
quanto alla Conferenza di servizi decisoria del 14 settembre 2005,
limitatamente alle seguenti determinazioni, riportate a verbale al punto
n. 2b) dell’ordine del giorno (pag. 8-9):
• b1) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “alle aziende
titolari di concessioni demaniali all’interno della Rada di procedere,
entro 30 giorni dalla ricezione del presente verbale, all’attuazione di
interventi di messa in sicurezza di emergenza”;
• b2) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “al Commissario
delegato per l’emergenza rifiuti e tutela delle acque della Regione
Siciliana
o di attivare i poteri sostitutivi in danno al soggetto inadempiente
qualora entro tale termine le Aziende non provvedano ad eseguire gli
interventi suddetti;
o di farsi carico della messa in sicurezza di emergenza anche dei
sedimenti dell’area a mare circostante il pontile consortile, peraltro
prospiciente il pontile della Marina Militare del cui progetto
costituirà un’integrazione;
o di estendere la caratterizzazione a tutta la rada di Augusta, così
come peraltro richiesto dalla Conferenza di servizi decisoria del
18/7/05”;
• b3) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere “all’Autorità
Portuale la puntuale identificazione dei soggetti titolari di
concessioni demaniali nella rada di Augusta”;
• b4) la Conferenza di servizi ha deliberato di chiedere - alle Autorità
di controllo (Provincia e ARPA) nonché agli istituti scientifici
nazionali (APAT, ISS, ICRAM) di individuare le eventuali correlazioni
esistenti tra la contaminazione delle aree a terra e quella dei
sedimenti all’interno della Rada di Augusta al fine della
identificazione dei soggetti responsabili”.
(nel ricorso nr. 782/2006)
Del deliberato della Conferenza dei servizi decisoria convocata presso
il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio,intervenuta in
data 16 dicembre 2005, avente ad oggetto il Sito di interesse nazionale
di Priolo, nella sua totalità ed in particolare quanto al punto 2
dell’ordine del giorno in merito alla “messa in sicurezza di emergenza e
caratterizzazione della rada di Augusta” nella parte in cui la
Conferenza ha deliberato: a) di rinviare la discussione su questa
specifica problematica del presente punto all’ordine del giorno ad una
successiva seduta rilevando altresì l’opportunità di giungere ad un
accordo di programma con le imprese che insistono nella rada e/o
fruiscono della medesima”; b) di prendere atto del documento trasmesso
dall’Autorità Portuale, concernente la puntuale identificazione dei
soggetti titolari di concessioni demaniali nella rada di Augusta e di
chiedere all’Autorità portuale medesima se le concessioni che risultano
già scadute” e degli altri documenti, allegati, studi, atti e parti di
verbali già oggetto di gravame nei ricorsi precedentemente esposti, tra
i quali in particolare i verbali ed i documenti preparatori delle
conferenze dei servizi sia decisorie che istruttorie presupposti e
conseguenti alla Conferenza dei servizi del 16 dicembre 2005, anche se
non conosciuti e tra questi il verbale del 4 agosto 2005;
(con i ricorsi nr. 2240/06 e nr. 2241/06)
Della nota prot. 10363/QDV/DI/VII/VIII del 25 maggio 2006, ad oggetto
“attività di caratterizzazione, di messa in sicurezza di emergenza e
messa in sicurezza operativa della Rada di Augusta” per la parte in cui
il Ministero, alla luce delle determinazioni dei verbali delle
conferenze dei servizi decisorie del 18 luglio 1005 e del 14 settembre
2005 e del 16 maggio 2006 ha deciso di chiedere alle aziende in
indirizzo di inviare entro dieci giorni un elaborato con la indicazione
degli interventi in corso di adozione e/o che si intendano adottare per
adempiere alle prescrizioni formulate dalle suddette Conferenze dei
servizi decisorie, sia sulle aree a terra insistenti sulla rada di
Augusta che sulle aree marine antistanti gli stabilimenti di propria
competenza, contenente il cronoprogramma degli interventi medesimi, con
l’indicazione della data di inizio delle attività; del documento “Sito
di interesse nazionale di Priolo – Documento preparatorio alla
conferenza dei servizi istruttoria del 16 maggio 2006” (atto mai
formalmente trasmesso alla ricorrente), con particolare riferimento alle
determinazioni assunte al punto 3 dell’ordine del giorno tra cui quella,
in relazione alla messa in sicurezza di emergenza della Rada, di
richiedere a tutti i soggetti ed agli operatori industriali le cui aree
sono ubicate all’interno della perimetrazione del Sito di interesse
nazionale di Priolo, con particolare riferimento ai soggetti che
utilizzano le infrastrutture presenti nella rada (es. pontili) di
attivare, entro 30 giorni dalla data della presente Conferenza dei
servizi istruttoria, gli interventi mirati a rimuovere o isolare le
fonti di contaminazione e di attuare azioni mitigative per prevenire ed
eliminare i pericoli immediati verso l’uomo e l’ambiente circostante,
indicando a titolo esemplificativo la limitazione della navigazione, sia
in termini di velocità che di pescaggio, la rimozione dello spessore più
inquinato dei sedimenti che attraverso il fenomeno della risospensione
generano torbide e quindi la diffusione dell’inquinamento; del verbale
(se ed in quanto redatto) della conferenza dei servizi istruttoria per
il Sito di interesse nazionale di Priolo del 16 maggio 2006 e di ogni
ulteriore atto (se ed in quanto adottato) con cui le determinazioni ivi
assunte sono state recepite dell’Amministrazione procedente; di ogni
provvedimento, atto, comportamento presupposto, connesso e
consequenziale.
(con il solo ricorso nr. 2240/06):
dei deliberati delle conferenze dei servizi decisorie convocate presso
il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio in data 18
luglio 2005 e 14 settembre 2005, aventi ad oggetto il Sito di interesse
nazionale di Priolo, nella loro totalità ed in particolare, quanto alla
conferenza del 18 luglio 2005, nelle parti di cui al punto 2 dell’ordine
del giorno (pagg. 5 e 6), ove si delibera (A1) di richiedere l’immediata
attuazione di interventi di messa in sicurezza di emergenza dei
sedimenti nelle due aree prioritarie della rada di Augusta sino ad ora
caratterizzate, (A2) di chiedere a tutti i soggetti titolari di
concessioni demaniali all’interno della rada di Augusta, nonché ai
titolari di aree a terra con presenza di contaminazione identica a
quella rilevata nei sedimenti della Rada di rimuovere per tutto lo
spessore indagato a titolo di messa in sicurezza di emergenza (>/=2m) i
volumi di sedimento le cui concentrazioni dei contaminanti sono
superiodi ai valori di concentrazione limite indicati nella colonna B
della tabella 1 dell’allegato 1 al dm 471/99 e che in caso di mancanza o
inadempienza dei concessionari dovrà intervenire il Commissario delegato
in danno ai soggetti medesimi; (A3) di chiedere al Commissario delegato
l’elaborazione di un progetto preliminare di messa in sicurezza di
emergenza; (A4) di estendere la caratterizzazione a tutta la rada di
Augusta e chiedere alle imprese titolari di concessioni demaniali nella
rada di eseguire entro 60 giorni dal ricevimento del presente verbale la
caratterizzazione delle aree di propria competenza”; (A5) di estendere
la caratterizzazione in profondità oltre alla quota inizialmente
prevista dal piano di caratterizzazione (2m) al fine di investigare
l’intero spessore di sedimenti incoerenti, qualora risulti ancora
contaminazione alla massima profondità sinora indagata; quanto alla
conferenza del 14 settembre 2005 le determinazioni di cui al punto 2.b
(pagg.9 e ss) ai sensi delle quali è stato richiesto alle aziende
titolari di concessioni demaniali all’interno della Rada (B1) di
procedere entro 30 giorni dalla comunicazione del verbale alla messa in
sicurezza di emergenza, (B2) al Commissario delegato per l’emergenza
rifiuti di attivare i poteri sostitutivi in danno al soggetto
inadempiente qualora entro tale termine le Aziende non provvedano ad
eseguire gli interventi suddetti; di farsi carico della messa in
sicurezza di emergenza anche dei sedimenti dell’area in mare circostante
il pontile consortile, peraltro prospiciente il pontile della Marina
Militare del cui progetto costituirà un integrazione; (B3) di estendere
la caratterizzazione a tutta la rada di Augusta, così come peraltro
richiesto dalla Conferenza dei Servizi decisoria del 18 luglio 2005;
(B5) di chiedere all’Autorità portuale la puntuale identificazione di
tutti i soggetti titolari di concessioni in Rada; (B6) di chiedere alle
Autorità di controllo ed agli istituti scientifici nazionali di
individuare le eventuali correlazioni esistenti tra la contaminazione
delle aree a terra e quella dei sedimenti all’interno della rada di
Augusta al fine della identificazione dei soggetti responsabili;
di ogni provvedimento presupposto, conseguenziale, conseguente e/o
comunque connesso e, segnatamente, per quanto possa occorrere: i
documenti richiamati dai verbali delle conferenze del 18 luglio 2005 e
del 14 settembre 2005, anche se materialmente ad essi non allegati ed,
in particolare, i documenti ICRAM di valutazione dei dati di
caratterizzazione ambientale della Rada di Augusta ed il Progetto per la
messa in sicurezza di emergenza RADA DI AUGUSTA predisposto da Sviluppo
Italia Aree Produttive SPA e datato Agosto 2005.
E sui seguenti ricorsi riuniti (ord. nr. 138/2007 dell’8.2.2007):
nr. 2937/2006, proposto da: SYNDIAL SPA (nuova denominazione sociale
della ENICHEM SPA) rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano Grassi e
dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto presso lo studio del
secondo, in Catania, corso Italia 302;
nr. 2938/2006, proposto da: POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto
presso lo studio del secondo, in Catania, corso Italia 302;
nr. 2939/2006, proposto da: ENI SPA, rappresentata e difesa dall’Avv.
Stefano Grassi, e Corrado Giuliano, con domicilio eletto in Catania, Via
Pasubio, 33 presso lo studio del secondo;
nr. 2970/2006 proposto da: DOW POLIURETANI ITALIA SRL rappresentato e
difeso dall’ Avv. Fabio Florio e dall’ Avv. Teodora Marocco, con
domicilio eletto in Catania, Viale XX Settembre,45 presso l’Avv. Fabio
Florio e relativi motivi aggiunti;
nr. 2976/2006 proposto da: SASOL ITALY SPA , rappresentato e difeso
dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico
Peres, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
nr. 3053/2006 proposto da: ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA,
rappresentato e difeso dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario
Caldarera, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone,
con domicilio eletto in Catania, Via Lago Di Nicito,14 presso l’Avv.
Donato De Luca;
nr. 3225/2006 proposto da: MAXCOM PETROLI SPA , rappresentato e difeso
dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario Caldarera, dall’Avv. Lorenzo
Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone, con domicilio eletto in
Catania, Via Lago Di Nicito,14 presso l’Avv. Donato De Luca;
nr. 3227/2006 proposto da: SASOL ITALY SPA , rappresentato e difeso
dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv. Federico
Peres, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR adito;
nr. 3251/2006 proposto da: ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA,
rappresentato e difeso dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario
Caldarera, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone,
con domicilio eletto in Catania, Via Lago Di Nicito,14 presso l’Avv.
Donato De Luca;;
nr. 3233/2006, proposto da: SYNDIAL SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi, e Piero Amara, con domicilio eletto in
Catania, Corso Italia, 302 presso lo studio del secondo;
nr. 3234/2006, proposto da: POLIMERI EUROPA SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi, e Piero Amara, con domicilio eletto in
Catania, Corso Italia, 302 presso lo studio del secondo;
nr. 3235/06, proposto da: ENI SPA, rappresentata e difesa dall’Avv.
Stefano Grassi, e Corrado Giuliano, con domicilio eletto in Catania, Via
Pasubio, 33 presso lo studio del secondo;
contro
la Presidenza Del Consiglio Dei Ministri, in persona del Presidente del
Consiglio pro tempore, il Ministero Dell'ambiente E Della Tutela Del
Territorio, il Ministero Della Salute, il Ministero Dello Sviluppo
Economico (Ex Attivita’ Produttive), il Ministero Delle Infrastrutture E
Dei Trasporti, il Ministero Dell’Interno, il Ministero Dell’economia e
Delle Finanze (quest’ultimo solo nel ricorso nr. 2976/2006) il Ministero
Della Difesa (quest’ultimo solo nei ricorsi nr. 2976/2006 e nr.
3225/2006) ciascuno in persona del Ministro pro tempore;
la Direzione Servizio Qualita’ Della Vita – Ministero Ambiente Tutela
Territ.; la Direzione Gestione Rifiuti – Div. Programmazione Ribo –
Min.Ambiente; la Direzione Generale Infrastrutture – Navigazione
Marittima Interna; ciascuna in persona del proprio Dirigente pro tempore;
la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore,
L’assessorato Regionale Industria, L’Assessorato Regionale Territorio Ed
Ambiente, il Commissario Delegato Per L’emergenza Rifiuti E Tutela Delle
Acque, il Vice Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti e Tutela
Delle Acque, Il Subcommissario per la Bonifica dei Siti Contaminati,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore;
la Prefettura di Siracusa, in persona del Prefetto, la Capitaneria di
Porto di Augusta, la Capitaneria di Porto di Siracusa, l’Enea,
l’Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro,
l’istituto Centrale Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare,
l’Istituto Superiore di Sanita’, il Corpo Regionale delle Miniere –
Servizio Geologico e Geofisico; Sviluppo Italia Aree Produttive SPA,
ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore;
tutti rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato,
con domicilio eletto in Catania, Via Vecchia Ognina, 149 presso la sua
sede;
la Provincia Regionale di Siracusa, la Provincia Regionale di Siracusa,
Assessorato Ambiente Piano e Risanamento Ambientale, il VIII Settore
Tutela del Suolo-Prov.Regionale Siracusa, il Comune di Siracusa, il
Comune di Siracusa - Settore Ambiente, il Presidente Piano di
Risanamento Prov. di Siracusa, ciascuno in persona del proprio
rappresentante legale pro tempore, non costituiti;
il Comune di Augusta (SR), in persona del Sindaco, legale rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. Pietro Coppa con
domicilio eletto in Catania, Viale XX Settembre, 51 presso Avv.
Francesco Favi;
il Comune di Melilli (SR), in persona del Sindaco, legale rappresentante
pro tempore, non costituito nel giudizio nr. 3251/06, e negli altri
rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Coppa con domicilio eletto in
Catania, Viale XX Settembre, 51 presso Avv. Francesco Favi;
il Comune di Priolo Gargallo (SR), il Consorzio A.S.I. Sicilia
Orientale, zona Sud– Siracusa, l’agenzia Protezione Ambiente E Servizi
Tecnici (APAT), l’ ARPA Sicilia - Agenzia Reg. Protezione Ambiente –
Palermo, l’ Arpa Sicilia - Sede Provinciale di Siracusa, l’ Azienda
Unita' Sanitaria Locale N.8 – Siracusa, il Lip Chimico Asl 8 Laboratorio
Prov. Di Igiene E Sanita', il Consorzio Area Sviluppo Industriale –
Siracusa, il Dip.Insediamenti Produttivi ed Interazione con L'ambiente,
l’ I.C.R.A.M – Palermo,
la società “Sviluppo Italia” SPA in persona del proprio rappresentante
legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. Francesco
Balestrazzi ed Avv. Francesco di Luciano con domicilio eletto in
Catania, via Ruggero Settimo, 3 presso Avv. Francesco Balestrazzi e (nei
ricorsi nr. 2938/2006, 2939/06, 2976/2006, 3053/06, 3225/06, e 3227/06)
dall’Avv. Luca Tufarelli con domicilio eletto in Catania, via Milano 29,
presso l’Avv. Riccardo Giuffrida;
e (nel solo ricorso nr. 2976/2006):
Agenzia Del Demanio - Direzione Centrale; Agenzia Del Demanio – Palermo;
Agenzia Del Demanio - Sportello Operativo Terr.Le - Siracusa ;
Uff.Spec.Aree Elevato Rischio Di Crisi Ambientale – Palermo;
Uff.Spec.Aree Elevato Rischio Ambientale - Uff. Di Priolo;L’ Assessorato
Regionale Bb. Cc. Aa. E Pubblica Istruzione; Il Dipartimento Reg.
Bb.Cc.Aa. Ed Educazione Permanente; La Soprintendenza Bb.Cc.Aa.
Siracusa-Dip.Bb.Cc.Aa. Educaz.Perm. E La Soprintendenza Del Mare –
Palermo; L’ Agenzia Protezione Ambiente E Servizi Tecnici (Apat); L’
Arpa Sicilia - Agenzia Reg. Protezione Ambiente – Palermo; L’ Arpa
Sicilia - Sede Provinciale Di Siracusa; La Marina Militare Comando Di
Augusta; L’autorita' Portuale Di Augusta; Il Dip.Insediamenti Produttivi
Ed Interazione Con L'ambiente; L’ I.C.R.A.M – Palermo; La Società
Sviluppo Italia Aree Produttive Spa; ciascuno in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’ Avvocatura
dello Stato con domicilio eletto in Catania, Via Vecchia Ognina, 149
presso la sua sede;
il Comune di Priolo Gargallo (SR), il Comune di Priolo
Gargallo-Assessorato Territorio ed Ambiente, l’azienda Unita' Sanitaria
Locale N.8 – Siracusa, l’A.U.S.L. 8 di Siracusa - Laboratorio Igiene e
Profilassi, l’A.U.S.L. 8 di Siracusa- Laboratorio di Sanita' Pubblica,
il Consorzio Area Sviluppo Industriale – Siracusa, non costituiti;
e nei confronti :
della società “Edison” SPA, in persona del suo legale rappresentante,
non costituita;
(nel ricorso nr. 3053/06 )
“Eni” Spa, Divisione “Exploration And Production”; “Eni” SPA; “Edison”
SPA, ciascuna in persona del rispettivo rappresentante legale pro
tempore, non costituite;
(nel ricorso nr. 3233/06, 3234/06,3235/06)
La società “Sviluppo Italia Aree Produttive” S.P.A., ed “Edison” S.P.A.,
in persona del rispettivo rappresentante legale pro tempore, non
costituite;
“Sviluppo Italia” SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa (nel ricorso nr. 3233/06 e 3235/06) dall’Avv.
Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Catania presso lo studio
dell’Avv. Riccardo Giuffrida in via Milano 29;
per l'annullamento
nel ricorso nr. 2937/2006 (Syndial – ex Enichem), nel ricorso nr.
2938/2006 (Polimeri Europa Spa) e nel ricorso nr. 2939/2006 (Eni Spa):
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza dei servizi
decisoria tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente e delle tutela del
Territorio in data 21 luglio 2006, ai sensi dell’art. 14 della legge nr.
241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito
di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi
compresi la lettera prot. 15541/QVD/DI/ (VII,VIII,IX) del 2.08.2006,
pervenuta in data successiva, con la quale il Ministero dell’ambiente ha
trasmesso il suddetto verbale alla ricorrente ed i provvedimenti di
incognita data con cui le determinazioni sono state recepite
dall’Amministrazione procedente (atti sconosciuti);
nonché per l’annullamento, in quanto occorrere possa,
dei documenti richiamati dal verbale del 21 luglio 2006,anche se
materialmente ad esso non allegati, ivi inclusi, in particolare, il
documento “Indagini ambientali dei sedimenti della Rada di Augusta –
Risultati del II stralcio della prima fase di caratterizzazione”
trasmesso dal Commissario delegato al Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e da questi acquisiti al prot. N. 10318/Qvd/DI del
24.05.2006; il documento “Progetto preliminare di bonifica dei fondali
della Rada di Augusta, inclusi nella perimetrazione del sito di bonifica
del sito di interesse nazionale di Priolo” trasmesso da ICRAM al
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e da questi
acquisito al prot. N. 7240/Qvd/DI del 07.04.2006;
dei documenti allegati al verbale del 21 luglio 2006, anche se non
espressamente richiamati (meglio indicati in atti);
del verbale (ove redatto) e comunque delle determinazioni assunte alla
Conferenza dei servizi istruttoria in data 16 maggio 2006 per il Sito di
Interesse Nazionale di Priolo;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto,
connesso o consequenziale;
nel ricorso nr. 2970/2006 (DOW Poliuretani Italia spa):
con il ricorso introduttivo:
del verbale della Conferenza dei servizi decisoria convocata presso il
Ministero dell’Ambiente in data 21 luglio 2006, avente ad oggetto il
sito di interesse nazionale di Priolo, con particolare riferimento a
quanto meglio indicato in atti;
della nota Prot. 15541/Qvd/DI/VII/VIII del 2 agosto 2006, del Direttore
generale Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio, di trasmissione del verbale impugnato;
di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
con i motivi aggiunti depositati il 28 novembre 2006:
dei decreti Prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QdV/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
di tutti gli atti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali,
ivi inclusi i verbali e le prescrizioni assunte dalle conferenze di
servizi decisorie tenutesi presso il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio il 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, nonché i
verbali e le determinazioni delle conferenze di servizi decisorie in
data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 21 luglio 2006, meglio
specificate in atti;
con i motivi aggiunti depositati il 01 febbraio 2007:
del verbale della conferenza dei servizi decisoria presso il Ministero
dell’Ambiente, tenutasi il 4 dicembre 2006 avente ad oggetto il Sito di
Interesse Nazionale di Priolo; della nota prot. 25385/Qdv/IX del 13
dicembre 2006 del Ministero dell’Ambiente; del decreto prot. 3204/Qdv/DI/B
adottato il 13 dicembre 2006 dal Direttore Generale della Qualità della
Vita del Ministero dell’Ambiente; dei decreti prott. Nn. 2979 e 2980/Qdv/DI/B
adottato il 31 ottobre 2006 dal Direttore Generale della Qualità della
Vita del Ministero dell’Ambiente; della nota prot. 24806/ Qdv/DI/IX
medesima amministrazione; di tutti gli atti provvedimenti, presupposti,
connessi e consequenziali meglio indicati in ricorso;
nel ricorso nr. 2976/2006 (SASOL Italy, s.p.a.):
del verbale e delle determinazioni assunte alla Conferenza dei servizi
decisoria, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio in data 21 luglio 2006, ai sensi dell’art. 14 della legge
241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni, relative al sito
di interesse nazionale di Priolo;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi
compresi gli atti e le note meglio indicate in atti;
nonché per l’annullamento, per quanto occorra, di tutti i verbali e i
documenti preparatori delle conferenze di servizi sia decisorie che
istruttorie, presupposti e conseguenti alla Conferenza dei servizi del
21 luglio 2006, in quanto non già impugnati, anche se non conosciuti;
di tutti i documenti richiamati dal verbale del 21 luglio 2006, anche se
materialmente ad esso non allegati, ivi inclusi quelli meglio esposti ed
indicati in atti;
dei documenti allegati al verbale del 21 luglio 2006, anche se non in
esso richiamati espressamente, meglio specificati in atti;
del verbale (ove redatto e comunque delle determinazioni assunte alla
Conferenza di servizi istruttoria in data 16.05.2006 per il sito di
interesse nazionale di Priolo;
di ogni altro provvedimento, atto, verbale o comportamento presupposto,
connesso o consequenziale;
nel ricorso nr. 3227/2006 (SASOL ITALY)
dei decreti prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QvD/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della Vita del
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché
la lettera prot. 2183/Qvd/DI/VII/VIII datata 03.11.2006; nonché la
lettera prot. n. 20958/QdV/DI del 25.10.2006 di convocazione della
predetta conferenza;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le
determinazioni assunte dalle Conferenze dei Servizi decisorie (meglio
richiamate in ricorso);
nel ricorso nr. 3053/2006 (ERG Raffinerie Mediterranee spa)
dei decreti prott. 2979 e 2980 /QdV/DI/B adottati il 31 ottobre 2006 e
di tutti gli atti comportamenti e provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, tutti meglio specificati in atti;
nel ricorso nr. 3225/2006 (MAXCOM Petroli Spa) e nel ricorso nr. 3251/06
(ERG Raffinerie mediterranee Spa):
del verbale e delle determinazioni assunte dalle Conferenze di servizi
decisorie tenutesi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio in data 21 luglio 2006 e 19 ottobre 2006, ai sensi dell’art.
14 della legge 241/90 e sue successive modificazioni ed integrazioni,
relative al sito di interesse nazionale di Priolo, nelle parti di cui in
narrativa;
di ogni provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi
compresi:
- la lettera prot. (15541/QDV/DI /VII/VII/IX) del 2 agosto 2006,
pervenuta in data successiva, con cui il Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio ha trasmesso il suddetto verbale alla ricorrente;
- gli eventuali provvedimenti, di incognita data, con cui le
determinazioni sono state recepite dall’Amministrazione procedente
(sconosciuti alla ricorrente);
- i documenti richiamati ed allegati nel verbale del 21 luglio 2006,
meglio richiamati in ricorso;
del verbale (ove redatto) e comunque delle determinazioni assunte alla
Conferenza dei servizi istruttoria in data 16 maggio 2006, per il Sito
di interesse nazionale di Priolo;
nel ricorso nr. 3233/06 (Syndial Spa), 3234/06 (Polimeri Europa Spa),
3235/06 (ENI Spa):
dei decreti Prott. Nn. 2979/Qvd/DI/B e 2980/QdV/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
di tutti gli atti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali,
ivi inclusi i verbali e le prescrizioni assunte dalle conferenze di
servizi decisorie tenutesi presso il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio in 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, nonché i
verbali e le determinazioni delle conferenze di servizi decisorie in
data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 21 luglio 2006, meglio
specificate in atti;
e sul ricorso:
Ricorso nr. 3573/06, proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentata e
difesa dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, dall’Avv.
Giovanni Acquarone e dall’Avv. Alessandro Salustri, con domicilio eletto
presso lo studio del primo in Catania, via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti ad eccezione del Comune di Melilli che è
rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio eletto in
Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX Settembre n.
51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia”
SPA ed “EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante
legale, costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa
dall’Avv. Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Catania, Via Milano,
29, presso l’Avv. Riccardo Giuffrida;
per l’annullamento
dei decreti prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
notificati in data 15 dicembre 2006 (con note prot. nn. 24804/Qdv/DI/IX
e 24806/Qdv/DI/IX del 6 dicembre 2006), entrambi aventi ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990,
n. 241, delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie
relative al sito di interesse nazionale di Priolo”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le
determinazioni assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi
presso il Ministero dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio
2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio
2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo, richiamate nei decreti ministeriali impugnati.
E sul ricorso:
Ricorso nr. 189/07, proposto da ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA,
rappresentata e difesa dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Mario
Caldarera, dall’Avv. Lorenzo Acquarone, e dall’Avv. Giovanni Acquarone,
con domicilio eletto presso lo studio del primo in Catania, via Lago di
Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di
Augusta e del Comune di Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro
Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv.
Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo
Italia” SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale,
costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv.
Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Catania, Via Milano, 29, presso
l’Avv. Riccardo Giuffrida;
per l’annullamento
dei decreti prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
notificati in data 15 dicembre 2006 (con note prot. nn. 24804/Qdv/DI/IX
e 24806/Qdv/DI/IX del 6 dicembre 2006), entrambi aventi ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990,
n. 241, delle determinazioni delle Conferenze di servizi decisorie
relative al sito di interesse nazionale di Priolo”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le
determinazioni assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi
presso il Ministero dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio
2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio
2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo, richiamate nei decreti ministeriali impugnati.
E sul ricorso:
Ricorso nr. 195/2007, proposto da SYNDIAL SPA (EX ENICHEM SPA),
rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara,
con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Catania, Corso
Italia 302;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Sud della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio;
e nei confronti
Delle società “ERG Raffinerie Mediterranee” SPA, “EDISON” Spa, “IAS
Industria acque Siracusa” SPA, ciascuna in persona del proprio
rappresentante legale, non costituite in giudizio;
per l’annullamento
- della nota prot. n. 22457/QdV/DI/VII/VIII del 13 novembre 2006 a firma
del Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ad oggetto
“Restituzione agli usi legittimi dell’area necessaria alla realizzazione
dell’impianto di trattamento delle acque di falda nel sito di interesse
nazionale di Priolo Gargallo”
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi
e consequenziali, anche se sconosciuti alla ricorrente.
e sul ricorso
Ricorso nr. 200/2007, proposto da ENI SPA, rappresentata e difesa
dall’Avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Corrado Giuliano, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via Pasubio 33;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di
Augusta e del Comune di Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro
Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv.
Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo
Italia” SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale,
costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv.
Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Catania, presso la Segreteria
del TAR;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, entrambi aventi ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990,
n. 241, delle determinazioni della Conferenza di servizi decisoria
relativa al sito di interesse nazionale di Priolo del 4/12/2006”;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi
e consequenziali, ivi inclusi, in particolare:
- il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi
decisoria tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio in data 4 dicembre 2006;
- i documenti allegati al verbale del 4 dicembre 2006, anche se non
espressamente richiamati, ivi inclusi, in particolare, la nota prot.
20814 de1 dicembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di
Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della
sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in
mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo” (All.D) ed il relativo allegato “Piano delle aree
di ancoraggio del Porto di Augusta”; la nota prot. 18417 U.O.E. del 4
dicembre 2006 del Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e
tutela delle acque in Sicilia ad oggetto “Navigabilità del Porto di
Augusta” (All. E) e l’allegata nota della prt. 8870 del 1 dicembre 2006
dell’Autorità Portuale di Augusta avente il medesimo oggetto; la nota
prot. 20713 de1 30 novembre 2006 del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la
tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita
umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo” (All.G) e l’allegata “Bozza di ordinanza per la
disciplina della navigazione nella Rada interna del Porto di Augusta” e
relative planimetria allegate ai nn. 1, 2 e 3 e schema delle “rotte di
attraversamento dei canali di accesso”, al n. 4 e “Piano di Ancoraggio”
al n. 5;
- la nota prot. 2538/QdV/IX del 13 dicembre 2006 (ricevuta in data
successiva) con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il citato decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B
adottato in pari data;
nonché, in quanto occorrer possa,
- della nota prot. 24806/QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il decreto n. 2979/QdV/DI/B del 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14
ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”
tenutesi in data 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005
e del relativo decreto allegato.
- della nota prot. 24804 QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il decreto n. 2980/QdV/DI/B del 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14
ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”
tenutesi in data 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006 e del relativo
decreto allegato;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi
e consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le
determinazioni assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi
presso il Ministero dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio
2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio
2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo, richiamate nei decreti direttoriali impugnati.
** * **
I provvedimenti sopra indicati vengono impugnati in toto e, in
particolare, per la parte in cui la Conferenza di servizi del 4 dicembre
2006, così come risulta dalle determinazioni verbalizzate e rese
esecutive dal decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13
dicembre 2006, ha deliberato di:
a) “prendere atto” dei contenuti della nota del Comandante pro tempore
della Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per
la tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della
vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di
interesse nazionale di Priolo” e dei relativi allegati;
b) di “non ritenere condivisibile” la richiesta formulata dal
Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in
Sicilia nella nota “Navigabilità del Porto di Augusta” di “far
attraversare alle navi le aree rosse lungo il canale di accesso alla
aree di competenza pubblica senza l’ausilio di rimorchiatori”;
c) di chiedere al Commissario delegato di
c1) – “dare la precedenza agli interventi di verifica mediante
caratterizzazione integrativa delle aree “rosse” (aree da sottoporre
immediatamente ad interventi di bonifica – 90% B< conc < 10x90%B) lungo
il canale di accesso alle aree pubbliche nella direzione dell’aerea
marina di competenza dell’Autorità Portuale di Augusta, da condurre con
una maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli analiti per il quali la I e
la II fase di caratterizzazione hanno evidenziato superamenti e qualora
i risultati acquisiti dovessero confermare il livello di inquinamento,
procedere alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza di
emergenza mediante rimozione dei sedimenti contaminati in corrispondenza
delle suddette aree rosse”;
c2 – “trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del
presente verbale, gli elaborati progettuali relativi alla cassa di
colmata in adiacenza della banchina del porto commerciale per il
refluimento dei sedimenti derivanti dalle operazioni di messa in
sicurezza di emergenza della Rada di Augusta”;
c3 – “presentare, entro 30 giorni dalla data del provvedimento finale di
adozione delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi
decisoria, gli elaborati concernenti la messa in sicurezza di emergenza
delle restanti parti della Rada non comprese negli elaborati progettuali
concernenti gli interventi di messa in sicurezza di emergenza dei
sedimenti della rada di Augusta di cui alla conferenza di servizi
decisoria del 31 ottobre 2006 ivi comprese le aree di ancoraggio,
ubicate in corrispondenza di aree “rosse” denominate 7R, 8R, 9R dalla
Capitaneria di Porto di Augusta nella nota “Studio di proposta per la
tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita
umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo”, trasmesso dalla capitaneria di Porto di Augusta”
E sui ricorsi:
Ricorso nr. 213/2007, proposto da SYNDIAL SPA, rappresentato e difeso
dall’Avv. Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto
presso lo studio del secondo in Catania, Corso Italia 302;
nr. 214/2007, proposto da POLIMERI EUROPA SPA, rappresentato e difeso
dall’Avv. Stefano Grassi, dall’Avv. Pietro Amara, con domicilio eletto
presso lo studio del secondo in Catania, Corso Italia 302;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Siracusa e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa, l’ENI Spa, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, tutti non
costituiti in giudizio;
I Comuni di Augusta e di Melilli, in persona del proprio Sindaco, legale
rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro
Coppa, con domicilio eletto in Catania, presso lo studio dell’Avv.
Francesco Favi, viale XX Settembre, nr.51.
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia”
SPA, “EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante
legale, costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa
dall’Avv. Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Segreteria;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, entrambi aventi ad oggetto
“Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7 agosto 1990,
n. 241, delle determinazioni della Conferenza di servizi decisoria
relativa al sito di interesse nazionale di Priolo del 4/12/2006”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare:
- il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi
decisoria tenutasi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio in data 4 dicembre 2006;
- i documenti allegati al verbale del 4 dicembre 2006, anche se non
espressamente richiamati, ivi inclusi, in particolare, la nota prot.
20814 de1 dicembre 2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di
Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la tutela della
sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in
mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo” (All.D) ed il relativo allegato “Piano delle aree
di ancoraggio del Porto di Augusta”; la nota prot. 18417 U.O.E. del 4
dicembre 2006 del Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e
tutela delle acque in Sicilia ad oggetto “Navigabilità del Porto di
Augusta” (All. E) e l’allegata nota della prt. 8870 del 1 dicembre 2006
dell’Autorità Portuale di Augusta avente il medesimo oggetto; la nota
prot. 20713 de1 30 novembre 2006 del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la
tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita
umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo” (All.G) e l’allegata “Bozza di ordinanza per la
disciplina della navigazione nella Rada interna del Porto di Augusta” e
relative planimetria allegate ai nn. 1, 2 e 3 e schema delle “rotte di
attraversamento dei canali di accesso”, al n. 4 e “Piano di Ancoraggio”
al n. 5;
- la nota prot. 2538/QdV/IX del 13 dicembre 2006 (ricevuta in data
successiva) con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il citato decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B
adottato in pari data;
nonché, in quanto occorrer possa,
- della nota prot. 24806/QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il decreto n. 2979/QdV/DI/B del 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14
ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”
tenutesi in data 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005
e del relativo decreto allegato.
- della nota prot. 24804 QdV/DI del 6 dicembre 2006, ricevuta in data
successiva, con la quale il Direttore Generale per la Qualità della vita
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha
trasmesso alla ricorrente il decreto n. 2980/QdV/DI/B del 31 ottobre
2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero
dell’ambiente ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14
ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze
di servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”
tenutesi in data 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006 e del relativo
decreto allegato;
- di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi
e consequenziali, ivi inclusi, in particolare, i verbali e le
determinazioni assunte dalle conferenze di servizi decisorie tenutesi
presso il Ministero dell’ambiente rispettivamente in data 18 luglio
2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio
2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006, relative al sito di interesse
nazionale di Priolo, richiamate nei decreti direttoriali impugnati.
** * **
I provvedimenti sopra indicati vengono impugnati in toto e, in
particolare, per la parte in cui la Conferenza di servizi del 4 dicembre
2006, così come risulta dalle determinazioni verbalizzate e rese
esecutive dal decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13
dicembre 2006, ha deliberato di:
a) “prendere atto” dei contenuti della nota del Comandante pro tempore
della Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per
la tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della
vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di
interesse nazionale di Priolo” e dei relativi allegati;
b) di “non ritenere condivisibile” la richiesta formulata dal
Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in
Sicilia nella nota “Navigabilità del Porto di Augusta” di “far
attraversare alle navi le aree rosse lungo il canale di accesso alla
aree di competenza pubblica senza l’ausilio di rimorchiatori”;
c) di chiedere al Commissario delegato di
c1) – “dare la precedenza agli interventi di verifica mediante
caratterizzazione integrativa delle aree “rosse” (aree da sottoporre
immediatamente ad interventi di bonifica – 90% B< conc < 10x90%B) lungo
il canale di accesso alle aree pubbliche nella direzione dell’aerea
marina di competenza dell’Autorità Portuale di Augusta, da condurre con
una maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli analiti per il quali la I e
la II fase di caratterizzazione hanno evidenziato superamenti e qualora
i risultati acquisiti dovessero confermare il livello di inquinamento,
procedere alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza di
emergenza mediante rimozione dei sedimenti contaminati in corrispondenza
delle suddette aree rosse”;
c2 – “trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del
presente verbale, gli elaborati progettuali relativi alla cassa di
colmata in adiacenza della banchina del porto commerciale per il
refluimento dei sedimenti derivanti dalle operazioni di messa in
sicurezza di emergenza della Rada di Augusta”;
c3 – “presentare, entro 30 giorni dalla data del provvedimento finale di
adozione delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi
decisoria, gli elaborati concernenti la messa in sicurezza di emergenza
delle restanti parti della Rada non comprese negli elaborati progettuali
concernenti gli interventi di messa in sicurezza di emergenza dei
sedimenti della rada di Augusta di cui alla conferenza di servizi
decisoria del 31 ottobre 2006 ivi comprese le aree di ancoraggio,
ubicate in corrispondenza di aree “rosse” denominate 7R, 8R, 9R dalla
Capitaneria dui Porto di Augusta nella nota “Studio di proposta per la
tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita
umana in mare in relazione agli interventi di bonifica siti di interesse
nazionale di Priolo”, trasmesso dalla capitaneria di Porto di Augusta”
E sul ricorso:
Ricorso nr. 215/2007, proposto da SASOL ITALY SPA, rappresentata e
difesa dall’Avv. Antonio Saitta, dall’Avv. Luciano Butti e dall’Avv.
Federico Peres, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di
Augusta e del Comune di Melilli, rappresentati e difesi dall’Avv. Pietro
Coppa, con domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv.
Francesco Favi, viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, ed “Sviluppo
Italia” SPA, ciascuna in persona del proprio rappresentante legale,
costituita la seconda in giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv.
Luca Tufarelli, con domicilio eletto in Catania, presso la Segreteria
del TAR;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006 dal
Direttore Generale della Direzione per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
contenente “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7
agosto 1990, n. 241, delle determinazioni della Conferenza di servizi
decisoria relativa al sito di interesse nazionale di Priolo”, nonché di
tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, anche se non conosciuti dalla ricorrente, ivi inclusi,
in particolare, il verbale e le determinazioni assunte dalla Conferenza
di Servizi decisoria convocata presso il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare in data 4 dicembre 2006, relativa al
sito di interesse nazionale di Priolo e la lettera prot. 25385/QdV/DI/IX
datata 13.12.06, spedita il 19.12.06 come risulta dal timbro apposto
sulla busta e pervenuta in data successiva, con la quale sono stati
trasmessi il decreto 13.10.06 prot. n. 3204/QdV/DI/B e il verbale della
Conferenza di Servizi decisoria 04.12.06 nonché tutti i documenti
allegati al verbale del 4.12.06, anche se non espressamente richiamati o
non allegati, ivi inclusi, in particolare la nota 20184 del dicembre
2006 del Comandante pro tempore della Capitaneria di Porto di Augusta ad
oggetto “Studio di proposta per la tutela della sicurezza della
navigazione e della salvaguardia della vita umana in relazione agli
interventi di bonifica nei siti di interesse nazionale di Priolo” (all.
D) ed il relativo allegato ‘Piano delle aree di ancoraggio del Porto di
Augusta; la nota prot. 18146 U.O.E. del 4.12.06 del Commissario delegato
per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia ad oggetto
‘Navigabilità nel Porto di Augusta e l’allegata nota 8870 del 1.12.06;
la nota prot. 20713 del 30.11.06 del Comandante pro tempore della
Capitaneria di Porto di Augusta ad oggetto “Studio di proposta per la
tutela della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita
umana in relazione agli interventi di bonifica nei siti di interesse
nazionale di Priolo” e l’allegata ‘Bozza di ordinanza per la disciplina
della navigazione nella Rada interna del Porto di Augusta e relative
planimetrie allegate ai nn. 1,2 e 3 e schema delle ‘rotte di
attraversamento dei canali di accesso, al n. 4 e ‘Piano di ancoraggio’
al n. 5;
delle note prot. 24804/QdV/DI/IX e prot. n. 24806/QdV/DI/IX datate
06.12.06, spedite il 13.12.06, come risulta dal timbro apposto sulla
busta e pervenute in data successiva, con le quali sono stati trasmessi
i decreti prott. nn. 2980/QdV/DI/B e 2979/QdV/DI/B adottati in data 31
ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità della vita del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
entrambi ad oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter,
legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni delle Conferenze di
servizi decisorie relative al sito di interesse nazionale di Priolo”,
nonché di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti,
connessi e consequenziali, anche se non conosciuti dalla ricorrente, ivi
inclusi, i menzionati decreti prott. nn. 2979/QdV/DI/B e 2980/QdV/DI/B
adottati in data 31 ottobre 2006 dal Direttore Generale per la Qualità
della vita del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare, i verbali e le determinazioni assunte dalle Conferenze di
Servizi decisorie (e tutte le lettere di convocazione delle Conferenze e
di trasmissione dei verbali, gli atti e i documenti richiamati nei
verbali delle stesse Conferenze anche ove non materialmente allegati)
tenutesi presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare rispettivamente in data 18 luglio 2005, 14 settembre 2005, 13
ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21 luglio 2006, 19 ottobre 2006, 31
ottobre 2006, relative al sito di interesse nazionale di Priolo, come
richiamati nei decreti ministeriali impugnati.
* *
I provvedimenti sopra indicati vengono impugnati in toto e, in
particolare, per la parte in cui:
quanto al decreto 13.12.2006 prot. n. 3204/QdV/DI/B costituente il
‘provvedimento finale di adozione delle determinazioni della Conferenza
di servizi 04.12.2006, il Direttore Generale per la Qualità della Vita
del Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare ha
inteso “approvare” e “considerare come definitive” tutte le prescrizioni
stabilite nel verbale della Conferenza di servizi decisoria del 4
dicembre 2006;
quanto al verbale della Conferenza di Servizi 04.12.2006, la Conferenza
di servizi decisoria: (a) ha preso atto dei contenuti della nota ‘Studio
per la tutela della navigazione e della salvaguardia della vita umana in
mare in relazione agli interventi di bonifica dei siti di interezza
nazionale di Priolo’; (b) ha ritenuto non condivisibile la richiesta
avanzata dal Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e tutela
delle acque in Sicilia di fare attraversare alle navi le aree rosse
lungo il canale di accesso alle aree di competenza pubblica senza
l’ausilio di rimorchiatori; (c) ha richiesto al Commissario delegato per
l’emergenza bonifiche e tutela delle acque in Sicilia, ad integrazione
delle prescrizioni già formulate dalle Conferenze di servizi decisorie
del 19.10.06 e del 31.10.06, di: «1) dare la precedenza agli interventi
di verifica mediante caratterizzazione integrativa delle aree ‘rosse’
(aree da sottoporre immediatamente ad interventi di bonifica -90% B<
conc.< 10 x 90% B) lungo il canale di accesso alle aree pubbliche nella
direzione dell’area marina di competenza dell’Autorità Portuale di
Augusta, da condurre con una maglia 50 x 50 m, riferita a tutti gli
analiti per i quali la I e la II fase di caratterizzazione hanno
evidenziato superamenti e qualora i risultati acquisiti dovessero
confermare il livello di inquinamento, procedere alla esecuzione degli
interventi di messa in sicurezza d’emergenza mediante rimozione dei
sedimenti contaminati in corrispondenza delle suddette aree cosiddette
‘rosse’; 2) trasmettere, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del
presente verbale, gli elaborati progettuali relativi alla cassa di
colmata in adiacenza della banchina del Porto commerciale per il
refluimento dei sedimenti derivanti dalle operazioni di messa in
sicurezza d’emergenza della Rada di Augusta; 3) presentare, entro 30
giorni dalla data di provvedimento finale di adozione delle
determinazione conclusive della Conferenza di servizi decisoria, gli
elaborati concernenti la messa in sicurezza d’emergenza delle restanti
parti della Rada non comprese negli elaborati progettuali concernenti
gli interventi di messa in sicurezza di emergenza dei sedimenti della
Rada di Augusta di cui la Conferenza di servizi decisoria del 31.10.06
ivi comprese le aree di ancoraggio, ubicate n corrispondenza di aree
‘rosse’ denominate 7R, 8R, 9R dalla Capitaneria di Porto di Augusta
nella nota ‘Studio per la tutela della navigazione e della salvaguardia
della vita umana in mare in relazione agli interventi di bonifica dei
siti di interezza nazionale di Priolo, trasmesso dalla Capitaneria di
Porto di Augusta e acquisito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mara al prot. n. 24336/QdV/DI del 30.11.06».
quanto alle note prot. 24804/QdV/DI/IX e prot. n. 24806/QdV/DI/IX datate
06.12.06 spedite dal Ministero in data 13.12.06 e prevenute
successivamente ed ai decreti prott. nn. 2980/QdV/DI/B e 2979/QdV/DI/B
adottati il 31.10.06 trasmessi con le predette note, il Direttore
Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’ambiente ha inteso
“approvare” e “considerare come definitive” tutte le prescrizioni
stabilite nei verbali delle Conferenze di servizi decisorie del 18
luglio 2005, 14 settembre 2005, 13 ottobre 2005, 16 dicembre 2005, 21
luglio 2006, 19 ottobre 2006 e 31 ottobre 2006.
E sul ricorso
Ricorso Nr. 263/2007, proposto da MAXCOM PETROLI SPA, rappresentato e
difeso dall’Avv. Donato De Luca, dall’Avv. Acquarone Lorenzo, dall’Avv.
Giovanni Acquarone e dall’Avv. Alessandro Palustri, con domicilio eletto
presso lo studio del primo in Catania, Via Lago di Nicito 14;
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, delle Infrastrutture e dei Trasporti,
dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Giunta Regionale della Sicilia, gli Assessorati regionali
Territorio ed Ambiente ed Industria, il Commissario Delegato per
l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Vicecommissario per
l’emergenza rifiuti e tutela delle acque, il Subcommissario per la
bonifica dei siti contaminati, il Prefetto di Siracusa, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’ARPA Sicilia (Agenzia
regionale protezione ambiente), l’Istituto Superiore di Sanità, ciascuno
in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutte
amministrazioni ed enti rappresentate e difese dall’Avvocatura
Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso gli uffici di
quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di
Augusta, rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Coppa, con domicilio
eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi, viale XX
Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia”
SPA ed “EDISON” Spa, ciascuna in persona del proprio rappresentante
legale, non costituite in giudizio;
per l’annullamento
del decreto prot. n. 3204/QdV/Di/B del 13 dicembre 2006, adottato dal
Direttore Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, notificato con nota n.
25385/QdV/IX del 13 dicembre 2006, pervenuta successivamente, avente ad
oggetto “Provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter, legge 7
agosto 1990, n. 241, delle determinazioni conclusive della Conferenza di
servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di
Priolo del 4 dicembre 2006”;
di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e
consequenziali, ivi inclusi, in particolare, il verbale e le
determinazioni assunte dalla conferenza di servizi decisoria tenutasi
presso il Ministero dell’ambiente in data 4 dicembre 2006, relativa al
sito di interesse nazionale di Priolo, richiamata dal (ed allegata al)
decreto direttoriale impugnato.
Ed, infine, sul seguente ricorso:
Ricorso nr. 131/07, proposto in sede giurisdizionale ex art. 10 DPR
1199/71 da BUZZI UNICEM S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco
Weigmann, dall’Avv.Claudio Vivani, dall’Avv. Silvia Verzaro, e dall’Avv.
Francesco Mauceri, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo
in Catania, via Conte Ruggero 9 e relativi motivi aggiunti, (ricorso
straordinario al Capo dello Stato, trasposto di fronte al TAR a seguito
di opposizione della società Syndial);
contro
I Ministeri delle Attività Produttive, della Salute, dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, degli Interni, della Difesa, dei Trasporti,
la Direzione Generale della Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione
Sicilia, la Presidenza della Regione Siciliana, l’Assessorato alla
Presidenza della Regione Siciliana, gli Assessorati regionali Territorio
ed Ambiente, Industria, Beni Culturali ed ambientali, nonché Pubblica
Istruzione, il Commissario Delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela
delle acque, la Prefettura di Siracusa, l’Autorità portuale di Augusta,
la Marina Militare di Augusta, la Capitaneria di Porto di Siracusa, la
Capitaneria di Porto di Augusta, l’ICRAM Istituto centrale per la
ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, l’APAT (Agenzia
Protezione Ambiente e Servizi Tecnici), l’Istituto Superiore di sanità,
l’ARPA Sicilia (Agenzia regionale protezione ambiente), l’ENEA, Ente per
le nuove tecnologie, energia ed ambiente, l’Istituto Superiore per la
prevenzione e la sicurezza del lavoro I.S.P.E.S.L., il Corpo delle
Capitanerie di Porto, Comando generale, il Reparto Ambientale Marino del
Corpo delle Capitanerie di Porto, l’Agenzia Regionale per i rifiuti e le
acque, A.R.P.A., il Comando Carabinieri tutela Ambiente – NOE di
Catania, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore e tutte amministrazioni ed enti rappresentate e difese
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege presso
gli uffici di quest’ultima in Catania, via V. Ognina 149;
La Provincia regionale di Siracusa, il Consorzio per l’Area di Sviluppo
Industriale per la zona Suda della Sicilia Orientale, Siracusa, i Comuni
di Augusta, Siracusa, Melilli e Priolo Gargallo, l’ASL 8 di Siracusa,
l’ENI Spa, ciascuno in persona del proprio rappresentante legale pro
tempore, tutti non costituiti in giudizio ad eccezione del Comune di
Melilli ed Augusta, rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Coppa, con
domicilio eletto in Catania presso lo studio dell’Avv. Francesco Favi,
viale XX Settembre n. 51;
e nei confronti
Delle società ENI Spa, SASOL Italy Spa, COGEMA Spa, DOW ITALIA Srl, ERG
NUOVE CENTRALI Spa, ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE Srl – IAS, INDUSTRIE
SIRACUSANA Spa, ISAB ENERGY Srl, MAXCOME PETROLI Spa, SYNDIAL Spa,
BELUEPOWER Spa, ENIMED Spa, ENEL PRODUZIONE Spa, ENEL AUGUSTA Spa, ENEL
PRODUZIONE Spa, ESSO ESPLORATION AND PRODUCTION ITALIA Spa, POLIMERI
EUROPA Spa, VEGTRORESINA ENGINEERING DEVELOPMENT Srl, SNAM RETE GAS Spa,
ESSO ITALIANA Srl, ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE – SOCIETA’ PER AZIONI,
AIR LIQUIDE CENTRALE PRODUZIONE GAS Srl; ciascuna in persona del proprio
legale rappresentante, costituita in giudizio solo la Syndial,
rappresentata e difesa dell’avv. Stefano Grassi e dall’Avv. Pietro
Amara, con domicilio eletto in Catania, presso lo studio di quest’ultimo
in Corso Italia 302;
e “Sviluppo Italia Aree produttive” SPA, “Sviluppo Italia” SPA ciascuna
in persona del proprio rappresentante legale, costituita la seconda in
giudizio e rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tufarelli e con l’Avv.
Riccardo Giuffrida, con domicilio eletto in Catania, Via Milano, 29,
presso l’Avv. Riccardo Giuffrida;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo (ricorso straordinario al Capo dello Stato):
del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per la
Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare in data 31 ottobre 2006 n. 2979/Qdv/DI/B, nelle
parti di interesse;
del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per la
Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare in data 31 ottobre 2006 n. 2980/Qdv/DI/B, nelle
parti di interesse;
di tutti gli atti ed i documenti di qualsivoglia natura del procedimento
relativo ai suddetti decreti e segnatamente delle conferenze dei servizi
decisorie ivi richiamati ed approvati, dei verbali delle conferenze di
servizi istruttorie in parti data, non conosciuti dalla ricorrente; di
ogni altro verbale di conferenza dei servizi decisoria e/o istruttoria,
pur non conosciuto dalla ricorrente, relativo al procedimento de quo,
ivi espressamente compreso il verbale della conferenza dei servizi
decisoria del 18 novembre 2003, non conosciuto dalla ricorrente, con il
quale risulta approvato il Piano di Caratterizzazione ambientale
dell’area marino costiera prospiciente il sito di bonifica di interesse
nazionale di Priolo, trasmesso da ICRAM con nota prot. CII-Pr-SI-P-02.04
del novembre 2003; della integrazione al verbale della conferenza dei
servizi in data 31 ottobre 2006, trasmessa con nota prot. 22275 in data
9 novembre 2006 e dei relativi allegati, nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso e conseguente.
Con i motivi aggiunti depositati il 01.02.2007
- del decreto prot. n. 3204/Qvd/DI/B adottato in data 13 dicembre 2006
dal Direttore Generale per la Qualità della Vita del Ministero
dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, avente ad
oggetto “Provvedimento finale di adozione ex art. 14 ter legge 7 agosto
1990 , n. 241, delle determinazioni della Conferenza dei servizi
decisoria relativa al sito di interesse nazionale di Priolo del
4/12/2006” nonché di tutti gli atti ed i documenti, di qualsivoglia
natura, del procedimento relativo al suddetto decreto, ivi inclusi, in
particolare il verbale e le determinazioni assunte dalla conferenza di
servizi decisoria tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio in data 4 dicembre 2006 e gli altri meglio
indicati in atti;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, segnatamente
dell’ordinanza n. 99/2006 del 30 novembre 2006 del Comandante pro
tempore della Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di
Augusta, con la quale sono stati previsti divieti e limitazioni alla
navigabilità nell’intera Rada di Augusta”; della nota prot. 20815 del 1
dicembre 2006, con cui il Comandante pro tempore ha trasmesso copia
della predetta ordinanza ai soggetti interessati; delle precedenti note,
peraltro non conosciute e non comunicate, del Comandante pro tempore
della Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Augusta prot.
17133 del 5 ottobre 20065 ad oggetto “intervento di notifica del sito di
interesse nazionale di Priolo“ e relativi allegati e prot. 17513 dell’11
ottobre 2006, ad oggetto “studio di proposta per la tutela della
navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare in relazione
agli interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale di Priolo”;
delle note, peraltro anch’esse non comunicate e non conosciute, del
Presidente pro tempore dell’Autorità Portuale di Augusta – prot
7191/Pres del 6 ottobre 2006, ad oggetto “Richiesta informazioni Rada di
Augusta – sito di interessa nazionale di Priolo – Conferenze di servizi
decisorie del 21/7/06 e 19/10/06”.
con i motivi aggiunti depositati il 24 aprile 2007:
del decreto del Direttore Generale della Direzione generale per la
Qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio e del Mare, in data 1 marzo 2007, nr. 3387/Qdv/DI/B,
contenente l’approvazione ex art. 14 ter l. 241/90 delle determinazioni
della Conferenza dei servizi decisoria del 16.02.2007, nelle parti di
interesse;
di tutti gli atti ed i documenti di qualsivoglia natura del procedimento
relativo al suddetto decreto e, segnatamente, del verbale della
conferenza dei servizi del 16 febbraio 2007 e relativi allegati, tutti,
noti e non noti; di ogni altro verbale di conferenza dei servizi
decisoria e/o istruttoria, pur non conosciuto dalla ricorrente, relativo
al procedimento de quo; di tutti gli atti ed i documenti di qualsivoglia
natura richiamati dai suddetti verbali di conferenze dei servizi
istruttorie e decisorie; della nota del Direttore Generale della
Direzione Generale per la Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente
della Tutela del Territorio e del Mare, in data 01.03.2007 prot.
5890/QDV/DI/VII/VIII, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e
conseguente, anche non noto alla ricorrente;
********
Visti i ricorsi introduttivi del giudizio ed i relativi motivi aggiunti;
Visti gli atti e i documenti depositati con ciascun ricorso;
Visti gli atti di costituzione, nei differenti giudizi, di: ASSESSORATO
REGIONALE INDUSTRIA
ASSESSORATO REGIONALE TERRITORIO ED AMBIENTE
CAPITANERIA DI PORTO DI AUGUSTA
CAPITANERIA DI PORTO DI SIRACUSA
COMMISSARIO DELEGATO PER EMERGENZA RIFIUTI E TUTELA ACQUE
COMUNE DI AUGUSTA (SR)
COMUNE DI MELILLI (SR)
CORPO REG/LE DELLE MINIERE-SERVIZIO GEOLOGICO E GEOFISICO
DIR. GESTIONE RIFIUTI-DIV.PROGRAMMAZIONE RIBO-MIN.AMBIENTE
DIREZ.SERVIZIO QUALITA' VITA -MINIST.AMBIENTE TUTELA TERRIT.
DIREZIONE GEN/LE INFRASTRUTTURE-NAVIGAZ. MARITTIMA INTERNA
ENEA
ISTIT.CEN.LE RICERCA SCIENTIF. E TECNOLOG. APPLICATA AL MARE
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA'
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E SICUREZZA DEL LAVORO
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO
MINISTERO DELL'INTERNO
MINISTERO DELLA SALUTE
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO (EX ATTIVITA' PRODUTTIVE)
PREFETTURA DI SIRACUSA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
REGIONE SICILIANA
SUBCOMMISSARIO PER LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI
SVILUPPO ITALIA SPA
VICE COMMISSARIO DELEG. PER EMERGENZA RIFIUTI E TUTELA ACQUE
Designato relatore all’ Udienza Pubblica del 7 giugno 2007 il
Referendario dr. SALVATORE GATTO COSTANTINO;
Uditi gli avvocati come da verbale;
Vista la documentazione tutta in atti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
IN FATTO
Hanno proposto i ricorsi in epigrafe, ritualmente notificati e
depositati, diverse società industriali a vario titolo operanti nella
Rada di Augusta o su concessioni demaniali che si affacciano su di essa.
Denunciando la violazione della normativa di cui al d.lgs 152/2006, le
ricorrenti lamentano che la Pubblica Autorità, con gli atti impugnati,
avrebbe imposto loro (in violazione dei procedimenti rigorosamente
scanditi dalla normativa in atto in vigore di cui al d.lgs 152/2006)
oneri di bonifica non dovuti, in quanto relativi a fattori di
inquinamento non ascrivibili a loro responsabilità o produzione e quindi
senza che siano state previamente accertate le specifiche responsabilità
dell’inquinamento; che il Ministero medesimo avrebbe imposto tali
obblighi traendoli da una pianificazione della bonifica incompleta o
comunque insufficiente; che la tipologia e le modalità degli interventi
come imposti dal Ministero, sarebbero affidati a tecniche non
efficienti, non efficaci e/o comunque irrealizzabili e come tali anche
pericolosi per l’ambiente e per la salute umana.
La difesa erariale e quella dei Comuni costituiti in giudizio, oppongono
che la nota situazione ambientale in cui versa la zona della Rada di
Augusta è ascrivibile alla responsabilità, di tipo oggettivo e comunque
di natura “industriale” (ossia connessa intrinsecamente al rischio di
impresa), delle società che operano in loco e, tra queste, anche le
ricorrenti; che i piani di bonifica sono stati predisposti da una
autorità scientifica nazionale la cui valenza non può essere messa in
dubbio, e che nel merito di essa sarebbe comunque precluso il giudizio
del Tribunale Amministrativo, perché si tratterebbe di modalità
organizzative del tutto discrezionali; che l’intera fattispecie, in
quanto fondata su procedimenti avviati prima della riforma della
normativa sull’ambiente, di cui al d.lgs 152/2006, sarebbe disciplinata
interamente dalle norme previgenti (in particolare il d.lgs 22/97 e
relativo D.M. di attuazione nr.471/99).
Nella camera di consiglio dell’ 8 novembre 2005, la Sezione ha accolto
le domande cautelari proposte con alcuni dei ricorsi in epigrafe
(nr.r.g. 2662/05, ord. nr. 1746/05; nr. r.g. 2666/05, ord.nr. 1742/05;
nr.r.g.2667/05, ord.nr. 1747/05; nr.r.g. 2671/05, nr. 1744/05; nr.r.g.
2703/05, nr. 1745/05).
Nella camera di consiglio dell’11 maggio 2006, la Sezione ha accolto le
domande cautelari proposte nei ricorsi nr. 2662/05 (ord. nr. 822/06),
nr. 2666/05 (ord. nr. 820/06), nr. 2667/05 (ord. nr. 821/06).
Nella camera di consiglio del 7 dicembre 2006, la Sezione ha accolto le
domande cautelari proposte con i ricorsi in epigrafe che erano stati
chiamati in decisione, altresì fissandone la trattazione nel merito alla
U.P. dell’8 febbraio 2007 (nei ricorsi nr.r.g. 2970/06; 2976/06;
3053/06; 3225/06; 3227/06: ord. nr 1904/06 dep. il 9 dicembre 2006;
nr.r.g. 2938/06, ord.nr. 1931/06; nr.r.g. 3234/06, ord. nr. 1932/06;
nr.r.g. 3223/06, ord.nr. 1933/06; nr.r.g. 2939/06, ord.nr. 1934/06;
nr.r.g. 2937/06, ord. nr. 1935/06).
Alla Udienza Pubblica dell’8 febbraio 2007, il Collegio ha disposto il
rinvio delle cause predette alla udienza pubblica del 7 giugno 2007, sia
perché ciò era necessario al fine di consentire il corretto svolgimento
del processo, in relazione ai motivi aggiunti proposti dalla società DOW
POLIURETANI ritualmente, ma depositati in giudizio successivamente alla
scadenza dei termini a difesa per l’udienza in cui venivano chiamati i
giudizi (con i quali i suddetti motivi aggiunti si ponevano in
inscindibile rapporto di connessione), sia per consentire, data la già
esposta necessità di rinvio, di poter chiamare alla successiva udienza,
anche gli altri ricorsi variamente proposti dalle società ricorrenti
contro i provvedimenti adottati dalle Amministrazioni resistenti in
ordine alla bonifica della Rada di Augusta, ed avere così una migliore
cognizione dei fatti di causa (ord. nr.138/07 depositata il 14 marzo
2007).
Nella camera di consiglio dell’8 marzo 2007, è stata concessa la misura
cautelare degli atti impugnati con i ricorsi nr. 2979/06 (motivi
aggiunti; ord. nr. 339/07), nr. 131/07 (ord. nr. 333/07), nr. 189/07
(ord. nr. 332/07), nr. 200/07 (ord.nr. 338/07), nr. 213/07 (ord. nr.
336/07), nr. 214/07 (ord. nr. 335/07), nr. 215/07 (ord. nr. 334/07),
altresì fissandone la trattazione nel merito alla Udienza Pubblica del 7
giugno 2007.
Le società Sviluppo Italia S.p.a., e Sviluppo Italia Aree Produttive
S.p.a. hanno chiesto l’estromissione dai giudizi.
Ha chiesto anche l’estromissione dai giudizi, nei ricorsi proposti dalla
società DOW ITALIA, già DOW POLIURETANI (nn. 138/05 e 2970/06) la
società “Sviluppo Italia” S.p.a., p.IVA 01879620977.
Con memorie depositate in ciascun giudizio il 25 maggio 2007 hanno
chiesto l’estromissione dal giudizio l’Istituto Superiore per la
Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro e l’Istituto Superiore di Sanità.
Le parti hanno scambiato memorie e documenti.
Alla Udienza pubblica del 7 giugno 2007 le cause sono state trattenute
in decisione.
IN DIRITTO
I) Preliminarmente va disposta la riunione di tutti i ricorsi in
epigrafe, attesa la loro evidente interconnessione sia oggettiva che,
relativamente alle parti resistenti, soggettiva.
Vanno esaminate, preliminarmente, le domande di estromissione dal
giudizio.
Tra queste, si deve intanto distinguere tra le domande proposte dalla
Società Sviluppo Italia Spa, indistintamente in ciascun giudizio, dalla
domanda proposta dalla società “Sviluppo Italia” Spa, p.IVA 01879620977,
nei giudizi introdotti dalla società DOW POLIURETANI.
In quest’ultimo caso la società che richiede l’estromissione dal
giudizio, mediante il deposito delle necessarie visure camerali (da cui
risulta essere sorta dalla trasformazione della SAS Sviluppo Italia, di
Leonardo Lombardi & co., che a sua volta, derivava dalla fusione di
altre due società “Sviluppo Italia – A – Sas di Leonardo Lombardi & C.”
e la “Sviluppo Italia di Leonardo Lombardi & C. SAS”), dimostra di non
avere apportato alcun tipo di contributo rispetto alle conferenze dei
servizi impugnate dalla DOW, cui è estranea (è una società corrente
nella città di Prato che non si occupa di bonifica); il deposito delle
visure camerali è avvenuto subito dopo la notifica del ricorso, quindi
si deve ritenere che immotivatamente la ricorrente DOW ha continuato a
notificarle gli ulteriori motivi aggiunti.
Pertanto, tale società deve essere estromessa dal presente giudizio, e
va conseguentemente condannata la società DOW POLIURETANI a rifonderle
le spese e gli onorari di causa.
Vanno invece respinte le domande di estromissione dal giudizio proposte
dalle società “Sviluppo Italia” Spa e “Sviluppo Italia Aree produttive”
Spa, nelle altre cause riunite.
Queste ultime società, infatti, risultano essere destinatarie di effetti
favorevoli che derivano dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati:
infatti dagli atti versati in giudizio (cfr. in particolare la
conferenza dei servizi del 16.02.2007, ma anche la documentazione
inerente il progetto di bonifica approvato nelle Conferenze dei servizi
del 2005: cfr. ad es. nel ricorso nr. 2671/05), emerge che la società
Sviluppo Italia Spa ha stipulato una convenzione di supporto per le
attività di progettazione e di consulenza nel settore delle bonifiche
con il Commissario Delegato per l’Emergenza rifiuti in Sicilia (giusta
ordinanza commissariale n. 2053 del 29 ottobre 2003) e che, in
attuazione di tale convenzione, la società appartenente al gruppo
“Sviluppo Italia” Spa, ovvero la società “Sviluppo Italia Aree
produttive” Spa (l’appartenenza al gruppo di “Sviluppo Italia” Spa
emerge dai documenti di causa: cfr. nota 517/2006, del 16.03.2006,
depositata in allegato alla produzione del 24 maggio 2006, della società
ricorrente ERG Raffinerie Mediterranee SPA nel ricorso nr. 2671/05), ha
proposto progetti per l’effettuazione degli interventi di bonifica
decisi a seguito e per l’effetto dei procedimenti amministrativi
impugnati con i ricorsi riuniti e dei relativi metodi di indagine.
E’ quindi palese l’interesse che le suddette società possiedono in
relazione ai fatti di causa, che le rendono controinteressate a pieno
titolo.
Va, poi, accolta la domanda di estromissione dai giudizi dell’Istituto
Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (I.S.P.E.S.E.L.)
e dell’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.), in quanto non hanno preso
parte alle conferenze dei servizi impugnate.
******
II) Ricostruzione generale
I ricorsi riuniti sono fondati e come tali devono essere accolti, con il
conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, nelle parti
oggetto di gravame.
Il procedimento che ha portato, infatti, alle determinazioni conclusive
delle Conferenze dei servizi decisorie, avrebbe dovuto essere condotto
nel rispetto delle norme di cui al D.lgs 152/06, applicabile alla
fattispecie in esame, per le ragioni che saranno più diffusamente
esaminate in prosieguo. Inoltre, non è stato accertato - e neppure,
prima ancora, indagato - il presupposto soggettivo dell’ordine di
intervento impartito alle imprese ricorrenti, ossia il rispettivo
apporto all’inquinamento della falda. In terzo luogo, quanto alle
modalità di intervento - sia ai fini della M.I.S.E. (Messa In Sicurezza
d’Emergenza) che del più generale programma di bonifica - le
determinazioni della conferenza dei servizi oltre che a confondere i
presupposti per l’imposizione di una M.I.S.E. e della bonifica ed i
relativi contenuti, sono state adottate in violazione delle regole
generali sul procedimento amministrativo, specialmente in punto di
partecipazione e, conseguentemente, di motivazione, perché non tengono
minimamente in conto i diversi contributi variamente offerti dalle
ricorrenti e, tra queste, le articolate e documentate obiezioni che sono
state sollevate circa i presupposti della bonifica e circa le modalità
dell’intervento, tra le quali, in particolare, il pericolo che lo
strumento del dragaggio ambientale della Rada comporta ai fini della
tutela dell’ambiente e della salute pubblica e l’impossibilità di
procedere al c.d. marginamento fisico delle acque di falda, senza, per
di più, offrire sufficienti garanzie (e previsioni) né sui tempi della
bonifica, né sui suoi risultati finali.
A causa del numero dei ricorsi riuniti e del loro articolato ed ampio
contenuto, il Collegio, in ordine alle censure variamente proposte ed
articolate nei ricorsi riuniti, ritiene opportuno accorparle in modo da
esaminarle per gruppi omogenei.
*****
III) Vizi Formali.
In primo luogo, vanno quindi esaminate le censure con cui si lamentano
vizi formali propri dei provvedimenti impugnati.
Le suddette doglianze possono essere raggruppate e sinteticamente
descritte come segue:
IIIA) Sulla mancanza del provvedimento finale ex art. 14-ter, comma
6-bis e comma 9, l. 241/90;
IIIB) Sulla mancanza dell’intesa o concerto tra il Ministero
dell’Ambiente ed il Ministero delle Attività Produttive, ex art. 252,
comma 4, dlgs 152/06;
IIIC) Sulla incompetenza del Direttore del Ministero ad adottare il
provvedimento finale;
******
IIIA) Sulla mancanza del provvedimento finale ex art. 14-ter, comma
6-bis e comma 9, l. 241/90.
Secondo le difese delle ricorrenti, le conferenze di servizi sarebbero
illegittime in quanto imponendo prescrizioni puntuali, termini, sanzioni
e previsione di provvedimenti sostitutivi in danno, avrebbero dovuto
tradursi in un provvedimento “monocratico” finale.
L’Avvocatura replica che, laddove si ritenga necessario un provvedimento
finale, i provvedimenti in esame sarebbero inoppugnabili (e quindi i
ricorsi dovrebbero essere dichiarati inammissibili per carenza di
interesse attuale) perché atti endoprocedimentali.
A tale proposito, nelle memorie depositate in occasione della udienza
del 7 giugno 2007, la difesa erariale ha richiamato e fatto proprie le
conclusioni cui è pervenuto il TAR Toscana (sez. II, sent. Nr.7244/06),
che ha ritenuto inammissibile il ricorso rivolto all’annullamento di una
conferenza dei servizi in materia analoga a quella odierna.
Osserva, preliminarmente, il Collegio che il Ministero dell’Ambiente,
fino al 31 ottobre 2006, “usava” comunicare direttamente alle imprese
interessate i verbali delle conferenze dei servizi, all’interno dei
quali si trovavano espresse le determinazioni impugnate, comprese anche
la previsione dei termini per adempiere agli obblighi con esse imposti e
le sanzioni in danno per il caso di inadempimento (sub specie di
previsione di interventi sostitutivi in danno delle inadempienti,
affidati al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione
Sicilia).
A decorrere dalla data del 31 ottobre 2006, invece, il Direttore del
Dipartimento della Qualità della Vita, ha mutato prassi procedimentale:
infatti, ha adottato due distinti provvedimenti, il decreto nr. prot.
2979/Qdv/Di/B con cui si approvano le Conferenze dei servizi del 18
luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005, e il decreto nr.
2980/QDV/Di/B, con cui si approvano le determinazioni delle Conferenze
dei servizi del 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006.
Da questo momento in poi, ogni Conferenza dei servizi decisoria è stata
seguita da apposito decreto “monocratico” del Direttore
dell’Amministrazione, che ha inteso approvare le determinazioni in essa
adottate, ai sensi dell’art. 14 della l. 241/90.
Tutti i provvedimenti monocratici sono stati puntualmente impugnati
dalle ricorrenti, che ne lamentano la illegittimità sia per vizi propri
che per invalidità derivata dai vizi da cui sono affette le
determinazioni delle Conferenze dei servizi che essi approvano e rendono
definitive.
Tali circostanze renderebbero inutile ogni ulteriore esame delle censure
raggruppate al presente punto, ma è necessario comunque trattarne
brevemente l’argomento perché ciò è rilevante ai fini dell’esame dei
punti successivi, con particolare riguardo al tema della norma di legge
applicabile nel tempo al procedimento amministrativo.
Pertanto è necessario richiamare brevemente l’art. 14 ter della l.
241/90 che al comma 6 bis così recita:
“6-bis. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il
termine di cui al comma 3, l'amministrazione procedente adotta la
determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le
specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni
prevalenti espresse in quella sede”
A tale proposito, si deve intanto osservare che non è condivisibile la
tesi dell’Avvocatura secondo cui non sorgerebbe interesse al gravame, in
quanto le conferenze dei servizi sarebbero sempre e comunque meri atti
endoprocedimentali.
Ed invero, alla stregua dei consolidati principi giurisprudenziali e
dottrinari in materia, anche gli atti endoprocedimentali (o preparatori
del procedimento), laddove – e nella misura in cui - contengono ordini
precisi ed autoesecutivi rivolti ai destinatari e prevedono anche
sanzioni o provvedimenti sostitutivi, anticipando sostanzialmente,in
tutto o in parte, l’efficacia finale del provvedimento conclusivo della
sequenza procedimentale, devono ritenersi indubbiamente lesivi, e
pertanto non può negarsi come sussistente l’interesse a coltivare il
relativo gravame; interesse che poi viene meno quando il provvedimento
finale è emanato, dovendosi necessariamente impugnare quest’ultimo che
riassume in sé gli effetti derivanti dalle conferenze medesime,
sostituendoli integralmente.
Ciò premesso, si deve comunque sottolineare che la prescrizione di cui
al comma 6 bis dell’art. 14 ter della legge 241/90 ha una funzione ed
uno scopo ben delineati dal legislatore.
Nel configurare quel particolare modulo procedimentale che è costituito
dalla Conferenza dei servizi, infatti, il legislatore della riforma
della l. 241/90, operata – per quanto qui di interesse - con la l.
15/2005, ha sentito la necessità di prevedere e prescrivere che
l’Amministrazione responsabile del procedimento (e, per essa, il
relativo funzionario), all’esito dei lavori della Conferenza adotti un
“provvedimento finale” che, non solo (e non tanto) riepiloghi a scopo
meramente elencativo (e dichiarativo) le determinazioni concordate o
emerse in Conferenza, ma “adotti”, con valenza costitutiva, le
determinazioni conclusive del procedimento.
Lo scopo di questa norma è, principalmente, di consentire che il
cittadino abbia come proprio referente solo il responsabile del
procedimento e quindi “una” amministrazione, lasciando che il “concerto”
tra più Enti rimanga all’interno dei processi decisionali della P.A.
Inoltre, rappresentandosi che, specie in riferimento a progetti o
iniziative di maggiore spessore e complessità, possono emergere una
pluralità di vedute e di apprezzamenti da parte dei diversi Enti
coinvolti nel procedimento (o anche dei privati interessati o
controinteressati), il legislatore ha voluto che la decisione finale
restasse ascritta comunque alla responsabilità dell’Amministrazione
incaricata del provvedimento finale, ovvero di quella cui è demandata la
cura di quei particolari interessi pubblici che sono oggetto del
procedimento.
Ciò in quanto la Conferenza dei Servizi non è un organismo deliberante,
ossia un consesso ove le decisioni si adottano a maggioranza (ad
eccezione delle regole di autorganizzazione, art. 14 ter comma 1), ma un
“modulo procedimentale” e di confronto tra diverse P.A. (Cfr. Consiglio
di Stato, V, 05 aprile 2005, nr. 1543), le cui valutazioni e decisioni
non possono che essere ponderate responsabilmente (ossia con piena
responsabilità di decisione) da parte di chi è chiamato ad adottare il
provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, VI, 03 marzo 2006, nr.
1023).
In altre parole, trattandosi di una determinazione “plastica” che può
assumere pluralità di forme e contenuti (cfr. i diversi presupposti per
la convocazione della conferenza dei servizi di cui all’art. 14, commi
da 1 a 5), la decisione che emerge da una conferenza dei servizi può
essere anche relativa a più scelte possibili, fare emergere più
orientamenti e, comunque, essa non esclude che nella decisione finale il
rappresentante dell’Amministrazione decidente possa disattenderne
motivatamente in tutto o in parte il contenuto (così come avviene in
relazione a qualsiasi istruttoria), naturalmente fatto salvo il
riferimento, contenuto nella norma di legge in esame, agli orientamenti
“prevalenti” che sono elemento necessario della motivazione (come rende
palese l’inciso “tenendo conto”) e che quindi non vincolano, ma
obbligano (in caso di decisione difforme) ad una penetrante motivazione.
Alla luce di tali premesse, laddove accada, come nella odierna
fattispecie, che le determinazioni della conferenza dei servizi siano in
sé vincolanti ed autoesecutive (per come formulate), ferma restando la
loro immediata impugnabilità, ciò non esclude che debbano comunque
tradursi nel provvedimento finale, e questo tanto più se si considera
che nelle Conferenze dei Servizi gravate con gli odierni ricorsi si
rinvengono una pluralità eterogenea di decisioni, di valutazioni e di
destinatari (e di correlativi “procedimenti” amministrativi).
Correlativamente, quando nella Conferenza dei servizi sono svolti esami
e valutazioni relativi a più procedimenti, anche se “connessi”, è
necessario che il provvedimento finale sia adottato procedimento per
procedimento, riprendendo, esponendo e chiarendo, nella misura
necessaria, le determinazioni assunte che sono relative a ciascun
destinatario, singolarmente considerato (altrimenti l’azione
amministrativa sconterebbe un grave deficit comunicativo, tale da
renderla incerta, approssimativa e come tale viziata da eccesso di
potere).
In tal senso, correttamente le censure delle ricorrenti, dapprima
rivolte contro le “determinazioni” delle conferenze dei servizi, sono
riproposte integralmente contro i provvedimenti finali che le approvano.
I provvedimenti definitivi, infatti, laddove recepiscono (anche se
mediante un mero rinvio e quindi senza autonomia di giudizio) le
determinazioni delle conferenze dei servizi, costituiscono atti
autonomamente lesivi, e inoltre sostituiscono interamente le
determinazioni (già) autoesecutive delle conferenze richiamate (cui era
stato dato rilievo esterno per effetto della loro comunicazione alle
imprese destinatarie), ne rinnovano il contenuto facendo decorrere
nuovamente i termini per l’esecuzione degli obblighi imposti e,
correlativamente, obbligano i destinatari di questi ultimi a riproporre
un nuovo gravame, a pena di acquiescenza e conseguente inammissibilità
dei ricorsi proposti avverso le determinazioni della conferenza dei
servizi.
Si vedrà tra poco quali effetti esplichi questa analisi sul regime
normativo applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anche
con particolare riferimento alle conferenze dei servizi del 18 luglio,
14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005.
IIIB) Sulla mancanza dell’intesa o concerto tra il Ministero
dell’Ambiente ed il Ministero delle Attività Produttive, ex art. 252,
comma 4, dlgs 152/06.
Deducono le difese delle ricorrenti che il provvedimento finale avrebbe
dovuto essere adottato di intesa tra i Ministeri dell’Ambiente e delle
Attività Produttive, a norma dell’art. 252 comma 4 del dlgs 152/06. Per
le medesime ragioni, trattandosi di atti a contenuto di indirizzo
politico, il Direttore generale non avrebbe competenza ad adottare
l’atto finale, da considerarsi riservato al Ministro.
La disposizione citata così recita:
“4. La procedura di bonifica di cui all'articolo 242 dei siti di
interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle
attività produttive. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio può avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione
dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle Agenzie regionali
per la protezione dell'ambiente delle regioni interessate e
dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati
pubblici o privati”.
Secondo la tesi delle ricorrenti, il coordinamento tra i due Ministeri
avrebbe dovuto avvenire mediante un espresso decreto interministeriale.
In punto di fatto, si osserva che ai lavori delle diverse conferenze dei
servizi è sempre stato convocato il rappresentate del Ministero per lo
sviluppo Economico, il quale in alcuni casi risulta aver preso parte
alle predette conferenze (cfr. pag. 8 del verbale della Conferenza dei
servizi del 21 luglio 2006, ove si attesta la presenza del
rappresentante del Ministero per lo Sviluppo Economico dott. Giuseppe Di
Masi), e in altri casi risulta invece assente (cfr., ad esempio, le
riunioni della conferenza tenutesi il 19 ottobre ed il 31 ottobre
successivi).
Ciò premesso, il Collegio, richiamato l’art. 14 della l. 241/90, deve
rilevare che il coordinamento interministeriale presupposto dall’art.
252 del dlgs 152/2006 è sicuramente garantito dal modulo procedimentale
della conferenza dei servizi, la quale, non a caso, è convocata “Qualora
sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici
coinvolti in un procedimento amministrativo” (art. 14 comma 1 l.
241/90); formula, questa, che il legislatore ha coniato per
ricomprendere al suo interno qualsiasi forma di collaborazione tra le
Amministrazioni pubbliche, dalla quale non vi sono ragioni formali o
sostanziali per escludere il “concerto” o l’”intesa” che sono
presupposti dall’art. 252 cit.
Pertanto, le suesposte censure sul punto sono infondate e come tali da
respingersi.
III C) Sulla incompetenza del Direttore del Ministero ad adottare il
provvedimento finale;
Per come introdotta, la censura è infondata.
Secondo le ricorrenti, le conferenze dei servizi avrebbero condotto
all’adozione di atti che presuppongono una profonda incidenza
nell’ambito dei livelli produttivi ed occupazionali della Rada e come
tali sarebbero espressione di un necessario indirizzo politico.
Ciò, ad avviso del Collegio, è inesatto: nessuna tra le prescrizioni in
esame relativamente alle decisioni adottate nel 2006 possiede quella
valenza generale tale da farla assurgere ad espressione di un indirizzo
politico, posto che si tratta di provvedimenti che, sia pure con
notevole complessità, affrontano la materia della esecuzione dei
programmi di bonifica inerenti il Sito di Interesse Nazionale di Priolo
e comunque si prefiggono solamente obiettivi gestionali di diretta
attuazione delle previsioni normative in materia.
Pertanto, tutte le prescrizioni adottate nelle Conferenze dei servizi in
esame sono atti amministrativi gestionali, come tali interamente
soggetti alle regole procedimentali di cui agli artt. 2 e ss. della l.
241/90, con particolare riferimento all’obbligo di motivazione ed agli
istituti della partecipazione, e per essi non si può ritenere la
sussistenza, ai fini dell’adozione, della competenza del Ministro.
Bisogna considerare, a questo proposito che, a norma dell’art. 4 del
dlgs 165/2001, “Gli organi di governo esercitano le funzioni di
indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i
programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello
svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati
dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.
Ad essi spettano, in particolare: a) le decisioni in materia di atti
normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed
applicativo; b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi
e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione; c)
la individuazione delle risorse umane, materiali ed
economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro
ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale; d) la
definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi
e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di
terzi; e) … (omississ) “.
In punto di fatto, si osserva che nessuno dei provvedimenti emergenti
dalle Conferenze dei servizi può essere considerato come appartenente
alla declaratoria di atti e provvedimenti tipici descritti dall’art. 4
cit. (e che trovano puntuale corrispondenza negli artt. 3 comma 2 e 13
comma 1 della l. 241/90).
Ciò in quanto, innanzitutto si tratta di imposizioni puntuali prive del
carattere di generalità presupposto dalla norma in esame, posto che sono
dirette alle imprese che operano nella Rada (soggetti perfettamente
individuati); secondariamente, si tratta di prescrizioni che sono
finalizzate alla diretta applicazione di norme di legge, senza contenuto
programmatico o di indirizzo generale, tanto che le stesse ricorrenti ne
lamentano la carenza di istruttoria e/o di motivazione, nonché di
violazione del principio del contraddittorio e del giusto procedimento
(censure, queste, che – ad eccezione del difetto di istruttoria, per cui
cfr. TAR Catania, II, 1191/05 confermata da CGA 22/07 del 29.01.2007 –
non avrebbero potuto essere dirette contro atti o provvedimenti di
natura programmatica o pianificatoria generale, stante il chiaro
disposto degli artt. 2 comma 3 e 13 l. 241/90 citati).
Pertanto le censure ove si lamenta l’incompetenza del Direttore generale
all’adozione dei provvedimenti in essi contenuti, sono infondate e come
tali da respingersi.
*********
Devono adesso esaminarsi le distinte questioni inerenti il contenuto dei
provvedimenti impugnati, così riassunte e raggruppate:
IV) Sull’applicazione della normativa di cui al dlgs 152/06.
V) Sull’applicazione del principio “chi inquina paga”. Sulle regole
inerenti l’inquinamento di tipo “diffuso”.
VI) Sulla violazione del principio del contraddittorio e della
partecipazione nel procedimento; sull’insufficienza di istruttoria.
Come si vedrà, il Collegio ritiene che le censure così descritte e
raggruppate sono fondate e determinano l’accoglimento integrale dei
ricorsi.
Deve affermarsi, sinteticamente, che la normativa di cui al d.lgs 152/06
in tema di tutela ambientale dall’inquinamento è infatti pienamente
applicabile ai procedimenti amministrativi in corso, tali intendendosi
quelli che non si sono ancora conclusi con un provvedimento definitivo
avente legalmente rilevanza esterna o che, comunque, non abbiano
prodotto significativi effetti sostanziali non reversibili; che sono
illegittime le determinazioni amministrative che pongono in tutto o in
parte a carico del proprietario o del detentore di un fondo i costi e
gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei suoli o dell’ambiente dai
danni derivanti dall’inquinamento se non ne viene accertata
rigorosamente la responsabilità e quindi al di fuori dello specifico
apporto causale all’inquinamento riconducibile alla sua attività; che,
in tema di inquinamento “diffuso”, ossia in quei casi in cui detto
accertamento non sia possibile, la bonifica resta a carico della P.A. ed
i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei fondi
bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno
costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme a carico
dei titolari dei diritti reali sui fondi medesimi, nei limiti ordinari
delle azioni di arricchimento; in ogni caso è da ritenersi necessaria ed
inderogabile la partecipazione dei privati titolari di diritti reali sui
fondi oggetto di bonifica (o comunque sui fondi nei quali sono
localizzate o localizzabili le fonti di inquinamento) al procedimento
amministrativo per l’adozione dei provvedimenti di bonifica e
disinquinamento, sia al fine dell’accertamento della responsabilità, che
a quello della determinazione delle modalità e dei costi della bonifica.
******
IV) Sull’applicazione della normativa di cui al dlgs 152/06.
Centrale, ai fini della decisione della lite, è la questione su quale
sia la normativa da applicare alle fattispecie in esame.
Secondo le ricorrenti, il procedimento conclusosi con i provvedimenti
del 31 ottobre 2006, avrebbe dovuto essere condotto non in applicazione
del dlgs 22/97, ma nell’osservanza del dlgs 152/06 che ha abrogato il
precedente e che le procedure poste in essere dalla Pubblica Autorità
avrebbero violato.
La difesa erariale e quella dei Comuni costituiti in giudizio ad
opponendum non pongono seriamente in dubbio che il procedimento è in
contrasto con le norme del D.lgs. 152/2006, limitandosi a sostenerne
l’inapplicabilità, ratione temporis alla fattispecie in esame ed
invocando, in merito, il principio tempus regit actum.
Che il procedimento in esame è regolato dalla normativa sopravvenuta,
ossia il D.lgs. 152/2006, non può invece essere messo in dubbio per più
ordini di ragioni.
In punto di fatto, osserva il Collegio che, quanto alle Conferenze dei
servizi del 2005 e del 2006 (per le quali il problema di diritto
intertemporale si pone con maggiore evidenza), due sono i provvedimenti
“conclusivi” adottati dal Ministero ai sensi dell’art. 14 della legge
241/90 ed entrambi sono stati adottati il 31 ottobre 2006: il decreto
nr. prot. 2979/Qdv/Di/B con cui si approvano le Conferenze dei servizi
del 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005; nonché il
successivo decreto prot. 2980/Qvd/DI/B, con cui si approvano le
Conferenze dei servizi del 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006.
In via generale, osserva il Collegio, che le conferenze dei servizi
decisorie del 2006, sono state interamente poste in essere dopo la
entrata in vigore del D.lgs 152/2006, quest’ultimo pubblicato nel S.O.
alla G.U. nr. 96 del 14 aprile 2006; e che le Conferenze dei servizi
dell’anno 2005, a loro volta, si sono tradotte nel provvedimento
conclusivo solamente in data 31 ottobre 2006 (ossia con il citato
decreto prot. 2939/Qdv/Di/B) e quindi in piena vigenza della normativa
di cui al testo unico.
Per quest’ultimo aspetto, qualora, sotto un diverso profilo, si volesse
ritenere che le conferenze decisorie del 2006 stiano in rapporto di
continuità con le precedenti determinazioni dell’Amministrazione
relative alle conferenze del 2005 (cosa che, in punto di fatto, è
contraddetta dalla duplicità dei decreti di approvazione, perché, a
ritenere unico il procedimento, unico avrebbe dovuto essere il decreto
di approvazione), sarebbero comunque soggette allo ius superveniens,
come quelle del 2005, perché queste ultime non si sono comunque tradotte
in un provvedimento finale se non nella vigenza del D.lgs 152/2006
Infine è lo stesso D.lgs 152/2006 che contiene una disciplina
transitoria tale da dover necessariamente condurre l’interprete a
ritenerlo applicabile ai procedimenti amministrativi in corso.
A) Più precisamente, sotto un primo profilo e con riferimento alle
determinazioni assunte nelle conferenze di servizi ed ai relativi
provvedimenti definitivi dell’anno 2006 e 2007, appare evidente che
l’Autorità ministeriale ha concluso con esse procedimenti che sono
interamente ascrivibili ad iniziative autonome, assunte tutte dopo
l’entrata in vigore della nuova normativa ambientale, sia pure nel
presupposto, storico e giuridico, delle decisioni assunte negli atti
emanati nell’anno 2005.
Per tali ragioni, il Collegio non può esimersi dall’affermare che il
rapporto tra procedimento e norma sopravvenuta va analizzato in
relazione agli effetti, non invece con riferimento a requisiti formali
di sorta.
Pertanto, è da ritenersi che, nel caso di mutamento della norma
regolatrice del potere amministrativo, restano soggetti alla previgente
normativa solo quei sub-procedimenti che hanno prodotto effetti
consolidati o comunque legittimamente esteriorizzati e portati
concretamente ad esecuzione ed allorché, comunque, quest’ultima non sia
più suscettibile di revisione o modificazione.
Quindi, anche a volere aderire alla impostazione della difesa erariale,
ciò che essa definisce come l’”avvio” del procedimento nell’anno 2005 si
è comunque concluso con un provvedimento espresso nel vigore della nuova
normativa, la quale è intervenuta in una fase del procedimento che
ancora era formalmente aperta (per espressa dichiarazione in tal senso
dell’Amministrazione: vedi nota prot. 10363/Qvd/DI del 25.05.2006) e
quindi non aveva raggiunto alcuna determinazione tale da consentire un
arresto procedimentale definitivo o comunque significativo.
D’altronde, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che il principio
“tempus regit actum” è applicabile al momento dell’emanazione del
provvedimento finale, salve le sole fasi procedimentali che siano dotate
di piena autonomia e definitività degli effetti (“l'applicabilità dello
"ius superveniens" nell'ambito di un procedimento in itinere incontra il
solo limite dell'intangibilità delle situazioni giuridiche ormai
definite; pertanto, ove la procedura si divida in varie fasi coordinate,
ma dotate di una certa autonomia, la nuova norma può trovare
applicazione per le fasi che all'atto della sua entrata in vigore non
siano state ancora realizzate, mentre l'applicazione è esclusa per fasi
già espletate e compiute” Consiglio di Stato, VI, 18 giugno 2004, nr.
4163; cfr. anche TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 29 aprile 2003, nr.
161; Consiglio di Stato, VI, 27 dicembre 2000, n. 6890; T.A.R. Campania
Napoli, 24 febbraio 1986 , n. 107).
Già si è detto, quindi, che il provvedimento finale esplica pienamente e
con forza costitutiva-esecutiva effetti propri; le determinazioni delle
conferenze dei servizi acquistano così rilievo esterno e come tali sono
portate ad esecuzione; e, per questa ragione, si è pure già detto che,
se le conferenze dei servizi del 2006 dovessero considerarsi come la
“mera” continuazione di quelle del 2005 o, prima ancora, del 2004,
allora ne conseguirebbe comunque che la normativa sopravvenuta regola il
regime applicabile al tempo in cui viene emanato l’atto conclusivo del
procedimento (i provvedimenti del 30 ottobre 2006 e le conferenze dei
servizi del 2005 in essi richiamate).
B) Da ultimo, si deve osservare che il D.gls 156/2006 contiene diverse
tipologie di istituti e corrispondenti disposizioni normative, con
altrettante regole transitorie di diverso tipo in ordine alla loro
entrata in vigore ed applicazione ai procedimenti in corso.
Ad esempio, a norma dell’art. 52, le procedure per la valutazione
ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale
(VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC) (salvo quanto
disposto dagli articolo 49 e 50), entrano in vigore il 31 gennaio 2007,
ma i procedimenti amministrativi in corso a tale data, nonché i
procedimenti per i quali alla medesima data sia già stata formalmente
presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono
in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in
vigore all'epoca della presentazione di detta istanza.
Ancora, all’art. 135, che dispone in materia di competenza e
giurisdizione in ordine alle sanzioni disciplinate dal capo I del titolo
V del decreto, si prevede (comma 3) che “Per i procedimenti penali
pendenti alla entrata di entrata in vigore della parte terza del
presente decreto, l'autorità giudiziaria, se non deve pronunziare
decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la
trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini
dell'applicazione delle sanzioni amministrative”.
Altri esempi di norme transitorie possono individuarsi agli artt. 146 e
149, in materia di risparmio idrico ed aggiornamento dei piani d’ambito,
all’art. 170, che dispone articolate misure transitorie in relazione
agli istituti di cui alla parte terza del decreto, anche con riferimento
ai procedimenti in corso, e così via.
In questo quadro generale, che comprende norme transitorie per ognuno
dei vari istituti compresi nel testo Unico, si osserva che l’art. 264
alla lettera “i” prevede che, alla data di entrata in vigore della parte
quarta del decreto, è abrogato “il decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di
continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista
dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del
citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad
applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti
provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente
decreto”.
Il riferimento alla “data di entrata in vigore” rende chiaro
all’interprete che continuano a trovare applicazione non già i
procedimenti amministrativi (come invece è espressamente previsto, ad
esempio, nel citato art. 52), ma quei “provvedimenti” correlati
all’esercizio delle funzioni ed adempimenti “normativi” previsti dagli
artt. 195 e ss. a carico dello Stato, Regioni, Provincie e Comuni, ed i
provvedimenti pianificatori di cui agli artt. 199 - 201 in tema di piani
di smaltimento dei rifiuti. Si possono poi individuare anche
disposizioni specifiche, come ad es. gli accordi di programma di cui al
comma 7 dell’art. 181 in tema di recupero dei rifiuti; o in tema di
disciplina nazionale dei registri di carico e scarico dei rifiuti di cui
all’art. 190 comma 7, e così via.
In definitiva, l’art. 264 lett. “i” non consente di ritenere che possano
trovare applicazione le norme di cui al dlgs 22/97 laddove queste siano
riferite a procedimenti amministrativi o anche programmi, piani, o
procedure amministrative contenenti ordini di bonifica veri e propri
contenute in piani, programmi, obiettivi di risanamento ed atti di
competenza Ministeriale, specie, poi, se non si sono neppure tradotti in
un provvedimento finale vero e proprio: è, infatti, la stessa norma a
presupporre, con assoluta evidenza, che - comunque si vogliano intendere
- i provvedimenti esecutivi che continuano ad applicarsi sono quelli che
sono entrati in vigore prima dell’aprile del 2006. A tacere di qualsiasi
dubbio sulla loro natura, non potranno quindi essere presi in
considerazione procedimenti di qualsiasi genere che, pur se culminati in
conferenze di servizi, non si sono tradotti in nessun atto finale, posto
che in ogni caso solamente quest’ultimo può conferire l’efficacia
esterna alle determinazioni della conferenza (e come tale determinarne
l’”entrata in vigore”).
A riprova di quanto appena indicato, l’art. 264, comma 4, prevede che
“Fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore
della parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da
tale data, può essere presentata all'autorità competente adeguata
relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già
autorizzati sulla base dei criteri definiti dalla parte quarta del
presente decreto. L'autorità competente esamina la documentazione e
dispone le varianti al progetto necessarie”.
In base a questa disposizione, correttamente invocata dalle difese delle
ricorrenti, non può non ritenersi che sono fatti salvi solo i
procedimenti che si sono conclusi con una espressa autorizzazione degli
interventi di bonifica.
D’altronde, come accennato prima, lo stesso Testo unico quando ha voluto
fare salvi i “procedimenti” che hanno avuto inizio nel vigore delle
norme preesistenti, lo ha esplicitamente previsto nell’apposito regime
transitorio (cfr. art. 52 prima citato).
Nel caso in esame, dunque, si conferma che essendo intervenuto il
provvedimento finale (tale espressamente qualificato) in data successiva
alla entrata in vigore del decreto legislativo 152/2006 esso avrebbe
dovuto essere adottato in conformità alle disposizioni di quest’ultimo.
Ne consegue che i provvedimenti impugnati, sia le conferenze dei servizi
svoltesi dal 21 luglio 2006 in poi, che i provvedimenti finali del 31
ottobre 2006, avrebbero dovuto essere soggetti alle regole di cui al
dlgs 152/06, i cui precetti, invece, sono stati non solo formalmente, ma
anche sostanzialmente, violati, come si evidenzierà nella esposizione
che segue.
*******
V) Sull’applicazione del principio “chi inquina paga”. Sulle regole
inerenti l’inquinamento di tipo “diffuso”
A) Il primo e più importante aspetto derivante dall’applicazione della
nuova normativa è che non può più dubitarsi della piena vigenza del
principio “chi inquina paga”.
Invero, prima della riforma della materia operata per mezzo del Decreto
legislativo 3-4-2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”) emanato in
attuazione alla legge delega 15.12.2004, nr. 308, non mancavano
oscillazioni tra pronuncie tese a sostenere che tale principio avesse
meramente valore programmatico e fosse insuscettibile di trovare
applicazione nell’Ordinamento statuale interno, e pronunciamenti di
segno opposto, questi ultimi prevalenti soprattutto nella giurisprudenza
penale (cfr. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 03 marzo 1999 , n.
86, in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti; TAR Emilia Romagna,
Bologna, I, 05 aprile 2001 nr. 300; favorevole, Cass. Penale, III, 24
aprile 1995, nr. 7690; 13 ottobre 1995, nr. 11336).
Essendo stato però introdotto, anche formalmente, con il predetto d.lgs
152/2006, nell’Ordinamento statuale interno, in recepimento di specifica
direttiva comunitaria, (direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, sulla
responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del
danno ambientale, che, in vista di questa finalità, «istituisce un
quadro per la responsabilità ambientale» basato sul principio «chi
inquina paga», a sua volta fondata sull’art. 174,comma 2, del Trattato
istitutivo delle Comunità Europee), il principio “chi inquina paga”,
proprio in quanto principio, deve trovare applicazione in tutti i
procedimenti amministrativi in corso, laddove non si sono prodotti
diritti quesiti o comunque effetti definitivi.
Quando, pertanto, la decisione amministrativa inerisce ad una
ripartizione di oneri finanziari, allora nessun effetto definitivo può
dirsi ancora consolidato nel procedimento in itinere relativamente
all’aspetto “in danno” alle aziende, ovvero a loro carico. Ossia: anche
a voler tenere fermi i modi della bonifica, i relativi costi devono
essere addossati ai responsabili dell’inquinamento e questo è un dato di
indagine del tutto non compromesso dallo stato del procedimento al
momento dell’entrata in vigore della nuova norma.
Quindi anche sotto questo profilo, non può considerarsi legittimo
l’accollo indifferenziato delle attività e degli oneri di bonifica di un
sito contaminato sui produttori che in esso operano, senza il preventivo
accertamento, con procedimento partecipato, delle relative
responsabilità per l’inquinamento riscontrato.
B) L’esame del principio della responsabilità “soggettiva” espressamente
accolto dalla normativa del 2006, porta adesso ad esaminare le tesi
difensive dell’Avvocatura e delle difese comunali, sotto altro angolo di
visuale.
Secondo le difese dei Comuni ed anche dell’Avvocatura, che sul punto
sono sovrapponibili, l’art. 17 del dlgs 22/97, e gli artt. 2050 - 2051
del codice civile, determinerebbero la configurazione della
responsabilità ‘oggettiva’ in capo ai proprietari della fonte di
inquinamento, a prescindere dal fatto che abbiano o meno prodotto
l’inquinamento stesso: costoro sarebbero, infatti, portatori di una
posizione di garanzia che si fonda sul presupposto della conoscenza del
pericolo, della evitabilità dell’evento lesivo e dell’omesso intervento
per l’eliminazione del pericolo medesimo. Detta responsabilità potrebbe,
in teoria, essere evitata provando di non essere il responsabile
dell’inquinamento; tuttavia, il proprietario dell’area è custode del
suolo e quindi, per liberarsi dall’obbligo del risarcimento, spetterebbe
allo stesso proprietario provare il caso fortuito o la responsabilità
altrui. La conferma dell’esposta interpretazione si ricaverebbe dal
privilegio speciale riconosciuto sulle aree oggetto dell’inquinamento,
nell’ipotesi in cui l’intervento sia eseguito dalla P.A.; altrimenti
risulterebbe inspiegabile per quale motivo un soggetto proprietario
irresponsabile dovrebbe garantire con il proprio patrimonio l’esecuzione
in danno.
Secondo le difese erariali e comunali, quindi, le imprese sarebbero
tenute a sopportare gli oneri della bonifica per:
a) la “responsabilità oggettiva” sorgente dal combinato disposto delle
norme sopra indicate;
b) non aver provato di non essere responsabili dell’inquinamento.
Ad avviso del Collegio, occorre procedere, preliminarmente, ad una
sintetica ricognizione del quadro generale dei principi sulla
responsabilità oggettiva e delle elaborazioni che ne hanno fatto la
dottrina e la giurisprudenza, per meglio comprendere la portata, ed i
limiti, delle tesi della difesa erariale e delle difese comunali.
Com’è noto, la responsabilità oggettiva è configurata dalla legge in
alcuni casi, tassativi, in cui un soggetto è chiamato a rispondere per i
danni che ha provocato, a prescindere dall’elemento della colpa, o del
dolo (ossia del requisito soggettivo dell’istituto, generale, della
responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.).
In dottrina si spiega tale tipo, eccezionale, di responsabilità con
riferimento alla necessità, sempre più diffusa nella società moderna, di
legare alle attività produttive, tecnologicamente complesse, i rischi
che derivano dall’attività di impresa. Ciò al fine di evitare la
traslazione (c.d.“esternalizzazione”) dei costi di sicurezza della
produzione stessa, a carico di terzi o della collettività.
Esempi tipici dell’applicazione di tale istituto - la cui disciplina si
caratterizza non solo per la irrilevanza degli stati soggettivi
dell’agente, ma anche per la inversione dell’onere della prova che
comporta l’addossamento al soggetto, al fine di liberarsi della
responsabilità dei danni, della prova del caso fortuito o della forza
maggiore (con particolari aggravamenti derivanti anche dalla tipologia
di attività condotte) - sono individuati nella responsabilità dei
padroni e dei committenti (art. 2049 c.c.), nella responsabilità per
l’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c., art. 965 cod.nav.in
tema di navigazione aerea, art. 15 l. 62/1980 in tema di attività
nucleari e simili), nella responsabilità per cose detenute in custodia
(art. 2051 c.c.) o per animali (art. 2052 c.c.) e così via.
Soprattutto in tema di danno ambientale, non sono mancate, in dottrina,
autorevoli tesi volte a dimostrare che la responsabilità oggettiva
sarebbe più efficace nel tutelare il valore dell’ambiente, rispetto al
modello tradizionale della responsabilità per colpa.
Secondo queste impostazioni, il problema della responsabilità è prima
economico che giuridico: ossia, considerato l’attuale livello di
sviluppo tecnologico e commerciale, è necessario addossare i rischi per
danni in capo a coloro che possiedono i mezzi per farvi fronte e,
soprattutto, hanno un potere di controllo sulle fonti produttive di
rischi, effettivi o anche solo potenziali, per rendere effettiva la
prevenzione e, in caso di accadimenti lesivi, la ristorazione delle
posizioni soggettive, private o pubbliche, eventualmente incise.
Lo stesso art. 2050 c.c. costituirebbe, così, una applicazione del
suddetto principio, accolta dal legislatore del 1942, così come lo
sarebbero, negli ordinamenti anglosassoni, istituti di common law quali
il tort of nuisance (che si ha quando l’uso della proprietà privata
interferisce irragionevolmente con la proprietà altrui), la disciplina
della strict liability (che incombe su chi effettua un non natural use
della proprietà, a danno del vicino), la negligence (che è la
responsabilità di chi usa la propria res con negligenza o comunque in
violazione del dovere di diligenza), istituti che hanno permesso di
raggiungere l’individuazione di fattispecie di responsabilità più volte
utilizzate per sanzionare il danno all’ambiente.
Secondo questa impostazione, poiché le scelte di impresa sono
solitamente compiute a seguito di valutazioni e previsioni economiche,
tra le quali anche il costo della sicurezza, addossare alla impresa il
rischio dei danni all’ambiente, sarebbe quindi lo strumento per imporle
ogni possibile cautela, potendo essa (e solo essa) prevenire tale
rischio, in virtù del controllo sulla produzione. Ne deriverebbe anche
una natura ambulatoria della responsabilità, in quanto, appunto,
connessa con il possesso dei mezzi di produzione e quindi suscettibile
di trasferirsi con essi.
Il rischio per i danni all’ambiente gravante sull’impresa (salvo il solo
fatto del caso fortuito o del fatto di terzo, valutati secondo parametri
rigorosi) diventerebbe, quindi, un elemento del sistema produttivo,
immanente ad esso.
Tuttavia, più approfonditamente, deve osservare il Collegio che,
innanzitutto, il sistema della responsabilità oggettiva, in tema di
danno all’ambiente, ha trovato, nell’Ordinamento, un significato
normativo ed un ambito di applicazione completamente diversi da quelli
che le difese erariale e comunali vorrebbero attribuirgli a difesa dei
provvedimenti impugnati, e che il C.G.A. ha fatto propri nell’ordinanza
nr. 321/06 pronunciata sull’appello contro l’ordinanza di questa Sezione
nr. 1742/05; e che, più radicalmente, il modello di responsabilità che
il legislatore ha accolto nella disciplina della tutela ambientale dai
rischi di inquinamento non e’ riconducibile alla responsabilità
oggettiva, ma, al contrario, specie in virtù della nuova normativa di
cui al dlgs 152/06, è qualificabile come vera e propria responsabilità
soggettiva (pienamente di tipo aquiliano).
****
B1) Sotto il primo dei due aspetti, appena indicati, si osserva,
intanto, che, da un punto di vista dell’evoluzione dell’istituto, già
l’art. 18 della l. 349/86 prevedeva che “Qualunque fatto doloso o
colposo in violazione di disposizione di legge o di provvedimenti
adottati in base a legge che comprometta l’ambiente….obbliga l’autore
del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato” e quindi (come del
resto nessuno, in dottrina, dubita) introduce una fattispecie “tipica”
di responsabilità, non completamente riconducibile allo schema dell’art.
2043 c.c. (dal quale si differenzia, tra l’altro, per non avere
struttura aperta, sussistendo l’elemento essenziale della violazione di
legge o di provvedimenti amministrativi, che si aggiunge al tradizionale
elemento del dolo o della colpa e sostituisce l’elemento
dell’ingiustizia del danno).
Caratteristiche proprie della responsabilità oggettiva, invece, si
potevano ravvisare nella disciplina di cui all’art. 17 del dlgs 22/97,
in tema di obbligo di ripristino dell’ambiente inquinato.
La disposizione in esame, infatti, pone l’obbligo del ripristino a
carico di colui il quale ha prodotto l’inquinamento, senza riconoscere
alcuna rilevanza allo stato soggettivo, di colpa o di dolo, dell’agente,
perché prevede espressamente che l’obbligo di ripristino incombe anche a
carico di chi determini l’inquinamento accidentalmente ossia per caso
fortuito.
Solo che, contrariamente a quanto vorrebbero sostenere le tesi difensive
dell’Avvocatura e dei Comuni, (e contrariamente a quanto ritenuto dal
CGA nella ordinanza nr. 321/06, per la quale cfr. infra sub “D”), la
natura “oggettiva” della responsabilità non esclude certamente che si
debba verificare ed accertare il presupposto causale della stessa, ossia
l’avvenuto inquinamento “imputabile” come nesso eziologico all’impresa
ed alla sua attività.
Anche le teorie appena (succintamente) richiamate, non negano, infatti,
il principale presupposto dell’accertamento della responsabilità
dell’inquinamento, ossia l’esistenza della concatenazione causale tra
produzione ed inquinamento (cosa che, nel caso della Rada di Augusta non
ha formato oggetto di accertamento da parte della P.A., essendosi
limitate le conferenze dei servizi a prendere atto della esistenza di
livelli di inquinamento asseritamente superiori agli standards, senza
indagare su chi ha prodotto l’inquinamento e quando).
Si confronti sul punto la normativa di cui agli artt. 14 e 17 del dlgs
22/97.
Ai sensi dell’art.14, dlgs 22/97:”1. L'abbandono e il deposito
incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È
altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato
solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva
l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 51 e 52, chiunque
viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla
rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al
ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i
titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area ai quali
tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa ……omississ”.
L’art. 17, dlgs 22/97, comma 2, a sua volta prescriveva che “Chiunque
cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui
al comma 1, lettera a) (ovvero i limiti di accettabilità della
contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque
sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti),
ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei
limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree
inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di
inquinamento”.
Quindi, nello schema dell’art. 14 e dell’art. 17 del d.lgs. 22/97
(disciplina oggi trasfusa negli artt. 192 e 243 e ss. del dlgs 152/06),
pur potendo dubitarsi sul tipo di responsabilità (ossia avente o meno
natura di responsabilità oggettiva), sicuramente l’accertamento della
responsabilità dell’abbandono dei rifiuti era essenziale perché
scriminante il titolo degli obblighi di ripristino dell’autore e dei
titolari di diritti reali sull’immobile (questi ultimi corresponsabili
in solido con l’inquinatore solo a titolo di colpa o dolo), nonché in
quanto imponeva l’adozione delle misure di tutela e salvaguardia
ambientale a “chiunque cagiona” il danno medesimo (rappresentato dal
superamento o dal rischio di superamento degli standards ambientali); e
quindi nessun indice normativo consentiva di addossare ai semplici
titolari dei diritti reali sull’immobile inquinato gli obblighi di
bonifica “a prescindere” dall’accertamento della loro responsabilità.
E’ quindi possibile, già in base alla previgente normativa del d.lgs.
22/97 (c.d. “decreto Ronchi”), rilevare la prima e principale
contraddizione delle tesi difensive dell’Avvocatura e dei Comuni, tesi,
peraltro, accolta dal CGA, nell’ordinanza nr. 321/06.
Infatti, sia la difesa delle Amministrazioni come pure l’ordinanza del
CGA nr. 321/06, confondono palesemente il principio della responsabilità
oggettiva con l’istituto della sottoposizione del proprietario
incolpevole all’obbligo di sopportare i costi della bonifica per effetto
dell’onere reale incombente sul suolo inquinato e della garanzia del
privilegio speciale; posizioni di soggezione, queste, dipendenti da
titoli (e quindi soggetti a discipline, limiti e presupposti)
completamente diversi.
Più precisamente, mentre il responsabile dell’inquinamento è tenuto a
sopportare l’intero costo della bonifica (nel limite in cui essa è
imputabile al fatto proprio dell’inquinamento e, viceversa, senza il
limite della prevedibilità delle conseguenze dannose rispetto alla
propria azione o omissione, trattandosi di responsabilità aquiliana), e
ciò anche se non abbia più il possesso, o la proprietà o comunque la
disponibilità dei suoli inquinati, (secondo TAR Liguria, I, 12 ottobre
2005, n. 1348, e 10 febbraio 2004, nr. 141, la relativa responsabilità è
imprescrittibile); laddove, invece, l’impresa titolare di un diritto
reale sull’immobile e/o detentrice dello stesso, non abbia causato essa
direttamente l’inquinamento subirà sì il rischio di dover sopportare i
costi della bonifica, ma ciò solamente laddove essa sia corresponsabile
dell’inquinamento (ma sicuramente non a titolo di responsabilità
oggettiva, chiedendo, infatti, il legislatore l’accertamento del
presupposto del requisito soggettivo del dolo o della colpa) oppure per
effetto (e nei limiti) dell’onere reale che è costituito ex art. 17 dlgs
22/97 e che garantisce l’amministrazione pubblica del recupero delle
somme equivalenti all’aumento di valore che il fondo subisce per effetto
delle attività di bonifica.
In tali ultime ipotesi, la causa del recupero, pertanto, è quella
dell’ingiustificato arricchimento della impresa proprietaria del bene,
la quale, avendolo acquistato “inquinato” si avvantaggerebbe dell’opera
di bonifica posta in essere dall’Autorità ricevendone un diretto
vantaggio “immeritato”. Una volta corrisposte le somme necessarie a
riequilibrare le posizioni giuridiche del bonificante e del proprietario
avvantaggiato, quest’ultimo, ove ne ricorrano i presupposti (ad
es.prezzo pagato per l’acquisto del suolo pari al valore di questo come
se non fosse inquinato; sussistenza ed attivabilità delle garanzie di
legge a tutela dell’acquisto e simili), potrà poi rivalersi sul proprio
dante causa (con azione civile di natura contrattuale, oppure, a seconda
dei casi, aquiliana).
Ciò, quindi, comporta che all’impresa incolpevole saranno accollati i
costi del disinquinamento solo dopo che la bonifica è stata effettuata
da parte dello Stato e nei limiti in cui i relativi oneri non siano
recuperati o recuperabili a carico del responsabile dell’inquinamento,
oltre che nei limiti di valore del fondo o in quelli dell’aumento di
valore del medesimo, conseguente alla avvenuta bonifica.
A tale proposito, è stato recentemente ritenuto che “L’art. 17, d.lg. n.
22 del 1997, impone l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che
definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento
solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per
avervi dato causa, con conseguente inconfigurabilità di un obbligo di
bonifica o di messa in sicurezza a carico del proprietario incolpevole
(si veda, tra le tante, Tar Veneto, sez. III, 25 maggio 2005 n. 2174)”.
Quanto al proprietario incolpevole, inoltre, costui “finisce per essere
il soggetto gravato dal punto di vista economico, poiché l’Ente pubblico
che ha provveduto all’esecuzione dell’intervento può recuperare le spese
sostenute nei limiti del valore dell’area bonificata, anche in suo
pregiudizio: ne deriva che il proprietario incolpevole ha l’onere di
provvedere alla bonifica e alla messa in sicurezza se intende evitare le
conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area di onere reale e
di privilegio speciale immobiliare, salva l’azione di regresso nei
confronti del responsabile dell’inquinamento (TAR Lombardia, Brescia, 16
marzo 2006, n. 291; cfr. la sentenza del TAR Veneto, ivi richiamata, nr.
2174/2005; cfr. anche T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 12 dicembre 2005,
n. 20141; Tar Liguria, I, 12 ottobre 2005, n. 1348; Consiglio di Stato,
VI, 05 settembre 2005, n. 4525).
Pertanto, va ribadito che, nell’Ordinamento statuale interno, in tema di
tutela ambientale e nel vigore della disciplina di cui al dlgs 22/97, è
il responsabile dell’inquinamento che deve sopportarne i costi di
bonifica, mentre il proprietario incolpevole del suolo sarà chiamato
solo in via sussidiaria e comunque nei limiti dell’arricchimento per
tenere indenne l’Amministrazione dalle operazioni di bonifica.
E’ evidente la profonda differenza che sussiste tra le due figure
soggettive di responsabilità.
In tema di onere reale costituito ex art. 17 del dlgs 22/97, è stato
infatti affermato che quest’ultimo “costituisce la prestazione di dare o
di fare a carattere periodico cui è obbligato il debitore in quanto gode
di un determinato bene, e per principio generale ricavato anche ex art.
967 c.c. l’obbligo del debitore è relativo anche alle prestazioni sorte
anteriormente all’acquisto del diritto sul bene; quindi l’onere reale,
per la sua invasività e specificità, è quindi ammesso solo nei casi
previsti dalla legge, come nel caso di cui all’art. 17 d.lg. n. 22 del
1997” ( TAR Liguria, I, 12 ottobre 2005, n. 1348).
Ricostruendo la disciplina già in vigore nell’applicazione del dlgs
22/97, si deve, pertanto, affermare che, quanto alla responsabilità per
l’inquinamento, il proprietario incolpevole (che non ha nessuna prova da
offrire posto che spetta all’Amministrazione accertare e dunque provare
la responsabilità dell’inquinamento) sarà chiamato a rifondere i costi
della bonifica solo in relazione al suo rapporto con il bene, che si
traduce in termini di incremento di utilità da comprovarsi (onere della
prova a carico dell’Amministrazione: si tratta di una azione che rientra
nell’alveo dell’art. 2041 del codice civile e, in conseguenza, la prova
dell’arricchimento - sia nell’an che nel quantum - incombe sull’attore -
cfr. Cass. Civile, I, 28 ottobre 2005, nr. 21096; Corte di Appello
Reggio Calabria, 17 luglio 2004; TAR Puglia, Bari, I, 05 novembre 2002,
nr. 4833).
Più precisamente, il recupero dei costi da parte dell’Amministrazione
potrà avvenire, come detto prima, solo nei limiti del valore
dell’immobile o comunque nei limiti della concreta utilità che lo stesso
ha percepito (come aumento di valore del fondo bonificato): a tale fine,
però, l’onere reale deve risultare dai registri immobiliari (art. 253
dlgs 152/06) se riferito ad interventi già effettuati e precedenti il
titolo dell’acquisito immobiliare o della costituzione del diritto reale
sul bene, e deve essere altresì iscritto in relazione al valore
dell’intervento di bonifica i cui costi sono andati a vantaggio del
fondo.
L’autore dell’inquinamento, invece, non incontra limiti di valore nella
sua obbligazione, la quale dovrà necessariamente corrispondere
all’intero importo delle operazioni di bonifica per inquinamenti a lui
imputabili, in relazione al nesso causale ed anche oltre i limiti della
ordinaria prevedibilità dei danni (trattandosi di illecito
extracontrattuale).
*******
Va osservato, a questo punto, che sia il responsabile dell’inquinamento
che il proprietario incolpevole hanno titolo a partecipare al
procedimento amministrativo che è preordinato alla predisposizione degli
interventi di bonifica ed alla loro esecuzione.
Mentre per il responsabile dell’inquinamento ciò appare ovvio, per il
proprietario incolpevole la medesima conclusione, sebbene altrettanto
evidente, necessita di alcune precisazioni.
Infatti è la possibile sottoposizione del proprietario incolpevole
dell’area a subire i costi della bonifica ad implicare che quest’ultimo
ha un interesse partecipativo evidente al procedimento ove si
determinano le modalità della bonifica, non essendo logicamente
pretendibile che costi sproporzionati o, peggio, inutili (in quanto
connessi a procedimenti di cui si contesti l’efficacia e l’efficienza),
o comunque determinati senza il responsabile apporto partecipativo del
proprietario incolpevole, siano posti a carico del privato medesimo.
Quindi se il titolare del diritto reale sull’area ha acquistato
quest’ultimo diritto in epoca successiva all’esecuzione degli interventi
di bonifica, allora il limite della sua sottoposizione al privilegio in
favore dell’Amministrazione sarà dato dalle risultanze dei registri
immobiliari, ossia dalla esistenza della iscrizione formale e
costitutiva verso terzi dell’onere reale (e del relativo importo);
laddove, invece, non sia stata annotata nei registri immobiliari
l’esistenza e l’importo del privilegio oppure l’evidenza
dell’inquinamento ed i relativi obblighi di intervento siano sorti in un
momento successivo all’acquisto dell’immobile o dei diritti su di esso,
allora sussiste l’interesse alla partecipazione al procedimento
preordinato all’adozione dei provvedimenti di bonifica necessari al
disinquinamento, secondo gli ordinari criteri di cui alla legge 241/90.
Pertanto, si deve affermare che non è legittimo addossare al privato
incolpevole gli oneri della bonifica, per interventi resisi necessari
dopo l’acquisto dell’immobile, o comunque laddove questi ultimi non
risultino in tutto o in parte dalle iscrizioni immobiliari, senza che
costui abbia avuto la possibilità di offrire i propri apporti
collaborativi (e conseguentemente che l’Amministrazione abbia motivato
in maniera idonea l’eventuale decisione difforme, in tutto o in parte,
dalle proposte dell’avente interesse).
Inoltre, dall’esposizione che precede, emerge che il proprietario del
suolo deve comunque essere coinvolto nel procedimento al fine di
accertare l’esistenza dei fattori di inquinamento oltre soglia e la
relativa quantità, e ciò qualsiasi possa essere il titolo della
responsabilità (principale o sussidiaria) che incombe in capo ad esso
(Consiglio di Stato, VI, 05 settembre 2005, n. 4525).
Correlativamente, l’imposizione dell’onere reale sui terreni oggetto di
intervento di bonifica presuppone non solo il pieno coinvolgimento del
proprietario incolpevole nel procedimento, ma, prima ancora, che sia
stato compiuto ogni esigibile sforzo per identificare il responsabile
dell’abuso e imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo costo,
e di tali presupposti deve esistere nel provvedimento congrua
illustrazione e corrispondente obbligo motivazionale.
Ciò infatti deriva anche dalla applicazione del principio comunitario
secondo cui “chi inquina paga”, principio che comunque, in
giurisprudenza, è oramai riconosciuto pacificamente applicabile
nell’Ordinamento statuale interno: tanto che si offre una lettura del
rapporto tra le norme di cui agli artt. 14 e 17 del dlgs 22/97 ben
diversa da quella che vorrebbero trarne le difese dei Comuni: “Ai sensi
dell’art. 17, d.lg. n. 22 del 1997 in tema di messa in sicurezza,
ripristino ambientale e bonifica vige il principio che chi inquina paga,
diversamente dal paradigma normativo di cui all’art. 14, d.lg. cit.
improntato a sanzionare il comportamento illecito dell’autore del
deposito abusivo di rifiuti (T.A.R. Liguria, sez. I, 21 novembre 2005 ,
n. 1487)
D’altronde, il regime dell’istituto che si è appena illustrato, come già
consolidatosi specie nell’elaborazione giurisprudenziale sotto l’imperio
del dlgs 22/97, è puntualmente confermato dal testo normativo oggi in
vigore (art. 253 del dlgs 152/06):
1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale
sui siti contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità
competente ai sensi dell’articolo 250. L’onere reale viene iscritto a
seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere
indicato nel certificato di destinazione urbanistica.
2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono
assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai
sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice
civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei
diritti acquistati dai terzi sull’immobile.
3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati,
nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o
del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato
dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità
di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi
l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del
medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.
4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può
essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con
l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241,
le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei
limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito
dell’esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il
proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente
provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei
confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e
per l’eventuale maggior danno subito.
Si tenga inoltre presente che, a norma dell’art. 245 del dlgs 152/06 “Le
procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di
ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere
comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili” ma
sono comunque fatti salvi gli obblighi del responsabile della
contaminazione a norma dell’art. 242.
In base a quest’ultima disposizione, le “procedure operative ed
amministrative” sono articolatamente disciplinate dal legislatore
intorno al responsabile della contaminazione, sul quale incombono
strutturati obblighi di intervento e comunicazione, che ovviamente
presuppongono il nesso causale tra la contaminazione e la attività o la
condotta dell’agente (commissiva oppure omissiva).
Infine, l’art. 250 del d.lgs. 152/06, prevede che, qualora il
responsabile non è individuato o comunque non provveda e non provvedano
neppure i proprietari incolpevoli (questi ultimi a titolo volontario,
come chiaramente previsto dall’art. 245 sopra riportato), provvede
l’Amministrazione alla bonifica ed al recupero del sito inquinato: la
P.A. competente è individuata nel livello territoriale proporzionato
alla tipologia ed estensione dell’inquinamento, secondo il tipico
principio di sussidiarietà (e quindi, provvederà, a seconda dei casi, il
Comune o la Provincia, oppure interverrà il Ministero per i siti di
interesse nazionale).
Pertanto, alla luce del dlgs 152/06, si conferma che o l’Amministrazione
accerta la responsabilità dell’inquinamento o è la stessa
Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il
recupero delle somme a carico delle imprese, in relazione al rapporto
che esse hanno con il sito bonificato, ma salvaguardando in questo caso
l’apporto partecipativo di queste ultime, specie in punto di modalità
dell’intervento, e fermo restando, comunque, che a carico del
proprietario incolpevole il recupero degli oneri della bonifica potrà
avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il
disinquinamento avrà apportato al fondo; aspetto questo che consente di
ricondurre il diritto dell’amministrazione al recupero delle somme,
nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle
quali essa si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari
forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che
assicurano il recupero dei costi di intervento.
******
B2) Sotto il secondo dei profili cui si è prima fatto cenno, e chiarito,
dunque, che, sia nella precedente normativa, che nella vigenza attuale
del dlgs 152/06, vanno accuratamente distinte le posizioni del
responsabile dell’inquinamento e del proprietario incolpevole, può
essere adesso esaminato l’ulteriore aspetto, variamente evidenziato
dalle tesi difensive delle società ricorrenti, circa la natura della
responsabilità per l’inquinamento ambientale.
A giudizio del Collegio, il legislatore del 2006 ha operato una scelta
decisa in favore della riconduzione della responsabilità per i danni
all’ambiente nell’alveo della “tradizionale” responsabilità
extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana ex art.
2043 c.c.), con il conseguente ripudio di una qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva.
Se, nel vigore del dlgs 22/97, poteva dubitarsi sulla natura della
responsabilità (soggettiva o, al contrario, oggettiva) di colui che
determina un inquinamento (chiamato a provvedere al ripristino, come
visto, anche se il superamento dei valori standards è cagionato
accidentalmente, con conseguente possibile configurazione di un obbligo
di intervento che prescinde dallo stato soggettivo dell’agente, essendo
rilevante anche la mera causalità della produzione dell’evento lesivo),
ciò è invece sicuramente da escludersi nella disciplina attuale.
Infatti, il D. Lgs. n. 152 del 2006 all’ art. 311, comma 2, disciplina
la responsabilità per danni all’ambiente, prevedendo che “chiunque
realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti
doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento
amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di
norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo
o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della
precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente
patrimoniale nei confronti dello Stato”.
La disposizione di cui all’art. 311 appena riportata, è la norma che
costituisce e disciplina la situazione giuridica soggettiva di
responsabilità, e serve quindi ad orientare l’interprete nella
ricostruzione dell’istituto più generale del ripristino dei siti
inquinati: quando nelle norme variamente in esso previste, si fa
riferimento al “responsabile dell’inquinamento”, non si potrà che,
logicamente, considerare tale colui il quale è “responsabile” ai sensi
del citato art. 311, a meno di non voler sostenere l’illogica
prospettazione della esistenza di due tipologie di responsabilità, ossia
quella soggettiva ex art. 311 cit. ed una sorta di “responsabilità
oggettiva parallela” ex art. 242 e ss. aventi tuttavia identico
contenuto quanto all’obbligo di ripristino.
La necessità di una lettura combinata dei due istituti (obblighi di
ripristino ex art. 242 e ss. e disciplina della responsabilità con
l’azione di risarcimento anche in forma specifica, di cui agli artt. 311
e ss.), si impone, comunque, dalla semplice lettura dell’art. 313 dlgs
152/2006, a norma del quale “Qualora all'esito dell'istruttoria di cui
all'articolo 312 sia stato accertato un fatto che abbia causato danno
ambientale ed il responsabile non abbia attivato le procedure di
ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto
oppure ai sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, con ordinanza immediatamente esecutiva,
ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati
responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento
in forma specifica entro un termine fissato. 2. Qualora il responsabile
del fatto che ha provocato danno ambientale non provveda in tutto o in
parte al ripristino nel termine ingiunto, o il ripristino risulti in
tutto o in parte impossibile, oppure eccessivamente oneroso ai sensi
dell'articolo 2058 del codice civile, il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio, con successiva ordinanza, ingiunge il pagamento,
entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, di una somma pari al
valore economico del danno accertato o residuato, a titolo di
risarcimento per equivalente pecuniario. 3. Con riguardo al risarcimento
del danno in forma specifica, l'ordinanza è emessa nei confronti del
responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto nel cui
effettivo interesse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o
che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi, secondo
l'accertamento istruttorio intervenuto, all'onere economico necessario
per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele
e tenere i comportamenti previsti come obbligatori dalle norme
applicabili”.
Pertanto, la disciplina dell’obbligo di ripristino del sito inquinato,
deve essere letta in correlazione con l’art. 311 appena citato: ciò
andrà fatto, ad es. in relazione all’art. 242 – che in caso di un evento
“potenzialmente in grado di contaminare il sito obbliga esclusivamente
il “responsabile dell’inquinamento” a porre in essere le necessarie
misure di prevenzione e a dare immediata comunicazione
all’Amministrazione-; all’art. 245, comma 2, che parimenti fa
riferimento agli “obblighi del responsabile della potenziale
contaminazione”; alla circostanza che il decreto delegato recepisce
l’orientamento giurisprudenziale che impone un rigoroso onere di
motivazione in capo alla P.A. nella ricerca e nell’individuazione del
responsabile dell’inquinamento, non ritenendo ammissibile l’attribuzione
di obblighi di messa in sicurezza e di bonifica a soggetti terzi in
virtù del mero titolo di proprietà (o di concessione) sui fondi stessi.
Deve quindi concludersi che il nuovo quadro normativo impone sotto
differenti profili di escludere che il responsabile della bonifica –
ovvero del danno ambientale – possa essere individuato solo in virtù del
rapporto esistente tra un determinato soggetto e l’apparato produttivo
esistente nel terreno inquinato. Va quindi esclusa qualsiasi
responsabilità “da posizione” che non può configurarsi surrettiziamente
neppure con riferimento ai “vantaggi” connessi all’esercizio di
un’impresa.
Anche volendo superare la natura di risarcimento in forma specifica
degli obblighi di bonifica ed accentuandone l’aspetto sanzionatorio, la
disciplina dell’illecito ambientale non può essere invocata per
giustificare l’eventuale qualificazione della responsabilità ambientale
in termini di responsabilità oggettiva, perché, in materia di sanzioni
amministrative, la legge non la prevede, a differenza del codice civile,
in nessuna tipologia o forma.
A norma della legge 24 novembre 1981 n. 689, infatti, la disciplina
generale delle sanzioni amministrative, esclude qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva e riconduce (art. 3, 1° comma) la
responsabilità amministrativa al dolo o alla colpa: “nelle violazioni
cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile
della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa
dolosa o colposa”, con una formulazione che replica esattamente quella
dettata dall’art. 42, 4° comma, del codice penale per le
contravvenzioni, e che viene concordemente intesa da dottrina e
giurisprudenza nel senso che l’affermazione della responsabilità
richiede l’accertamento del dolo o della colpa (in tema di
responsabilità oggettiva e sanzioni, cfr. quanto recentemente statuito
da TAR Catania, IV, nr. 679/2007, del 19.04.2007, pag. 33-35, che ha
sancito la illegittimità delle norme regolamentari della FIGC che
prevedono la responsabilità oggettiva delle società calcistiche e
relative sanzioni, per fatti illeciti commessi dai tifosi).
Sotto altro aspetto, come condivisibilmente sottolineano le ricorrenti,
ed in particolare la difesa della società ENI, una responsabilità
imprenditoriale di stampo oggettivo si traduce in un onere reale imposto
automaticamente all’imprenditore unicamente in virtù della posizione
rivestita e del rapporto con la cosa inquinata ed indipendentemente
dall’azione che l’amministrazione deve condurre per la preventiva
individuazione del soggetto responsabile, ma si è visto sopra a quali
limiti e con quali presupposti l’onere reale viene invece imposto, nel
sistema del D. Lgs. n. 152 del 2006.
Va quindi respinta, in quanto inconferente, la tesi secondo la quale il
riferimento alle responsabilità presunte di cui agli artt. 2050 e 2051
cod. civ. (relativi alla responsabilità per esercizio di attività
pericolose ed alla responsabilità per danni da cose in custodia)
permetterebbe di ricostruire la responsabilità imprenditoriale per danno
ambientale o per bonifica in chiave di responsabilità meramente
oggettiva: a tacere del fatto che tali disposizioni operano nel campo
dei rapporti tra privati, in ogni caso, l’applicazione al campo della
responsabilità per danno ambientale delle norme di responsabilità
presunta stabilite dal codice civile trova comunque ostacolo nel
principio di specialità (che – com’è noto – è il criterio prioritario
per individuare la norma applicabile in campo civilistico, anche sul
terreno della responsabilità civile: cfr. Cass. N. 19975 del 2005). A
fronte di più disposizioni (apparentemente) concorrenti nella stessa
fattispecie (le norme di responsabilità presunta stabilite dal codice
civile e le norme sulla responsabilità ambientale previste dalla parte
sesta del D. Lgs. N. 152 del 2006), il criterio di specialità porta
certamente ad applicare solo ed esclusivamente le disposizioni
esaustivamente dettate dalla normativa ambientale, così come oggi
chiarite dal D. Lgs. N. 152 del 2006 (aderendo alla prospettazione della
difesa della società ENI, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2005, n.
935; Sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971; TAR Veneto, Sez. III, 19 gennaio
2006, n. 1443, e 6 dicembre 2006, n. 571).
*******
Sotto il profilo della ratio normativa, deve inoltre disattendersi la
tesi dell’Avvocatura secondo cui l’adozione di un criterio di “strict
liability” (responsabilità rigorosa) in capo alle imprese, connesso a
rischi oggettivi di impresa, tutelerebbe meglio il valore della difesa
ambientale, rispetto ad un sistema di “due care” (cura doverosa).
Infatti, la strict liability ed il correlativo principio, sostenuto
dalla difesa della Pubblica Amministrazione (e che è stato anche accolto
in sede cautelare dal C.G.A. con l’ordinanza nr. 321/06, per cui vedasi
meglio infra, sub “D”), secondo cui sarebbe possibile l’ indifferenziato
accollo degli oneri della bonifica ambientale a carico delle imprese per
effetto della sola loro relazione con i suoli, finirebbe con
l’incentivare il danno ambientale, invece di impedirlo o di portare a
rimuoverne durevolmente le cause prima ancora che gli effetti, risultato
che si ottiene solo promuovendo un corretto rapporto tra la produzione e
l’ambiente.
Infatti, la via semplice, “in discesa”, di accollare gli oneri di
bonifica alle imprese incolpevoli, ma facilmente individuabili dalla
loro attuale relazione con il bene, agevolerebbe, di fatto, l’impunità
dei soggetti autori dell’inquinamento (specie di quel tipo di
inquinamento che è il peggiore, poiché deriva da fatti risalenti nel
tempo e che quindi ha già consentito una sicura locupletazione dei suoi
autori a danno della collettività e del territorio): questo perché,
ipotizzando che la P.A. recuperi i costi integrali della bonifica a
carico del proprietario-detentore incolpevole del suolo, ne deriverebbe
che resterebbe a costui la rivalsa sul precedente
proprietario-possessore inquinante, rivalsa che dovrebbe essere condotta
sul piano della tutela civile, con l’evidente minore possibilità, mezzi
e strumenti di tutela derivanti dalla natura dell’azione (che sarebbe
riconducibile, in pratica, o ad una azione a tutela della compravendita,
oppure, a seconda dei presupposti, ad una azione aquiliana, con relativi
termini di proposizione e prescrizione), rispetto a quella che lo Stato
invece può (e deve) porre in essere, a norma dell’art. 250, 252 comma 5
e 253 del dlgs 152/06.
Quindi le Imprese “non attente” alle tematiche ambientali sarebbero
incoraggiate nelle loro riprovevoli condotte dalla possibilità di
sfuggire alla sanzione dopo aver sfruttato le risorse del suolo ed aver
compromesso l’ambiente, semplicemente cedendo il sito e puntando, da un
lato, sui “tempi lunghi” dell’Amministrazione e, dall’altro, sul minore
rischio che per loro costituisce l’azione civile di rivalsa dei
proprietari incolpevoli.
In una prospettiva ancora più evoluta dell’istituto della responsabilità
per danno all’ambiente, la cennata ed erronea ricostruzione
dell’istituto della responsabilità per danni all’ambiente, quale emerge
dalla tesi difensiva dell’Avvocatura e dei Comuni, contrasta gravemente
– ledendolo – con il principio-valore della “responsabilità sociale
delle imprese” che oramai si sta consolidando come lettura del combinato
disposto degli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, nella maturata
coscienza “diffusa” della società e degli operatori economici.
In una amministrazione democraticamente orientata, infatti, la coazione
è sempre uno strumento da “ultima risorsa”, mentre il coinvolgimento
attivo, propositivo e qualificato dei privati nella tutela dell’ambiente
è un “valore” prima ancora che uno strumento (di maggiore efficacia); ed
esso si ottiene enfatizzando, appunto, la “responsabilità sociale” delle
imprese e della produzione (nozione fondata sull’art. 41 comma 2 e 42
della Costituzione), secondo la quale le imprese hanno vantaggio (e
devono essere incentivate) nel perseguire contestualmente il profitto
economico, la funzione sociale della proprietà e la tutela ambientale,
destinando a tale proposito adeguate risorse ed energie, poiché ne hanno
un ritorno in termini di qualità della produzione e della immagine.
Centrale, in questa ricostruzione, è il corollario che all’impresa vada
sì accollato il “costo” sociale della produzione, ma ciò deve accadere
nei limiti in cui esso è direttamente riferibile al profitto ottenuto,
quindi alla produzione in quanto causa dell’effetto.
L’equilibrio tra il costo ed il beneficio è infatti la precondizione
della corretta pianificazione delle scelte aziendali, quindi incide
direttamente sulla valutazione dell’imprenditore di destinare risorse e
ricchezze alla minimizzazione dei costi ed alla implementazione
qualitativa della produzione.
Sotto il profilo della organizzazione amministrativa dell’azione dei
pubblici poteri, tali finalità sono ampiamente riconosciute e previste
dal legislatore che disciplina in proposito svariate forme di intese e/o
accordi di programma: si confronti la complessa ed evoluta disciplina di
cui al disposto degli artt. 206, 179 e 180 del dlgs 152/06, nonché le
previsioni di cui all’art. 181 commi 5 e 7, che consentono di promuovere
intese con i soggetti economici interessati “al fine di favorire il
riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero
dei rifiuti, nonché l'utilizzo di materie prime secondarie, di
combustibili o di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti provenienti
dalla raccolta differenziata” (art. 181), anche mediante “la promozione
di strumenti economici, eco-bilanci, sistemi di certificazione
ambientale, analisi del ciclo di vita dei prodotti, azioni di
informazione e di sensibilizzazione dei consumatori, l'uso di sistemi di
qualità, nonché lo sviluppo del sistema di marchio ecologico ai fini
della corretta valutazione dell'impatto di uno specifico prodotto
sull'ambiente durante l'intero ciclo di vita del prodotto medesimo; come
pure “la previsione di clausole di gare d'appalto che valorizzino le
capacità e le competenze tecniche in materia di prevenzione della
produzione di rifiuti” o anche “la promozione di accordi e contratti di
programma o protocolli d'intesa anche sperimentali finalizzati, con
effetti migliorativi, alla prevenzione ed alla riduzione della quantità
e della pericolosità dei rifiuti” (art. 180).
Quindi, sotto l’aspetto della ratio legis, è da ritenersi contraria ai
principi della responsabilità imprenditoriale nella tutela ambientale,
come emergenti sia dalla Carta Costituzionale che dalla legislazione
ambientale, nella più matura lettura che se ne offre alla coscienza
sociale, la considerazione (generalizzata in un giudizio preventivo ed
acritico) delle imprese e della produzione come “disvalore” da
contenere, controllare o limitare, addossando loro indiscriminatamente i
costi del disinquinamento in una logica (massimalista e punitiva) di
equiparazione tra il possesso di “risorse economiche e ricchezza” ed una
(sorta di) “culpa in re ipsa”, ossia intrinseca allo stesso essere
impresa produttiva.
Per tale ragione è da respingersi il corollario che deriva dalla
suesposta tesi, secondo il quale la semplice relazione di una forza
economica e produttiva con il sito ove essa è localizzata rende
responsabile l’imprenditore di qualsiasi danno ambientale, senza o al di
fuori di un rigoroso accertamento di responsabilità.
C) Il terzo ed ultimo aspetto dell’analisi del quadro normativo
applicabile è relativo alle regole da applicarsi nei casi di c.d.
“inquinamento di tipo diffuso”; a norma dell’art. 240 comma 1 lett. “r”
del vigente testo normativo sull’Ambiente, in questo tipo di
inquinamento rientrano la “contaminazione o le alterazioni chimiche,
fisiche, biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti
diffuse e non imputabili ad una singola origine”.
Come correttamente evidenziato soprattutto dalla difesa della ricorrente
SASOL ITALY S.p.a, l’art. 303 comma 1 lett. “h” prevede che la
disciplina sul “danno ambientale” (articolata in specifici istituti
relativi alla prevenzione, il ripristino ed il risarcimento del danno)
non è applicabile all’inquinamento diffuso, qualora non sia possibile
acclarare in nessun modo il nesso causale tra il danno e l’attività dei
singoli operatori.
A giudizio del Collegio, dalla disciplina in esame emerge che il
legislatore nazionale ha chiaramente previsto che, in relazione alle
forme di inquinamento diffuso, i relativi oneri di bonifica e le
rispettive responsabilità gravino interamente sullo Stato: è salva
tuttavia la sola previsione di cui all’art. 253, in quanto anche
l’intervento effettuato dallo Stato in applicazione dell’art. 250
produce evidenti benefici ai fondi dapprima inquinati, e si è visto che
l’apposizione dell’onere reale ed il privilegio speciale, sono
meccanismi di tutela legale di una situazione giuridica comunque
conosciuta dall’Ordinamento nei termini dell’azione di arricchimento.
D) Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, il Collegio non
può esimersi dal dissentire in ordine a quanto ritenuto dal C.G.A. nella
menzionata ordinanza nr. 321/06, pronunciata nel ricorso di appello nr.
344/06 per la riforma della ordinanza del TAR Catania, I, nr. 1742/05:
secondo il giudice di appello, “appare irrilevante ai fini della
legittimità degli atti impugnati in prime cure ogni accertamento (ivi
compresi quelli in corso in sede penale) volto a verificare il
coinvolgimento, o meno, degli attuali proprietari o concessionari di
aree industriali .. così come di ogni accertamento volto a verificare la
sussistenza di eventuali responsabilità in capo ad organi della P.A. che
abbiano in passato autorizzato l’esercizio di attività inquinanti (il
cui esito, a prescindere da eventuali imputazioni ascrivibili alle
singole persone fisiche titolari degli organi, si risolverebbe
necessariamente in una traslazione sulla collettività dei relativi oneri
a carattere ripristinatorio, o di gran parte di essi). Il punto di
equilibrio fra i diversi interessi di rilevanza costituzionale alla
tutela della salute, dell’ambiente e dell’iniziativa economica privata
non va infatti ricercato in meccanismo di graduazione delle obbligazioni
di messa in sicurezza e di successiva bonifica a seconda dell’entità
degli apporti individuali nella causazione del danno ambientale, .. , ma
in un criterio di oggettiva responsabilità imprenditoriale, in base al
quale gli operatori economici che producono e ritraggono profitti
attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se
inquinanti, o in quanto utilizzatori di strutture produttive contaminate
e fonte di perdurante contaminazione, sono per ciò stesso tenuti a
sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela
dell’ambiente e della salute della popolazione, in correlazione causale
con tutti indistintamente i fenomeni di compromissione collegatisi alla
destinazione industriale del sito, gravato come tale da un vero e
proprio onere reale a rilevanza pubblica, in quanto finalizzato alla
tutela di prevalenti ed indeclinabili interessi dell’intera
collettività”.
La impostazione del giudice di appello, alla luce della esposizione in
diritto che precede il presente paragrafo, non può essere assolutamente
condivisa ed il Collegio esprime l’auspicio che tale indirizzo sia
criticamente rimeditato.
La contraddizione palese tra la ritenuta irrilevanza dell’obbligo di
accertare le effettive e soggettive responsabilità e il disposto di
legge emerge con evidenza dall’analisi del testo normativo che oggi è in
vigore; ma anche alla luce del previgente art. 17 del dlgs 22/97, si è
visto come era centrale, nella ricostruzione dell’istituto, la precisa
individuazione delle responsabilità dell’inquinamento.
Ma ciò che preme al Collegio evidenziare con la dovuta chiarezza è che,
a differenza di quanto ritenuto dal giudice di appello, la linea
interpretativa qui seguita (e già contenuta nell’ordinanza nr. 1742/05
di questa Sezione che secondo il giudice di appello, sarebbe “di stampo
fortemente liberista, ma debolmente solidaristico”), è “fortemente”
intesa a valorizzare, prima di tutto, le esigenze di preminente
interesse sia dell’ambiente che della salute, proprie degli istituti
normativi sopra esaminati, e che l’azione superficiale della P.A.,
condotta senza minimamente tenere conto né delle gravissime obiezioni
tecniche poste dalle società ricorrenti, né delle effettive ragioni di
responsabilità dell’inquinamento, rischia invece di compromettere.
Come si è visto sopra, la tutela della salute e dell’ambiente diviene
effettiva solo laddove essa sia supportata da idonea istruttoria ed
adeguata ponderazione degli interventi necessari, sotto il profilo
scientifico, e sia altresì coordinata e contemperata con la tutela di
altri valori costituzionali come la libertà di impresa e di iniziativa
economica, i quali assicurano il substrato indispensabile alla efficace
tutela della salute e della integrità psicofisica, perché permettono sia
l’evoluzione tecnologica e produttiva, sia il diritto al lavoro ed allo
sviluppo sociale della persona umana, nelle formazioni ove essa svolge
la propria personalità.
In definitiva, ciò che rende non condivisibile l’impianto ermeneutico
tracciato dalla ordinanza C.G.A. nr. 321/06 è che in detta pronuncia
cautelare il giudice di appello formula egli stesso un bilanciamento
degli interessi aventi rilievo costituzionale, attribuendo, poi, tale
bilanciamento a fondamento della (presupposta) disciplina della
responsabilità da posizione dell’imprenditore.
Invece, va osservato che il bilanciamento tra interessi aventi rilievo
costituzionale, ex artt. 32 e 41 della Costituzione, è svolto dal
legislatore, il quale valorizza adeguatamente le finalità
“solidaristiche” cui si riferisce il giudice di appello, coordinandole
con le esigenze di mercato (che pure sono nell’interesse della
comunità), e non certo costruendo una ipotesi di responsabilità
oggettiva (che, nella lettura offerta dal C.G.A. dell’istituto,
addosserebbe alla “produzione” un disvalore presunto “iuris ed de
iure”), bensì valorizzando negli istituti di partecipazione e
disciplinanti le intese e gli accordi di programma, che si sono sopra
accennati, la responsabilità sociale delle imprese, da un lato, e,
dall’altro, la esigenza di adeguata ed effettiva sanzione per coloro che
si rendono responsabili dell’inquinamento, dall’altro.
In altri termini, per utilizzare una incisiva ed usuale espressione
concettuale riassuntiva di principi e valori costituzionali immanenti
nel sistema di garanzie tipico di ogni Stato di diritto, “per reprimere
il delitto non è lecito sopprimere il diritto”. Il che, riempiendo di
specifico contenuto tale concetto con riferimento alla materia ed alla
controversia in esame, significa che la doverosa attività repressiva
(così come quella innanzitutto preventiva) degli scempi ambientali,
anche se prevalentemente finalizzata dall’Ordinamento alla tutela della
salute umana, prima ancora che alla conservazione dell’ecosistema,non
può certamente realizzarsi in spregio di altri principi e valori
egualmente contemplati e protetti dalla Costituzione, né violando e
sovvertendo le più elementari normative generali sul procedimento
amministrativo e/o quelle settoriali e specifiche in tema di tutela e
risanamento ambientale.
Ed invero, il valore fondamentale della salute umana (art. 32 Cost),
nonostante il suo carattere primario ed assoluto, deve necessariamente
confrontarsi e coordinarsi con altri valori di eguale dignità
costituzionale, rispetto ai quali può porsi in conflitto, di guisa che
l’assolutezza e l’incomprimibilità del diritto alla salute non può
giustificare il sacrificio (a volte totale) di ogni altro valore e bene
giuridico in conflitto (potenziale o reale) con esso (cfr. tra le tante,
Cass. Civ. II, 6.4.1983, n. 2396), proprio perché l’esistenza di
concomitanti tutele di altri interessi costituzionalmente protetti
costituisce un limite oggettivo alla assoluta ed illimitata prevalenza
del bene salute, rispetto a tutti gli altri indicati dalla tavola di
valori costituzionali (in tal senso, sostanzialmente, Corte Cost.
18.07.1983, nr. 212).
Il valore, predominante, della tutela della salute, ex art. 32 Cost.
(che comprende anche il diritto alla salubrità dell’ambiente), non può
essere inteso, quindi, come ragione per sopprimere o svuotare di
contenuto il diritto alla libertà di iniziativa economica e di impresa,
così come quest’ultimo non può essere utilizzato a pretesto per
depauperare il territorio, impoverendone le risorse e infliggendo gravi
sofferenze alle persone ed alle comunità che vi risiedono; né può, in
alcun modo, giustificare la violazione di altri principi e normative
(che esigono eguale rispetto in uno Stato di diritto) in nome di un
malinteso senso di assolutezza e preminenza del diritto alla salute ed
alla salubrità dell’ambiente.
Il giusto punto di equilibrio tra i valori costituzionali che si sono
rappresentati è, pertanto, di competenza del legislatore e, nel caso
della tutela ambientale, è stato individuato nel principio di origine
comunitaria “chi inquina paga” e nella relativa disciplina.
La P.A. è chiamata, con azione mirata, corretta, partecipata ed
efficace, ad assicurare in pratica il rispetto della gerarchia dei
valori costituzionali che fonda la giusta valorizzazione di ognuno di
essi, in una armonica visione di insieme (cfr. ancora, in tal senso, ex
multis, Corte Costituzionale, 7 novembre 2003, nr. 331, in materia di
legislazione urbanistica regionale; Consiglio di Stato, V, 22 settembre
1999 nr. 1138; Cass. Civile, II, 6 aprile 1983, nr. 2396, cit.).
*******
E’confermato, quindi, sotto questi molteplici aspetti che
l’Amministrazione non può limitarsi ad accollare oneri e responsabilità
di intervento alle imprese in assenza di un formale e completo
accertamento delle responsabilità effettive dell’inquinamento, tanto più
quando, come nel caso di specie, le stesse imprese indichino il
responsabile dell’inquinamento (ossia la società Montedison, odierna
controinteressata, nella nuova denominazione sociale “Edison” spa) e
tale indicazione abbia anche trovato conferma in un giudizio penale, il
cui accertamento in fatto è rilevante anche nei confronti della P.A.
(cfr. decreto di archiviazione del Tribunale Penale di Siracusa RG nr.
5860/05 depositato il 31.01.2007).
*******
VI) Sulla violazione del principio del contraddittorio e della
partecipazione nel procedimento; sull’insufficienza di istruttoria;
Deve adesso esaminarsi l’ulteriore e distinto profilo del principio del
contraddittorio e della istruttoria nel procedimento amministrativo che
ha ad oggetto la imposizione di obblighi di intervento di bonifica e/o
disinquinamento ambientale.
Dalla esposizione che precede, già si è visto come il proprietario del
suolo o dell’impianto interessato alle procedure di bonifica ha titolo
per partecipare pienamente al relativo procedimento amministrativo; va
qui evidenziato che la disciplina del procedimento è soggetto sia alle
norme e regole generali di cui alla l. 241/90 che a quelle specifiche di
settore, contenute nel dlgs 152/06.
Più precisamente si deve osservare e ritenere quanto segue.
A) I provvedimenti impugnati, nelle parti appena descritte, sono
illegittimi per difetto di istruttoria, secondo le prospettazioni
variamente articolate dalle parti e che si riassumono a seguire.
In punto di diritto, l’istruttoria è regolata – quanto alle norme di
settore – dalle disposizioni contenute nel dlgs 152/2006 agli artt. 239
e ss.
A1) In merito a ciò, il Collegio deve osservare, preliminarmente, che
l’istruttoria compiuta non è solo carente quanto a contenuti, ma è prima
ancora del tutto inaccettabile sotto l’aspetto del procedimento, in
quanto è stata condotta con interferenze della Pubblica Autorità che non
consentono di escludere un condizionamento delle risultanze scientifiche
delle indagini e del metodo stesso con cui sono state svolte.
Più precisamente, sono intanto fondate le censure, specialmente
sviluppate dalla difesa della società ricorrente ERG RAFFINERIE
MEDITERRANEE (cfr. riassuntivamente, II memoria conclusiva depositata il
25 maggio 2007) con cui si lamenta l’illegittimità nello svolgimento
dell’istruttoria tecnica delle conferenze dei servizi decisorie del 2005
e del 2006 per violazione e falsa applicazione dell’art. 15 D.M. 471/99
e dell’art. 264 del T.U. 152/2006, (e con cui si deducono i vizi di
Incompetenza. Eccesso di potere per difetto dei presupposti
legittimanti, contraddittorietà, del difetto di istruttoria e di
motivazione, illogicità).
Espone la ricorrente che tutte le Conferenze di servizi sinora svolte
dal Ministero dell’Ambiente per il sito di Priolo (sia di per sé che
unitamente ai decreti direttoriali di loro approvazione e integrazione
dell’efficacia) recano determinazioni assunte in forza di un
procedimento istruttorio nel quale il Ministero dell’Ambiente ha
proceduto delegando volta per volta lo svolgimento dell’istruttoria
tecnica o di sue parti, circa i progetti di MISE/bonifica dei sedimenti
Rada, a più soggetti ed organi quali: ARPA, APAT, ISS, ICRAM, Provincia,
Commissario delegato per l’emergenza rifiuti tutela delle acque nella
Regione Sicilia, Capitaneria di Porto, etc.
Si osserva anche che, nel fare ciò, il Ministero non si limita a
conferire l’incarico ma:
- ex ante, dispone una serie di criteri direttivi, di presupposti, di
limiti tecnico-scientifici, fissando altresì elementi e dati tecnici,
predeterminati, come anche precensure, metodologie di analisi e di
redazione degli elaborati, tempistiche di svolgimento dell’attività
delegata, delimitandone l’oggetto di indagine, l’estensione dell’area,
la sua profondità, etc.: in tal modo il Ministero vincola in modo
pressoché totale l’attività degli enti “delegati”, predeterminandone
l’an, il quid, il quando ed il quomodo del suo svolgimento, residuando
ai soggetti incaricati un mero compito di esecuzione materiale degli
accertamenti e dei progetti commissionati e preconfezionati nelle loro
linee essenziali dal Ministero;
- ex post, contesta sovente i risultati delle attività svolte dai
soggetti “delegati, rilevandone l’incompletezza e/o la non conformità
alle direttive impartite, il mancato rispetto della tempistica imposta e
richiedendone più volte la ripetizione.
La censura è fondata.
L’istruttoria così condotta è illegittima in quanto il presupposto
essenziale di efficacia di una azione dei pubblici poteri nel campo
della tutela ambientale, ove sono predominanti i contenuti
tecnico-scientifici, è che essa nasca da una indagine del tutto autonoma
dalle “direttive” politiche o amministrative: deve cioè trattarsi di una
indagine scientifica “libera” di ricercare ed indagare i presupposti, le
caratteristiche ed i rimedi da adottare per contrastare efficacemente le
situazioni di inquinamento.
E’ proprio dell’attività scientifica, infatti, ricercare le cause dei
fenomeni naturali con i quali l’Uomo si confronta, e per farlo deve
indagarne gli effetti, ai fini della cognizione delle cause, senza che
sussistano condizionamenti del pensiero diversi da quelli propri delle
sole regole del metodo scientifico.
Correlativamente, spetta invece all’attività amministrativa adoperarsi
affinchè si apprestino i mezzi, le risorse e le tecnologie necessarie al
pubblico scopo ed interesse, avvalendosi dei risultati della ricerca, ma
senza ovviamente poterne condizionare l’andamento, a pena di
inaccettabili commistioni tra discrezionalità politico-amministrativa e
rigore scientifico.
Ciò in quanto, nella materia in esame, l’inquinamento nasce da fattori
ontologici, che hanno cioè una natura oggettiva e che se non sono
perfettamente compresi (quanto all’origine ed alle ricadute
sull’ambiente e sulla salute umana, animale e vegetale) nella loro reale
entità, non possono essere efficacemente rimossi; per tale ragione,
l’istruttoria di un procedimento di bonifica è rigidamente scandita dal
legislatore ed è soprattutto da espletarsi in condizioni di autonomia
scientifica, alla luce degli odierni sviluppi della tecnologia,
lasciando poi all’organo decisionale, politico o amministrativo,
solamente la responsabilità della scelta delle migliori modalità
logistiche in ordine alle concrete soluzioni di intervento (che si
fondino sempre sui risultati delle indagini) e la cura e la verifica
della loro corretta e scrupolosa attuazione.
In tal senso, è necessario che dapprima vengano posti in essere tutti
gli studi necessari a fornire all’organo amministrativo o politico
procedente la completa cognizione di causa, individuando cause ed
effetti dei fenomeni scientifici sui quali devono essere assunte le
determinazioni dell’Autorità; e poi che queste ultime vengano assunte
dietro ponderata valutazione amministrativa delle risultanze degli studi
scientifici, volta ad apprestare ed organizzare i mezzi tecnici e
finanziari, ed a valutare altresì quegli apporti tecnici, scientifici e
consultivi che le parti interessate o controinteressate possono fornire
(le quali, a loro volta, devono essere messe, concretamente, in
condizioni di farlo).
E’ quindi nella sede amministrativa (principalmente in sede di
Conferenza dei servizi) che sono confrontate e ponderate le risultanze
tecniche e scientifiche, sia ove queste siano prodotte dagli organismi
tecnici nazionali e sia ove esse vengano invece proposte dalle parti
private partecipanti al procedimento, a pena di un insanabile
“inquinamento” e commistione di profili scientifici e
tecnico-amministrativi, che, sotto il manto della discrezionalità,
possono nascondere, in concreto, i più vari arbitri, decisioni non
trasparenti e, peggio, statuizioni pericolose, non efficienti o non
efficaci e, quindi, come tali suscettibili di arrecare al pubblico
interesse un nocumento peggiore di quelli che si vorrebbero “curare”.
Coglie quindi nel segno la difesa della ricorrente quando, in maniera
condivisibile, denuncia la “delega” in questione come illegittima in
quanto con essa il Ministero non si limita a richiedere l’esercizio di
poteri istruttori a più organismi, bensì ha di fatto mantenuto una
posizione di dominio dell’intera procedura di istruttoria tecnica.
In questo senso si è richiamata dalla ricorrente – ed al Collegio non
resta che farne proprie le conclusioni – una recente giurisprudenza
amministrativa la quale, in una fattispecie analoga a quella oggetto del
presente giudizio, ha osservato che dalla lettura dell’art. 15 del D.M.
n. 471/1999 “e in particolare del comma 3, emerge che, in ordine allo
svolgimento dell’istruttoria tecnica sui progetti di bonifica, al
Ministero dell’Ambiente non è attribuito uno specifico potere di
valutazione tecnica concernente l’efficacia delle previsioni progettuali
prospettate dal proponente (responsabile dell’inquinamento o – come nel
caso di specie – proprietario del terreno inquinato). Tale potere è
invece affidato all’A.N.P.A. e alle diverse A.R.P.A. (in relazione alle
regioni di volta in volta interessate) e all’Istituto Superiore di
Sanità. Il Ministero, nella fase dell’istruttoria tecnica sui progetti
in questione, è in una duplice posizione di natura doverosa: da un lato
infatti deve necessariamente avvalersi delle figure soggettive sopra
richiamate per la valutazione tecnica dei progetti; dall’altro, è tenuto
ad acquisire i risultati dell’istruttoria ed a tener conto di questi nel
provvedere all’approvazione definitiva degli elaborati progettuali. Non
può invece interloquire attraverso la prescrizione di modifiche tecniche
ai progetti presentati, modifiche che evidentemente presuppongono una
preliminare valutazione tecnica che – come detto – appartiene invece
agli enti di cui all’art. 15, comma 3, del d.m. n. 471/1999” (TAR
Piemonte, Sez. II, 16 gennaio 2006, n. 89).
********
A2) In punto di fatto, comunque, emerge dagli atti che i provvedimenti
impugnati sono stati emessi prevalentemente in relazione a studi ICRAM
che, dichiaratamente, hanno ad oggetto solo prime analisi di approccio,
quindi con valore di studio preliminare, senza che si sia provveduto ad
una completa ed approfondita caratterizzazione dei sedimenti marini e
delle aree inquinate.
Alla luce di quanto già esposto in precedenza, i presupposti per
disporre un piano di bonifica, o una M.I.S.E., non possono essere
affidati ad indagini incomplete, superficiali o comunque a mezzo di
campionamenti non sistemici ed organici. Il D.lgs 152/06, al contrario,
disciplina accuratamente e dettagliatamente i presupposti contenutistici
ed istruttori di ciascun intervento, condizioni queste che nel caso di
specie non risultano essere state rispettate.
Al fine di determinare gli interventi di bonifica, è intanto necessario
accertare con estrema precisione sia il livello che la qualità
dell’inquinamento, allo scopo sia di determinarne le cause e quindi
individuarne i responsabili e sia di selezionare le appropriate tecniche
di disinquinamento da adottarsi (artt. 240 e 242). Nella fattispecie in
esame, tali indagini sono praticamente ancora in corso e costituiscono
oggetto di più interventi nelle varie conferenze dei servizi che si sono
succedute dal 2004 in poi.
Ai soggetti non responsabili dell’inquinamento, ma che, essendo in
relazione con il suolo contaminato, ne rilevino il fenomeno, è data
facoltà di chiedere l’attivazione delle procedure di interventi di messa
in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245 d.lgs.
152/06). La procedura prevista dall’art. 242 cit. è, poi, adeguatamente
specificata e dettagliata dal legislatore per i Siti di Interesse
Nazionale, laddove la responsabilità dell’intervento è affidata al
Ministero dell’Ambiente che provvede “sentito il Ministero delle
Attività produttive” (art. 252 d.lgs 152/06), fermo restando il
contenuto della procedura “tipica” disciplinata nel titolo di
riferimento.
In merito a questi ultimi aspetti, le ricorrenti hanno depositato in
giudizio studi e perizie di parte ove contestano metodo e risultato
delle analisi, ma in questa sede il Collegio ritiene sufficiente solo
evidenziare come esse concorrano a dimostrare in pratica la necessità di
ciò che già la norma rende obbligatorio in astratto, e cioè l’esigenza
di istruttorie più approfondite che, soprattutto, siano fondate su due
elementi, necessariamente coesistenti:
a) una pianificazione complessiva, approfondita e sistematica delle
“esigenze” e degli “obiettivi” della bonifica (ossia delle necessità del
disinquinamento) ed una altrettanto compiuta pianificazione dei “metodi”
della bonifica (ossia delle pratiche scientifiche e tecniche o
tecnologiche coerenti con gli obiettivi e misurabili, determinate nel
tempo e nella quantità) da condurre nel rispetto procedurale e
contenutistico di cui al citato art. 242 d.lgs 152/2006;
b) un confronto partecipato e condiviso con le imprese operanti nella
Rada, secondo i principi propri del procedimento, allo scopo di
pervenire a risultati di analisi e ad una metodologia di intervento
condivisi (anche nelle forme dell’accordo di programma di cui all’art.
246 del d.lgs 152/06) o, in assenza di condivisione, ad una appropriata,
adeguata ed approfondita motivazione che la P.A. dovrà rendere in ordine
alle difformità delle sue valutazioni dall’apporto valutativo e
partecipativo dei privati, rigorosamente ponderato in contraddittorio,
tale da consentire, poi, in sede giudiziale, laddove proposto il
gravame, l’espletamento delle necessarie valutazioni a mezzo di
consulenze tecniche o verificazioni, secondo l’oggetto (e nei limiti)
delle contestazioni medesime.
Nell’odierno giudizio, infatti, le valutazioni tecniche si rivelano
inammissibili e, prima ancora, impossibili, perché dipenderebbero, in
pratica, da un intero campionamento della Rada che il Giudice dovrebbe
disporre sostituendosi alla P.A. che, pur avendone mezzi, competenze,
disponibilità e risorse, non vi ha praticamente ancora provveduto.
E’ invece coerente con la natura delle censure appena esaminate e
ritenute fondate, imporre alla P.A. una corretta riedizione del potere,
da esercitare nel pieno rispetto delle regole partecipative e
istruttorie che sopra si sono indicate. Nella sede istituzionale
potranno (e dovranno) poi, essere efficacemente delibati tutti gli
aspetti tecnici che negli odierni giudizi sono stati variamente
sollevati contro i provvedimenti impugnati ed in particolare quelli
afferenti alla lamentata insussistenza dei livelli di inquinamento
ritenuti esistenti da parte della P.A., sia in relazione ai sedimenti
che alla colonna d’acqua, nonché quelli afferenti alle metodologie di
intervento, con particolare riguardo alle lamentate insufficienze o
inefficienze delle tecniche di dragaggio ambientale e del contenimento
fisico delle acque di falda.
Con riferimento specifico a tale primo aspetto (tecniche di dragaggio
ambientale) il Collegio non può esimersi dal ribadire quanto già
affermato con l’ordinanza nr. 1904 del 9 dicembre 2006, resa inter
partes, in ordine alla carenza di istruttoria relativamente al rischio
che, con la suddetta tecnica di rimozione dei sedimenti per una
profondità considerevole e per tutta l’estensione della Rada di Augusta,
possano rimettersi in circolazione depositi di materiale inquinato
oramai giacenti sui fondali, con conseguente aggravamento dei rischi
sanitari.
Il punto è, ad avviso del Collegio, che l’iter istruttorio, come emerge
dagli atti e, specificatamente, anche dalla difesa dell’Avvocatura e dei
Comuni, non ha chiarito né i rischi che il sistema di dragaggio
(paventati con argomentazioni supportate da studi scientifici e
risultati sperimentali di altri interventi su siti inquinati) comporta
all’ambiente, né, soprattutto, la destinazione dei prodotti di tale
(enorme) attività o l’utilizzazione che di essi si prevede di fare.
Anzi, deve osservare il Collegio che la mancanza di adeguata
istruttoria, emerge palesemente dalla contraddizione esistente nel
complesso delle prescrizioni imposte con i provvedimenti impugnati: il
blocco della navigazione nella Rada (per cui si veda oltre, par. nr.
VII, lett. “B”) è imposto perché si afferma che il movimento dei natanti
causerebbe la risospensione dei sedimenti depositati sui fondali. Ma
tale effetto, non si postula invece per il dragaggio, tecnica
sicuramente più invasiva dell’ambiente marino, rispetto al passaggio dei
natanti di superficie e l’Amministrazione non ha ritenuto non solo di
esaminare il problema “nel” procedimento, ma neppure ha ritenuto di
proporre adeguate difese nel presente giudizio.
Dal che deriva che la stessa prospettazione che, sul punto, fanno le
parti ricorrenti, unitamente alla assenza di qualsiasi difesa sul punto
da parte dell’Avvocatura, come dei Comuni costituitisi in giudizio,
costituiscono prova (anche ex art. 115 c.p.c.) della assenza di
istruttoria nei provvedimenti impugnati, specialmente in ordine agli
aspetti più delicati della bonifica della Rada che, come si è detto,
sono dati dalla “incognita” della destinazione e del trattamento degli
enormi quantitativi di sedimenti – asseritamente inquinati - rimossi dai
fondali, nonché dal rischio paventato dagli studi scientifici proposti
dalle ricorrenti che il dragaggio rimetta in circolazione le sostanze
inquinanti sedimentate (cfr. le già menzionate Ordinanze TAR Catania, I,
nr. 1742/05, del 17 novembre 2005, e n. 1904 del 9 dicembre 2006).
Quindi, non si può che ribadire che nei provvedimenti impugnati non
emerge una istruttoria sufficiente ed adeguata a dimostrare che si è
realmente tenuto conto dei rischi ambientali (elevatissimi) discendenti
dal progetto, così ingenerando, in merito alla effettiva tutela della
salute pubblica, dell’ambiente e della Rada, rilevanti e seri dubbi
circa la conducenza del “progetto” ai fini dell’interesse stesso della
collettività e dunque per l’interesse pubblico ed ambientale.
Il Collegio ritiene di chiarire che, come anticipato già prima (cfr.
par. V, lett. “D”), la puntuale osservanza delle precise disposizioni
normative in tema di procedure di bonifica assicura la piena tutela del
diritto alla salute, senza sacrificare il diritto alla iniziativa
economica e la libertà di impresa, se non nei limiti imposti proprio
dall’abuso di queste ultime.
Va, quindi, riaffermato che il diritto alla salute, sebbene rivesta un
predominante valore costituzionale, nel campo della tutela dell’ambiente
dall’inquinamento va realizzato e tutelato “nel” procedimento
amministrativo volto al recupero dei siti inquinati, previo adeguato
contemperamento con il diritto di libertà economica e di iniziativa di
impresa, che, nella gerarchia dei valori costituzionali viene
immediatamente dopo l’art. 32 della Cost. Tale tutela va assicurata non
con una ingiustificata compromissione del diritto di impresa, bensì con
l’equo contemperamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, in
attenta adesione alle scelte operate dal legislatore in materia.
Sul punto, pertanto, il Collegio non può non dissentire da quanto
ritenuto dal C.G.A. nella ricordata ordinanza nr. 321/06, pronunciata
nel ricorso di appello nr. 344/06 per la riforma della ordinanza del TAR
Catania, I, nr. 1742/05 (emanata su ricorso Syndial): secondo il giudice
di appello, l’ordine di riedizione del potere contenuto nella suddetta
ordinanza, ai punti 4 e 5 del penultimo capoverso (ove si disponeva che
l’Amministrazione provvedesse a riavviare il procedimento, meglio
ponderando in esso le osservazioni e le contestazioni delle parti
ricorrenti) avrebbe concretizzato una illegittima intromissione
dell’organo giudicante nell’amministrazione attiva.
Ciò che, invece, in questa sede va ribadito - ed altresì maggiormente
precisato - è che, quando si accolgono censure procedimentali,
consistenti in difetti di motivazione e/o di istruttoria, consegue
naturalmente, per l’effetto conformativo dell’azione della P.A. alla
misura cautelare e/o alla pronuncia di annullamento del giudice
amministrativo, la doverosa riedizione del potere nel rispetto dei
criteri indicati nella stessa pronuncia (sia essa cautelare che, a
maggior ragione, di decisione nel merito della causa).
Va, quindi, ulteriormente ribadito che la corretta istruttoria che si
impone alla P.A., che contempli espressamente le numerosissime censure
tecniche che le ricorrenti hanno evidenziato sulla utilità e l’efficacia
degli interventi di bonifica sui fondali e sulle aree contermini alla
Rada, è garanzia non solo di efficacia e di efficienza della azione
della P.A. ma, prima ancora, è garanzia di tutela del preminente
interesse alla salute ed alla salubrità ambientale che, verosimilmente,
è gravemente compromesso dall’azione superficiale della P.A. procedente,
per le prospettate pericolosità del sistema del dragaggio e della
conseguente risospensione dei sedimenti, nonché della totale assenza di
indicazioni (emergenti dagli atti o anche solo dalle difese delle
Amministrazioni resistenti) circa la destinazione e la collocazione dei
materiali di risulta (inquinati) delle attività di dragaggio.
Facendo riferimento, per brevità, alle memorie conclusive dei singoli
giudizi, sono dunque da accogliersi nei limiti dell’avvenuta
dimostrazione del difetto di istruttoria e quindi con salvezza degli
ulteriori adempimenti indicati prima, le censure variamente proposte
dalle imprese sul tema.
La P.A., pertanto, in sede procedimentale provvederà a riavviare
l’istruttoria, nel rispetto di quanto indicato prima, ed, in questa
fase, procederà altresì ad esaminare e comparare sia le censure a tale
titolo proposte negli odierni giudizi e sia le eventuali soluzioni
alternative e/o migliorative che le imprese interessate e/o
controinteressate hanno proposto o ancora proporranno.
*******
B) Il Collegio precisa che, in relazione al “metodo” scientifico di
analisi e di verifica dei contaminanti, laddove non siano rinvenibili
nel sistema normativo specifici parametri di analisi, o, se esistenti,
si ritengano solo parziali e insufficienti, allora detti parametri
dovranno essere adottati (o integrati) dall’Amministrazione.
Salvi futuri atti normativi, legislativi o regolamentari, a ciò la P.A.
dovrà provvedere, a disciplina del caso concreto, con atto
amministrativo da fondarsi sulle elaborazioni scientifiche
corrispondenti al migliore apporto allo stato dell’arte e della tecnica,
“nel” procedimento (e quindi con possibilità di partecipazione da parte
dei privati interessati).
Più precisamente, osserva il Collegio che, quanto ai valori di
riferimento per la decontaminazione dell’acqua marina, le ricorrenti
lamentano che non può essere utilizzato il parametro di valutazione che
è stato applicato dallo studio ICRAM (il quale ha utilizzato i valori
tabellari risultanti dal DM 471/1999).
Secondo le imprese ricorrenti, quest’ultimo si applicherebbe solo alle
contaminazioni del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee.
Deducono le difese comunali e l’Avvocatura che l’ICRAM ha elaborato una
proposta di “valori chimici di intervento” per i sedimenti di corpi
idrici marino-costieri e lagunari, contraddistinti da forti alterazioni
causate dall’attività umana, come ad esempio aree adibite ad uso
portuale e/o industriale, in ottemperanza alla Direttiva Comunitaria
2000/60/CE in materia corpi idrici specifici. In proposito, è stato
utilizzato un metodo chimico – ecotossicologico, avente riconoscimento
internazionale. Più precisamente, espone la difesa erariale, si sarebbe
utilizzato il riferimento al P.E.L. (Probable Effect Level) che
rappresenta il livello chimico di un determinato contaminante al quale
corrispondono con elevata probabilità effetti tossici nei confronti
della vita acquatica. Ciò in quanto non erano disponibili, per la
Sicilia, risultati di studi condotti con la finalità di correlare
determinate risposte biologiche e livelli di contaminazione dei
sedimenti, approccio questo “di fondamentale importanza per la
definizione di qualsivoglia livello di rischio ambientale, quale ad
esempio il citato PEL”.
Infine, la tesi difensiva erariale afferma che sarebbero stati
utilizzati i parametri di cui al DM 367 del 6 novembre 2003, che
disciplina l’analisi dei sedimenti marini.
Osserva il Collegio che il verbale della conferenza dei servizi del 21
luglio 2006, al punto 3 dell’O.d.g. – pag. 28 – riepiloga i valori di
riferimento utilizzati da ICRAM per delineare le differenti zone di
contaminazione, che sono, appunto quelli contenuti nell’allegato 1 –
tabella 1 colonna “B” - al Dm 471/99 (quindi non ha fondamento
documentale la tesi della difesa erariale che sostiene, tra le altre
cose, che sarebbero stati utilizzati i parametri di cui al DM 367 del 6
novembre 2003).
Osserva il Collegio che l’art. 1 del DM 471/1999, così recita:
1. Il presente regolamento stabilisce i criteri, le procedure e le
modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino
ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17, del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche ed
integrazioni. A tal fine disciplina:
a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque
superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica
destinazione d'uso dei siti;
b) le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni;
c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il
ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei
relativi progetti;
d) i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere
che facciano ricorso a batteri, e ceppi batterici mutanti, a stimolanti
di batteri naturalmente presenti nel suolo;
e) il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l'anagrafe dei siti
da bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale
effettuati da parte della pubblica amministrazione;
f) i criteri per l'individuazione dei siti inquinati di interesse
nazionale.
2. Le disposizioni del presente decreto non si applicano all'abbandono
di rifiuti disciplinato dall'articolo 14, del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni ed integrazioni. In
ogni caso si dovrà procedere alla classificazione, quantificazione ed
indicazione della localizzazione nel sito dei rifiuti abbandonati o
depositati in modo incontrollato, ai fini degli eventuali interventi di
bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente
decreto nel caso in cui, a seguito della rimozione, avvio a recupero e
smaltimento dei suddetti rifiuti, si accerti il superamento o il
pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori di concentrazione
limite accettabili di cui all'articolo 3, comma 1.
3. Le norme del presente decreto che disciplinano la competenza e la
realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza non si
applicano qualora la vigilanza ed il controllo sugli impianti produttivi
e di gestione dei rifiuti nonché l'adozione delle misure necessarie per
prevenire i rischi e limitare le conseguenze di incidenti a tutela
dell'ambiente e della salute umana siano disciplinati da disposizioni
speciali. In tali casi la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti
restano comunque disciplinati dal presente decreto.
4. Le disposizioni del presente regolamento non si applicano, se non in
quanto espressamente richiamate, agli interventi di bonifica
disciplinati da leggi speciali.
5. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree
caratterizzate da inquinamento diffuso sono disciplinati dalla regione
con appositi piani.”
Coerentemente con tale disposizione, l’art. 3 prevede che “1. I valori
di concentrazione limite accettabili per le sostanze inquinanti presenti
nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, in relazione alla
specifica destinazione d'uso del sito, nonché i criteri per la
valutazione della qualità delle acque superficiali sono indicati
nell'Allegato 1. “
E’ pertanto fondata la doglianza che le ricorrenti sollevano contro
l’adozione dei parametri di cui all’allegato 1 del Dm 471/1999 agli
studi dei sedimenti marini, perché la disciplina regolamentare ivi
contenuta può essere applicata direttamente solo alla campionatura dei
suoli, del sottosuolo delle acque di falda e delle acque superficiali;
l’estensione delle relative misurazioni ed applicazione dei parametri
ivi previsti ai sedimenti – da un punto di vista strettamente giuridico
– non è illegittima, ma deve essere il frutto di una apposita
valutazione condotta nel procedimento (e quindi partecipata ed in
contraddittorio).
Più precisamente, non contemplando il DM 471/99 l’applicazione dei
relativi criteri procedurali all’analisi dei sedimenti marini, i
relativi valori soglia possono essere utilizzati solamente laddove se ne
riscontri (e se ne dimostri) l’attuale utilità in relazione alla
fattispecie. Ciò in quanto se l’analisi dell’inquinamento deve essere
condotta senza avere parametri normativi formali o normativi di
riferimento, ciò non comporta ovviamente che l’Amministrazione
procedente può fare a meno di utilizzare adeguati parametri, ma deve
preventivamente fissare i valori di riferimento attingendo direttamente
allo stato della migliore tecnica ed esperienza, ossia alle conclusioni
ed alle elaborazioni della scienza e della ricerca in quanto
disponibili. Ciò, in definitiva, è quello che, secondo l’Avvocatura,
avrebbe fatto ICRAM; ma queste valutazioni, non essendo accolte da una
fonte normativa che le renda generalmente applicabili, avrebbero dovuto
essere valutate e ponderate “nel” procedimento amministrativo, entrando
a far parte della relativa istruttoria, con conseguente potere-dovere di
acquisire in merito anche gli apporti degli interessati e dei
controinteressati.
In conclusione, a tacere della contraddittorietà della difesa erariale,
che da un lato richiama l’uso del P.E.L. quale metodologia
internazionalmente riconosciuta e dall’altro afferma che non sussistono
adeguati studi circa la Sicilia in ordine ai livelli di contaminazione
dei sedimenti, il metodo di analisi, laddove deve individuare dei valori
soglia di riferimento, non può che essere il frutto di un procedimento
amministrativo e come tale essere soggetto alle consuete regole di
istruttoria e motivazione.
********
VII) Alla luce dei principi di diritto appena esposti, possono adesso
essere esaminate nel dettaglio le prescrizioni contenute nei verbali
delle conferenze di servizi nei limiti in cui sono state fatte oggetto
di gravame.
A) Nella fattispecie in esame si osserva, in punto di fatto, che:
- sussiste da parte delle Imprese odierne ricorrenti, la indicazione
chiara e manifesta del responsabile dell’inquinamento (ossia la società
MONTEDISON Spa, odierna EDISON Spa che, correttamente, è stata anche
evocata in giudizio come controinteressata), e questo specifico apporto
partecipativo (supportato anche dalle conclusioni cui è pervenuto il
giudice penale nel giudizio nr 5860/05 RG – Tribunale di Siracusa, cfr.
decreto di archiviazione del 31 gennaio 2007 e relativa richiesta della
Procura, versato in atti) non è stato in nessuna misura preso in
considerazione dalla P.A., e dovrà quindi costituire oggetto di
approfondite verifiche in sede di riedizione del potere;
- l’ordine di procedere alla bonifica è stato rivolto a tutte le imprese
indistintamente operanti nella Rada, quasi come se l’Amministrazione,
lungi dal misurare il concreto apporto di ciascuna di esse, le avesse
costituite in una sorta di “consorzio obbligatorio” o in una anomala
forma di “condominio”;
- l’ordine di procedere alla bonifica è stato comunque rivolto alle
imprese senza neppure postulare che esse siano le responsabili
dell’inquinamento, posto che, ad es. nel verbale del 21 luglio 2006, a
pag. 25, si conferma la richiesta della Conferenza dei servizi al
Commissario delegato di accertare le eventuali correlazioni esistenti
tra la contaminazione delle aree a terra e quelle dei sedimenti marini
“al fine della identificazione dei soggetti responsabili”.
Per tali ragioni, sono dunque fondate le censure, articolatamente
proposte nei ricorsi in esame, con le quali si lamenta la violazione del
principio comunitario “chi inquina paga” e delle disposizioni nazionali
di settore, da parte dell’Amministrazione procedente, con gli atti
impugnati, laddove con questi ultimi si impone di procedere entro 10
giorni alla caratterizzazione delle aree marine contermini ai pontili in
concessione e quindi provvedere a detta caratterizzazione; quanto alle
aziende dell’area prioritaria SUD di integrare i progetti definitivi di
bonifica con il metodo basato sul “marginamento fisico”; di provvedere
alla messa in sicurezza di emergenza entro 90 giorni dalla data dei
decreti impugnati sulle aree individuate dal Commissario delegato con la
nota prot. 20907/Qvd/DI del 24 ottobre 2006; di presentare i progetti di
bonifica entro il 31 gennaio 2007 (punto 1 o.d.g. della seduta del 21
luglio 2006, pagg. 24-25, conclusioni punti nn. 1, 2, 3 e 4); nonché
delle successive decisioni della Conferenza dei servizi riportate al
termine di pag. 25 ed all’inizio di pag. 26, ove si legge che le imprese
sono tenute ad attivare gli interventi mirati a rimuovere o isolare le
fonti di contaminazione e di attivare azioni mitigative per prevenire ed
eliminare pericoli immediati verso l’uomo e l’ambiente circostante, e di
procedere entro 90 giorni alla rimozione dei sedimenti contaminati della
Rada.
B) Sulle prescrizioni inerenti la navigazione in Rada.
L’illegittimità delle prescrizioni inerenti le limitazioni del traffico
navale nella rada (punto 1, pagg. 26 e 27 del verbale del 21 luglio
2006) discende con assoluta evidenza dalle considerazioni esposte; qui
basta puntualizzare che nessuna istruttoria ha efficacemente supportato
la decisione in esame, essendosi limitata l’Amministrazione procedente
ad “assumere” che sussiste un effetto diretto di risospensione dei
sedimenti inquinati per effetto del passaggio delle navi, ma senza
accertare in alcun modo entità, correlazioni e ricadute del medesimo
traffico nelle varie zone della Rada (come già osservato sopra, par. VI
“A”, il Collegio non può che evidenziare nuovamente come il traffico
navale, secondo le Conferenze dei servizi, determinerebbe l’effetto di
rimettere in circolazione i sedimenti inquinati depositati sui fondali,
mentre tale rischio che determina il blocco della navigazione nella
Rada, non sarebbe, sempre secondo le Conferenze dei servizi, connesso al
ben più invasivo, per l’ambiente marino, sistema del dragaggio).
Pertanto, sono illegittime le prescrizioni dettate per limitare la
navigazione nella rada di Augusta, come impugnate con i ricorsi in
epigrafe, per violazione di legge (in relazione a quanto previsto dagli
artt. 15 e ss. del Codice della navigazione), e per eccesso di potere
per difetto di istruttoria e di motivazione.
Più precisamente, il difetto di istruttoria e di motivazione emerge, in
primo luogo e con assoluta evidenza, con riferimento al fatto che
l’Amministrazione non ha comunque tenuto conto, nell’adottare le
limitazioni contestate, delle valutazioni contrarie effettuate da parte
degli enti competenti (cfr., in particolare, la nota 5 ottobre 2006
della Capitaneria di Porto d’Augusta) enti che, tra l’altro, avrebbero
dovuto essere coinvolti ben diversamente nella istruttoria e che,
invece, sono stati di fatto pretermessi; ed, inoltre, ben più
gravemente, per la mancanza negli atti impugnati e, soprattutto, nel
loro contesto motivazionale di alcuna evidenza che porti a ritenere che
la circolazione delle navi all’interno della Rada determini un aumento
dei processi di risospensione dei sedimenti contaminati e di dispersione
dell’inquinamento o, in ogni caso, che a questa sia ricollegabile un
qualche aumento del rischio sanitario- ambientale. In altri termini,
dagli atti e dalle difese delle Amministrazioni costituite, si deve
ritenere che una decisione di tale portata (che incide pesantemente
sull’approvigionamento energetico nonchè sui livelli occupazionali
dell’intera area) è affidata, sempre da un punto di vista motivazionale,
ad una considerazione di necessità scaturente da ipotesi e non da
accertamenti.
A fronte di ciò, le società ricorrenti comprovano con studi depositati
in giudizio, che l’ingresso e l’uscita delle imbarcazioni dalla Rada di
Augusta comportano un impatto trascurabile per l’ecosistema, che anche
le manovre di evoluzione ed ormeggio nonché di approccio, accosto e
partenza dai pontili non sono in grado in alcun modo di aggravare le
condizioni di emergenza, con la conseguente possibilità di escludere un
impatto sull’ecosistema della Rada. Le contraddittorietà della
istruttoria e dei processi decisionali dell’Autorità, sono poi
comprovate dalla lettura stessa dei provvedimenti impugnati, ed in
specie dalle Conferenze di Servizi del 19 e del 31 ottobre 2006 nelle
quali si chiede ad Icram l’avvio del monitoraggio della torbidità delle
acque con conseguente evidenza della mancanza di quella che avrebbe
dovuto essere la principale tipologia di istruttoria della
determinazione di limitare il traffico navale nella Rada (che arriva a
prevedere misure incrementali che culminerebbero, via via, con la
interdizione totale della navigazione).
A maggior riprova della contraddittorietà dei provvedimenti e della
assenza di istruttoria, si può richiamare, sul piano tecnico, quanto la
stessa Autorità portuale di Augusta, in nota del 31 ottobre 2006, ha
espresso circa le limitazioni al traffico navale, così come proposte dal
Ministero dell’ambiente e a più riprese modificate (e ciò sia in merito
al criterio della “velocità di sicurezza” quale limite alla velocità di
navigazione per i vettori commerciali all’interno della rada, sia in
merito al sistema di controllo della rotta e velocità dei vettori
commerciali mediante l’adozione di dispositivi GPS e NAVISAT; sia con
riferimento, alla profondità del battente d’acqua sottochiglia; sia con
riferimento alla operatività in fondali inferiori a 15 metri; sia,
infine, con riferimento alla esenzione dei servizi tecnico-nautici, dei
servizi portuali, del naviglio da pesca e delle zone verdi da
limitazione, sia in merito alle tecniche di ancoraggio consentite).
Alla luce di questo contesto generale, il Collegio non può che
condividere le doglianze delle ricorrenti, laddove esse lamentano che i
provvedimenti impugnati denotano un chiaro sviamento di potere, ossia
sono da intendersi, sostanzialmente come strumentali, e tali da indurre
le aziende presenti sul sito ad ottemperare alle illegittime e dannose
prescrizioni relative ai sedimenti della Rada sotto la minaccia di
azioni a carattere sostanzialmente sanzionatorio.
C) Sui presupposti della M.I.S.E.
L’esposizione che precede esime il Collegio di dover approfondire i
contenuti delle censure rivolte contro gli atti impugnati, laddove si
lamenta che, sostanzialmente, l’Amministrazione avrebbe qualificato
sotto il nomen juris di Messa in Sicurezza di Emergenza (M.I.S.E.)
interventi appartenenti al ben diverso genere delle bonifiche vere e
proprie.
Qui basta evidenziare che la fondatezza delle censure, sul punto,
discende apertamente dal contenuto normativo di cui all’art. 240 d.lgs
152/06, lett. “m”, posto che tale ultima norma prevede che la M.I.S.E.
possa essere disposta solo in caso di eventi di contaminazione
“repentini” (mentre nel caso del Sito di interesse Nazionale di Priolo
sussistono fenomeni di contaminazioni storiche); negli atti impugnati,
oltre che a farsi riferimento alle situazioni locali già evidenziate
nelle Conferenze dei Servizi del 2005 (e per questa sola ragione, già
non si potrebbero più configurare gli ordini di intervento come Messa In
Sicurezza di Emergenza), sia per estensione che per qualità di
interventi l’Amministrazione ha di fatto configurato veri e propri piani
di bonifica.
La gravità della violazione sta nel fatto che il procedimento di
bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne assicurano la
ponderazione e quindi la qualità; la MISE è invece un contenimento
immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una procedura
di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i suoi
limiti naturali a pena del rischio di interventi frettolosi ed
inappropriati che, nel tema della tutela ambientale, sono in maniera del
tutto intuibile, completamente esclusi dal novero delle previsioni
legislative.
La conferma della fondatezza delle censure delle ricorrenti, tra
l’altro, si riscontra nel verbale del 31 ottobre 2006, laddove “si
prende atto degli elaborati trasmessi …. dal Commissario delegato ….
miranti ad assicurare la MISE, da intendersi come prima fase
dell’intervento di bonifica” E’ evidente l’uso difforme dallo strumento
legale della M.I.S.E. poiché quest’ultima non è una parte preliminare
della bonifica, ma assicura esigenze completamente diverse.
Dagli atti versati in giudizio ed oggetto di gravame, si deve concludere
che la Pubblica Autorità procedente utilizza la MISE come una sorta di
corsia preferenziale per ottenere nel minor tempo possibile l’intervento
di disinquinamento al di fuori delle più complesse prescrizioni imposte
per legge ai fini della bonifica.
Tuttavia, queste ultime sono certo più gravose da un punto di vista
procedimentale, ma lo sono perché il legislatore si pone di mira
obiettivi di qualità ambientale e di recupero dell’ambiente
dall’inquinamento molto più approfonditi, radicali, complessi e
strutturati, di quelli ottenibili con una MISE, ossia quegli unici tipi
di obiettivi che possono assicurare il reale recupero del tessuto
ambientale compromesso, laddove la MISE è istituto (tecnico, prima che
giuridico), volta al solo “contenimento” della matrice compromessa,
ossia alla limitazione degli effetti dell’inquinamento allo scopo di
impedirne l’ulteriore propagazione, non certamente idonea quindi al
recupero di essa.
Quindi, abusando della MISE come strumento alternativo alla procedura
tipica ed effettiva, non solo si produce una attività amministrativa
illegittima per le censure ampiamente sollevate nei ricorsi, ma si
compromette gravemente, nel merito, la efficacia e la efficienza
dell’azione amministrativa e la qualità del recupero ambientale che non
può che essere gravemente sminuito da una azione affrettata e, come
tale, superficiale.
Si consideri, da ultimo, che è in atti la prova evidente della assenza
del primo tra i presupposti della M.I.S.E. ossia l’urgenza di
provvedere: con le prescrizioni in esame, infatti, l’Autorità ha cercato
di far fronte a fenomeni di inquinamento notoriamente risalenti nel
tempo, con ciò quindi dovendosi escludere in radice l’esistenza di un
fenomeno repentino che è l’unica condizione (insuperabile) per disporre
la M.I.S.E.
D) Circa le conferenze dei servizi decisorie successive (dal dicembre
2006 a seguire), il Collegio rileva che esse proseguono l’esame delle
prescrizioni imposte con le conferenze precedenti (in particolare quella
del 21 luglio 2006) e come tali sono illegittime oltre che per le
censure già esaminate, anche per il vizio di invalidità derivata, avendo
prodotto disposizioni che sono fondate sulle determinazioni precedenti.
Tale considerazione esime il Collegio dal dovere esaminare oltre le
censure variamente riproposte contro le relative determinazioni nei
ricorsi riuniti, essendo tutte ripetitive degli argomenti di diritto già
trattati.
*******
VIII) Sulle questioni inerenti singole società ricorrenti
Così completata la disamina delle questioni generali, possono adesso
essere esaminati meglio alcuni aspetti relativi ai singoli ricorsi.
Nei paragrafi a seguire, quindi, saranno delibate questioni che, pur
trovando presupposti motivazionali nelle materie appena esposte,
necessitano di ulteriore e specifica trattazione.
SASOL ITALY S.p.a. (ricorsi nn. 215/07, 2976/06, 3227/06, 2703/2005)
Per le ragioni esposte nei paragrafi precedenti, sono fondate le censure
dedotte dalla ricorrente SASOL ITALY S.p.a. nei ricorsi in epigrafe e
riassunte sia nella memoria conclusiva depositata il 26 gennaio 2007 che
in quella depositata il 24 maggio 2007, al punto 2 di entrambe.
Tali censure sono fondate sia con riferimento al vizio di eccesso di
potere costituito dalla carenza di istruttoria e di motivazione (come
già ritenuto nei precedenti paragrafi) ed anche perché, in punto di
fatto, come già affermato nella ordinanza nr. 1904/06, la ricorrente
SASOL ha comprovato di non avere la disponibilità dei tre pontili della
Rada (che sono in uso alla Marina Militare), e di non essere titolare di
esercizi nella zona prioritaria Nord.
Per le medesime ragioni (eccesso di potere per difetto di istruttoria,
difetto di motivazione ed errore in fatto), sono fondate le censure
variamente proposte nei ricorsi in epigrafe e riassunte al punto 3 della
memoria conclusiva depositata il 26 gennaio 2007 ed al punto 3 della II
memoria conclusiva depositata il 24 maggio 2007, con le quali si lamenta
l’illegittimità della prescrizione del contenimento fisico delle acque
di falda da effettuarsi entro 60 giorni, in relazione alle aree situate
nell’Area prioritaria Nord, nella quale la società ricorrente ha
documentato – senza controdeduzioni alcune da parte della difesa
pubblica, se non di natura puramente nominale– di avere titolarità di
esercizi.
Dalle superiori considerazioni, discende anche un evidente giudizio di
fondatezza delle censure variamente proposte nei ricorsi in epigrafe
come riassunte al punto 4 della memoria conclusiva depositata il 26
gennaio 2007 ed al punto 4 della II memoria conclusiva depositata il 24
maggio 2007: in queste censure si contesta l’ordine di provvedere alla
rimozione dei sedimenti dai fondali, sia pure nei limiti che sono
risultati dalla conferenza dei servizi del 31 ottobre 2006, ove si è
limitato il tipo di previsione di intervento alle sole aree marine
contermini ai pontili.
Tali prescrizioni sono illegittime per le ragioni che sono state
ampiamente esposte nella trattazione generale che precede e quindi per
eccesso di potere a causa del difetto di istruttoria e di motivazione,
nonché per violazione di legge in relazione a quanto prescritto con
riferimento al T.U. ambiente (artt. 240, 242, 244 e 253), ed infine per
violazione di legge in relazione alle norme sulla valutazione di impatto
ambientale (art. 6 legge n. 349/1986; d.p.c.m. 10 agosto 1988 n. 377;
art. 23 e ss. d.lg. n. 152/2006).
Quanto a quest’ultimo aspetto, si deve osservare che nessuna valutazione
emerge dagli atti (o dalle difese dell’Avvocatura) essere stata condotta
sull’impatto ambientale che le operazioni di dragaggio dei fondali
marini produrrebbero.
Mentre le altre censure sono assorbite nell’esame dei profili generali
comuni a tutti gli odierni ricorsi, il Collegio deve esaminare
specificatamente le censure variamente introdotte con il ricorso
introduttivo del giudizio e sinteticamente riassunte nella memoria
conclusiva depositata il 26 gennaio 2007 al punto 8 ed al punto 9 (ed
analoghi capi della memoria depositata il 24 maggio 2007): con tali
doglianze si impugnano i verbali ed i provvedimenti in esame laddove
l’Amministrazione impone alla SASOL ITALY s.p.a la trasmissione del
progetto definitivo di bonifica dei suoli di tutte le aree di sua
competenza e di adeguare gli interventi di messa in sicurezza
d’emergenza delle acque di falda.
Tali prescrizioni, sia per i termini imposti (30 giorni) che per le sue
modalità, violano gravemente le procedure di cui al D.lgs 152/2006, il
quale prevede, preliminarmente, la necessaria predisposizione di un
“piano di caratterizzazione”, l’obbligo di procedere poi alla
determinazione dei valori soglia ed infine un termine non inferiore a
sei mesi per l’esecuzione della bonifica (cfr.ricorso introduttivo nr.
3227/06 par. D2.2 E D2.3 PAGG. 59-64 e ricorso introduttivo nr. 2976/06
pag. 26).
Quanto alle censure variamente sollevate nei ricorsi della SASOL ITALY
s.p.a. relativamente all’ordine di adeguamento e messa in sicurezza
d’emergenza delle acque di falda (sintetizzati al punto 9 della memoria
depositata il 26 gennaio 2007), con le quali si contesta detto ordine
dimostrando l’estraneità della SASOL a fenomeni di inquinamento, rileva
il Collegio che è stato comprovato, senza alcuna controdeduzione o
contestazione da parte della difesa pubblica, il difetto di istruttoria,
posto che la stessa Amministrazione (con il verbale correttivo trasmesso
il 20.09.2006) ha riconosciuto l’erroneità dei dati inizialmente esposti
nel verbale del 21 luglio 2006 e quindi risulta mancare documentalmente
ogni riferimento allo stabilimento SASOL che consenta di ritenere
legittimo (allo stato dell’istruttoria) l’ordine di adeguamento imposto.
E’ infine manifestamente fondato il gruppo di censure riassunto al punto
7 della memoria del 26 gennaio 2007 ed al punto 7 della memoria del 24
maggio 2007, con cui si lamenta l’irrazionalità del termine di 30 giorni
per il compimento della caratterizzazione a maglia 50x50, operazione
che, tra l’altro, la ricorrente si è dichiarata comunque disponibile a
compiere: è evidente che il termine così breve oltre che ad essere, come
lamentato, irrazionale è altresì apertamente preordinato ad adottare i
provvedimenti sostitutivi pure indicati in Conferenza, in danno
dell’impresa, e come tale disvela l’imposizione di un obbligo
impossibile ad adempiere.
*******
MAXCOM PETROLI S.p.a. (ricorsi nn. 2240/06, 3225/06, 3573/06, 263/07,
740/07)
Anche il ricorso presentato da MAXCOM è affidato a censure contenenti
argomenti che sono stati già diffusamente trattati, e come tale è già
emersa con evidenza la sua fondatezza.
Tuttavia il collegio ritiene che anche la posizione di MAXCOM vada
adeguatamente evidenziata, specie al fine di illustrare meglio come le
determinazioni del Ministero dell’Ambiente siano state eccessivamente
generalizzate.
MAXCOM espone di essere titolare di un deposito costiero di stoccaggio
di prodotti petroliferi di categoria C (esclusivamente gasoli e oli
combustibili per bunker alle navi) sito nel territorio comunale di
Augusta ed incluso nel perimetro del sito di interesse nazionale di
Priolo (anche se al di fuori delle cc.dd. Aree prioritarie Nord e Sud)
in data 17 maggio 2006.
Ciò premesso, quanto alla bonifica dei fondali marini, MAXCOM deduce di
non essere in alcun modo responsabile della contaminazione riscontrata
nei sedimenti marini in questione, in quanto nel deposito costiero della
ricorrente non sono mai state svolte attività di lavorazione di alcun
prodotto petrolifero, essendo stata l’area da sempre dedicata
esclusivamente allo stoccaggio di prodotti petroliferi ed essendo
documentalmente inesistente alcun riscontro di versamenti, perdite o
comunque di fenomeni di inquinamento. Al contrario, risulta anche dalla
caratterizzazione svolta da ICRAM che le aree circostanti il pontile
affidato in concessione a MAXCOM (ma comunque estranee a tale
concessione) sono classificate per l’intero lato ovest del pontile
medesimo come non contaminate ad ogni profondità indagata (ossia
risultano colorate in verde nella relativa cartografia), mentre,
relativamente al versante orientale del pontile medesimo, frontistante i
cantieri della Marina militare – con riferimento agli strati di
sedimenti (fino ad un metro di profondità) interessati sia dal
procedimento di bonifica in oggetto al di fuori delle due aree
prioritarie che da quello inerente la limitazione della navigazione
nella Rada – le acque circostanti sono state ritenute inquinate
unicamente in relazione al solo elemento “rame”.
Quest’ultimo elemento è avulso dal sito MAXCOM, alla luce delle attività
ivi svolte in passato come attualmente, con conseguente assenza di
qualsiasi nesso causale, dunque, tra la contaminazione riscontrata e la
ricorrente, in quanto neppure indirettamente connesso o riconducibile al
tipo di idrocarburi che sono colà stoccati.
Tra l’altro, MAXCOM ha evidenziato come il proprio opificio sia inserito
tra due ben più vaste aree in titolarità della Marina militare, che lo
circondano completamente sia a terra che a mare, talchè il relativo
pontile risulta intercluso negli specchi acquei affidati in concessione
alla Marina stessa, che costituiscono la base di Augusta (una delle tre
principali basi della Marina militare, con Taranto e La Spezia): a tale
proposito tra MAXCOM e la Marina Militare sono intercorsi accordi per
procedere al dragaggio ed alla bonifica dell’area di competenza della
Marina Militare stessa, (ovvero tutta quella circostante ed includente
il pontile MAXCOM), tradottisi in un progetto di bonifica che MAXCOM
avrebbe inteso finanziare in parte e sul quale il Ministero non si è
pronunciato, provvedendo invece ad imporre alla società ricorrente gli
obblighi di cui ai verbali impugnati.
Medesime osservazioni sono da farsi poi con riguardo alle prescrizioni
attinenti alla bonifica delle aree a terra e della falda, circa le quali
la società MAXCOM aveva pendente, all’esame del Ministero, un progetto
di bonifica (acquisito al Ministero il 21 luglio 2005 con prot. n.
14859/QdV/DI), e sul quale non è intervenuta alcuna determinazione della
conferenza dei servizi.
Quanto alla falda, poi, MAXCOM evidenzia che lo stesso Ministero ha già
avuto modo di rilevare, nel verbale della Conferenza di servizi
istruttoria del 16 maggio 2006, che le approfondite “indagini eseguite
nel 1996 e nel marzo del 2001 hanno confermato la totale assenza di
falda acquifera non esistendo le condizioni per l’esistenza di una
circolazione idrica sotterranea” con conseguente impossibilità di
ipotizzare anche che un eventuale inquinamento marino possa essere
derivato dal contatto con – inesistenti – acque di falda contaminate
sottostanti il deposito MAXCOM.
Infine, quanto alla caratterizzazione dei suoli, essa è stata già
proposta da MAXCOM con una maglia peraltro ancora più stretta di quella
imposta dal Ministero (22 sondaggi per circa mq. 40.000), ma non è stata
ancora eseguita in assenza della necessaria approvazione ministeriale.
Pertanto, in relazione alla presentazione di un piano di bonifica del
suolo, correttamente MAXCOM deduce che trattasi di attività non
espletabili in assenza di approvazione ministeriale del suddetto Piano
di caratterizzazione; di conseguenza è fondata la deduzione della MAXCOM
circa l’illogicità e la contraddittorietà della prescrizione che
pretende di ordinare la bonifica di un terreno senza neppure sapere (in
assenza di qualsiasi caratterizzazione) se ed in che misura lo stesso
sarebbe contaminato; l’assenza di acque di falda rende poi irrazionale
la corrispondente prescrizione del contenimento fisico.
In conclusione, anche i ricorsi della società MAXCOM sono fondati e come
tali da accogliersi, oltre che per le ragioni già esposte nella
trattazione generale che si è premessa, anche per l’evidente
contraddittorietà tra le prescrizioni impugnate e la concreta posizione
della società.
*******
ENI S.p.a. (ricorsi nn. 2662/05, 2939/06, 3235/06, 200/07)
Mentre quasi tutte le censure proposte nei ricorsi della società ENI
Spa, sono state trattate nel corso della esposizione generale che
precede, sono da evidenziare i motivi di doglianza esposti sub IV nel
ricorso nr. 2939/06 e IV.1 del ricorso nr. 3235/06.
Con dette censure si lamenta l’illegittimità della richiesta di
integrare il sistema di bonifica della falda con un’opera di
confinamento fisico.
Anche per quanto esposto prima, l’imposizione è immotivata e priva di
adeguata istruttoria, specie poi se si considera che la ricorrente ha
lamentato l’impossibilità materiale della sua realizzazione a causa
della impossibilità di immorsamento del diaframma alla profondità di 60
metri, ed in presenza di rocce e di rischi di stabilità strutturale.
Senza dover entrare nel dettaglio delle motivazioni tecniche addotte
dalla ricorrente, preme al Collegio sottolineare quanto segue.
La ricorrente ha già avuto approvato da parte del Ministero (con decreto
interministeriale) un progetto di barrieramento e di contenimento delle
acque di falda; conseguentemente le variazioni al progetto approvato
devono:
a) seguire il medesimo iter procedimentale osservato per la sua
approvazione, nel rispetto delle prescrizioni ulteriormente dovute per
effetto della normativa sopravvenuta (T.U.Ambiente);
b) essere supportate da una istruttoria ed una motivazione ancora più
approfondita ed accurata di quella che normalmente accompagnerebbe la
prima approvazione del progetto, perché la modifica incide su una
situazione oramai consolidata ed espone l’impresa ad oneri ed aggravi
anche solo organizzativi di rilievo.
c) per la tipologia dell’opera, essa avrebbe dovuto essere preceduta da
specifica procedura di V.I.A. (cfr. Elenco A dell’allegato III alla
parte II del dlgs 152/2006, ed art. 23 comma 1 lett. “a” medesima
disposizione).
Sono quindi fondate le doglianze della società ricorrente, laddove essa
lamenta che l’Autorità ha proceduto con violazione di legge e difetto di
istruttoria analogamente a quanto ha fatto anche con riferimento ad
altri siti di interesse nazionale, ove sono state puntualmente censurate
dai competenti Tribunali Regionali Amministrativi, che ne hanno ritenuto
necessario disporre l’immediata sospensione cautelare (la società
ricorrente richiama, in particolare, TAR Lombardia - Brescia, ord. 6
dicembre 2005, n. 1543, su ricorso r.g. n. 1320/05; nello stesso senso,
cfr. TAR Lazio, ord. 21 dicembre 2006, n. 7082; TAR Sardegna, Sez. II,
ord. 28 marzo 2007, n. 126, su ricorso n. 1073/06 r.g.; TAR Sardegna,
Sez. II, ord. 10 gennaio 2007, n. 5, su ricorso n. 1073/2006 r.g.; TAR
Lazio, ordinanze 8 marzo 2007, nn. 1132 e 1137, su ricorsi n. 11352/06 e
11410/06 r.g.).
In tal senso, condivisibilmente la società ricorrente lamenta che il
progetto è stato già regolarmente approvato con decreto
interministeriale ed è attualmente pressoché terminato e pertanto
eventuali modifiche (specie dell’entità di quelle impugnate) possono
essere deliberate solo con la rielaborazione degli obiettivi di
bonifica, preceduta dall’analisi partecipata ed in contraddittorio con
la società stessa del raggiungimento dei precedenti obiettivi (o delle
cause del mancato raggiungimento) e della insufficienza di essi (poichè,
se si impone un ripensamento della bonifica, è evidente che ciò può
essere fatto solo laddove i precedenti obiettivi non sono stati
raggiunti per insufficienza o inidoneità delle prescrizioni progettuali
oppure, se sono stati raggiunti, erano gli stessi obiettivi ad essere
inadeguati).
Conseguentemente, è del tutto illogica - e comunque insufficiente - la
motivazione di modificare / integrare il progetto di bonifica della
falda – già approvato ed in esecuzione - mediante la realizzazione di un
opera (confinamento o barrieramento fisico) con tecnologia completamente
diversa da quella approvata (barrieramento idraulico): dal punto di
vista del Collegio, questo aspetto dei provvedimenti impugnati è quello
che impone la censura più severa del comportamento della Pubblica
Autorità.
Infatti, laddove si interviene in un settore così delicato e denso di
difficoltà tecnico-scientifiche sotto molteplici aspetti
(dall’accertamento delle cause e delle responsabilità sotto il profilo
tecnico dell’inquinamento all’individuazione dei corretti ed efficaci
metodi di intervento, compresa la enucleazione con metodi tecnici di
obiettivi misurabili e riscontrabili) oltre che di rilevantissimo
interesse pubblico e sociale, si accentua in maniera estremamente
rigorosa il dovere (già ineludibile nella normalità dei casi) della
Pubblica Autorità di prescrivere modalità di intervento logiche,
coerenti e, correlativamente, laddove queste modalità necessitino di un
ripensamento, il dovere di modificare le prescrizioni già imposte (o
concordate a seguito di un procedimento che approva modalità progettuali
provenienti dalla parte interessata) solo a seguito di una istruttoria e
di una motivazione che dia adeguata contezza delle ragioni che impongono
le modifiche.
A fronte di ciò, la prescrizione di utilizzare per il confinamento delle
acque di falda un sistema di confinamento fisico, anziché idraulico non
risulta, invece, in alcun modo motivata da adeguati accertamenti
tecnici; non sono neppure affermate (e meno che mai dimostrate) le
ragioni della insufficienza o della inidoneità della soluzione di
barrieramento (già prescelta e approvata) rispetto all’applicabilità
della diversa tecnologia imposta in relazione alle caratteristiche
geologiche del sito; infine, non viene neppure tentata (e meno che mai
accertata) la valutazione di opportunità dell’intervento circa il
rapporto costi/benefici di esso, specialmente alla luce dello stato di
avanzamento del progetto inizialmente approvato, né, infine, circa i
tempi di esecuzione dell’intervento medesimo. Infine, nessuno studio è
stato condotto dall’Amministrazione sull’impatto che la realizzazione di
tale progetto arrecherebbe all’ambiente circostante e quindi va
censurata la prescrizione in esame anche per l’aspetto della specifica
violazione della disciplina sulla valutazione di impatto ambientale.
A tale proposito, va ribadito quanto già prima sommariamente accennato,
ossia che l’opera di confinamento fisico ipotizzata dal Ministero
dell’Ambiente ed imposta con i provvedimenti impugnati è soggetta a
procedura obbligatoria di valutazione di impatto ambientale sia ai sensi
della normativa pre-vigente (in quanto rientrante, in particolare, negli
impianti contemplati dall’art. 1, comma 1, lett. l) del d.p.c.m. 10
agosto 1988, n. 377), sia ai sensi delle nuove norme in materia
ambientale approvate con il D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152 (si veda, in
particolare, la previsione di cui alla voce n. 15 dell’Elenco A
dell’Allegato III alla Parte Seconda del decreto cit., elenco richiamato
dall’art. 23, comma 1, lett. a).
Infine, con la memoria depositata il 25 maggio 2007, la ricorrente ENI
ha riproposto i motivi ritenuti assorbiti dal Collegio in sede cautelare
e che, pertanto, vanno esaminati a seguire.
Con il Motivo n. II.7 del ricorso n. 2939/06 r.g. ed il motivo n. II.5.4
del ricorso n. 3235/06 r.g., la ricorrente ha contestato il verbale
della Conferenza di servizi del 21 luglio 2006 per la parte in cui, in
motivazione, il Ministero dell’Ambiente, attraverso un improprio
riferimento ad una nota di un funzionario della Commissione Europea
(prot. n. MP/amp D (2006) 9902 del 09.09.06), osserva che “ai fini della
classificazione dei rifiuti, se la concentrazione di idrocarburi è
uguale o superiore allo 0.1% (1000 ppm) il rifiuto è classificato come
pericoloso”. Di qui deduce che, “attese le concentrazioni di idrocarburi
riscontrate nei sedimenti della Rada di Augusta, … la formazione delle
torbide disperda nell’ambiente rifiuti pericolosi con livelli di
inquinamento superiori anche più di un ordine di grandezza al limite
fissato”.
La illegittimità della prescrizione indicata è tale da consentire al
Collegio di fare proprie le conclusioni della difesa della ricorrente.
In primo luogo, si deve affermare che i sedimenti, prima della loro
eventuale asportazione, laddove eventualmente contaminati, non
costituiscono ancora rifiuti, ma vanno qualificati come matrici
ambientali, da sottoporre agli opportuni interventi di bonifica.
Ciò premesso, laddove, ai fini della classificazione dei rifiuti, la
normativa di riferimento va individuata nella Decisione UE 200/532/CE,
nella Direttiva MATT del 9 Aprile 2002 e nel Dlgs. 152/06 parte quarta
All.D., secondo la quale un rifiuto è classificato come pericoloso solo
se le sostanze pericolose raggiungono determinate concentrazioni, tali
concentrazioni vanno predeterminate (e poi riscontrate) ex art. 252,
comma 5, del d.lgs n. 152 del 2006 tramite appositi organi tecnici e
senza possibilità di interferenze decisionali del Ministero (cfr. T.A.R.
Piemonte, Sez. II - 16 gennaio 2006, n. 89, cit.).
Nel caso di specie, il Ministero dell’ambiente non solo ha preso
posizioni tecniche in merito alla classificazione dei rifiuti pericolosi
in assoluta autonomia rispetto agli organi tecnici, ma anche in
contraddizione con le posizioni da questi assunte sul punto e, più
precisamente, con il parere n. 19893 del 6 aprile 2006 con cui
l’Istituto Superiore di Sanità, su richiesta della Regione Veneto ha
affermato che “appare eccessivamente conservativa l’applicazione del
valore di 1000 ppm (0,1%) di idrocarburi come limite per la
classificazione del rifiuto come cancerogeno”.
Dalle suesposte considerazioni emerge la illegittimità degli atti
impugnati ed il Collegio non ha quindi necessità di entrare nel merito
delle ulteriori censure dedotte dalla ricorrente (secondo cui la
pericolosità di un determinato rifiuto deve essere determinata
attraverso appositi test di cancerogenicità, dopo aver preventivamente
valutato il contenuto di singole sostanze idrocarburiche classificate
come cancerogene).
Ne consegue, pertanto, che i provvedimenti impugnati con i ricorsi
proposti dalla società ENI Spa, sono illegittimi e vanno annullati,
nelle parti oggetto di gravame, sia per le censure variamente ricomprese
nell’esame generale condotto in precedenza, sia per le specifiche
ragioni esposte nel presente paragrafo.
*****
POLIMERI EUROPA S.p.a. (ricorsi nn. 2667/06, 2938/06, 3234/06 e 214/07)
e
SYNDIAL (ricorsi nn. 2666/05; 2937/06; 3233/06 e 213/07)
Medesime considerazioni di quelle appena esposte in relazione al ricorso
ENI valgono per le censure di identico contenuto presentate nei ricorsi
di POLIMERI Europa S.P.A. nn. 3234/06 (punto IV.1) e 2938/06 (punto IV)
e SYNDIAL S.P.A. nn. 3233/06 (punto IV.1) e 2937/06 (punto IV).
Anche in queste censure, le ricorrenti si dolgono dell’imposizione di
modifiche al progetto di bonifica già approvato con decreto
ministeriale, consistenti nell’obbligo di procedere al marginamento
fisico delle acque di falda, e pertanto è sufficiente al Collegio
richiamare quanto già affermato in relazione al ricorso “gemello” della
MAXCOM.
In questa sede è quindi sufficiente riferirsi all’esposizione ed alle
considerazioni svolte nel paragrafo precedente, in ordine agli aspetti
comuni delle suddette censure,che, pertanto, sono fondate anche in
relazione ai ricorsi delle società POLIMERI E SYNDIAL.
Nei ricorsi di cui al presente paragrafo, tuttavia, c’è un altro e
differente ordine di censure che va esaminato (per POLIMERI punti IV.2
del ricorso nr. 3234/06 e IV del ricorso 2938/06; per SYNDIAL punti IV.3
del ricorso nr. 3233/06 e IV del ricorso nr. 2937/06).
Con tali doglianze, infatti, si lamenta che la conferenza dei servizi
del 21 luglio 2006, punto 10, avrebbe immotivatamente respinto il
progetto di bonifica presentato da POLIMERI SPA e da SYNDIAL SPA, per
asserite violazioni delle prescrizioni formulate dalla Conferenza dei
servizi istruttoria del 16 maggio 2006, prescrizioni che non sarebbero
mai state verbalizzate e neppure comunicate alla ricorrente.
Nessuna deduzione o difesa, sul punto, né in diritto e neppure in fatto,
è pervenuta da parte dell’Avvocatura.
E’ sufficiente, per accogliere la censura, che il Collegio rilevi che
nessuna comunicazione o preavviso ex art. 10 bis l. 241/90 (atto dovuto
atteso che si tratta di un procedimento ad istanza di parte) è stata
formulata in merito da parte dell’Amministrazione; che nessuna
motivazione del diniego è dato evincersi, dagli atti, sia per le
modifiche imposte che in relazione alle controdeduzioni che la società
POLIMERI ha fatto pervenire in risposta alla Conferenza dei servizi del
16 maggio 2006 (prot. 14230/Qvd/DI del 17 luglio 2006).
Pertanto, l’atto è illegittimo e va annullato; dall’annullamento del
diniego per i vizi calendati, deriva l’obbligo per l’Amministrazione di
procedere al riesame del progetto entro 90 giorni dalla comunicazione
della presente sentenza o sua notifica a cura di parte, previa
partecipazione della società ricorrente ed in contraddittorio con essa.
Con la II memoria conclusiva (depositata il 25 maggio 2007), la società
SYNDIAL ha inoltre riproposto le censure assorbite in sede cautelare e
che il Collegio esamina a seguire.
In particolare, con le ragioni di censura riassunte al punto 8.1 della
memoria, ed introdotte con i motivi aggiunti al ricorso n. 2666/05 r.g.
sub n. VI, la censura sub n. IV del ricorso n. 2937/06 r.g. ed il motivo
IV.2 del ricorso n. 3233/06 r.g., la ricorrente ha contestato la
richiesta, formulata dalla Conferenza di servizi nelle sedute decisorie
del 16 dicembre 2005 e 21 luglio 2006, che tutte le operazioni di
gestione dei rifiuti liquidi (costituiti dalle acque di falda emunte) e
solidi (costituiti dai terreni scavati) relativi agli interventi
nell’Area P.O. siano “oggetto di specifica autorizzazione”, trattandosi
di interventi che rientrerebbero “tra quelli di messa in sicurezza di
emergenza specifici per l’area PO e non tra gli interventi di bonifica”,
rilevando, a confutazione di tale assunto della Conferenza dei servizi,
che l’intervento in esame non costituisce affatto intervento di messa in
sicurezza di emergenza, ma è al contrario parte integrante del progetto
di bonifica della falda approvato con decreto interministeriale del 29
novembre 2004.
Osserva il Collegio che la censura è fondata: a tale proposito, nel
progetto stesso sono previste le predette modalità (in particolare, il
capitolo 6.1.1 - che contempla, tra gli interventi nelle aree di
competenza Syndial, la “barriera idraulica e fisica che verranno
installate in area PO-A4” - , le tabelle riepilogative di cui ai capp.
8.1 e 8.2 e, soprattutto, la stima dei costi complessivi di bonifica di
cui al cap. 14, rispetto ai quali l’area incide per un importo pari a €
4.080.000,00), e, pertanto, tutte le autorizzazioni relative alla
gestione dei rifiuti prodotti nel corso delle opere di bonifica sono da
ritenersi assorbite dall’autorizzazione rilasciata con il decreto
interministeriale 29 novembre 2004, ai sensi dell’art. 10, comma 10, del
d.m. n. 471 del 1999, come richiamato dal successivo art. 15, comma 6.
Ancora aderendo alle prospettazioni della difesa della ricorrente, il
Collegio rileva che è illegittimo il termine di 10 giorni dal
ricevimento del verbale per il completamento degli interventi in corso
di realizzazione, termine che appare del tutto incongruo in relazione
alla richiesta, anche in considerazione del fatto che la ricorrente
lamenta l’oggettivo aumento riscontrato durante i lavori delle
volumetrie dei terreni di scavi (che passano da 1900 mc a 5500 mc) e che
non ha formato oggetto di alcuna considerazione istruttoria da parte
della P.A.
Con ulteriore censura, la ricorrente ha contestato la illegittimità dei
criteri di caratterizzazione dei terreni imposti dal Ministero (V°
Motivo aggiunto al ricorso n. 2666/05 r.g.).
Più precisamente, la ricorrente ha contestato la prescrizione con cui la
conferenza di servizi decisoria del 16 dicembre 2005 ha imposto, in sede
di caratterizzazione dei suoli, di effettuare le analisi sulla sola
frazione granulometrica passante al vaglio 2 mm e di confrontare i
risultati delle analisi condotte su detta frazione, ai fini della
successiva bonifica, con i limiti tabellari di cui agli allegati al d.m.
n. 471 del 199.
A giudizio della ricorrente, seguendo tale procedura, la quantità di
inquinante presente sul sito si determinerebbe solo in relazione alla
frazione più fine, in contrasto con il DM 471/99 e il DM 13.9.1999 che
prescrivono che, ai fini della rappresentazione dello stato di
contaminazione di un terreno, sia considerato tutto il materiale secco
del terreno medesimo e non solo una sua frazione, ottenuta per effetto
di una operazione di concentrazione e che può essere percentualmente
piccola. Tale procedura sarebbe in contrasto anche con l’Allegato 1 al
DM 471 del 1999, che prevede che, “in attesa della pubblicazione dei
‘Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo’ … che definiscano le
metodiche di campionamento dei suoli per frazioni granolumetriche di
suolo, sottosuolo e materiale di riporto, i risultati delle analisi
effettuate sulla frazione granolumetrica passante al vaglio 2 mm sono
riferiti alla totalità dei materiali secchi".
La censura, non contraddetta né dalla difesa dell’Amministrazione, né
dalla documentazione in atti, è fondata: nessuna ragione, infatti,
emerge quale motivazione dell’orientamento assunto dalle Amministrazioni
partecipanti alle conferenze dei servizi, secondo cui gli esiti delle
analisi effettuate sulle frazioni “sottovaglio” (passanti al vaglio di 2
mm) devono essere considerate come idonee a rappresentare il grado di
inquinamento dell’intero campione terroso prelevato, a prescindere dalla
sua composizione granulometrica.
In punto di diritto, l’errore in cui cade la P.A. procedente è di non
considerare che la fonte normativa applicata prevede che i risultati
delle analisi condotte sul sottovaglio siano rapportati alla totalità
del materiale secco del campione prelevato, ma non considera altresì che
tali analisi debbano essere considerate rappresentative dell’intero
campione (sottovaglio e sopravaglio).
A tale proposito, condivisibilmente, la difesa della ricorrente
sottolinea come l’interpretazione del Ministero, che già alla luce di
quanto appena espresso è contraddittoria ed irrazionale, collide anche
con il disposto di cui al comma successivo della disposizione sopra
riportata, che prevede che “qualora si sospetti una contaminazione anche
del sopravaglio, devono essere effettuate analisi di tale frazione
granulometrica sottoponendola ad un test di cessione che utilizzi come
eluente acqua deionizzata satura di CO2”: se il regolamento avesse
ritenuto le analisi sul solo sottovaglio adeguatamente rappresentative
dell’intero campione, non avrebbe avuto poi alcuna necessità di imporre
anche la verifica del sopravaglio, se sospetto di contaminazione.
Al Collegio, quindi, appare sufficiente fare proprie le conclusioni
della difesa della ricorrente, secondo cui, se appare giusto riferire il
risultato ottenuto dall’analisi della frazione granulometrica passante
al vaglio di 2 mm alla sola frazione fine del terreno, è invece
inappropriato considerare tale valore come rappresentativo della
totalità del terreno campionato (cfr. comunque la nota dell’Istituto
Superiore di Sanità del 25 luglio 2002 nr. 024711 IA/12, prodotta dalla
difesa della società BUZZI UNICEM nel ricorso nr. 131/07, con i
documenti depositati il 24 aprile 2007).
Il terreno campionato può infatti essere costituito da diverse
granulometrie: quella inferiore a 2 mm, dove può concentrarsi la maggior
parte dell’inquinamento; quella compresa tra 2 mm e 2 cm, che
tendenzialmente può essere meno inquinata perché ha scarso potere
assorbente sulle particelle organiche ed inorganiche ed infine quella
superiore ai 2 cm che viene scartata al momento della composizione del
campione da analizzare.
Per l’esistenza di tali tipi di suddivisione non è corretto attribuire
il valore misurato nella frazione inferiore a 2mm, più suscettibile
all’inquinamento, a tutto il campione, perché si opererebbe una vera e
propria operazione di concentrazione, non corrispondente alla reale
situazione presente nel terreno.
Anche sotto questo profilo, dunque, si conferma come i metodi
scientifici adottati dal Ministero in applicazione anche del DM 471/99
debbano essere rivisti alla luce delle osservazioni delle ricorrenti,
che non hanno trovato ingresso nel procedimento, ed altresì
nell’acquisizione effettiva dell’apporto scientifico degli istituti di
ricerca a ciò preposti.
*******
DOW ITALIA Divisione Commerciale S.r.l.
- già DOW POLIURETANI ITALIA S.r.l. -
(ricorsi nn. 138/2005 e 2970/06)
Le censure variamente introdotte dalla società DOW ITALIA sono quasi
interamente assorbite dalla trattazione delle questioni che precedono e
quindi, richiamando queste ultime, è possibile al Collegio
sinteticamente rinviarvi.
In base ad esse i ricorsi sono fondati e come tali da accogliersi.
Rileva solamente il Collegio, per completezza di esposizione, che la
società ricorrente ha documentato una propria posizione del tutto
estranea ai presupposti stessi della bonifica dei fondali della Rada,
così come prefigurati dalla stessa Amministrazione procedente.
Infatti si osserva, in punto di fatto, che la società ricorrente ha
gestito dal 1 maggio 2001 al gennaio 2003 all’interno del Petrolchimico
di Priolo, uno stabilimento di produzione di Polioli, Glicole
Propilenico e derivati e Ossido di Etilene, precedentemente in proprietà
della società Enichem spa (ora Syndial spa), impianto definitivamente
chiuso in data 1 aprile 2004.
La società ricorrente ha provveduto ad avviare il procedimento di
bonifica dei suoli e delle acque sotterranee, ai sensi della normativa
di cui all’art. 17 del Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22 e del DM 471/99 anche
a fronte della attività di caratterizzazione completata da Syndial SPA.
Pertanto, la DOW ha impugnato dapprima i verbali delle conferenze dei
servizi del 2005, che imponevano ai titolari di concessioni demaniali
nella rada o aree a terra con presenza di contaminazione identica a
quella trovata nella Rada, le prescrizioni già esaminate sopra (ricorso
nr. 138/2005 e relativi motivi aggiunti), nonché, successivamente, le
determinazioni delle conferenze decisorie del 2006, ove si imponevano le
ulteriori prescrizioni già esaminate (ricorso nr. 2970/06 e relativi
motivi aggiunti).
In ogni gravame, la società DOW ha sempre evidenziato la propria
estraneità alla contaminazione della RADA sia perché non è titolare di
pontili o altre concessioni sulla Rada o comunque in rapporto di
vicinanza con essa, sia per il breve periodo di gestione dello
stabilimento stesso, e sia, infine, perché i valori inquinanti emersi
nelle (peraltro,come visto, incomplete) indagini sui campioni, non sono
comunque riconducibili alle lavorazioni del proprio stabilimento.
Anche sotto questi profili, dunque, si conferma la insufficienza della
istruttoria dell’Amministrazione, la quale, nei confronti della società
ricorrente ha adottato prescrizioni che (oltre ad essere illegittime per
le ragioni già esposte) sono anche perplesse e di dubbio contenuto,
perché rivolte a soggetto manifestamente privo delle qualità presupposte
dalla stessa Autorità negli atti impugnati.
********
BUZZI UNICEM
(ricorso nr. 131/07)
Il ricorso nr. 131/07 è stato trasposto in sede giurisdizionale dalla
società BUZZI UNICEM a seguito dell’opposizione formulata dalla società
Syndial alla sua trattazione in sede straordinaria di fronte al Capo
dello Stato.
In merito a tale ricorso va, preliminarmente, decisa la eccezione
proposta sia dall’Avvocatura di Stato che dalla difesa comunale, circa
la inammissibilità della trasposizione, ex art. 10 del DPR 1199/71, in
quanto proveniente da soggetto non controinteressato (ossia la Syndial).
A giudizio della ricorrente e della società Syndial medesima, non
sarebbe dubbia la qualità di controinteressata che quest’ultima
rivestirebbe in quanto le prescrizioni imposte dall’Autorità a tutte le
imprese collettivamente operanti nell’ambito della Rada implicherebbe un
vincolo solidale tra di esse, tale per cui l’esclusione (anche solo) di
una tra loro implicherebbe l’aumento di costi per la realizzazione degli
interventi in capo a tutte le altre, dovendo queste comunque provvedere
per l’intero alle prescrizioni imposte dal Ministero dell’Ambiente.
Oppone la difesa erariale che, in realtà, la Syndial si trova in una
posizione di evidente comunanza di interessi con la ricorrente BUZZI
UNICEM, entrambe avendo di mira l’annullamento degli atti impugnati.
A giudizio del Collegio è quest’ultima la qualificazione corretta della
posizione che la società Syndial assume rispetto al gravame proposto
dalla società BUZZI UNICEM, posto che tutte le imprese odierne
ricorrenti, avendo proposto ricorsi sovrapponibili quanto al petitum,
nonché in gran parte identici anche come causae petendi, si propongono
il medesimo scopo processuale, ossia ottenere l’annullamento dei
provvedimenti impugnati.
Tuttavia, da tale considerazione non discende l’inammissibilità della
trasposizione.
E’ infatti ius receptum che la trasposizione possa chiederla anche il
cointeressato, sia pure a mente dell’art. 34 del R.D. 1054/1924,
disposizione questa che è integrata e non certamente abrogata dall’art.
10 del citato DPR 1199/71 (cfr. Consiglio di Stato, V, 7 novembre 1990,
nr. 763) e rispetto alla quale la opposizione è stata ritualmente
proposta (in punto di disciplina, infatti, i due istituti si
differenziano, sostanzialmente, solo per il diverso termine per proporre
la opposizione, che è di quindici giorni per la cointeressata, termine
che, nel caso in esame, è stato rispettato).
Ritenuta l’ammissibilità della trasposizione del ricorso straordinario
in s.g., osserva il Collegio che la società ricorrente ha ampiamente
dedotto ragioni di differenziazione della propria posizione da quella
delle imprese titolari di concessioni sulla Rada ed anche per essa
valgono le argomentazioni già svolte in generale nella esposizione che
precede.
Tuttavia, necessitano di approfondita attenzione alcuni aspetti della
posizione della ricorrente e le censure introdotte con i motivi
aggiunti.
Sotto il primo profilo, come già succintamente ritenuto in sede
cautelare (ord. nr. 333/07 depositata il 15 marzo 2007), deve rilevarsi
che non solo la società ha comprovato la incompatibilità e
l’eterogeneità dei prodotti chimici riconducibili alla lavorazione
tipica dei propri stabilimenti, ma che tale dato trova riscontro anche
nella valutazione della conferenza dei servizi del 21.07.2006. Tuttavia,
l’Autorità ha comunque mantenuto l’inclusione della società nel novero
dei destinatari dei provvedimenti di imposizione della bonifica e
quindi, come asserito condivisibilmente dalla difesa della ricorrente,
deve ritenersi che ciò è avvenuto in base al (mero) presupposto della
relazione dell’impresa con i suoli e con i terreni contaminati.
Quanto agli atti impugnati con i motivi aggiunti depositati il 24 aprile
2007, si osserva quanto segue.
Come condivisibilmente si afferma nelle difese della società, nonostante
che il provvedimento “finale” del Ministero dell’Ambiente, datato
13.12.2006, dovesse essere inteso, espressamente, come “conclusivo” del
procedimento, il Ministero procedente ha indetto una nuova conferenza
dei servizi per la data del 16.02.2007, nella quale è stato “riaperto”
il procedimento per la bonifica della Rada, nonostante la sospensione
cautelare degli effetti degli atti già impugnati.
In tale contesto si è disposta la presa d’atto degli elaborati trasmessi
dalla società Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.a. ed acquisita dal
Ministero dell’Ambiente con prot. 26221/QDV/DI del 28.12.2006 (punto 43
del verbale); nonché si sono adottate ulteriori prescrizioni inerenti i
risultati del piano di indagine integrativo per la verifica della
potenziale contaminazione del suolo e delle acque trasmesso dalla
società BUZZI UNICEM ed acquisito al protocollo del Ministero
dell’Ambiente al nr. 1454/QDV/DI del 23.01.2006, nonché inerenti
l’intervento di MISE trasmesso da BUZZI UNICEM ed acquisito al
protocollo del Ministero nr. 12518/QDV/DI del 26.06.2006, chiedendo al
Commissario delegato per l’emergenza rifiuti di attivare gli interventi
di caratterizzazione già previsti dalla conferenza dei servizi del 4
dicembre 2006.
A giudizio del Collegio, l’illegittimità delle prescrizioni impugnate
discende con assoluta evidenza da quanto già esposto e ritenuto nella
parte generale (specie in punto di mancanza di istruttoria, violazione
del contraddittorio, insussistenza dei presupposti della MISE e degli
interventi sostitutivi del Commissario delegato), ma anche in
considerazione del fatto che la conferenza dei servizi del mese di
febbraio 2007 si pone in continuità con quelle precedenti rinnovandone
il contenuto ed i precetti, senza tenere conto delle decisioni cautelari
di questo tribunale che ha sospeso l’efficacia degli atti impugnati.
Ne consegue che i provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi
aggiunti depositato il 24 aprile 2007 sono illegittimi e come tale vanno
annullati.
*********
In ordine alle questioni comuni ad alcuni ricorsi, il Collegio rileva
che – in virtù di quanto esposto e ritenuto nella trattazione generale
del vizio di difetto di istruttoria e di motivazione - non vi è luogo a
pronunciarsi su quanto (riassuntivamente) esposto dalla ENI, POLIMERI
EUROPA e SYNDIAL nella parte II delle rispettive memorie depositate il
26 gennaio 2007 (ed analoghi contenuti della memoria depositata da
ciascuna ricorrente il 25 maggio 2007) e quindi a valutare, in questa
sede, le risultanze degli studi condotti da Environ Italy, su
commissione delle ricorrenti; dati che, invece, potranno essere
utilizzati dal Ministero nella fase istruttoria che dovrà precedere la
futura riedizione del potere da parte dell’Amministrazione.
Analogamente è a dirsi per le censure proposte da ENI nel ricorso nr.
3235/06 punto II.5 e 2939/06 punto II.3, da POLIMERI Europa S.p.A. nel
ricorso nr. 3234/06 punto II.5, e 2938/06, punto II.3, e da SYNDIAL
S.p.a. nel ricorso nr. 3233/06, punto II.5 e 2937/06, punto II.3,
laddove si afferma l’oggettiva inesistenza del rischio sanitario
(elemento questo che dovrà essere oggetto di accertamento nel
procedimento amministrativo, all’esito della nuova istruttoria da
condursi nel rispetto di quanto ritenuto ed affermato nella presente
sentenza).
******
Per completezza di esposizione, va qui rilevato che le censure proposte
dalla società ERG RAFFINERIE MEDITERRANEE SPA nei ricorsi odierni dalla
stessa proposti (nr. 81/05, 2671/05, 782/06, 1843/06, 2241/06, 3053/06,
3251/06, 189/07), sono tutte comprese nella trattazione che precede –
parte generale – e, come si è visto, sono dunque fondate, determinando
l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento dei provvedimenti impugnati
nelle parti di interesse.
*******
IX) Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, i ricorsi sono fondati e come tali da
accogliersi annullando, nelle parti gravate, i provvedimenti impugnati.
A questo proposito, succintamente, il Collegio ritiene dover specificare
che, essendo invalidi, e quindi da annullarsi, i provvedimenti finali di
approvazione delle determinazioni assunte nelle varie conferenze dei
servizi, per le censure dedotte, tra le quali il difetto di
partecipazione delle ricorrenti ed il difetto di motivazione, il
procedimento volto ad organizzare e provvedere alla bonifica della Rada
di Augusta (comprese le zone a terra), dovrà essere interamente
rinnovato nel rispetto integrale delle prescrizioni di legge (sia ex
lege 241/90 che ex d.lgs. 152/2006), così come indicato in parte motiva.
In tale ambito, i risultati degli studi condotti da organismi pubblici
dovranno essere comparati con quelli prodotti dalle parti ricorrenti e,
nel contraddittorio tra le parti, l’Autorità procedente dovrà desumere
da essi le regole scientifiche dell’azione amministrativa, supportando
le relative determinazioni con adeguata, congrua ed approfondita
motivazione, specie in relazione all’apporto collaborativo delle
ricorrenti.
A tali fini, si ribadisce che, sotto il profilo scientifico,
l’istruttoria tecnica va curata esclusivamente dagli organismi
scientifici a ciò abilitati, senza che si possa configurare in alcun
modo una interferenza Ministeriale che deleghi, di volta in volta,
singole parti di indagine a differenti organi, o comunque adotti atti
volti a predeterminare gli spazi di indagine in maniera tale da
precostituire le soluzioni e le risposte ai quesiti di indagine stessi
(cfr. TAR Piemonte, II, 16 gennaio 2006, n. 89).
Sono quindi illegittime, e lesive delle posizioni di interesse delle
ricorrenti, anche le varie richieste di predisposizione di studi o di
interventi rivolte dal Ministero procedente a pubbliche autorità quali
il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti o simili, in quanto
l’istruttoria deve rispettare le competenze di legge e, soprattutto,
essere condotta senza interferenza ministeriale ed in maniera esaustiva
ed unitaria.
La lesività di una istruttoria frammentata e/o affidata a soggetti
diversi o non aventi competenza in materia costituisce, infatti, un
aggravamento procedimentale che legittima le parti private interessate
(o controinteressate) al procedimento stesso – in sede di impugnativa
dei provvedimenti finali che ne costituiscono espressione - a chiedere
l’annullamento anche di tali adempimenti istruttori (i quali,
astrattamente, non sarebbero necessariamente travolti dall’annullamento
dell’atto finale).
Sono quindi da accogliersi i ricorsi, disponendo l’annullamento di tutti
i provvedimenti e gli atti impugnati.
Le censure non espressamente trattate sono assorbite.
Considerati i rilevanti profili di ritardo nella gestione della bonifica
della Rada di Augusta e, più in generale, del Sito di Interesse
Nazionale di Priolo che sono emersi dai ricorsi e dagli atti impugnati,
anche a causa della illegittimità dei provvedimenti e delle prescrizioni
adottate dalla Pubblica Autorità, il Collegio dispone la trasmissione
della presente sentenza alla Procura regionale della Corte dei Conti di
Palermo perché valuti se sussistano profili di responsabilità erariale
in capo ai funzionari o ai dirigenti pubblici coinvolti, anche in
relazione alle spese del presente giudizio.
La presente sentenza va inoltre inviata alla Procura della Repubblica di
Siracusa, per l’eventuale seguito di sua competenza, al fine di
verificare se sussistono estremi materiali di situazioni penalmente
rilevanti (ord. nr.1742/05 pronunciata inter partes nel ricorso nr.
2666/05, depositata il 17 novembre 2005, già trasmessa con relativo
fascicolo alla Procura di Siracusa).
Le spese e gli onorari dei giudizi riuniti seguono la soccombenza e sono
poste a carico di tutte le Amministrazioni resistenti che hanno preso
parte alle conferenze dei servizi in sede decisoria e dei Comuni
costituiti, in solido tra loro, mentre il Collegio ritiene sussistenti
giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese nei confronti
delle società controinteressate “Sviluppo Italia” s.p.a. e “Sviluppo
Italia Aree Produttive” S.p.a..
Oltre alla refusione delle spese, corrispondenti alle notificazioni ed
al contributo unificato, come pagate e corrisposte da ciascuna società
ricorrente, gli onorari, anche in considerazione del rilevante numero di
notifiche, atti prodotti, reiterazione di gravami proposti, e
complessità delle questioni trattate, vanno liquidati, complessivamente
e forfetariamente, in euro 10.000,00 per ciascuna società ricorrente,
oltre IVA e CPA.
PQM
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata
di Catania, sez. interna prima, riuniti i ricorsi in epigrafe:
ESTROMETTE dai giudizi la società “Sviluppo Italia” Spa, c.f. e p.IVA
01879620977, l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del
Lavoro e l’Istituto Superiore di Sanità;
CONDANNA le società ricorrenti (in solido tra di loro), che hanno
notificato i ricorsi alle predette parti estromesse, alle spese e
competenze del giudizio in favore di queste ultime, nella misura
forfetaria e definitiva di euro 1.000 (mille) complessive, per ciascuna
delle parti estromesse, oltre IVA e CPA;
ACCOGLIE i ricorsi riuniti e, per l’effetto, ANNULLA gli atti ed i
provvedimenti impugnati, con salvezza degli ulteriori provvedimenti
dell’Amministrazione, meglio indicati in parte motiva.
CONDANNA le Amministrazioni resistenti che hanno preso parte alle
conferenze dei servizi in sede decisoria ed i Comuni costituiti, in
solido tra loro, alla refusione integrale delle spese e degli onorari di
giudizio in favore di ciascuna delle società ricorrenti, liquidandoli in
ragione di euro 10.000,00 (diecimila), per ciascuna ricorrente, oltre
IVA e CPA, ed oltre alle spese di giudizio per notifiche e per
versamento del contributo unificato.
COMPENSA le spese e gli onorari dei giudizi nei confronti delle società
“Sviluppo Italia” s.p.a. e “Sviluppo Italia aree produttive”,
controinteressate.
DISPONE la trasmissione della presente sentenza alla Procura Regionale
della Corte di Conti di Palermo, affinchè provveda a quanto
eventualmente di sua competenza, così come sommariamente indicato nelle
conclusioni della esposizione che precede.
DISPONE altresì la trasmissione della presente sentenza alla Procura
della Repubblica di Siracusa, affinchè verifichi se sussistono elementi
di fattispecie penalmente rilevanti negli odierni fatti di causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Manda alla Segreteria di comunicare la presente Sentenza alle parti ,
alla Procura Regionale della Corte dei Conti di Palermo ed alla Procura
della Repubblica di Siracusa.
Così deciso in Catania nelle camere di consiglio del giorno 07.06.2007 e
del 05.07.2007
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dott. Salvatore Gatto Costantino Dott. Vincenzo Zingales
Depositata in Segreteria il 20 luglio 2007
|