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Consiglio di Stato 4586/2001 |
R
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C A I
T A
L I
A N A IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio
di Stato
in sede
giurisdizionale, Quinta Sezione,
ha pronunciato la seguente
DECISIONE sui ricorsi in appello riuniti nn. 1297/2001, 1513/2001, 1514/2001,
1846/2001, proposti da: - (ric. n. 1297/01) A.A.T.O. n.4, Autorità d’Ambito Territoriale ed Ottimale
Toscana – Alto Valdarno, in persona del
legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv.
Giuseppe Morbidelli, e presso lo studio dello stesso
elettivamente domiciliata in Roma, v. G. Carducci
n. 4, contro la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia
e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma,
v. Principessa Clotilde n.
2, e
nei confronti di: Comune di Castiglion Fibocchi, appellante incidentale, in
persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dall’avv. Giuseppe Morbidelli, e presso lo studio dello stesso
elettivamente domiciliato in Roma, v. G. Carducci
n. 4; CISPEL Toscana, Associazione regionale toscana delle imprese e
degli enti di gestione di servizi pubblici locali, interveniente ad
adiuvandum, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa dagli avv.ti Michele Pallottino, Pier Luigi Santoro, Riccardo
Farnetani, e nello studio del primo elettivamente domiciliata in Roma,
p.zza Martiri di Belfiore n.2; Comune di Pieve S. Stefano, interveniente ad opponendum, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso
dagli avv.ti Alberto Rubechi e Leonardo Lascialfari, ed elettivamente
domiciliato in Roma, Lungotevere Flaminio n.46 (studio Grez); * *
* - (ric. n.1513/01) Comuni di Sinalunga, Chianciano, Montepulciano,
Chiusa, Torrita, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., rappresentati e
difesi dall’avv. Paolo Emilio Paolini, ed elettivamente domiciliati in
Roma, v. Licinio Calvo n.41 (studio Pane Poletti), contro la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia
e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma,
v. Principessa Clotilde n.
2, e
nei confronti di: AATO n.4, Comune di Arezzo, Suez-Lyonnaise des Eaux, AMGA s.p.a,
Consorzio Iride, Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare dell’Etruria
e del Lazio, ACEA s.p.a., in persona dei legali rappresentanti p.t., non
costituiti in giudizio; * *
* - ( ric. n. 1514/01) Provincia di Arezzo, in persona del Presidente
p.t., rappresentata e
difesa dall’avv. Paolo Emilio Paolini, ed elettivamente domiciliata in
Roma, v. Licinio Calvo n.41 (studio Pane Poletti), contro la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia
e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma,
v. Principessa Clotilde n.
2, e
nei confronti di: AATO n.4, Comune di Arezzo, Suez-Lyonnaise des Eaux, AMGA s.p.a,
Consorzio Iride, Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare dell’Etruria
e del Lazio, ACEA s.p.a., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio; * *
* - (ric. n.1846/01) Suez Lyonnaise des Eaux S.A., in persona del
legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto
Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino; A.MGA s.p.a., in persona
del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Alberto Sciumè, Lorenzo Aquarone, Daniela Anselmi e Giovanni
Pellegrino; Iride s.p.a. (già Consorzio Iride), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè,
Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino; Banca Monte dei
Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e
Giovanni Pellegrino; Banca popolare dell’Etruria e del Lazio s.c.r.l.,
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli
avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino, tutti con
domicilio eletto nello studio dell’avv. Giovanni Pellegrino in Roma,
v. Giustiniani n.18, contro la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia
e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma,
v. Principessa Clotilde n.
2, e
nei confronti di: Consorzio Intesa Aretina, costituito dalle predette appellanti,
interveniente ad adiuvandum,
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli
avv.ti Benedetto G. Carbone e Alessandro Savini, presso cui è
elettivamente domiciliato in Roma, v.le di Villa Grazioli n.13; Federgasacqua e Confservizi CISPEL, intervenienti ad
adiuvandum, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t.,
rappresentate e difese dall’avv. Franco Gaetano Scoca, presso il cui
studio sono elettivamente domiciliate in Roma, v. G. Paisiello n.55; AATO n.4, Comune di
Arezzo, Collegio di Vigilanza ed Enti sottoscrittori dell’accordo di
programma del 10 luglio 1998, Coingas, Provincia di Arezzo, Società di
gestione Valdichiana, Acea s.p.a., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti, non costituiti in giudizio,
per
l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la
Toscana, Sez. I, del 15 gennaio 2001, n.24, con la quale è stato
accolto in parte il ricorso proposto dalla Vivendi avverso l’accordo
di programma siglato dagli Enti locali il 10 luglio 1998, gli atti
inerenti alla procedura di selezione di un socio di minoranza per la
costituenda società mista di gestione del servizio idrico integrato
dell’AATO n.4, l’atto costitutivo e lo statuto della società mista
di gestione del servizio di che trattasi. Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellata
Vivendi, appellante incidentale, l’appello incidentale del Comune di
Castiglion Fibocchi, gli atti di intervento del Comune di Pieve
S.Stefano, della Cispel, del Consorzio Intesa Aretina e di Federgasacqua; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie
difese; Visti gli atti tutti delle cause; Viste le ordinanze nn. 1426/01, 1452/01, 1453/01, 1455/01 del 6
marzo 2001, con cui è stata accolta l’istanza di sospensione
dell’esecuzione della
sentenza di primo grado; Relatore alla pubblica udienza del 5 giugno 2001 il Consigliere
Gerardo Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti Morbidelli, Aquarone, Scoca, Sciumè, Carbone, anche su
delega di Pallottino, Manneschi, su delega di Paolini, Pellegrino,
Clarizia, Chiti, Rubechi; Visto il dispositivo della presente decisione n. 316, pubblicato il
7 giugno 2001; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO 1.
Con
legge 5 gennaio 1994, n.36, recante disposizioni in materia di risorse
idriche (c.d. legge Galli), è stata
delineata la nuova disciplina dell’organizzazione e della
gestione dei servizi idrici. In particolare è
stata individuata la nozione di “servizio idrico integrato”, come
quel servizio “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di
captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di
fognatura e di depurazione delle acque reflue”. Tale servizio integrato deve essere riorganizzato sulla base di
ambiti territoriali ottimali (A.T.O.), alla cui delimitazione provvede
ciascuna regione. I comuni e le provincie facenti parte di ciascun A.T.O. provvedono,
a loro volta, ad organizzare e gestire il servizio idrico integrato
mediante le forme obbligatorie di cui alla l.142/90, come integrata
dalla l.498/92. 2.
La
Regione Toscana ha dato attuazione alla c.d. legge Galli con due leggi:
la legge 21 luglio 1995, n.81 e la legge 4 aprile 1997, n. 26. La l.r. 81/95 ha previsto la costituzione di consorzi obbligatori
tra i Comuni di ciascun A.T.O., denominati Autorità di Ambito
Territoriale Ottimale (A.A.T.O.), svolgenti funzioni di programmazione,
organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio
idrico integrato, con esclusione di ogni attività attinente alla
gestione del servizio. L’affidamento del servizio al nuovo gestore è disciplinato,
secondo quanto dispone l’art.11 della l. 36/94, da una convenzione e
dal relativo disciplinare, redatti sulla base di una
“convenzione-tipo” adottata dalla Regione. La l.r. 26/97 ha approvato, tra l’altro, lo schema di convenzione
– tipo per l’affidamento del servizio. 3.
I
Comuni ricompresi nell’A.T.O. n.4 “Alto Valdarno” hanno costituito
l’Autorità di Ambito Territoriale n.4 – Alto Valdarno, insediatasi
il 14 marzo 1996, ed il cui statuto ha confermato le funzioni di
programmazione e controllo. L’A.A.T.O. n.4 ha scelto, con deliberazione n.14 del 17 luglio
1997, come forma di gestione del servizio idrico integrato, la società
per azioni a prevalente capitale pubblico locale, ai sensi
dell’art.22, comma 3, lett. e), della l.142/90. In data 10 luglio 1998, deliberati piano d’ambito e tariffe del
servizio integrato, i Comuni consorziati hanno sottoscritto
un accordo di programma, con cui si è prevista la nomina di un
Collegio di vigilanza, cui demandare la fase della scelta del socio di
minoranza. Il Collegio di vigilanza, dopo aver dettato – tramite un
disciplinare – le regole generali per la relativa selezione, ha
affidato a sua volta il procedimento di selezione ad una commissione di
esperti, la quale, esaminate in molteplici sedute le offerte di tre
raggruppamenti di imprese (Suez-Lyonnaise des Eaux, Vivendi, ACEA), ha
proposto l’aggiudicazione al raggruppamento facente capo alla società
Suez-Lyonnaise des Eaux, una delle attuali appellanti principali. Il Collegio di vigilanza e, successivamente, l’A.A.T.O. hanno
approvato gli atti della Commissione e detto raggruppamento è stato
individuato quale socio privato di minoranza, consentendo così la nascita della società “Le Nuove Acque s.p.a.”,
costituita con atto del 30 marzo 1999, omologata con decreto del
Tribunale di Arezzo del 22 aprile 1999 e operativa, come affidataria del
servizio idrico integrato da parte dell’A.A.T.O. n.4, a partire dal 1°
giugno 1999. 4.
Avverso
tutti gli atti del procedimento, nonché l’accordo di programma del
luglio 1998, l’atto costitutivo e lo statuto della nuova società
mista costituita per la gestione del servizio idrico integrato, ha
proposto ricorso il raggruppamento facente capo alla società Vivendi,
classificatosi al secondo posto nella procedura di selezione. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il TAR Toscana,
disattesa l’eccezione di irricevibilità del gravame, ha accolto in
parte il ricorso, annullando alcuni degli atti impugnati, relativi alla
procedura di selezione del socio di minoranza, nonché l’atto
costitutivo e lo statuto della neo-costituita società mista di gestione
del servizio idrico integrato. Il TAR, operando una distinzione tra i vizi dedotti, a seconda che
fossero a monte o meno della predetta procedura di selezione, ha
ritenuto nel complesso legittima la
procedura antecedente alla selezione, e quindi, in particolare,
l’accordo di programma tra gli Enti locali e gli atti del Collegio di
vigilanza, mentre ha giudicato fondate alcune delle
censure, dedotte dalla Vivendi, più attinenti alla procedura di
gara. 5.
Hanno
interposto appello avverso la prefata sentenza, oltre all’Autorità di
ambito e al raggruppamento risultato vincitore (Suez Lyonnaise), anche
alcuni dei comuni (Sinalunga e altri) facenti parte dell’ambito
territoriale interessato, tra cui -
formalmente con appello incidentale - il Comune di Castiglion Fibocchi,
nonché la Provincia di Arezzo, e da parte di tutti gli appellanti è
stato accuratamente censurato ogni profilo ritenuto fondato dai Giudici
di prime cure. Il raggruppamento vincitore, con il ricorso in appello di
pertinenza, ha anche dedotto profili di tardività del ricorso di primo
grado, di incompletezza del contraddittorio (visto che la società mista
di gestione del servizio è stata costituita e omologata prima della
notifica del ricorso di primo grado), di difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo (circa l’annullamento dell’atto costitutivo
della società). 6.
L’appellata
Vivendi si è costituita in giudizio per resistere agli appelli, e ha
puntualmente controdedotto, proponendo altresì appello incidentale al
fine di riproporre alcune delle censure non condivise dal TAR. Sono intervenuti, ad
adiuvandum, il Consorzio Intesa Aretina, la CISPEL, la Federgasacqua,
con particolare attenzione le ultime due al profilo dei vincoli
territoriali-funzionali imposti all’attività delle società miste per
l’esercizio dei servizi pubblici locali. E’ intervenuto, invece, ad
opponendum il Comune di Pieve S.Stefano, che non ha aderito alla
procedura di costituzione della nuova società di gestione del servizio
idrico in argomento. Con ordinanze della Sezione nn. 1426/01, 1452/01, 1453/01, 1455/01,
del 6 marzo 2001, è stata disposta, in adesione alla
richiesta degli appellanti principali, la sospensione
dell’efficacia della
sentenza di primo grado. Alla pubblica udienza del 5 giugno 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione. DIRITTO 1.
Gli
appelli principali in epigrafe, che debbono essere riuniti in quanto
proposti avverso la medesima sentenza,
meritano accoglimento. Con la sentenza
impugnata il TAR Toscana ha accolto in parte il ricorso proposto
dall’appellata Vivendi, annullando alcuni degli atti impugnati,
relativi alla procedura di selezione del socio di minoranza (titolare
del 46 % del capitale azionario), nonché l’atto costitutivo e lo
statuto della neo-costituita società mista di gestione del servizio
idrico integrato relativo all’Ambito territoriale ottimale n.4 della
Toscana. Il TAR, operando una distinzione tra i vizi dedotti, a seconda che
fossero a monte o meno della suddetta procedura di selezione, ha
ritenuto nel complesso legittima la procedura adottata antecedentemente
alla gara, e quindi, in particolare, l’accordo di programma concluso
tra gli Enti locali interessati, nonché gli atti del Collegio di
vigilanza, mentre ha giudicato fondate alcune delle
censure dedotte dalla Vivendi, relativamente in particolare a: -
violazione dell’art.22 l.109/94, perché sono stati resi noti i
soggetti che avevano fatto richiesta o avevano segnalato il proprio
interesse alla gara prima della scadenza del termine per la
presentazione delle offerte; -
violazione del principio di pubblicità, per aver la Commissione di
gara esaminato in seduta segreta la regolarità della documentazione
relativa alla preselezione; -
violazione del bando di gara, in quanto è stata ammessa, in favore
del raggruppamento vincitore (Suez Lyonnaise), la regolarizzazione
tardiva delle dichiarazioni antimafia ex l.575/65, relativamente alle
persone fisiche; -
violazione dei limiti territoriali-funzionali per la AMGA s.p.a.,
ex azienda speciale del
Comune di Genova, facente parte del raggruppamento vincitore; -
omessa applicazione del criterio della ponderazione relativo alla
quota di partecipazione e al ruolo gestionale; -
errori nella valutazione delle tariffe e degli ammortamenti; -
errori e carenza di motivazione nell’attribuzione del punteggio
relativo alle modalità di finanziamento per gli investimenti contenute
nel piano d’ambito. In definitiva, così facendo, il TAR ha annullato: -
gli atti di gara relativi alla scelta del socio di minoranza per la
costituenda società mista di gestione del servizio idrico integrato
dell’A.T.O. n.4, Alto Valdarno; -
la deliberazione del Comitato di Vigilanza di approvazione della
graduatoria finale della gara; -
la deliberazione dell’Assemblea degli Enti locali sottoscrittori
dell’Accordo di programma del 10 luglio 1998 di approvazione della
graduatoria finale e di aggiudicazione della gara; -
l’affidamento della gestione del servizio idrico integrato
dell’A.T.O. n.4 alla società mista; -
l’atto costitutivo e lo statuto della neo-costituita società di
gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O. n.4. E’ stato fatto salvo, come si accennava, il citato Accordo di
programma tra gli Enti
locali interessati, risalente al 10 luglio 1998. 2.
I
Giudici di prime cure, prima di assumere - nel merito della vertenza -
le determinazioni decisorie di parziale accoglimento sopra riportate,
hanno anche disatteso le eccezioni di tardività del gravame di
primo grado, sollevate dalle Amministrazioni e Enti (allora) resistenti. L’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, per
intempestiva impugnazione della deliberazione di approvazione degli atti
della procedura di selezione del socio privato di minoranza da parte
dell’Assemblea degli Enti sottoscrittori dell’Accordo di programma
(come atto definitivo del procedimento), ritenuta ingiustamente
disattesa dal TAR, è stata riproposta dal raggruppamento aggiudicatario
della gara (Suez-Lyonnaise), che ha peraltro eccepito anche
l’incompletezza del contraddittorio instaurato nel giudizio di primo grado, per mancata notifica
del gravame nei confronti della società mista preposta alla gestione
del servizio idrico integrato, la Nuova Acque s.p.a., costituita,
omologata e iscritta nel Registro delle imprese in epoca antecedente
all’instaurazione del giudizio di primo grado, nonché nei confronti
del Consorzio Intesa Aretina (peraltro intervenuto ad
adiuvandum nel presente giudizio, e che ha aderito in pieno alle
eccezioni in argomento), anch’esso già costituito e iscritto nel
Registro delle imprese al momento della proposizione del ricorso. Il Raggruppamento Suez-Lyonnaise, uno degli appellanti principali,
ha peraltro eccepito anche il difetto parziale di giurisdizione del
giudice amministrativo e quindi, in via gradata, la parziale
inammissibilità del ricorso di primo grado, relativamente
all’annullamento, richiesto al TAR e disposto dal medesimo,
dell’atto costitutivo di una società
di capitali già iscritta nel Registro delle imprese. 3.
Essendo
gli appelli principali fondati nel merito può prescindersi da una
dettagliata disamina delle eccezioni di irricevibilità per tardività
del ricorso di primo grado (oltre che di alcune specifiche censure in
esso contenute), riproposte in questo grado di giudizio, e che peraltro
non si appalesano connotate da fondatezza, atteso che, a tacer
d’altro, la peculiare natura e la particolare impegnatività, di
ordine anche “procedimentale”, dell’Accordo di programma del
luglio 1998 non permettevano comunque, in assenza della prova di una
piena conoscenza del provvedimento finale della procedura concorsuale
acquisita per altri versi, di fare riferimento, nei confronti di un
soggetto partecipante alla gara, alla pubblicazione dell’approvazione
degli atti e degli esiti della procedura concorrenziale come
dies
a quo di decorrenza del termine decadenziale per
l’impugnativa. 4.
Maggiore
attenzione merita certamente l’eccezione di incompletezza del
contraddittorio instaurato in primo grado, per mancata vocazione in
giudizio della società mista (Nuova Acque s.p.a.) preposta
definitivamente alla gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O.
n.4 – Alto Valdarno, che nelle more della notifica del gravame è
stata costituita, omologata e iscritta nel Registro delle imprese. A fronte dell’eventuale fondatezza di tale eccezione il Giudice
di appello non avrebbe, infatti, soverchi margini di scelta, dovendo
inevitabilmente disporre
l’annullamento con rinvio ai primi Giudici, visto che la sacralità
del principio del contraddittorio, nella sua doverosa esplicazione nel
doppio grado di giudizio, impone che si debba prescindere dall’esito,
nel merito, dell’impugnativa, non potendosi condizionare a questo
l’integrazione del contraddittorio dinanzi al Giudice di prime cure
(si veda amplius Cons. Stato,
A.P., 17 ottobre 1994, n. 13). Ma l’eccezione non merita di essere condivisa. Il raggruppamento appellante prende
le mosse dalla circostanza che il ricorso introduttivo era volto ad
ottenere la caducazione, oltre che degli atti preordinati alla
costituzione della società mista cui affidare il servizio idrico
integrato, anche dell’atto costitutivo e dello statuto della predetta
società di gestione del servizio, di cui peraltro l’originaria
ricorrente declamava la non
conoscenza. La società di
cui si discute, essendo stata costituita, omologata e registrata prima
dell’instaurazione del giudizio di primo grado, non poteva non
considerarsi necessario contraddittore, in quanto titolare di un
interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati, e
pertanto nei suoi confronti il TAR avrebbe dovuto necessariamente
disporre l’integrazione del contraddittorio. Tanto premesso, è vero che il TAR, trattandosi di materia
riservata alla giurisdizione esclusiva ex
art. 33 d.lg. 80/98, nell’accogliere il gravame proposto dalla
appellata Vivendi ha pronunciato
anche l’annullamento dell’atto costitutivo e dello statuto della
neo-costituita società di gestione per il servizio in argomento, ma è
altrettanto evidente che tali atti, pur formalmente impugnati (senza
peraltro che la originaria ricorrente desse conto di conoscerli), non
costituivano atti amministrativi censurabili, come invece la serie di
atti e provvedimenti che hanno portato all’individuazione del socio
privato di minoranza. La sorte dell’atto costitutivo e dello statuto in questione
poteva essere, in via del tutto derivata rispetto alla declaratoria di
illegittimità della serie procedimentale sfociata nella scelta del
predetto socio, la nullità per difetto dei presupposti strutturali, ma
non certo quella dell’annullamento
giurisdizionale, in senso tecnico,
da parte del TAR adito. 5.
Del
resto convincenti si rivelano le perspicue argomentazioni formulate
dalla difesa del Raggruppamento Suez nel sollevare la successiva
eccezione, volta ad evidenziare che la pronunzia costitutiva del
giudice, anche nella vigenza di un regime di giurisdizione esclusiva sui
pubblici servizi (e pur quindi negli ambiti di giurisdizione
definitivamente delimitati, in via sopravvenuta, dalla l.205/00,
ritenuti, da una giurisprudenza che si sta sempre più consolidando,
comunque applicabili ai procedimenti introdotti prima della
declaratoria di incostituzionalità, per eccesso di delega,
dell’art.33 del d.lg.80/98, di cui a C.Cost. 17 luglio 2000, n. 292:
cfr. Cass., SS.UU., 27 luglio 1999, n.516; Cons. Stato, V, ord. 28
settembre 2000, n. 4822; IV, 27 novembre 2000, n.6315; VI, 1° marzo
2001, n. 1101 e 27 marzo 2001, n. 1807; v. anche C.Cost. ord. 10 maggio
2000, n.154), relativamente alla quale di per sé non possono
considerarsi estranee all’ambito del giudizio le conseguenze
dell’annullamento giurisdizionale degli atti amministrativi sulla
validità degli atti contrattuali in essere, non poteva violare gli
stretti ambiti di intervento concessi dalla legislazione in tema di
nullità della società (art.2332 c.c.). In merito, infatti,
all’invalidità dell’atto costitutivo della società per azioni
iscritta nel Registro delle imprese, non possono essere pretermesse le
prescrizioni tassative di legge sui casi di nullità della società; in
più la sentenza che dichiara la nullità della società dovrebbe
comunque procedere alla nomina dei liquidatori. Le ragioni di tale scelta ordinamentale sono evidenti, atteso che i
rapporti giuridici facenti capo alla persona giuridica ormai esistente
non possono rimanere adespoti e, in seguito alla sua estinzione, la
successione nei rapporti medesimi non può che conseguire a una
procedura di liquidazione. Il TAR adito non aveva dunque il potere di pronunziare,
conseguentemente alla declaratoria di illegittimità degli atti
amministrativi che avevano portato all’individuazione del socio
privato di minoranza e sulla base della ritenuta giurisdizione
esclusiva, il puro e semplice annullamento
dell’atto costitutivo e dello statuto della neo-costituita
società di gestione, seppur in tal senso formalmente sollecitato
dall’appellata, che aveva evidentemente invocato un effetto caducante
collegato all’illegittimità della procedura contestata in prima
istanza. La lettera dell’art.33, comma 2, lett. a), del d.lg. 80/98, non
modificato sul punto dalla l.205/00 (e quindi esattamente reintrodotto
dalla predetta legge in seguito alla pronuncia di incostituzionalità),
quando statuisce la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo delle controversie concernenti, tra l’altro,
l’istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di
pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali, è stata, del
resto, avvedutamente interpretata nel senso che la disposizione vada
eminentemente riferita alle sole procedure pubblicistiche
(appunto di istituzione, modificazione o estinzione), dovendosi
escludere ogni interferenza del giudice amministrativo in questioni di
stretta attinenza al diritto societario. Esulano, pertanto,
dall’ambito del potere cognitorio del giudice amministrativo le
controversie prettamente privatistiche inerenti alle vicende del
contratto sociale. 6.
A
questo punto però, tornando ad esaminare il profilo dell’integrità
del contraddittorio nel primo grado di giudizio, il Collegio ritiene di
non poter condividere le conclusioni tratte dal raggruppamento
appellante, in merito all’individuazione delle parti necessarie del
processo. Occorre, infatti, delimitare in senso oggettivo-sostanziale la
sfera degli atti (amministrativi) effettivamente impugnabili e non
basarsi, anche per ragioni di economia processuale,
sugli effetti caducanti, pur invocati dalla parte interessata,
che comunque non ricadevano nella potestà cognitoria del giudice
amministrativo adito. Orbene, appare sufficientemente chiaro che la Nuova Acque s.p.a.
veniva a collocarsi, rispetto al mantenimento in vita degli atti di gara
effettivamente impugnabili, in una posizione di indifferenza, o
tutt’al più di vantaggio di fatto e del tutto indiretto, e quindi non
risultava titolare di un interesse qualificato e differenziato tale da
farla assurgere a contraddittore necessario. Ha ragione dunque l’appellata a sottolineare, al riguardo, che
gli atti procedurali oggetto delle censure di legittimità parzialmente
accolte dal TAR – a prescindere dall’effetto
che l’annullamento giurisdizionale poteva produrre sulla
compagine sociale, in termini di nullità – costituivano l’unico
elemento anche temporalmente rilevante
ai fini dell’individuazione dei controinteressati, dovendosi
fare riferimento, per l’esatta cognizione dei medesimi, al momento
dell’emanazione dei provvedimenti amministrativi. Nulla escludeva, come è ovvio, che la neo-costituita società, in
quanto comunque titolare, nella sua sopravvenuta autonomia e personalità,
di un interesse di fatto al mantenimento in vita degli atti
procedimentali impugnati, potesse intervenire spontaneamente nel
giudizio di primo grado, ma la Nuova Acque ha ritenuto di non avvalersi
di tale facoltà. Non diverse considerazioni, seppur non investito direttamente da
una richiesta di annullamento giurisdizionale dell’atto costitutivo e
dello statuto, merita la posizione del Consorzio Intesa Aretina (che ha
peraltro dispiegato intervento ad
adiuvandum in sede del presente giudizio di appello), anch’esso
costituito e iscritto al Registro in epoca precedente alla proposizione
del ricorso. Nella specie si tratta
di uno strumento associativo di coordinamento prescelto dai legittimi
controinteressati, qui appellanti, nel momento in cui sono entrati a far
parte della neo-costituita società di gestione, ma, anche in questo
caso, non si ravvisa una diretta attinenza con i provvedimenti
amministrativi oggetto di impugnazione. Ritenendosi, in definitiva, di individuare la platea dei
contraddittori necessari esclusivamente sulla base dei provvedimenti
(amministrativi) effettivamente impugnabili, prescindendo dalla
prospettazione di questi ultimi fatta a suo tempo da parte
dell’appellata, il contraddittorio instaurato in primo grado risulta,
in tal senso, completo e non si ravvisano, pertanto, le condizioni per
disporre l’annullamento della pronuncia impugnata con rinvio al primo
Giudice. 7.
Si
può ora affrontare, nel merito, alla stregua delle deduzioni degli
appellanti principali, i singoli profili di lagnanza che sono stati
oggetto di adesione da parte dei primi Giudici. Rispettando l’ordine delle censure accolte dal TAR, occorre
prendere le mosse dalla doglianza relativa al settimo motivo del ricorso
originario, per il tramite della quale l’appellata Vivendi
ha lamentato la violazione dell’art.22 della l.109/94. La predetta
disposizione, in tema di accesso alle informazioni, vieta espressamente,
e tassativamente (con una previsione assistita da una specifica sanzione
penale, mediante richiamo dell’art. 326 c.p.), all’ente
aggiudicatore, in deroga alla normativa vigente in materia di
procedimento amministrativo, di comunicare a terzi o di rendere in
qualsiasi altro modo noto: nel caso di pubblici incanti l’elenco dei
soggetti che hanno presentato offerte, prima della scadenza del termine
per la presentazione delle medesime; nei casi di licitazione privata, di
appalto-concorso o di gara
informale che precede la trattativa privata l’elenco dei soggetti che
hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse,
prima della comunicazione ufficiale da parte del soggetto appaltante o
concedente dei candidati da invitare o del soggetto individuato per
l’affidamento a trattativa privata. Tanto chiarito, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che i limiti
al diritto di accesso alla documentazione di cui al predetto art.22
della l.109/94 integrano una regola generale valevole per tutti i
procedimenti di gara, indipendentemente dalla circostanza che la
richiamata legge quadro
disciplini specificamente il settore dei lavori pubblici. Ne conseguirebbe che il suddetto disposto normativo andava
osservato nel procedimento di selezione di che trattasi, con il
conseguenziale divieto di rendere noti i soggetti che avevano fatto
richiesta o che avevano segnalato il proprio interesse alla selezione,
il che, nella specie, non sarebbe avvenuto. In occasione della risposta ai
vari chiarimenti chiesti dalle imprese che avevano manifestato il
proprio interesse alla selezione, l’A.A.T.O., in data 13
novembre 1998, ha inviato, infatti,
due note contenenti i nominativi e gli indirizzi delle imprese
destinatarie, consentendo in tal modo alle stesse di conoscere i
rispettivi potenziali concorrenti. In questo modo sarebbero stati resi noti i soggetti che avevano
segnalato il proprio interesse alla gara prima della scadenza del
termine per la presentazione delle offerte. Il TAR non censura il metodo del chiarimento, riconosciuto come
rispettoso della par condicio,
visto che, indipendentemente dalla provenienza del quesito, è stato
esteso a tutti i soggetti potenzialmente interessati, bensì la forma,
correttamente non adottata nell’immediata
precedenza (note
dell’11 novembre 1998), costituita in pratica da una circolare
divulgativa contenente i dati identificativi delle imprese interessate
alla selezione. Di qui un vizio dell’intera procedura incidente sul buon
andamento, sull’imparzialità e (soprattutto) sulla segretezza del
procedimento di selezione in argomento; vizio che inficerebbe
insanabilmente l’intera procedura, e che quindi comporterebbe, sempre
ad avviso dei primi Giudici (che hanno comunque ritenuto, per
completezza di giudizio, di esaminare anche gli altri motivi di
censura), il travolgimento, e quindi la necessità di rinnovazione
dell’intera procedura di selezione. Gli appellanti principali hanno dedotto, al riguardo, motivi che
non appaiono privi di pregio, soprattutto in punto di fatto. In disparte, infatti, i pur spinosi problemi, da una parte,
dell’applicabilità della disposizione speciale dettata in tema
di accesso alle informazioni dalla c.d. legge Merloni ad ambiti della
materia degli appalti non di stretta competenza (sostenendo la quale
voci autorevoli si sono soffermate sulla ratio di evitare accordi fraudolenti tra alcuni dei partecipanti, a
discapito del libero e corretto svolgimento della gara), nonché,
dall’altra, dei rapporti della disciplina speciale con la disciplina
generale dettata per il procedimento amministrativo dalla l.241/90,
richiamata dal Tribunale con riferimento finanche all’istituto del
differimento dell’accesso (che però è rimesso al libero
apprezzamento dell’Amministrazione),
occorre tenere debitamente conto dei riscontri di fatto e delle
peculiarità, in concreto, della procedura selettiva di che trattasi. Alla procedura selettiva di cui si verte, accostabile, pur con i
dovuti adattamenti, ad un pubblico incanto, vista l’assenza, rilevata
dagli stessi Giudici di prime cure, di una autonoma fase di preselezione
dei partecipanti, poteva al limite applicarsi la sola lett. a) del
citato art.22, comma 1, recante il divieto di comunicare a terzi o di
rendere in qualsiasi modo noto l’elenco dei soggetti che “hanno
presentato offerte” prima della scadenza del termine per la
presentazione delle medesime. Orbene, appare fuori
discussione che le contestate note in parola siano intervenute (in data
13 novembre 1998) quando ancora nessuna
offerta era stata presentata, essendo tutte le offerte pervenute in data
16 novembre 1998, ovvero l’ultimo giorno utile. Non a caso le note dell’A.A.T.O. chiamate in causa indicavano
nominativamente soltanto le imprese che avevano fatto pervenire
richieste di chiarimenti, tra le quali alcune non hanno poi presentato
l’offerta. Non si può dunque condividere, né trova riscontri in
punto di fatto, quanto sostenuto dal Comune di Pieve S. Stefano,
interveniente ad opponendum,
secondo il quale i chiarimenti si riferivano ad offerte che senz’altro
sarebbero state presentate. Inoltre, ad ulteriore conferma, tra l’altro, della peculiarità
della complessa procedura selettiva di cui si discute, va sottolineata
la circostanza, a cui l’appellata non ha fatto cenno nel ricorso
originario, che già prima dell’adozione delle note contestate si
erano tenute, come del resto consentito dagli atti generali di gara,
apposite riunioni collegiali tra tutte le imprese comunque interessate
ad ottenere chiarimenti; in tali occasioni ogni impresa ha potuto
prendere contezza di quali fossero gli altri soggetti richiedenti
informazioni sulla gara, seppur non ancora individuabili come offerenti
(in questo senso non viene ad essere ulteriormente avvalorata la censura
dedotta in primo grado dall’appellata), nella totale par condicio
comunque dei (futuri) partecipanti. La censura circa la violazione del principio della segretezza deve
essere dunque disattesa. 8.
Con
il secondo dei motivi accolti dal TAR, ovvero l’ottavo motivo del
ricorso introduttivo, era stata invece dedotta la violazione del
principio di pubblicità delle operazioni di ammissione alla gara. In particolare con l’indicata censura, ritenuta dai primi Giudici
degna di considerazione, l’appellata si era lamentata del fatto che la
Commissione di gara aveva proceduto in seduta riservata anche
all’esame della regolarità dei documenti attinenti al possesso dei
requisiti di partecipazione e di ammissione alla gara, impedendo quindi
la presenza, alle relative operazioni, dei rappresentanti delle imprese
concorrenti che avevano l’interesse a verificare la regolarità delle
operazioni di controllo di competenza della Commissione. Il TAR ha giudicato integrata la violazione del principio di
pubblicità, argomentando nei termini che seguono. La procedura di selezione di che trattasi aveva richiesto – oltre
ai normali requisiti di ammissione alle gare (come l’inesistenza di
cause di esclusione) – il possesso di requisiti professionali
particolarmente severi che, in assenza di una precedente ed autonoma
fase di preselezione, dovevano essere valutati dalla Commissione di
gara. Il principio di pubblicità che regola, in generale , lo
svolgimento delle gare di appalto, imponeva che per le relative
operazioni (ad eccezione di quelle relative alla valutazione tecnica del
progetto-offerta) la Commissione di gara procedesse in seduta pubblica,
essendo facoltà delle imprese concorrenti non solo verificare la
regolarità della documentazione dei partecipanti alla gara, ma anche
formalizzare nel verbale le eventuali contestazioni. Ma le tesi difensive sviluppate dagli appellanti principali
meritano condivisione, in quanto il pur apprezzabile iter argomentativo
seguito dal TAR nell’accogliere il motivo non riceve, anche in questo
caso, il necessario conforto dai riscontri fattuali. Va in primis chiarito che
la censura dedotta dall’appellata nel ricorso originario appare
pienamente ammissibile, in quanto non risulta intervenuta alcuna
acquiescenza da parte della medesima in ragione del comportamento tenuto
dal proprio rappresentante nelle operazioni di gara in discussione. Al riguardo è sufficiente, infatti, ribadire il ben noto principio
per cui dalla mancata presentazione di un reclamo, e quindi per di più
da un comportamento omissivo, da parte del rappresentante della ditta
ricorrente che ha assistito alle operazioni di gara, non può desumersi
alcuna forma di acquiescenza, dovendosi ricondurre l’interesse
a censurare atti tipicamente endoprocedimentali all’impugnazione
dell’atto conclusivo della procedura di gara (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, V, 5 marzo 2001, n. 1247). Nel merito però, scorrendo dettagliatamente il contenuto dei
verbali di gara, che per le operazioni riportate fanno fede fino a
querela di falso, non è riscontrabile la dedotta violazione del
principio di pubblicità. Risulta, infatti, che la Commissione, in ottemperanza alle
decisioni assunte nella seduta del 16 novembre 1998, ed approvate dal
Collegio di Vigilanza, abbia aperto in seduta pubblica il 18 novembre
1998 la busta n.1, contenente i documenti di ammissione, come ha aperto,
parimenti in seduta pubblica ma il 15 dicembre 1998, la busta n.2,
contenente l’offerta. Nelle suddette occasioni, alla presenza dei rappresentanti dei tre
raggruppamenti partecipanti alla gara, si è proceduto non soltanto a
verificare che le offerte fossero pervenute con le modalità e nei
termini richiesti dal disciplinare di gara, e che i plichi fossero
integri, ma anche a controllare che la busta n.1 contenesse tutti i
documenti di ammissione richiesti dal bando, e che la busta n.2
contenesse invece tutti gli
elementi attinenti all’offerta. E’ evidente che l’esame delle offerte dovesse essere poi
effettuato in seduta segreta, trattandosi di offerte tecniche, rimesse
quindi alla valutazione di merito della Commissione di gara. I primi Giudici, non rilevando alcun vizio quanto alla procedura di
apertura ed esame preventivo delle offerte (busta n.2, verbale n.10 del
15 dicembre 1998), hanno invece ritenuto meritevole di accoglimento la
censura svolta dalla ricorrente originaria in ordine alle modalità di
esame dei documenti di ammissione (contenuti nella busta n.1, di cui al
verbale n.6 del 18 novembre 1998). Risulta in realtà essere stata effettuata in pubblico l’inventariazione
dei documenti, mentre il dettagliato esame nel merito degli stessi, come
comunicato ai rappresentanti presenti, che nulla hanno obiettato al
riguardo (anche se tale circostanza, come accennato, non rileva ai fini
di un’eventuale acquiescenza dell’attuale appellata), è stato
rimandato alla seduta riservata. Può al riguardo presumersi che si sia
tenuto conto anche della rilevante mole dei relativi incartamenti, nonché
della complessità degli adempimenti di verifica documentale, da
attuarsi in una procedura selettiva assimilabile, per certi versi, ad un
appalto concorso, e non solamente dunque ad un pubblico incanto Orbene, anche in mancanza di chiari e rigorosi parametri normativi
di riferimento, può affermarsi che nella specie si sia dato comunque
sufficiente seguito ai principi di trasparenza e pubblicità, valevoli
per ogni forma di gara e la cui portata è sicuramente inderogabile per
quanto attiene alla fase dell’apertura e della verifica
dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa
e le offerte. La Commissione di gara, alla presenza dei rappresentanti dei
concorrenti, non solo, infatti, ha pubblicamente verificato che la
documentazione fosse pervenuta con le modalità e nei termini previsti e
che i plichi risultassero integri, ma ha anche consentito di prendere
visione dei documenti che man mano venivano inventariati e siglati, una
volta controllata pubblicamente la corrispondenza, documento per
documento, con l’elencazione fornita dai concorrenti, con le garanzie
del caso, dunque, contro eventuali manomissioni. E’ pur vero, in definitiva, che la valutazione in seduta
riservata è naturalmente consona all’esame tecnico-qualitativo
dell’offerta e non alle fasi preliminari attinenti all’ammissione
dei concorrenti, ma al tempo stesso non può dirsi che, dato riguardo
ancora una volta alle peculiarità della procedura selettiva in
questione e viste le
formalità procedurali svolte, siano state nella fattispecie vulnerate
in maniera decisiva le garanzie di pubblicità e trasparenza del
procedimento di verifica dei requisiti di ammissione alla gara. Non si
può del resto escludere che, una volta assolti i sopra richiamati oneri
di garanzia, anche l’esame, nel merito, dei singoli requisiti di
ammissione potesse comportare l’espletamento di valutazioni non del
tutto dissimili rispetto a quelle da effettuarsi in sede di stretto
esame tecnico-qualitativo delle offerte (trattandosi di procedura
selettiva per alcuni versi assimilabile all’appalto concorso), e
quindi legittimamente operabili in seduta riservata. Il principio di necessaria pubblicità delle operazioni di gara dei
pubblici appalti pretende, in definitiva, che, in sede di apertura dei
plichi contenenti i documenti di ammissione e le offerte, il materiale
documentario trovi correttamente ingresso con le garanzie della seduta
pubblica (quindi, per i documenti di ammissione, con riscontro,
inventario e, se del caso, visione) e secondo le procedure stabilite
dalle norme generali di gara, il che nella specie sembra sostanzialmente
avvenuto (cfr., ma con riferimento precipuo alle offerte, anche Cons.
stato, V, 14 aprile 2000, n. 2240). Il profilo di doglianza in argomento, per come dedotto dagli
appellanti principali, merita dunque adesione. 9.
Il
Collegio deve ora darsi carico di esaminare il terzo motivo oggetto di
favorevole apprezzamento da parte dei Giudici di prime cure, ovvero il
nono mezzo del ricorso introduttivo, nel quale si affermava che in
ordine all’insussistenza dei
provvedimenti interdittivi di cui alla legge n.575 del 1965 (
antimafia), come successivamente modificata, la Commissione avrebbe
illegittimamente consentito al raggruppamento aggiudicatario la
regolarizzazione della autodichiarazione ammessa in luogo della
produzione documentale, dimostratasi carente per quanto attiene alle
singole persone fisiche preposte agli organi di vertice. Scendendo nel dettaglio, nel caso di specie ognuna delle
partecipanti al raggruppamento vincitore aveva presentato una
dichiarazione, ai sensi dell’art.20 della l.15/68, del rappresentante
della società, nella quale si dichiarava e certificava che nei
confronti della società o della ditta non sussistevano provvedimenti
interdittivi ai sensi della legge 575/65. La dichiarazione resa non coinvolgeva però espressamente le
persone fisiche degli amministratori, soci ecc., con palese
ed inequivocabile violazione, secondo il Tribunale di prima
istanza, dell’art.10-sexies,
comma 4, della citata l.575/65 (peraltro abrogato a decorrere
dall’entrata in vigore del d.lg. 8 agosto 1994, n.490; più
correttamente andava fatto riferimento all’art.2, comma 3, del DPR 3
giugno 1998, n. 252), nonché delle prescrizioni, a pena di esclusione,
contenute nel disciplinare di gara. La dichiarazione veniva poi corretta
e integrata in sede di gara da tutte le società del raggruppamento,
perentoriamente sollecitate dalla Commissione. Ma tale regolarizzazione, o integrazione documentale che dir si
voglia, avrebbe violato le norme poste a presidio della regolarità
della gara e della par condicio,
attenendo ad un requisito di ammissione richiesto dal disciplinare a
pena di esclusione. In altre parole, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che nella
procedura in argomento la mancanza
delle dichiarazioni relative alle persone fisiche non costituiva
una mera irregolarità della dichiarazione antimafia, sanabile ed
integrabile successivamente alla scadenza dei termini per la
presentazione dell’offerta, bensì un vizio insanabile della stessa,
che ne doveva dunque cagionare la giuridica inesistenza. La normativa antimafia richiamata, infatti, richiederebbe
contemporaneamente due distinte certificazioni, ontologicamente diverse:
una relativa alle società, ed un’altra, che sembrerebbe di maggior
peso, relativa a ciascuna
delle persone fisiche che nella società rivestono cariche sociali, al
direttore tecnico ed ai loro familiari. La mancanza dell’una non
poteva essere supplita dall’altra ed il requisito di partecipazione
doveva ritenersi non dimostrato nei termini perentori stabiliti dal
disciplinare. In conclusione, ad avviso del TAR, il raggruppamento
facente capo alla Suez-Lyonnaise doveva essere escluso per il suddetto
motivo e quindi la diversa determinazione della Commissione ha reso
illegittimo il
provvedimento di aggiudicazione al predetto raggruppamento. Le appellanti contestano le argomentazioni e le conclusioni del
TAR, ritenendo che l’omissione dichiarativa di specie abbia integrato
una mera irregolarità, sanabile a cura del responsabile del
procedimento, in virtù anche dei principi generali del favor
per la più ampia partecipazione possibile dei concorrenti e della
collaborazione tra Amministrazione e soggetto privato istante, sancito
quest’ultimo, tra l’altro, dall’art.6, comma 1, lett. b), della
l.241/90, in tema di rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o
incomplete. Viene evidenziato come
la dichiarazione di cui si verte fosse comunque conforme al tenore
letterale del bando e delle norme generali di gara, che facevano
generico riferimento a provvedimenti interdittivi concernenti società e
consorzi, o comunque all’”offerente” come tale, senza dunque
espresso coinvolgimento dei nominativi dei componenti del Consiglio di
amministrazione e degli organi direttivi delle varie società. Le autocertificazioni presentate inoltre, concludono gli
appellanti, potevano comunque interpretarsi nel senso di riferirsi, sia
pure a titolo di indicazione generale, a tutti i componenti degli
organi, intesi come persone fisiche, non potendo esse riguardare le sole
società come tali. Tanto premesso, il disciplinare, al punto B, lett. g),
in effetti richiedeva che gli offerenti dovessero produrre una
dichiarazione del legale rappresentante, rilasciata in forma autenticata
con le modalità di cui all’art.20 della l. n.15 del 1968, che
“l’offerente” non si trovasse nelle condizioni descritte al
successivo punto C1, il quale a sua volta prevedeva che non erano
ammesse a partecipare “le società e/o i consorzi”...”nei cui
confronti” sussistesse un provvedimento interdittivo ai sensi della
legge 575/65, come modificata ed integrata dal d.lg. 490/94. Manca dunque uno specifico richiamo alle persone fisiche, nonché
alla duplice dichiarazione di cui sopra si è accennato. Le argomentazioni degli appellanti si appalesano allora fondate,
tenuto conto soprattutto della circostanza che la Commissione ha
richiesto alle società del raggruppamento aggiudicatario, che avevano
comunque prodotto nei termini una dichiarazione non difforme dal tenore
letterale del disciplinare di gara (che certo non brillava per chiarezza
ed esaustività), di
“confermare” che la dichiarazione prodotta a corredo della
documentazione di gara fosse riferibile a tutti i soggetti (quindi anche
alle persone fisiche sopra richiamate) previsti dalla legge 575/65,
senza dunque richiedere una documentazione non prodotta, né una vera
integrazione documentale. Sembra in effetti essersi trattato di una irregolarità formale, in
quanto tale sanabile, riconducibile non da ultimo a una
formulazione generica, fuorviante, o quanto meno non sufficientemente
precisa, del bando e delle norme generali di gara; carenze
quest’ultime a cui non poteva ovviarsi con il solo richiamo alle
disposizioni di cui alla legge 575/65, pur contenuto nella lex specialis. Possono trovare dunque applicazione i principi generali già
condivisi dalla Sezione, secondo cui le prescrizioni riguardanti
specifici adempimenti in tema di gara per l'aggiudicazione di contratti
della Pubblica amministrazione, quando possano dar luogo a dubbi o
possano essere intese in più di un modo, devono essere interpretate con
riferimento al contenuto sostanziale dell'adempimento e in modo da
consentire la più ampia partecipazione di concorrenti. Il principio
secondo il quale il responsabile del procedimento amministrativo è
tenuto ad invitare a rettificare eventuali irregolarità formali (art.
6, lett. b), legge 7 agosto
1990 n. 241; art. 1, comma 5, d.m. 28 febbraio 1992 n. 303; art. 5
D.P.R. 25 gennaio 1994 n. 130) è applicabile anche ai procedimenti di
gara d'appalto per l'aggiudicazione di contratti della Pubblica
amministrazione, a condizione che non sia turbata la par
condicio dei concorrenti e non vi sia una modificazione del
contenuto della documentazione presentata, il che nella specie non è
avvenuto. L'Amministrazione appaltante ha la facoltà, nell'ambito dei
propri poteri discrezionali, di invitare le imprese a completare o a
chiarire certificati, documenti o dichiarazioni presentati (si vedano le
norme di derivazione comunitaria di cui agli artt. 21, comma 3, d.lg.
406/91, 15, comma 1, d.lg. 358/92 e 16, comma 1, d.lg. 157/95),
costituendo questo un correttivo all'eccessivo rigore delle forme (e ciò,
secondo Cons. Stato, V, 2 marzo 1999, n. 223, anche nei casi in cui il
bando li prescriva a pena di esclusione; cfr. anche VI, 30 gennaio 1998,
n.120). Del resto, come accennato, nella specie non può ravvisarsi una
vera e propria omissione dichiarativa o documentale, né un conclamato
mancato rispetto delle prescrizioni
del disciplinare, passibili di esclusione dell’impresa o del
raggruppamento concorrente. Anche il terzo mezzo di appello risulta dunque fondato. 10.
Particolarmente
pregnante, viste le tematiche generali coinvolte, risulta il quarto
motivo di censura, relativo all’accoglimento, da parte del Giudice di
primo grado, del decimo motivo del ricorso introduttivo, col quale si
contestava l’ammissibilità della partecipazione, nel raggruppamento
vincitore, della società mista AMGA, a capitale pubblico maggioritario
(51%), già azienda speciale e poi società per azioni del Comune di
Genova. Pur dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali, circa la
tematica dell’assunzione, da parte delle società derivate dalla
trasformazione delle aziende speciali costituite per la gestione dei
servizi pubblici locali, di servizi pubblici operanti in ambiti
territoriali diversi da quelli propri degli enti titolari dei servizi
stessi, il TAR adito ha
ritenuto fondata la censura dedotta dall’appellata. Sulla questione, ritenuta attinente al c.d. principio di
strumentalità dell’attività di gestione, inteso come identificazione
dello scopo sociale nella cura degli interessi delle comunità locali,
perseguibili attraverso l’attività di gestione funzionalmente svolta
dalla società nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa è
stata costituita, è intervenuto in via risolutiva, ad avviso del
Tribunale, l’art.17, comma 58, della l.127/97, che, sostituendo la
lett. e) dell’art.22, comma 3, della l.142/90, ha previsto la
possibilità per gli Enti locali di gestire i servizi pubblici nella
forma della società per azioni, o a responsabilità limitata, a
prevalente capitale pubblico locale, costituite o partecipate
dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in
relazione alla natura o all’ambito territoriale
del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o
privati. Lo specifico riferimento, per l’attività gestionale della
costituenda società, alla “natura
o all’ambito territoriale del servizio”, evidenzierebbe,
secondo i primi Giudici, l’intento perseguito dalla novella
legislativa di imprimere un vincolo funzionale, in pratica di scopo,
alla nascita e all’operatività gestionale della società
stessa, che renderebbe incompatibile l’assunzione di attività
gestionali extraterritoriali, e ciò per due ordini di motivi: la scelta
della forma societaria risponde all’esigenza del miglior impiego delle
potenzialità proprie dell’organizzazione imprenditoriale al fine del
conseguimento dei migliori risultati
sul piano dei costi e dei risultati della gestione del servizio;
ma l’assunzione di altri impegni imprenditoriali, coerenti agli scopi societari, al di
fuori dell’ambito territoriale degli Enti locali di cui la società è
espressione, si tradurrebbe nella sottrazione – quanto meno – di
parte dell’organizzazione societaria (uomini, beni e risorse) alle
esigenze della comunità locale, per la sua utilizzazione in scopi
estranei a quelli per i quali la società stessa è stata costituita. Il Tribunale non ha ritenuto coerente con la ratio che contrassegna l’art.22 della l.142/90, che nel delineare
le diverse forme organizzative di gestione dei servizi pubblici muove
sempre da un’implicita ma ben presente valutazione degli
interessi degli Enti pubblici titolari dei servizi medesimi,
l’affermazione di un modello di società di capitali a partecipazione
pubblica che si ponga sul mercato in posizione concorrenziale, come un operatore privato del settore, al di fuori di ogni
collegamento funzionale con la realtà territoriale su cui deve operare. I Giudici di prima istanza hanno così applicato alla fattispecie
l’orientamento giurisprudenziale (maturato però con riguardo
all’assunzione di un pubblico servizio da parte di un’azienda
speciale di altro comune e non quindi di una s.p.a.), secondo il quale
l’estensione dell’attività delle aziende speciali comunali al di
fuori del territorio dell’Ente locale che le ha costituite presuppone
comunque un collegamento funzionale - che non può essere ridotto al
puro dato dell’interesse imprenditoriale - tra il servizio eccedente l'ambito locale e le necessità
della collettività locale, sussistente ad esempio nel caso
dell’integrazione funzionale della propria attività con quella del
Comune confinante, sicché vengano in tal modo soddisfatte anche le
esigenze della collettività stanziata sul territorio dell'Ente che l'ha
costituita (Cons. Stato, V, 23 aprile 1998, n.475). Ne conseguirebbe, in definitiva, che l’AMGA, a causa delle
limitazioni che le finalità pubblicistiche che ne hanno determinato la
costituzione impongono sul piano dell’ambito territoriale delle
attività che può assumere e svolgere, era priva della legittimazione
in ordine all’assunzione del servizio idrico integrato di che
trattasi, con conseguente illegittimità della selezione compiuta a
favore del raggruppamento che
ne ha deciso la cooptazione (e questo
prescindendo dal possesso in capo a un altro componente di tutti
i requisiti richiesti dal disciplinare, nonché dall’ipotizzabilità o
meno di una causa di nullità, ex art. 1419 c.c., dell’accordo contrattuale che ha dato luogo al
rapporto temporaneo finalizzato alla partecipazione alla selezione ed
all’eventuale costituzione della società mista
per l’assunzione del servizio idrico integrato). Le argomentazioni, fin qui esposte,
dei primi Giudici possono essere sovvertite sulla base di alcune
fondate considerazioni rassegnate dagli appellanti, di modo che,
tra l’altro, il Collegio può ritenersi esonerato dall’approfondito
esame delle eccezioni – peraltro di non immediata fondatezza -
sollevate dai medesimi ricorrenti in appello, relativamente alla
presunta tardività, e
inammissibilità per difetto di interesse, della doglianza proposta in
primo grado dall’appellata Vivendi e ritenuta fondata dal TAR. Nel merito, in primis,
pur prendendosi atto dell’evoluzione che ha visto la giurisprudenza
amministrativa, soprattutto di primo grado, prevalentemente assumere, in
merito all’ambito territoriale di operatività delle s.p.a. a
partecipazione pubblica locale, una posizione piuttosto omogenea
a quella adottata in relazione alle aziende speciali, occorre
tuttavia rimarcare le differenze che, tutt’altro che superate dalla
disciplina normativa vigente, ancora interessano
questi due fondamentali moduli gestionali dei servizi pubblici
locali. L’orientamento secondo cui, proprio tenendo conto di questa
presunta affinità con le aziende speciali, le s.p.a. a partecipazione
pubblica locale, dovendo anch’esse svolgere attività strumentale
rispetto ai fini dell’ente pubblico di pertinenza, non possono di
norma operare al di fuori dell’ambito territoriale di quest’ultimo,
nella sua radicalità e assolutezza merita di essere rivisto. I limiti di ammissibilità dell’attività extraterritoriale delle
aziende speciali e delle s.p.a. a partecipazione pubblica locale non
possono essere, infatti, affrontati negli stessi termini, proprio perché
altrimenti, come rileva il raggruppamento aggiudicatario, si
assisterebbe nel caso delle s.p.a. locali, a dispetto del nome e
soprattutto della disciplina, ad un inaccettabile duplicato
dell’azienda speciale o ad una sorta di “azienda speciale in forma
societaria”, in contrasto evidente con le norme vigenti e in
controtendenza con le linee di riforma del settore. Né può affermarsi che l’omogeneizzazione delle due formule
organizzative può essere per così dire limitata, nella sua portata,
proprio ad un aspetto come quello degli ambiti funzionali e territoriali dell’attività, che riveste, all’evidenza,
vitale rilevanza in un assetto commerciale di mercato sempre più
globalizzato. Se voci autorevoli,
anche della dottrina specializzata, rilevano che - conseguita
dall’azienda speciale, e quindi dalla ex municipalizzata,
la natura di ente pubblico economico con personalità giuridica -
la differenza rispetto alla società mista sotto dominanza pubblica si
disvela assai flebile nella prospettiva comunitaria di tutela della
concorrenza, non possono essere del tutto pretermesse le peculiarità
che caratterizzano, anzitutto ai sensi di legge, la stessa figura
dell’azienda speciale. Disciplinata ora dagli artt. 113, lett. c) e 114 del T.U. 267/00,
l’azienda speciale ha natura, come è noto, di ente pubblico
economico, strumentale, dotato di autonomia imprenditoriale. L’economicità
della gestione, non riconducibile a un fine di lucro, pretende, come per
tutti gli enti economici, la copertura dei costi corrispondenti alla
remunerazione dei fattori della produzione impiegati. Orbene la Sezione ha avuto modo recentemente di affermare (seppur
in specifica relazione all’applicabilità della giurisdizione del
giudice amministrativo alla luce dei connotati pubblicistici della sua
natura e del suo modus agendi) che l'azienda speciale è comunque soggetto
istituzionalmente dipendente dall’Ente locale ed è con esso legata da
stretti vincoli (sul piano della formazione degli organi, degli
indirizzi, dei controlli e della vigilanza), al punto da farla ritenere
elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso ente
territoriale, ovvero, pur con l'accentuata autonomia derivantele
dall'attribuzione della personalità giuridica, finanche parte
dell'apparato amministrativo del Comune (Cons. Stato, V, 19 settembre
2000, n. 4850; 15 maggio 2000, n.2735; v. anche C.Cost.
12 febbraio 1996, n. 28). L'attribuzione della personalità giuridica non ha trasformato
l'azienda speciale in un soggetto privato, ma l'ha solo configurata come
un nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici,
distinto dal Comune e con una propria autonomia decisionale, e l'ha
facoltizzata, per l'esercizio di un'attività che ha rilievo economico,
ad effettuare scelte di tipo imprenditoriale, cioè ad organizzare i
fattori della produzione secondo i modelli propri dell'impresa privata
(compatibilmente peraltro con i fini sociali dell'Ente titolare) per il
conseguimento di un maggiore grado di efficacia, di efficienza e di
economicità del servizio pubblico. La “capacità imprenditoriale” non va, però, oltre tali
confini e subisce restrizioni anche in detti ambiti. Basti pensare che
spetta al Comune la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti
dall'azienda speciale. L'art. 22 della legge n. 142 del 1990 (ora art.113 d.lg. 267/00),
nel dare al Comune la facoltà di gestire i servizi pubblici,
oltre che nella forma dell'azienda speciale, anche a mezzo di società
private (società per azioni o società a responsabilità limitata ex
art. 17, comma 58, della legge n. 127 del 1997, costituite o partecipate
dall'Ente locale) “qualora sia opportuno in relazione alla natura o
all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti
pubblici o privati”, ha allora evidentemente indicato un modulo
alternativo di gestione, seppur anch’esso non del tutto alieno a
finalità e connotati ancora sostanzialmente pubblicistici. A tal ultimo proposito, ma con precipuo riguardo alla tematica
del riparto di giurisdizione, questo Consiglio ha in effetti con
chiarezza affermato che ai fini dell’identificazione della natura
pubblica di un soggetto la forma societaria assume veste
neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per
sé in contraddizione con il fine societario lucrativo, descritto
dall’art. 2247 c.c. (cfr. Cons. Stato, VI, 27 ottobre 1998, n. 1478 e
più di recente 2 marzo 2001, nn. 1206
e 1207, e 1° aprile 2001, n.1885; quest’ultima pronunzia
peraltro non attiene in alcun modo ai profili di capacità
“territoriale” delle società pubbliche locali, trattandosi della
ben diversa ipotesi di una società di gestione aeroportuale,
partecipata in via totalitaria da Enti locali e affidataria di un
servizio di interesse statale, che rivendicava comunque la natura di
società privata al fine di sfuggire al limite di partecipazione
azionaria, imposto per decreto ai soli soggetti pubblici, in occasione
della privatizzazione di altra società pubblica di gestione
aeroportuale). I dicta di questo
Consesso non risultano però richiamati in maniera particolarmente
conferente dal TAR nella pronunzia impugnata, non mostrandosi
convincente la rigida e intransigente connessione tra permanenza di
natura e finalità pubblicistiche in capo alle
società miste locali e limitazioni all’attività
extraterritoriale. Del resto gli elementi che pur comportano, ai sensi di legge,
l’inquadramento delle società in argomento nell’ambito degli
organismi di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori tenuti al
rispetto delle procedure dell’evidenza pubblica ai fini della stipula
di contratti di appalto con terzi, e quindi sottoposti alla
giurisdizione del giudice amministrativo, non possono giungere al punto
di far configurare anche tali società, al pari delle aziende speciali,
come organi strumentali intimamente collegati all’ente territoriale,
conseguentemente imponendo loro, in maniera indiscriminata, gli stessi
stringenti limiti posti all’attività espletata al di fuori del
territorio dell’Ente locale che le ha costituite. Limiti che nel caso delle aziende speciali in effetti conseguono
all’elemento della strumentalità, sulla cui base ha poggiato le
fondamenta l’orientamento giurisprudenziale - fatto proprio anche
dalla Sezione - secondo il quale l’estensione dell'attività delle
aziende speciali comunali al di fuori del territorio dell'Ente locale di
riferimento presuppone comunque un collegamento funzionale tra il
servizio eccedente l'ambito locale e le necessità della collettività
locale, e richiede il rispetto di regole procedimentali e limiti
sostanziali posti da norme positive (Cons. Stato, V, 6 aprile 1998,
n.432; 20 marzo 2000, n. 1520). E sono le stesse norme ad indicare che il nesso eziologico che
necessariamente deve sussistere tra le funzioni che è chiamata ad
assolvere l'azienda speciale, quale ente strumentale del Comune che l'ha
costituita, e la tutela degli interessi di cui sono portatori i
cittadini residenti nel Comune stesso, può essere proteso verso
l'esterno della stretta dimensione locale solo nei casi e con le modalità
particolari normativamente previste dalle speciali disposizioni in tema
di convenzioni e di consorzi, ai sensi degli artt. 24 e 25 L. 8 giugno 1990 n. 142 (si veda
anche l’art.5 del DPR 902 del 1986, del quale è discussa
l’abrogazione implicita). Le aziende speciali, al di fuori degli speciali moduli
convenzionali e consorziali tra Enti locali previsti dalle norme di
legge e regolamentari, non sono legittimate a partecipare, in
concorrenza con altri soggetti privati ed alla stregua di una qualsiasi
impresa operante sul mercato, alle gare per l'appalto di pubblici
servizi da svolgersi presso altri Enti locali. La strumentalità dell’azienda speciale e il regime normativo
vigente in materia pretendono, in definitiva, un collegamento molto
saldo, seppur di natura “funzionale”, tra l’attività
dell’azienda stessa e le esigenze della collettività stanziata sul
territorio dell’Ente che l’ha costituita. Ma il quadro necessariamente cambia per il modello societario di
gestione dei servizi pubblici locali, dal punto di vista sia dei vincoli
funzionali che delle attività consentite, con riferimento anche
all’interpretazione che va resa di queste ultime nozioni. E’ vero che anche in questo
ambito il limite rigidamente territoriale ha da tempo ceduto
definitivamente il passo, come si è visto anche per le aziende
speciali, a un vincolo di tipo “funzionale”, coincidente con
l’inerenza dell’attività delle società locali alla cura degli
interessi della collettività di riferimento, e questo grazie anche a
fondamentali, seppur non più recentissimi, arresti della Corte delle
leggi e di questo Consiglio (trattasi di C.Cost. 2 febbraio 1990, n.51 e
Cons. Stato, VI, 12 marzo
1990, n.374, secondo i quali, rispettivamente, “per le attività
inerenti alla capacità di diritto privato ciò che va considerato
concerne essenzialmente l’esistenza di un rapporto servente o di
collegamento strumentale tra tali attività e le finalità proprie della
regione come ente esponenziale degli interessi della comunità
regionale”, nonché, da parte del Consiglio di Stato con prospettiva
più specificamente indirizzata alla problematica in esame, “l’ente
pubblico, quale soggetto giuridico, ha una pienezza di capacità che gli
consente di far tendenzialmente ricorso a tutti gli strumenti conosciuti
dall’ordinamento per
raggiungere i propri scopi; dunque, non può dubitarsi della facoltà
degli enti locali territoriali di costituire società per azioni, per la
cui attività il territorio non rileva, potendo rappresentare un limite
all’esercizio delle potestà pubblicistiche ma non della capacità di
diritto privato; sarà dunque ammissibile lo svolgimento di tutte quelle
attività – e solo di quelle – in cui sia rinvenibile un obiettivo e
diretto riferimento al complesso degli interessi della collettività
impersonata dall’ente”). Ricollegandosi a tali pronunce ci si è orientati nel senso di
consentire che le società miste locali partecipino alla gestione di
servizi locali di altri enti territoriali, e che l’unico limite
effettivamente prospettabile, venuto meno quello strettamente
fisico-territoriale, è quello costituito dall’inerenza funzionale
dell’attività alla cura degli interessi della collettività di riferimento,
precisandosi che la determinazione del campo di azione della società può
rappresentare il mezzo attraverso il quale potersi realizzare la
soddisfazione degli interessi locali, attuata attraverso modelli di
indole non pubblicistica (cfr. anche
Cons. Stato, A.G., par. 16 maggio 1996, n. 90). Ma di recente, soprattutto nella giurisprudenza di primo grado,
hanno preso piede interpretazioni applicative piuttosto restrittive del
vincolo di funzionalità (emblematico è l’esempio di TAR Liguria, II,
8 maggio 1997, n. 134, che ha, tra l’altro, anche ribadito che nel
sistema della l. 142/90 l'affidamento del servizio pubblico a
costituenda società per azioni a capitale pubblico locale
maggioritario costituisce una conseguenza diretta della
deliberazione di avvalersi del modulo societario, senza che sia
necessario un ulteriore provvedimento, sia pure necessitato, quale fonte
dell'affidamento del servizio, cosi come non è configurabile un
rapporto concessorio ope legis;
v. anche TAR Lombardia, Brescia, 21 agosto 1998, n.746). Possono così rinvenirsi, relativamente alla delimitazione
degli ambiti dell’attività extra
moenia delle società di capitali a partecipazione comunale (nel
caso della citata pronunzia del Tribunale ligure la stessa AMGA di
Genova), affermazioni piuttosto nette in base alle quali la rigida
strumentalità dell'attività non è un principio ristretto all'ambito
di azione delle aziende speciali (già municipalizzate), ma è
configurabile anche in relazione alle società di tipo commerciale
costituite da Enti territoriali; pertanto l'estensione dell'attività di
Società a prevalente capitale pubblico al di fuori del territorio
dell'Ente locale che l'ha costituita presupporrebbe un collegamento che,
si ribadisce fermamente, non può essere ridotto al puro dato
dell'interesse imprenditoriale (in tema cfr. anche Cons. Stato, V, 14
novembre 1996, n. 1374). La società mista, nata per la gestione di un servizio pubblico
locale, troverebbe il proprio limite di intervento nello scopo,
consistente nella doverosa promozione dello sviluppo della comunità
locale. In altri termini, caduto definitivamente il criterio del
territorio come limite insuperabile per l’attività della società
mista, il necessario collegamento funzionale con la collettività locale
escluderebbe tuttavia che tale società possa porsi sul mercato come un
qualunque altro imprenditore, giacché si imporrebbe la dimostrazione
che la gestione di un servizio pubblico di un diverso ente soddisfi
specifiche, non quindi meramente generiche, esigenze della collettività
originaria. Orbene il Collegio non intende tentare di scardinare in questa sede
l’impianto argomentativo che prevede
la sussistenza anche per le società miste locali di un vincolo di
ordine funzionale che leghi comunque l’attività societaria agli
interessi della collettività di cui l’ente costituente la società è
figura esponenziale, e questo tanto più considerando che al modulo
privatistico della società per azioni continuano in effetti a
corrispondere, in questo periodo di transizione, connotati tipicamente
pubblicistici (basti pensare, oltre agli elementi già accennati, alle
facilitazioni e ai
privilegi che le società miste locali ancora incontrano
nell’affidamento del servizio e nell’accesso ai finanziamenti), che
confermano il permanere della natura speciale e “ibrida” di questa
figura societaria. Non per questo, però, può accettarsi tout court che il collegamento funzionale prescinda dalla natura
giuridica, di soggetto di diritto privato, seppur “speciale”, o di
ente pubblico economico, del gestore del servizio, condizionando
nell’identica misura l’attività dell’azienda speciale e della società mista locale. Se dunque si insiste nell’affermare che l’attività
extraterritoriale, per tutte le figure per le quali esiste un vincolo
teleologico al
soddisfacimento dei bisogni della collettività locale, si appalesa
subordinata alla dimostrazione che in tal guisa viene soddisfatta una
specifica esigenza della medesima collettività, che non si traduca in
un mero ritorno di carattere imprenditoriale, non può al contempo
ricondursi l’utilità del modello societario prescelto alla sola
maggiore agilità procedurale, precludendo del tutto al medesimo di
prodursi in attività e confronti (che dovrebbero essere a questo punto
per loro natura concorrenziali, non potendosi ipotizzare uno schema
legittimo di affidamento diretto a società mista costituita da altro
Comune) al pari dei liberi soggetti economici. In altre parole il pur apprezzabile fine di non snaturare lo scopo
per il quale la società è sorta non può portare, a sua volta, a
snaturare completamente il, seppur speciale, modello privatistico
societario prescelto. Per sostenere una visione in concreto più attenta alle peculiarità
del modello societario, senza un atteggiamento di chiusura aprioristica
nei confronti delle attività societarie extra
moenia, non vi è bisogno di scomodare, come pure ha tentato un
Tribunale di prima istanza, la disciplina organizzativo-statutaria delle
società (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 25 luglio 1998, n.507, che peraltro
ha aderito alla visione tipicamente privatistica del modello societario
in argomento, autorevolmente sostenuta dalla Suprema Corte - cfr. Cass.,
SS.UU., 6 maggio 1995, n. 4989 e 4991 – ma non fatta propria da questo
Consiglio). Non ritenendo il Collegio di aderire alla visione esclusivamente
privatistica del modello della società mista locale, come soggetto
privato dotato di capacità imprenditoriale a tutti gli effetti e
del tutto sganciato, anche funzionalmente, dalla collettività di
riferimento, non può considerarsi, infatti,
elemento decisivo, ai fini del riconoscimento di una maggiore
libertà di azione, l’assenza nello statuto societario omologato di una
specifica previsione che limiti l’attività extraterritoriale della
società medesima. Una volta optato cioè per l’ipotesi pubblicistica non possono
assumere effetto dirimente le insindacabili previsioni dello statuto
societario circa gli spazi di manovra concessi all’attività della
società. Ben più rilevanti si appalesano, invece, i dati emergenti dal
sistema normativo, che non depongono nei sensi indicati dall’appellata
e dalla pronunzia di primo grado impugnata.
E’ vero che la “defunzionalizzazione” della società mista
non è stata ancora definitivamente sancita dal legislatore, seppur il
disegno di legge n.4014, approvato da uno dei rami del Parlamento,
sembra chiaramente ipotizzare un quadro di omogeneità dei moduli
organizzativi gestionali, operanti in un ambito tipicamente
concorrenziale, con obbligo di gara per l’affidamento di tutte le
tipologie di servizio pubblico locale e ammissione alle procedure
selettive, senza limiti territoriali, delle società miste, le quali tra
l’altro, con l’obbligatoria trasformazione delle aziende speciali
(ora facoltativa a norma dell’art. 115 del T.U. 267/00), sembrerebbero
dover rappresentare l’unica formula organizzatoria realmente a
disposizione dei Comuni e degli altri Enti locali. Non per questo però, come invece pretende il primo Giudice, può
farsi discendere dall’entrata in vigore della modifica apportata
dall’art. 17, comma 58, della l.127/97 (c.d. legge Bassanini II)
all’art.22, comma 3, lett. e) della l.142/90 - che ha subordinato
l’affidamento di servizi pubblici
a società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale
pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del
pubblico servizio alla condizione che la partecipazione
di più soggetti pubblici o privati sia opportuna “in relazione
alla natura o all’ambito territoriale del servizio” – un
rinvigorimento del vincolo territoriale-funzionale di cui si è
discusso. Come, infatti, avvedutamente rilevato dagli appellanti, in primo
luogo il riferimento all’ambito territoriale sembra concernere più da
vicino la possibilità di affidare direttamente il servizio ad una
società per azioni, non ponendo direttamente limiti all’attività
della società stessa, limiti che creerebbero, tra l’altro, non
indifferenti momenti di criticità anche con l’ordinamento
comunitario; in secondo luogo l’ambito territoriale del servizio
sembra profilarsi come un criterio di individuazione degli Enti locali
da coinvolgere nella composizione societaria (ad esempio privilegiando
la costituzione di società da parte di enti locali confinanti o aventi
necessità essenziali comuni) e non dunque come un criterio di
delimitazione territoriale dell’attività della società di capitali. A questo punto il
nocciolo della questione è individuare, cum
grano salis, gli ambiti
che devono essere residualmente concessi al vincolo funzionale che lega
la società mista locale alla collettività di riferimento, tenendo
conto che si ha a che fare sostanzialmente con un soggetto
imprenditoriale di diritto privato, per lo più, come nella specie,
quotato in borsa e pertanto logicamente sensibile alle esigenze anche
dei privati investitori, ma non del tutto alieno alle finalità
pubblicistiche ed agli interessi pubblici della realtà territoriale che
ha proceduto alla sua costituzione. Non è accettabile che sotto le mentite spoglie del limite
funzionale torni a vigere uno stringente limite di carattere
fisico-territoriale, né può pensarsi ad un vincolo interpretato negli
stessi identici termini delle aziende speciali. Tanto premesso, ad avviso del Collegio il vincolo funzionale
va dimensionato di volta in volta valutandone gli
effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se
l’impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza
risorse e mezzi, senza
apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione
all’impegno profuso e agli eventuali
rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento. Il vincolo funzionale opera in termini residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una
distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che
realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di
riferimento. Nella specie non si assiste ad un diretto e singolare impegno
extraterritoriale dell’AMGA volto
alla gestione del servizio, bensì solamente all’assunzione, da parte
della medesima, di una partecipazione finanziaria del tutto
minoritaria (2%) nell’ambito di un consesso di ditte, risultate
aggiudicatarie della selezione, destinato, a sua volta, ad assumere il
ruolo di partner privato di minoranza della neo-costituita società per
la gestione del servizio idrico integrato. Non si vede, pertanto, come una partecipazione finanziaria
minoritaria di siffatto tipo, non
gravata da diretti oneri gestionali del servizio, nell’ambito di un
socio privato a sua volta di minoranza, possa integrare una rilevante
distrazione di mezzi e risorse a discapito
della collettività territoriale
di originario riferimento, e quindi quel paventato depauperamento
dell’organizzazione societaria operante a servizio del Comune
istitutore. Anzi, oltre a potersi ipotizzare ritorni di carattere finanziario,
comunque non del tutto trascurabili per una società quotata in
borsa, ammessa al mercato telematico e per il 49% collocata sul mercato
anche mediante azionariato diffuso, non possono realisticamente
escludersi vantaggi dal
punto di vista dell’esperienza acquisita per il Comune costituente, a
fronte di un’esposizione a rischi presumibilmente
trascurabili e di ordine meramente finanziario. Si può, in definitiva, convenire con gli appellanti principali sul
punto che la partecipazione minoritaria, di ordine meramente
finanziario, di AMGA all’interno del soggetto che si è aggiudicato,
in seguito a procedura concorrenziale, la quota minoritaria di una
s.p.a. a prevalente capitale pubblico locale per la gestione del
servizio idrico integrato di cui si verte, non può essere assimilata ad
una diretta assunzione di servizi pubblici operanti in ambiti
territoriali diversi da quelli di ordinaria pertinenza. Mancando gli effettivi
riscontri della lamentata sottrazione di parte dell’organizzazione
societaria, nel senso di uomini, beni e risorse, alle esigenze delle
comunità locale, per la sua eventuale utilizzazione in scopi
estranei a quelli per i quali la società stessa è stata
costituita, non può dirsi concretamente vulnerato il vincolo funzionale
con la collettività di riferimento. Nei sensi suddetti la censura dedotta dagli appellanti merita
dunque adesione. 11.
Il
Collegio è chiamato a questo punto ad affrontare gli ulteriori profili
di doglianza ritenuti degni di adesione dal TAR, incentrati più da
vicino sull’operato della Commissione esaminatrice e aventi riguardo,
in particolare, all’applicazione che la Commissione ha fatto dei
criteri di valutazione delle offerte dalla medesima prefissati. Giova premettere che il disciplinare di gara stabiliva tre
parametri di selezione, riassumibili nei termini che seguono: 1)
criterio H.1: esperienze di gestione e qualifiche soggettive
dell’offerente desumibili dalla
documentazione di offerta di cui ai punti E.1, E.2, E.3 ed E.5 (fino a
50 punti); 2)
criterio H.2: modifiche migliorative al piano d’ambito, secondo
quanto previsto ai punti E.7 e E.8 (fino a 35 punti); 3)
criterio H.3: modalità di finanziamento da parte di terzi degli
investimenti previsti nel piano d’ambito, secondo quanto indicato al
punto E.12 (fino a 15 punti). I parametri H.1, H.2 e H.3 facevano dunque espresso riferimento ai
documenti richiesti per l’offerta di cui ai punti E.1 e seguenti. La Commissione giudicatrice, nella seduta del 16 novembre 1998
(verbale n.5), ha predeterminato i sottoparametri per ciascun criterio
di selezione, stabilendo un’ulteriore suddivisione all’interno dei
punteggi fissati dallo stesso disciplinare. In particolare ha
distribuito i 50 punti a disposizione del parametro H.1 stabilendo di
assegnare da 1 a 5 punti al parametro E1, da 1 a 20 punti al parametro
E2 come pure al parametro E3, da 1 a 5 punti al parametro E5; ha invece
distribuito i 35 punti del parametro H.2 stabilendo di assegnare da 1 a
17 punti al parametro E7 e da 1 a 18 punti al parametro E8. Per ciascuna
suddivisione del punteggio, la Commissione ha specificato, nello stesso
verbale n.5, i criteri ai quali si sarebbe attenuta nella valutazione
delle offerte e nell’attribuzione del punteggio. 12.
Connotata
da fondatezza anzitutto è stata ritenuta dai primi Giudici la censura
(risalente al terzo degli otto profili di illegittimità tutti dedotti
con il primo motivo del ricorso introduttivo) che denunciava l’erronea
valutazione che la Commissione avrebbe compiuto in ordine al parametro
E3, riguardante le esperienze maturate nella gestione di progetti di
investimento attuati nella funzione di gestore
di servizi idrici. Il TAR ha, nella specie, ritenuto illegittimo l’operato della
Commissione che avrebbe stravolto, una volta conosciute le offerte, il
criterio che lei stessa aveva predeterminato, decidendo di assegnare
peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione relativo alla
quota di partecipazione. Da quanto riportato dai verbali emergerebbe in particolare, ad
avviso dei Giudici di prime cure, che
il criterio di ponderazione relativo alla quota di partecipazione ed al
ruolo gestionale ricoperto è stato immotivatamente, e quindi
illegittimamente, pretermesso. Ma, al contrario, emergono elementi che accreditano le
argomentazioni degli appellanti, in quanto la Commissione, nella seduta
del 14 gennaio 1999 (verbale n.18), dopo aver dato atto di aver
istituito una apposita tabella sinottica per valutare gli importi
relativi ai progetti di investimento pregressi, elencati e descritti da
ciascun offerente, e la dimensione economica totale dei progetti per
ciascun raggruppamento, a seguito dell’esame delle documentazioni
presentate ha deciso di
assegnare un peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione
relativo alla quota di partecipazione. Non vi è stata dunque la lamentata omissione di
valutazione del sottoparametro al cui esame la Commissione si era
autovincolata, bensì una consapevole e non aprioristica attribuzione di
peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione, una volta
appurato che la documentazione prodotta dai concorrenti in ordine alle
gestioni pregresse deponeva nel senso di una sostanziale equivalenza nel
ruolo gestionale e nella quota di partecipazione. Che vi sia stata, precedentemente al predetto giudizio di
equivalenza, un’analisi sufficientemente dettagliata delle pregresse
esperienze di gestione è confermato, inoltre, dall’allegato n.24,
seppur non direttamente attinente al parametro in discussione, ove sono
stati indicati sia il ruolo nella gestione dei servizi idrici sia lo
schema contrattuale in
funzione del quale risulta essere stato conferito l’affidamento del
servizio. Né tali risultanze sono contraddette dall’allegato n.28, dove
sono state riportate, in termini di dati aggregati, le pregresse esperienze dettagliatamente illustrate
nell’allegato n.24. 13.
Con
la sentenza appellata ha trovato poi parziale accoglimento anche il
quinto, peraltro piuttosto complesso, profilo di illegittimità dedotto
dall’appellata con il primo motivo del ricorso originario, riguardante
la valutazione delle proposte di modifica
al piano d’ambito per migliorare i livelli gestionali di servizio
(parametro E7) ed il piano degli investimenti (parametro E8). Dichiarato inammissibile il profilo di doglianza attinente al
frazionamento valutativo dei due parametri, in quanto sfuggente alle
scelte sindacabili da parte del giudice amministrativo, ritenuti invece inconsistenti, nel merito, i rilievi
dell’appellata circa le pretese modifiche del piano d’ambito,
asseritamente operate dal raggruppamento aggiudicatario
nella formulazione dell’offerta, nonché circa l’accensione
di finanziamenti in favore dei Comuni, in quanto non supportati da
idonei riscontri documentali, il TAR ha però giudicato fondati gli
altri profili di censura, concernenti gli aspetti delle “tariffe” e
degli “ammortamenti”, elementi che entrambi involgono, anch’essi,
la coerenza del comportamento della Commissione ai criteri che la stessa
si era imposta. Il Tribunale ha ritenuto consistente la censura della Vivendi,
relativamente al parametro E7, rilevando che la Commissione, dopo aver
fatto riferimento al riepilogo delle proposte di variante riportate in
un’apposita tavola e sommariamente richiamato i tratti più
qualificanti delle varianti
stesse per ogni concorrente, avrebbe concluso attribuendo direttamente i
punteggi senza farsi carico in alcun modo, in palese contraddizione con
i criteri che aveva predeterminato, di ponderare le migliorie con le
eventuali ripercussioni sulla tariffa applicabile, riferendo in ordine
alla necessaria coerenza con la bozza di regolamento d’utenza. Né
vale sostenere, proseguono i primi Giudici, che la ponderazione con le
eventuali ripercussioni tariffarie sarebbe dovuta intervenire in via
eventuale ove effettivamente rilevabile dalle proposte migliorative, in
quanto dal verbale si evince che la Commissione si è semplicemente
dimenticata di farsi carico di verificare la stessa eventualità di tali
ripercussioni. La sentenza appellata riconosce che la Commissione ha dato ampio
spazio all’aspetto tariffario in sede di valutazione del parametro E8,
ma questo sarebbe avvenuto sotto altra prospettazione, ossia in
relazione alle migliorie al piano degli investimenti e non con riguardo
alle eventuali ripercussioni sulla
tariffa delle migliorie apportate sui livelli gestionali. La
Commissione, a conclusione delle sue considerazioni sul parametro E8,
avrebbe inoltre ritenuto di non dovere attribuire valenza preminente, in
sede di valutazione selettiva, al livello tariffario proposto dai
singoli partecipanti, assumendo, secondo il TAR, una decisione in
controtendenza su un elemento di valutazione ritenuto invece sensibile
in sede di predeterminazione dei criteri. Ne conseguirebbe, in definitiva, la palese omissione, se non una
vera modifica, di un criterio di giudizio che la Commissione si era
autovincolata a seguire nella sua valutazione. Anche in questo caso le conclusioni dei primi Giudici
non resistono efficacemente alle deduzioni degli appellanti. Come può ricavarsi dal verbale n.18 del 14 gennaio 1999, al fine
di poter esprimere un giudizio circa le varianti proposte, nei termini e
per le finalità previste dal disciplinare
e dal parimenti citato verbale n.5 del 16 novembre 1998,
l’esame è stato condotto considerando l’eventuale differenziale
esistente in termini di livello di servizio ottenuto sulla base della
variante, “tenendo conto delle possibili ripercussioni in termini di
costi sulla tariffa applicabile”. La valutazione delle proposte dei concorrenti è stata dunque
condotta anche considerando le possibili ripercussioni sulla tariffa,
come può evincersi pure dalla tabella n.29, riassuntiva delle proposte
migliorative. Il punteggio attribuito rappresenta il giudizio sintetico
complessivo della Commissione, legittimamente espresso da un valore
numerico, sulle migliorie presentate dagli offerenti, sotto il duplice
profilo della valutazione
del livello del servizio e della valutazione delle ripercussioni
in termini di costi sulle tariffe. Problemi di legittimità sarebbero potuti sorgere ove la
Commissione non si fosse premurata di chiarire, con dichiarazione
verbalizzata, che il punteggio complessivo aveva tenuto conto
anche delle ripercussioni delle migliorie sulla tariffa. La circostanza infine che i livelli di tariffa risultanti dalle
proposte degli offerenti non
si discostassero tra di loro in misura significativa ha giustificato,
dal punto di vista della logicità, il fatto che la Commissione si sia
soffermata maggiormente sulle migliorie ai livelli dei servizi, che
costituivano a quel punto l’elemento centrale di valutazione con
riferimento al parametro E7. Ma è stata una specifica e ponderata disamina, nel quadro di tutte
le componenti tecniche, economiche e finanziarie dell’offerta, che ha
condotto la Commissione a non considerare preminente l’elemento
tariffario nell’attribuzione del punteggio, coerentemente del resto al
fatto che la gara in questione era basata sui miglioramenti al piano
d’ambito e non sul ribasso della tariffa. 14.
Il
TAR ha poi ritenuta fondata la doglianza dell’appellata Vivendi
incentrata sul rilievo dato
dalla Commissione al criterio di ammortamento di natura finanziaria
utilizzato nella proposta migliorativa della Suez-Lyonnaise, nonostante
che questo fosse contrario all’art.69 del T.U.I.R. (DPR 917/86), nonché
all’art.28 dello schema di convenzione approvato dalla Regione. La fondatezza della censura è stata rilevata dai primi Giudici con
precipuo riferimento al contrasto con l’art.28 della convenzione. La citata disposizione non prevede l’ammortamento di natura finanziaria bensì quello c.d.
tecnico, stabilendo espressamente per le installazioni finanziate dal
gestore un regime indennitario ove non completamente ammortizzate. L’utilizzo del criterio dell’ammortamento finanziario per le
opere finanziate dal gestore, al quale ha fatto ricorso il
raggruppamento aggiudicatario nella sua proposta migliorativa, avrebbe
dovuto essere valutato dalla Commissione nell’ottica della
compatibilità con l’inderogabile art.28 della convenzione, tenendo
conto anche del principio derivante dall’art.69 T.U.I.R., secondo il
quale l’ammortamento finanziario è consentito, in luogo
dell’ammortamento tecnico, solo per i beni gratuitamente devolvibili,
laddove, come sopra notato, per quelli in questione è espressamente
previsto l’indennizzo. Da un punto di vista fiscale, quindi, l’esistenza di una clausola
di indennizzo non avrebbe comunque consentito la deduzione di quote di
ammortamento finanziario quali componenti negativi del bilancio e anche
se la soluzione proposta dalla Suez-Lyonnaise era la più conveniente
per l’Amministrazione, in quanto la esonerava dall’indennizzo delle
opere strumentali alla gestione del servizio idrico integrato non
completamente ammortizzate, risultava nondimeno integrata la violazione
delle prescrizioni inderogabili della convenzione, il cui schema tipo
era stato predisposto dal legislatore regionale con
l.r. 26/97. Ma anche in questo
caso le argomentazioni degli appellanti colgono nel segno. Il predetto art.28 dello schema di “convenzione tipo” si limita
a prevedere che al momento della cessazione dell’affidamento spetterà
al gestore un indennizzo
solo ove i beni da restituire ai comuni, e realizzati dal gestore
stesso, non siano stati completamente ammortizzati, nulla dicendo quanto
ai criteri di ammortamento di tali beni, né escludendosi la possibilità
di devoluzione dei beni senza alcun indennizzo a favore del gestore,
come nel caso in cui i beni in questione siano stati interamente
ammortizzati. In disparte il problema della vincolatività della menzionata
prescrizione della convenzione-tipo, quel che più rileva è che
l’ammortamento finanziario, e non tecnico, consistente nel suddividere
il costo dei beni per tutta la durata della concessione, non è affatto
inconciliabile con il predetto schema di convenzione. Manca del resto una disposizione espressa in tal senso, né
l’esclusione del suddetto tipo di ammortamento è ricavabile dalla
previsione di un indennizzo residuale, poiché, come evidenziato dal
raggruppamento aggiudicatario, quell’indennizzo, rimediando ad una
possibile perdita del gestore, non in grado di esaurire il processo di
ammortamento per eventi anomali, non contraddice affatto la gratuità
essenziale della devoluzione, ma corregge solo un pregiudizio certo,
lesivo dell’equilibrio sul quale si regge l’affidamento. Il quadro normativo (cfr. il d.l. 669/96 convertito, con
modificazioni, dalla l.30/97) depone, inoltre,
nel senso dell’alternatività dell’ammortamento tecnico e di
quello finanziario, tipico quest’ultimo peraltro delle operazioni di project financing, rimettendosi la scelta alle valutazioni
discrezionali insindacabili del gestore. Quanto alla violazione delle norme del T.U.I.R. è sufficiente
osservare che allorché la Suez-Lyonnaise ha prospettato
l’ammortamento finanziario, da compiersi come accennato nel
periodo di concessione, ha evidentemente escluso la
corresponsione di qualsiasi indennizzo, rispettando la condizione legale
di legittimità dell’ammortamento medesimo, ovvero che si tratti di
beni gratuitamente devolvibili. 15.
Il
Tribunale di prima istanza ha, infine, affermato, pronunciandosi sempre
su uno dei profili di doglianza contenuti nel primo motivo del ricorso
introduttivo, che il maggiore punteggio (sette punti in più rispetto
agli altri concorrenti) attribuito al raggruppamento aggiudicatario
relativamente al parametro E12, attinente alle modalità di
finanziamento per gli investimenti contenuti nel piano d’ambito o come
modificati dalle concorrenti, non troverebbe adeguata motivazione nei
verbali di gara. E questo pur non avendo, ad avviso dei primi Giudici,
la Commissione trasceso i limiti del disciplinare (la censura per questa
parte è stata dunque disattesa). La Commissione non avrebbe sufficientemente motivato
circa le valutazioni rese in ordine agli importi erogabili ed al
piano di rimborso degli stessi, e, soprattutto, avrebbe dato rilievo
alla documentazione dell’impegno cogente da parte degli istituti
finanziatori indicati dal raggruppamento vincitore, trascurando però di
valutare che tale impegno era subordinato alla approvazione del piano
economico (nonché dello Statuto e dei patti parasociali) e che
l’impegno stesso era parziale rispetto all’intero piano di
finanziamento. Tanto premesso, hanno ragione gli appellanti a lamentare che il
profilo di doglianza in questione, nei limiti della sindacabilità
concessa al giudice amministrativo, non meritava l’esito favorevole
ottenuto in primo grado. Dai documenti di gara (verbale n.18) emerge una valutazione non
macroscopicamente irrazionale di maggior favore nei confronti della
proposta Suez-Lyonnaise, una volta presi in considerazione, anche
mediante opportuna tabella riassuntiva,
gli importi erogabili e il piano di rimborso degli stessi, e
quindi in particolare il tasso più basso e il minor tempo previsto per
il rimborso. Per il resto basta
rilevare che il raggruppamento risultato vincitore ha ottenuto una
valutazione preferenziale avendo documentato un impegno cogente da parte
degli istituti di credito a concedere il finanziamento, mentre gli altri
due raggruppamenti hanno documentato unicamente intendimenti o
disponibilità a finanziare i progetti. E la circostanza che l’impegno cogente non abbia riguardato
l’intera esigenza di copertura finanziaria,
ma comunque una parte cospicua di essa (su 85 miliardi
complessivi da finanziare 70 miliardi erano coperti da un “cogente
impegno” mentre gli ulteriori 15 miliardi da un “impegno
condizionato”, che peraltro dà sempre più garanzie di una mera
dichiarazione di intendimento), non può mutare nella sostanza le
conclusioni raggiunte, al solo considerare che nel caso degli altri
concorrenti necessità finanziarie ben maggiori sono state fatte oggetto
unicamente di mera disponibilità al finanziamento da parte degli
istituti creditizi. Gli Enti locali
appellanti principali giustamente evidenziano, infine, come appaia nella
realtà delle cose che un istituto di credito si impegni formalmente
all’erogazione di un finanziamento solo agganciando rigorosamente
l’impegno ad un preciso piano finanziario, che non può essere certo
modificato ad libitum dal richiedente il finanziamento. Sotto questo profilo è
evidente che il gruppo aggiudicatario non avrebbe potuto presentare un
piano di finanziamento degli investimenti, documentando seriamente
l’impegno degli istituti di credito a concedere il finanziamento, se
non si fosse a sua volta obbligato nei confronti dei finanziatori a non
modificare il suddetto piano di finanziamento. Per tale motivo è stato
giocoforza costretto a subordinare la cogenza dell’impegno assunto
dagli istituti di credito all’approvazione da parte dell’A.A.T.O.
del piano economico, esigenza non sussistente per gli altri offerenti
che, come accennato, si sono limitati a documentare
intendimenti o disponibilità a finanziare i progetti. Non si tratta dunque, nel caso dell’appellante aggiudicataria, di
una vera e propria offerta condizionata, che, come è noto, sarebbe
risultata inammissibile. 16.
Quanto
alla censura conclusiva dedotta dall’A.A.T.O. appellante che,
investendo il dispositivo della pronunzia di primo grado, ha chiesto,
sulla base però di una giurisprudenza piuttosto datata e comunque di
molto antecedente alle ben note recenti innovazioni legislative in
materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che venga
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito relativamente
al disposto annullamento dell’atto costitutivo
e dello statuto della neo-costituita società di gestione del
servizio idrico integrato, si è già ampiamente discettato del tema, e
peraltro concluso nel senso della sostanziale fondatezza della
doglianza, nella parte iniziale della parte motiva, analizzando
un’apposita eccezione preliminare sollevata dal raggruppamento
vincitore. In ogni caso, alla luce del combinato esito dei gravami principali,
in definitiva da accogliersi, e del gravame incidentale proposto
dall’appellata Vivendi, invece da respingere,
viene meno l’interesse alla decisione della doglianza in
argomento, che investe alcuni effetti
della pronuncia giurisdizionale di annullamento, sovvertita nel presente
grado di giudizio. 17.
Resta
a questo punto da analizzare l’appello incidentale proposto dalla
Vivendi, con il quale vengono riproposte alcune censure non condivise
dal Giudice di prime cure. L’appello incidentale deve essere respinto, risultando la
sentenza appellata immune dalle censure dedotte in questo caso
dall’appellata Vivendi. In tal senso il Collegio può prescindere dalle eccezioni di
inammissibilità nonché di tardività (di alcune censure) sollevate dal
raggruppamento aggiudicatario e dall’A.A.T.O. 18.
La
Vivendi, appellante incidentale, ha anzitutto riproposto il vizio
contenuto nel decimo (rectius
undicesimo) motivo del ricorso introduttivo, con il quale era stato
sostanzialmente dedotto un
vizio di incompetenza relativamente al procedimento di scelta del
partner privato della società di gestione del servizio idrico
integrato. In particolare sostiene l’appellata che nella nuova
configurazione normativa seguita all’entrata in vigore della legge 142
del 1990, l’Autorità d’ambito, creata per ciascun ambito
territoriale ottimale, avrebbe il compito di svolgere in modo coordinato
tutte le funzioni degli Enti locali nel settore del servizio idrico
integrato e, pertanto, non sarebbe coerente una soluzione di continuità
nell’esercizio delle funzioni che attengono più specificamente alla
costituzione del soggetto gestore, restituendo esse agli Enti locali,
nonostante questi siano stati privati di ogni competenza all’atto di
costituzione del consorzio. Spetterebbe quindi al Consorzio - Autorità d’ambito organizzare
e promuovere la costituzione del soggetto gestore e pertanto l’intero
procedimento sarebbe inficiato perché promosso da soggetti privi di
alcuna competenza. Il TAR adito che, per evidenti ragioni di priorità logica, ha
preso le mosse proprio dall’esame di tale motivo, pur apprezzando la
pregevolezza delle argomentazioni esposte dall’attuale appellante
incidentale non ha ritenuto di poter condividerne le conclusioni. I primi Giudici hanno richiamato l’art.7 della l.r. 81/95,
rilevando che all’A.A.T.O., costituito come consorzio obbligatorio e
dotato di personalità giuridica pubblica, sono state attribuite le
funzioni amministrative di programmazione, organizzazione e controllo
sull’attività di gestione del servizio idrico integrato, con
esclusione di ogni attività di gestione diretta, “restando questa
propria degli Enti titolari del servizio seppure nelle varie forme di
gestione esistenti alla data di costituzione dell’A.A.T.O.” E la
scelta della forma di gestione del servizio, come pure l’affidamento
del medesimo, sono decisioni da assumere nell’ambito dell’esercizio
di funzioni prettamente programmatorie ed organizzatorie. Il disposto della legge regionale appare, secondo il Tribunale,
coerente, sul punto, con l’art.9, comma 2, della l.36/94,
che mantiene in capo ai Comuni e alle Province il compito di
provvedere alla gestione del servizio idrico integrato mediante le forme
anche obbligatorie previste dalla legge 142/90. Ne consegue secondo il TAR, in definitiva, che in base al combinato
disposto delle due richiamate disposizioni devono essere gli Enti locali
e non l’A.A.T.O. a predisporre tutte le procedure per la costituzione
dell’organo di gestione, successivamente alla scelta della forma di
gestione stabilita dall’A.A.T.O. medesima, non potendo essere scisso
il momento costitutivo della forma di gestione scelta (nella specie la
s.p.a.) da quello prodromico alla
stessa costituzione, dato dalla procedura concorsuale da indire per
l’individuazione del socio privato di minoranza.
La censura della
Vivendi deve essere in effetti disattesa, in quanto all’Autorità
d’ambito spetta, ai sensi della disciplina normativa vigente, la
specifica competenza di scegliere la forma organizzativa della gestione
del servizio. Una volta operata la scelta - nella specie si è optato per la
società per azioni a prevalente capitale pubblico - è riservata
all’Autorità la sola funzione di programmazione e controllo
dell’attività di gestione, ma il procedimento di costituzione della
società medesima non può che competere agli Enti locali ricompresi
nell’ambito territoriale, i quali saranno chiamati tra l’altro ad
esprimere, attraverso l’organo consiliare competente, la volontà
relativa all’adesione all’organismo societario. Infatti, come è noto, se per gli Enti locali è obbligatoria
l’adesione al Consorzio – Autorità d’ambito, non lo è
altrettanto l’adesione al soggetto gestore del servizio idrico
integrato. Non può dunque invocarsi un del tutto presunto principio di
continuità per sostenere che l’Autorità possa surrogarsi nelle
decisioni, spettanti agli Enti locali titolari del servizio, relative
alle modalità di adesione al soggetto gestore del servizio e di
partecipazione al relativo capitale sociale, e quindi nelle attività
finalizzate alla costituzione dell’apposita società mista. La legge 36/94, infatti, non incide sulla titolarità del servizio
e sugli assetti di proprietà delle reti e degli impianti, che
permangono in capo agli Enti locali, né perciò sulle modalità
costitutive delle società miste di gestione del servizio. L’aspetto innovativo della c.d. legge Galli va invece riferito
all’individuazione di un momento di cooperazione tra gli Enti locali,
mediante la creazione di un organismo sovracomunale
a partecipazione obbligatoria, che assume in sé le funzioni
amministrative di coordinamento, programmazione e controllo della
gestione del servizio e, non da ultimo, la scelta del modello
organizzativo di gestione, probabilmente da ritenersi l’espressione
massima del momento di cooperazione voluto dalla legge. Una volta operata la scelta, non potevano che essere gli Enti
locali a dare vita alla società di gestione, secondo le procedure
previste dalla normativa sulle autonomie locali, non modificate dalla
disciplina speciale in argomento, non spettando al nuovo organismo di
coordinamento né la titolarità del servizio, né la proprietà dei
beni relativi, né i compiti di gestione del servizio stesso. Anche la l.r. 81/95 appare pienamente e letteralmente rispettata,
sia per quanto concerne l’art.7 che anche l’art.9, dal quale in
alcun modo può ricavarsi che all’Autorità d’ambito spetti, oltre
alla scelta del modello di gestione del servizio idrico integrato, anche
la procedura finalizzata alla costituzione della società di gestione. 19.
Con
il secondo motivo dell’appello incidentale la Vivendi, riproponendo il
sesto motivo del gravame originario, si duole che la procedura
concorsuale, cui la stessa ha partecipato, sia stata impostata
prescindendo da modelli normativi di riferimento. In sostanza
l’originaria ricorrente sostiene che la procedura di selezione doveva
essere disciplinata da un preciso modello normativo, come quello fornito
dal DPR 533/96, previsto formalmente però per la scelta del solo
partner privato di maggioranza, che individua nella procedura
concorsuale ristretta di cui al d.lg. 157/95, da assimilarsi
all’appalto concorso, il sistema di scelta da seguire, con le
inevitabili ricadute sul piano degli obblighi di pubblicità per le gare
di rilevanza comunitaria. L’appellante incidentale contesta la sentenza di primo grado
impugnata nella parte in cui, rimarcato che una procedura di selezione
ad evidenza pubblica è
stata comunque garantita, ha affermato che la scelta del socio privato
di minoranza della costituenda società a partecipazione pubblica per la
gestione del servizio idrico integrato non rientra in alcuna delle
tipologie di procedimento ad evidenza pubblica soggette alla disciplina
comunitaria, trattandosi tra l’altro di impegnare un capitale iniziale
ben al di sotto della soglia di rilievo CEE. Vengono altresì censurate le affermazioni dei Giudici di prime
cure secondo le quali il DPR 533/96 riguarda esclusivamente i
procedimenti finalizzati alla scelta del socio privato di maggioranza e
non può essere dunque imposto come regola nei procedimenti ad evidenza
pubblica concernenti l’individuazione del socio privato di minoranza,
anche alla luce del fatto che, in assenza di una disposizione normativa
specifica, l’Amministrazione procedente dispone di una sfera di
discrezionalità nell’individuare il modello di procedura concorsuale
più confacente alla situazione concreta, seguendo gli schemi dei
modelli concorsuali che la legge disciplina in via generale. Anche se dunque il DPR 533/86 fungesse da modello per
l’individuazione del socio di minoranza, la sua mancata utilizzazione
non potrebbe concretare un vizio di legittimità del procedimento di
selezione che non se ne sia avvalso. Il giudizio di infondatezza della censura, reso dai primi Giudici,
va sostanzialmente confermato, soprattutto con riferimento ad alcuni
aspetti chiave della motivazione. Occorre in effetti dare atto che, pur in assenza di un obbligo
specifico normativamente previsto, la Sezione in precedenti
significative occasioni si
è pronunciata nel senso
della necessità del ricorso al confronto concorrenziale per la scelta
anche del socio privato di minoranza nelle società a capitale pubblico
maggioritario, trattandosi di principi ormai immanenti
nell’ordinamento, tutte le volte in cui debba effettuarsi la scelta di
un operatore privato chiamato a svolgere attività per conto e
nell’interesse della P.A. (Cons. Stato, V, 19 febbraio 1998, n.192; v.
anche V,19 settembre 2000, n. 4850). Orbene, che nella specie vi sia stato un confronto concorrenziale
appare fuori discussione, e per la verità nemmeno è messo in
dubbio dalla stessa appellante incidentale, la quale si sofferma invece
sulla mancata utilizzazione di modelli normativi di riferimento, da
individuarsi preferibilmente nel DPR 533/96, con tutti gli effetti che
ne derivano dal punto di vista dell’obbligo della pubblicità a
livello europeo, nonché relativamente al ricorso alla procedura
dell’appalto concorso ai sensi del d.lg. 157/95 ed al criterio di
aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Le argomentazioni dei
Giudici di prime cure convincono quando rilevano che l’aspetto
essenziale era comunque garantire, come è puntualmente avvenuto, una
procedura di confronto concorrenziale, e che il riferimento agli schemi
procedurali indicati dal regolamento di cui al DPR 533/96 (espressamente
riguardante le società a capitale pubblico minoritario di cui
all’art.12, comma 1, della legge 23 dicembre 1992, n.498; cfr. ora
anche l’art.116, comma 2, del T.U. 267/00) era sì possibile ma non
certo obbligatorio per la scelta di un socio privato di minoranza. In
assenza di chiari parametri normativi di riferimento, anche a livello
comunitario, non può, pertanto, ritenersi integrato un vizio di
legittimità del procedimento di selezione che non si sia avvalso delle
procedure ad evidenza pubblica tipizzate dalle norme citate. Le peculiarità del servizio da affidarsi, unitamente all’assenza
di chiari riferimenti normativi, rendono
in definitiva sostanzialmente corretta, e comunque non
manifestamente illogica, la scelta di adottare una procedura concorsuale
in parte atipica ma comunque rispettosa dei principi generali della
contabilità di Stato e della contrattualistica degli Enti locali; una
procedura di gara sicuramente avvicinabile ad un pubblico incanto,
attesa anche la mancanza di una autonoma fase di preselezione, ma con i
criteri di selezione previsti dal disciplinare che sembrano, almeno ad
una prima lettura, più propriamente tipici di un appalto concorso. Sulla scorta anche di quanto in precedenza affermato dalla Sezione,
può concludersi che la procedura di evidenza pubblica da adottarsi
nella specie non è quella dettata dalle norme di recepimento della
normativa comunitaria sugli appalti di servizi, di cui al d.lg. 157/95,
con riferimento anche alle forme di pubblicità, ma va ricavata, con i
necessari adattamenti, dalla disciplina generale, tenendo conto, se del
caso, della disciplina relativa alla s.p.a. a partecipazione pubblica
minoritaria, di cui al più volte citato regolamento n.533/96 (Cons.
Stato, V, ord. 9 marzo 1999, n.506).
Anche questa lagnanza dell’appellante incidentale non appare
dunque persuasiva. 20. Vengono poi riproposte
alcune doglianze, disattese dal TAR, che riguardano più da vicino
l’operato della Commissione. La Vivendi lamenta, anzitutto, il mancato accoglimento del motivo
riferito al criterio valutativo E1 (sottoscrizione del capitale
sociale), anche con riferimento al criterio E8
(investimenti). La doglianza riguarda, in particolare, il criterio seguito dalla
Commissione per l’attribuzione del punteggio relativo al parametro E1,
individuato nella tempistica dell’assolvimento dell’obbligo di
aumento del capitale, con la conseguenza che sono stati attribuiti 4
punti al raggruppamento aggiudicatario, contro i 2 punti assegnati agli
altri due raggruppamenti, sulla base del fatto che solo la prima si
impegnava ad effettuare il versamento delle somme corrispondenti
all’aumento del capitale “non appena richiesto”, mentre le altre
si limitavano a riferirsi al termine fissato dal disciplinare (un anno). L’originaria ricorrente ha contestato tale apprezzamento sul
piano della rispondenza al cogente criterio fissato dal disciplinare,
nonché sul piano della coerenza rispetto alle valutazioni espresse
dalla stessa Commissione in occasione del punteggio assegnato alla
Suez-Lyonnaise per il parametro E8. Il TAR non ha ritenuto di poter condividere i rilievi mossi, sul
punto, all’operato della Commissione, rilevando innanzitutto che la
doglianza, nella parte relativa alla logicità del criterio, finiva per
sindacare nel merito ambiti riservati all’apprezzamento discrezionale
dell’organo giudicatore che, fermo restando il traguardo minimo dato
dall’obiettivo da raggiungere, ben poteva premiare, sulla base di un
criterio temporale, l’anticipata sottoscrizione del 46% di aumento di
capitale e la liberazione delle relative azioni alla semplice richiesta
della società (e quindi in un tempo anche di molto inferiore
all’anno), ad evidente vantaggio della realizzazione degli obiettivi
dell’A.A.T.O. Sotto tale aspetto poteva semmai apparire illogica l’attribuzione
di 2 punti alle proposte della Vivendi e dell’Acea, che si erano
limitate a riportarsi alle
prescrizioni (minime) del disciplinare. Quanto al profilo di incoerenza o contraddittorietà rilevato con
riferimento alla valutazione di cui al parametro E8, la doglianza era,
ad avviso dei primi Giudici, priva di pregio, in quanto la proposta
formulata relativamente al parametro E8, riguardante le migliorie che la
Lyonnaise ha ritenuto di predisporre e presentare secondo la facoltà
concessa dallo stesso disciplinare, andava valutata all’interno del
progetto migliorativo preso nel suo
insieme e non in rapporto al progetto base predisposto
dall’A.A.T.O., che comprendeva, appunto, l’obbligo di liberare entro
un anno l’aumento del 46% (obbligo che il raggruppamento vincitore non
solo ha assunto, ma che si è impegnato ad assolvere alla semplice
richiesta del Consiglio di amministrazione della costituenda società di
gestione). Rimaneva alla Commissione l’onere di valutare, infine, la
convenienza di una proposta migliorativa che suggeriva di distribuire
nell’arco dei primi cinque anni il versamento delle risorse a titolo
di capitale da parte di tutti i soci pubblici e privati (e quindi non
per la sola parte di
spettanza del socio privato di minoranza), per favorire in concomitanza
una politica degli investimenti più dilazionata rispetto a quella
prevista dal piano d’ambito. Le riportate considerazioni del TAR meritano condivisione. Va in primo luogo ribadito che il disciplinare di gara riconduceva
esplicitamente il punto E1 al parametro di valutazione H.1, riferito
all’offerta “base”, mentre il punto E8 al parametro di selezione
H.2, ovvero “modifiche migliorative al piano d’ambito”. Il punto E1 faceva riferimento all’offerta di sottoscrizione del
capitale sociale e prevedeva che l’offerente dovesse impegnarsi a
liberare le azioni corrispondenti al 46 % del capitale di costituzione
della società, ed a sottoscrivere l’aumento del capitale sociale,
entro e non oltre l’anno dalla delibera di aumento. Dal momento che il punto E1 era stato indicato dal disciplinare tra
gli elementi suscettibili di valutazione, la Commissione decideva di
modulare il punteggio ad esso riservabile con riferimento alla
tempistica dell’assolvimento dell’obbligo, che rappresentava
l’unica variabile consentita ai concorrenti dalle prescrizioni del
disciplinare relative all’offerta base. E’ dunque perfettamente coerente con i criteri di giudizio
fissati dalla lex specialis, e
con i sottocriteri decisi dalla Commissione, che sia stato attribuito al
raggruppamento aggiudicatario, unico ad impegnarsi ad effettuare il
versamento a semplice richiesta dell’organo competente, un punteggio
superiore di due punti, in relazione ai benefici connessi al versamento
immediato della residua parte di aumento di capitale. Il medesimo raggruppamento, avvalendosi inoltre della facoltà,
espressamente prevista dal disciplinare, di proporre modifiche
migliorative al piano, ha proposto di dilazionare in cinque anni il
versamento delle somme costituenti il capitale sociale della società, e
tale proposta è stata favorevolmente apprezzata dalla Commissione, ma
questa volta in sede di valutazione discrezionale degli elementi di cui
al parametro E8. Orbene, come colto dai primi Giudici, non vi era nessuna
contraddittorietà tra l’apprezzamento del dilazionamento in cinque
anni del versamento del capitale sociale, ed il punteggio già
attribuito alla Commissione in base al parametro E1. Difatti, per espressa previsione delle norme speciali di gara, i
due criteri E1 e E8 erano destinati ad operare su due piani del tutto
diversi, avendo come riferimento differenti parametri di selezione delle
offerte, rispettivamente riferiti all’offerta “base” (H.1) e alle
proposte di modifica migliorativa del piano (H.2). Va poi precisato che la proposta (alternativa) di diluire nel tempo
il versamento del capitale, avanzata dal raggruppamento vincitore senza
violare gli obblighi del disciplinare, era peraltro scaturita dalla
necessità di ovviare, in una maniera evidentemente apprezzata dalla
Commissione, ad alcuni inconvenienti derivanti dalle previsioni del
piano d’ambito in tema di tariffe applicabili. In ogni caso assume rilievo decisivo la circostanza che non
potevano essere collocati sullo stesso piano, anche ai fini di una
valutazione di contraddittorietà, un impegno inderogabile, come quello
relativo al versamento del capitale sociale (di cui al punto E1), e una
proposta di modifica migliorativa del tutto rimessa all’apprezzamento
discrezionale della Commissione (punto E8). Anche il terzo mezzo di censura dedotto con l’appello
incidentale, costituente la riproposizione del primo profilo di
doglianza contenuto nel primo motivo del ricorso originario, non merita
dunque adesione. 21.
Non
migliore sorte spetta al quarto motivo, con cui viene
invece riproposto il secondo profilo del primo motivo del ricorso
introduttivo, relativo all’attribuzione da parte della Commissione dei
punteggi relativi al parametro di valutazione E2, ovvero “esperienze
pregresse dei concorrenti nella gestione dei servizi idrici”. Ai concorrenti si
chiedeva di elencare, quale elemento che sarebbe stato oggetto di
valutazione, le principali esperienze, nell’ultimo quinquennio, nella
gestione dell’insieme dei servizi idrici (captazione, distribuzione,
fognatura e depurazione), eventualmente nel medesimo ambito
territoriale. Ma, come giustamente evidenziato dal TAR, il parametro in questione
non andava confuso con i prerequisiti, di cui alle lettere B2 e B3, che
erano richiesti ai concorrenti per potere essere ammessi alla selezione,
relativamente alla “gestione diretta o indiretta dei servizi idrici
per almeno 400.000 abitanti nell’ultimo biennio, di cui 200.000
serviti con un unico contratto”. La Commissione, nel disciplinare le metodologie di valutazione del
parametro E2, ha poi stabilito che avrebbe privilegiato le eventuali
esperienze di gestione di tutti i servizi idrici, il livello di
integrazione dell’insieme dei servizi idrici nel medesimo ambito
territoriale, la dimensione infine per ciascuna gestione. L’appellante incidentale, nel dolersi che al raggruppamento
aggiudicatario sono stati assegnati 19 punti, contro i 16 punti a lei
attribuiti, sostiene che la Commissione non si sarebbe attenuta ai
criteri dalla stessa stabiliti e che una corretta valutazione avrebbe
dovuto condurre ad un risultato ben diverso, vantando la Vivendi
maggiori titoli sia per numero di gestioni e ruolo gestionale, sia per
abitanti serviti. Il più volte citato verbale n.18
del 14 gennaio 1999 reca le motivazioni che hanno portato la
Commissione, sulla base delle tabelle predisposte da apposito organismo
di consulenza, a ritenere di maggior peso, seppur per soli tre punti, le
esperienze maturate dalla Suez-Lyonnaise. La Commissione ha espresso un
giudizio di leggera prevalenza del raggruppamento vincitore per ciò che
attiene alle dimensioni dei servizi svolti; ha ritenuto sostanzialmente
di identico peso le esperienze gestionali; ha rilevato che il medesimo
raggruppamento poteva
vantare esperienze numericamente maggiori relativamente
all’effettuazione dell’intero ciclo dei servizi idrici. Vivendi sostiene che la Commissione avrebbe illegittimamente omesso
di considerare sia il numero complessivo delle gestioni, sia le gestioni
relative ad ambiti territoriali simili a quello di Arezzo. Ma né dal disciplinare, né dai criteri prefissati dalla
Commissione, può evincersi uno stringente obbligo di considerare tali
elementi ai fini dell’attribuzione di punteggio in sede di valutazione
del parametro E2, fatta salva la possibile rilevanza quali requisiti di
partecipazione, ai sensi del punto B3. Il criterio principale di selezione era chiaramente basato su una
valutazione qualitativa che privilegiava la gestione integrata di tutti
i servizi idrici in un medesimo ambito territoriale, e non su una
valutazione meramente quantitativa fondata sul numero dei servizi
svolti. Quanto al preteso maggiore numero complessivo di abitanti serviti,
elemento che non trova perfetto riscontro negli allegati ai verbali di
gara, occorre rilevare che anche in questo caso
la circostanza non poteva rivestire, nella sua singolarità,
diretto effetto ai fini della valutazione ai sensi del parametro E2,
dovendo la Commissione prendere in considerazione la tipologia
dell’ambito gestionale ed il livello di integrazione dei servizi. Priva di fondamento e di riscontro documentale risulta, infine,
l’affermazione secondo la quale la Commissione avrebbe
illegittimamente ammesso alla valutazione gestioni nelle quali non era
stato chiarito il ruolo della aggiudicataria. Non mancano negli allegati ai verbali di gara elementi che
conducono a ritenere che la Commissione abbia svolto una dettagliata
analisi sul profilo delle quote di partecipazione del vincitore nelle
società gestione dove ha maturato le esperienze pregresse. Risulta, in definitiva, che la Commissione giudicatrice abbia
adeguatamente ponderato il ruolo gestionale e le quote di partecipazione
nelle singole società di gestione. In ogni caso la ponderazione in questione non ha assunto valenza
decisiva in ordine all’attribuzione del punteggio, in quanto il ruolo
delle due società partecipanti (Suez-Lyonnaise e Vivendi) nelle
gestioni era comunque di pari livello, cioè sempre molto elevato. 22.
Anche
il quinto ed ultimo mezzo
dell’appello incidentale, con cui vengono in pratica riproposti il
secondo e terzo motivo del ricorso introduttivo, non ha pregio. Con esso viene riproposta la lagnanza circa una presunta
arbitraria, e quindi illegittima, introduzione da parte della
Commissione, in violazione di quanto già prescritto dal disciplinare di
gara, di ulteriori criteri di valutazione. Così, ripercorrendo censure già dedotte, e in questa sede già
esaminate, per quanto concerne il criterio E1 sarebbe stata
illegittimamente inserito l’elemento di valutazione della tempestività
nel liberare le azioni (nel caso del raggruppamento vincitore, come si
è visto, a semplice richiesta); per quanto riguarda, invece, il
criterio E2, sarebbe stato illegittimamente introdotto l’elemento del
livello di integrazione tra i servizi, non contenuto nel disciplinare,
mentre non sarebbero stati menzionati gli elementi di valutazione
indicati nel disciplinare medesimo, ovvero le gestioni su ambiti
territoriali ed il numero degli abitanti serviti. Per quanto poi attiene
ai profili dello scorporo dei criteri E7 e E8, che rappresenterebbero il
cuore del confronto concorrenziale - trattandosi delle proposte
migliorative degli interventi strutturali, delle modalità gestionali e
delle ripercussioni di dette proposte sotto il profilo
economico-finanziario e quindi tariffario -
la Commissione, in violazione dei più elementari principi di
trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione
amministrativa, avrebbe operato, come del resto già lamentato, un illegittimo frazionamento valutativo dei due
criteri. Infine, per quanto riguarda il criterio E12, la Commissione,
nonostante il disciplinare già individuasse i criteri ai quali la
medesima avrebbe dovuto attenersi nella valutazione delle singole
proposte, avrebbe anche qui ampliato illegittimamente i parametri
valutativi, inserendo elementi non previsti
dalle previsioni generali di gara, come l’economicità e la
sostenibilità delle soluzioni finanziarie proposte, nonché la
reperibilità, l’adeguatezza e la coerenza temporale
dei mezzi finanziari, e comunque poi in concreto avrebbe
disatteso gli stessi criteri dalla stessa illegittimamente fissati. Il TAR, rilevato che
la ricorrente, in questa sede appellante incidentale, è ritornata su
alcuni punti di contestazione già oggetto di esame nell’ambito
dell’articolato primo motivo, richiamando le considerazioni già
svolte all’interno della sentenza appellata, ha comunque giustamente
sottolineato che il
disciplinare conteneva un insieme di parametri e punteggi di valutazione
che abbisognavano di ulteriori criteri di specificazione che
delimitassero l’ampio margine di discrezionalità rimesso alla
Commissione, la quale aveva a disposizione ben 100 punti distribuiti in
tre sub-categorie. La Commissione si è dunque correttamente fatta
carico di assegnare a ciascun parametro un suo peso, indicando comunque
preventivamente le linee guida che avrebbero contraddistinto il suo
giudizio. Le argomentazioni dei primi Giudici sono pienamente condivisibili,
in quanto, anche sulla base delle considerazioni già precedentemente
svolte in occasione dell’esame della complessa struttura censoria che
caratterizzava il primo motivo del ricorso introduttivo, come riproposto
con l’appello incidentale in trattazione per la parte disattesa dal
TAR, risulta, nei limiti della sindacabilità del
giudice amministrativo, un quadro complessivo di coerenza e
logicità dell’azione della Commissione, sia nel fissare
preventivamente ulteriori criteri di valutazione
e di attribuzione dei punteggi, che nell’applicare i criteri
dalla stessa fissati ovvero indicati in sede di disciplinare di gara. La Commissione (cfr. il verbale n. 5 del 16 novembre 1998),
infatti, esercitando una facoltà che secondo logica non poteva esserle
preclusa, si è limitata ad introdurre preventivamente elementi di
specificazione di ciascun criterio, graduando l’apporto di ognuno di
essi negli ambiti fissati in via più generale dalle norme di gara, alle
quali si è comunque, con sufficiente rigore, attenuta. Per il resto possono essere richiamate le considerazioni rassegnate
in occasione della disamina dei singoli profili di doglianza facenti
parte del primo motivo del ricorso originario, nei limiti della
riproposizione nell’attuale grado di giudizio. 23.
L’appello
incidentale, proposto dall’originaria ricorrente nella medesima foggia
per tutti i ricorsi in appello in trattazione, deve essere
in definitiva rigettato. All’accoglimento degli appelli principali, e dell’appello
incidentale del Comune di Castiglion Fibocchi, che ripercorre l’iter
argomentativo dei primi, consegue invece, in riforma della sentenza
impugnata, la reiezione del ricorso introduttivo proposto in primo grado
dall’appellata Vivendi. Sussistono i motivi per compensare tra tutte le parti costituite le
spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti in epigrafe, accoglie
gli appelli principali e l’appello incidentale del Comune di
Castiglion Fibocchi, respinge gli appelli incidentali proposti dalla
Vivendi e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata,
respinge il ricorso di primo grado proposto dalla Vivendi. Compensa le spese di lite relativamente ad entrambi i gradi di
giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa. Così
deciso in Roma, il 5 giugno 2001, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con
l'intervento dei seguenti Magistrati: Alfonso Quaranta
Presidente
Andrea Camera
Consigliere Pier Giorgio Trovato
Consigliere Aldo Fera
Consigliere Gerardo Mastrandrea
Consigliere est. |