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Consiglio di Stato 4586/2001

                                                                           

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

           

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione,   

ha pronunciato la seguente                                                   

DECISIONE

sui ricorsi in appello riuniti nn. 1297/2001, 1513/2001, 1514/2001, 1846/2001, proposti da:

- (ric. n. 1297/01)  A.A.T.O. n.4, Autorità d’Ambito Territoriale ed Ottimale Toscana – Alto Valdarno, in persona del  legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Morbidelli, e presso lo studio dello stesso  elettivamente domiciliata in Roma, v. G. Carducci   n. 4,

contro

la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, v. Principessa Clotilde  n. 2,

e nei confronti di:

  Comune di Castiglion Fibocchi, appellante incidentale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Morbidelli, e presso lo studio dello stesso  elettivamente domiciliato in Roma, v. G. Carducci   n. 4;

CISPEL Toscana, Associazione regionale toscana delle imprese e degli enti di gestione di servizi pubblici locali, interveniente ad adiuvandum, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Michele Pallottino, Pier Luigi Santoro, Riccardo Farnetani, e nello studio del primo elettivamente domiciliata in Roma, p.zza Martiri di Belfiore n.2;

Comune di Pieve S. Stefano, interveniente ad opponendum, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Rubechi e Leonardo Lascialfari, ed elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Flaminio n.46 (studio Grez);

*   *   *

- (ric. n.1513/01) Comuni di Sinalunga, Chianciano, Montepulciano, Chiusa, Torrita, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Emilio Paolini, ed elettivamente domiciliati in Roma, v. Licinio Calvo n.41 (studio Pane Poletti),   

contro

la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, v. Principessa Clotilde  n. 2,

e nei confronti

di: AATO n.4, Comune di Arezzo, Suez-Lyonnaise des Eaux, AMGA s.p.a, Consorzio Iride, Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, ACEA s.p.a., in persona dei legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio;

*   *   *

- ( ric. n. 1514/01) Provincia di Arezzo, in persona del Presidente p.t.,  rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Emilio Paolini, ed elettivamente domiciliata in Roma, v. Licinio Calvo n.41 (studio Pane Poletti),   

contro

la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, v. Principessa Clotilde  n. 2,

e nei confronti

di: AATO n.4, Comune di Arezzo, Suez-Lyonnaise des Eaux, AMGA s.p.a, Consorzio Iride, Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, ACEA s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio;

*   *   *

- (ric. n.1846/01) Suez Lyonnaise des Eaux S.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino; A.MGA s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Lorenzo Aquarone, Daniela Anselmi e Giovanni Pellegrino; Iride s.p.a. (già Consorzio Iride), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino; Banca Monte dei  Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino; Banca popolare dell’Etruria e del Lazio s.c.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Sciumè, Mario P. Chiti e Giovanni Pellegrino, tutti con domicilio eletto nello studio dell’avv. Giovanni Pellegrino in Roma, v. Giustiniani n.18,

contro

la Vivendi Universal (già Vivendi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia e Valerio Menaldi, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, v. Principessa Clotilde  n. 2,

e nei confronti

di: Consorzio Intesa Aretina, costituito dalle predette appellanti, interveniente ad adiuvandum, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Benedetto G. Carbone e Alessandro Savini, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, v.le di Villa Grazioli n.13;

Federgasacqua e Confservizi CISPEL, intervenienti ad adiuvandum, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall’avv. Franco Gaetano Scoca, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate in Roma, v. G. Paisiello n.55;

 AATO n.4, Comune di Arezzo, Collegio di Vigilanza ed Enti sottoscrittori dell’accordo di programma del 10 luglio 1998, Coingas, Provincia di Arezzo, Società di gestione Valdichiana, Acea s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, non costituiti in  giudizio,

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. I, del 15 gennaio 2001, n.24, con la quale è stato accolto in parte il ricorso proposto dalla Vivendi avverso l’accordo di programma siglato dagli Enti locali il 10 luglio 1998, gli atti inerenti alla procedura di selezione di un socio di minoranza per la costituenda società mista di gestione del servizio idrico integrato dell’AATO n.4, l’atto costitutivo e lo statuto della società mista di gestione del servizio di che trattasi.

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellata Vivendi, appellante incidentale, l’appello incidentale del Comune di Castiglion Fibocchi, gli atti di intervento del Comune di Pieve S.Stefano, della Cispel, del Consorzio Intesa Aretina e di Federgasacqua;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti delle cause;

Viste le ordinanze nn. 1426/01, 1452/01, 1453/01, 1455/01 del 6 marzo 2001, con cui è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecuzione  della sentenza di primo grado;

Relatore alla pubblica udienza del 5 giugno 2001 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti  Morbidelli, Aquarone, Scoca, Sciumè, Carbone, anche su delega di Pallottino, Manneschi, su delega di Paolini, Pellegrino, Clarizia, Chiti, Rubechi;

Visto il dispositivo della presente decisione n. 316, pubblicato il 7 giugno 2001;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Con legge 5 gennaio 1994, n.36, recante disposizioni in materia di risorse idriche (c.d. legge Galli), è stata  delineata la nuova disciplina dell’organizzazione e della gestione dei servizi idrici.

 In particolare è stata individuata la nozione di “servizio idrico integrato”, come quel servizio “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue”.

Tale servizio integrato deve essere riorganizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (A.T.O.), alla cui delimitazione provvede ciascuna regione.

I comuni e le provincie facenti parte di ciascun A.T.O. provvedono, a loro volta, ad organizzare e gestire il servizio idrico integrato mediante le forme obbligatorie di cui alla l.142/90, come integrata dalla l.498/92.

2. La Regione Toscana ha dato attuazione alla c.d. legge Galli con due leggi: la legge 21 luglio 1995, n.81 e la legge 4 aprile 1997, n. 26.

La l.r. 81/95 ha previsto la costituzione di consorzi obbligatori tra i Comuni di ciascun A.T.O., denominati Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (A.A.T.O.), svolgenti funzioni di programmazione, organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio idrico integrato, con esclusione di ogni attività attinente alla gestione del servizio.

L’affidamento del servizio al nuovo gestore è disciplinato, secondo quanto dispone l’art.11 della l. 36/94, da una convenzione e dal relativo disciplinare, redatti sulla base di una “convenzione-tipo” adottata dalla Regione.

La l.r. 26/97 ha approvato, tra l’altro, lo schema di convenzione – tipo per l’affidamento del servizio.

3. I Comuni ricompresi nell’A.T.O. n.4 “Alto Valdarno” hanno costituito l’Autorità di Ambito Territoriale n.4 – Alto Valdarno, insediatasi il 14 marzo 1996, ed il cui statuto ha confermato le funzioni di programmazione e controllo.

L’A.A.T.O. n.4 ha scelto, con deliberazione n.14 del 17 luglio 1997, come forma di gestione del servizio idrico integrato, la società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, ai sensi dell’art.22, comma 3, lett. e), della l.142/90.

In data 10 luglio 1998, deliberati piano d’ambito e tariffe del servizio integrato, i Comuni consorziati hanno sottoscritto  un accordo di programma, con cui si è prevista la nomina di un Collegio di vigilanza, cui demandare la fase della scelta del socio di minoranza.

Il Collegio di vigilanza, dopo aver dettato – tramite un disciplinare – le regole generali per la relativa selezione, ha affidato a sua volta il procedimento di selezione ad una commissione di esperti, la quale, esaminate in molteplici sedute le offerte di tre raggruppamenti di imprese (Suez-Lyonnaise des Eaux, Vivendi, ACEA), ha proposto l’aggiudicazione al raggruppamento facente capo alla società Suez-Lyonnaise des Eaux, una delle attuali appellanti principali.

Il Collegio di vigilanza e, successivamente, l’A.A.T.O. hanno approvato gli atti della Commissione e detto raggruppamento è stato individuato quale socio privato di minoranza, consentendo così  la nascita della società “Le Nuove Acque s.p.a.”, costituita con atto del 30 marzo 1999, omologata con decreto del Tribunale di Arezzo del 22 aprile 1999 e operativa, come affidataria del servizio idrico integrato da parte dell’A.A.T.O. n.4, a partire dal 1° giugno 1999.

4. Avverso tutti gli atti del procedimento, nonché l’accordo di programma del luglio 1998, l’atto costitutivo e lo statuto della nuova società mista costituita per la gestione del servizio idrico integrato, ha proposto ricorso il raggruppamento facente capo alla società Vivendi, classificatosi al secondo posto nella procedura di selezione.

Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il TAR Toscana, disattesa l’eccezione di irricevibilità del gravame, ha accolto in parte il ricorso, annullando alcuni degli atti impugnati, relativi alla procedura di selezione del socio di minoranza, nonché l’atto costitutivo e lo statuto della neo-costituita società mista di gestione del servizio idrico integrato.

Il TAR, operando una distinzione tra i vizi dedotti, a seconda che fossero a monte o meno della predetta procedura di selezione, ha ritenuto nel complesso legittima la  procedura antecedente alla selezione, e quindi, in particolare, l’accordo di programma tra gli Enti locali e gli atti del Collegio di vigilanza, mentre ha giudicato fondate alcune delle  censure, dedotte dalla Vivendi, più attinenti alla procedura di gara.

5.  Hanno interposto appello avverso la prefata sentenza, oltre all’Autorità di ambito e al raggruppamento risultato vincitore (Suez Lyonnaise), anche alcuni dei comuni (Sinalunga e altri) facenti parte dell’ambito territoriale interessato, tra cui  - formalmente con appello incidentale - il Comune di Castiglion Fibocchi, nonché la Provincia di Arezzo, e da parte di tutti gli appellanti è stato accuratamente censurato ogni profilo ritenuto fondato dai Giudici di prime cure.

Il raggruppamento vincitore, con il ricorso in appello di pertinenza, ha anche dedotto profili di tardività del ricorso di primo grado, di incompletezza del contraddittorio (visto che la società mista di gestione del servizio è stata costituita e omologata prima della notifica del ricorso di primo grado), di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (circa l’annullamento dell’atto costitutivo della società).

6. L’appellata Vivendi si è costituita in giudizio per resistere agli appelli, e ha puntualmente controdedotto, proponendo altresì appello incidentale al fine di riproporre alcune delle censure non condivise dal TAR.

Sono intervenuti, ad adiuvandum, il Consorzio Intesa Aretina, la CISPEL, la Federgasacqua, con particolare attenzione le ultime due al profilo dei vincoli territoriali-funzionali imposti all’attività delle società miste per l’esercizio dei servizi pubblici locali. E’ intervenuto, invece, ad opponendum il Comune di Pieve S.Stefano, che non ha aderito alla procedura di costituzione della nuova società di gestione del servizio idrico in argomento.

Con ordinanze della Sezione nn. 1426/01, 1452/01, 1453/01, 1455/01, del 6 marzo 2001, è stata disposta, in adesione alla  richiesta degli appellanti principali, la sospensione dell’efficacia  della sentenza di primo grado.

Alla pubblica udienza del 5 giugno 2001  il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Gli appelli principali in epigrafe, che debbono essere riuniti in quanto proposti avverso la medesima  sentenza, meritano accoglimento.

 Con la sentenza impugnata il TAR Toscana ha accolto in parte il ricorso proposto dall’appellata Vivendi, annullando alcuni degli atti impugnati, relativi alla procedura di selezione del socio di minoranza (titolare del 46 % del capitale azionario), nonché l’atto costitutivo e lo statuto della neo-costituita società mista di gestione del servizio idrico integrato relativo all’Ambito territoriale ottimale n.4 della Toscana.

Il TAR, operando una distinzione tra i vizi dedotti, a seconda che fossero a monte o meno della suddetta procedura di selezione, ha ritenuto nel complesso legittima la procedura adottata antecedentemente alla gara, e quindi, in particolare, l’accordo di programma concluso tra gli Enti locali interessati, nonché gli atti del Collegio di vigilanza, mentre ha giudicato fondate alcune delle  censure dedotte dalla Vivendi, relativamente in particolare a:

-                   violazione dell’art.22 l.109/94, perché sono stati resi noti i soggetti che avevano fatto richiesta o avevano segnalato il proprio interesse alla gara prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte;

-                   violazione del principio di pubblicità, per aver la Commissione di gara esaminato in seduta segreta la regolarità della documentazione relativa alla preselezione;

-                   violazione del bando di gara, in quanto è stata ammessa, in favore del raggruppamento vincitore (Suez Lyonnaise), la regolarizzazione tardiva delle dichiarazioni antimafia ex l.575/65, relativamente alle persone fisiche;

-                   violazione dei limiti territoriali-funzionali per la AMGA s.p.a., ex  azienda speciale del Comune di Genova, facente parte del raggruppamento vincitore;

-                   omessa applicazione del criterio della ponderazione relativo alla quota di partecipazione e al ruolo gestionale;

-                   errori nella valutazione delle tariffe e degli ammortamenti;

-                   errori e carenza di motivazione nell’attribuzione del punteggio relativo alle modalità di finanziamento per gli investimenti contenute nel piano d’ambito.

In definitiva, così facendo, il TAR ha annullato:

-                   gli atti di gara relativi alla scelta del socio di minoranza per la costituenda società mista di gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O. n.4, Alto Valdarno;

-                   la deliberazione del Comitato di Vigilanza di approvazione della graduatoria finale della gara;

-                   la deliberazione dell’Assemblea degli Enti locali sottoscrittori dell’Accordo di programma del 10 luglio 1998 di approvazione della graduatoria finale e di aggiudicazione della gara;

-                   l’affidamento della gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O. n.4 alla società mista;

-                   l’atto costitutivo e lo statuto della neo-costituita società di gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O. n.4.

E’ stato fatto salvo, come si accennava, il citato Accordo di programma  tra gli Enti locali interessati, risalente al 10 luglio 1998.

2. I Giudici di prime cure, prima di assumere - nel merito della vertenza - le determinazioni decisorie di parziale accoglimento sopra riportate,  hanno anche disatteso le eccezioni di tardività del gravame di primo grado, sollevate dalle Amministrazioni e Enti (allora) resistenti.

L’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, per intempestiva impugnazione della deliberazione di approvazione degli atti della procedura di selezione del socio privato di minoranza da parte dell’Assemblea degli Enti sottoscrittori dell’Accordo di programma (come atto definitivo del procedimento), ritenuta ingiustamente disattesa dal TAR, è stata riproposta dal raggruppamento aggiudicatario della gara (Suez-Lyonnaise), che ha peraltro eccepito anche l’incompletezza del contraddittorio  instaurato nel giudizio di primo grado, per mancata notifica del gravame nei confronti della società mista preposta alla gestione del servizio idrico integrato, la Nuova Acque s.p.a., costituita, omologata e iscritta nel Registro delle imprese in epoca antecedente all’instaurazione del giudizio di primo grado, nonché nei confronti del Consorzio Intesa Aretina (peraltro intervenuto ad adiuvandum nel presente giudizio, e che ha aderito in pieno alle eccezioni in argomento), anch’esso già costituito e iscritto nel Registro delle imprese al momento della proposizione del ricorso.

Il Raggruppamento Suez-Lyonnaise, uno degli appellanti principali, ha peraltro eccepito anche il difetto parziale di giurisdizione del giudice amministrativo e quindi, in via gradata, la parziale inammissibilità del ricorso di primo grado, relativamente all’annullamento, richiesto al TAR e disposto dal medesimo, dell’atto costitutivo di una società  di capitali già iscritta nel Registro delle imprese.

3. Essendo gli appelli principali fondati nel merito può prescindersi da una dettagliata disamina delle eccezioni di irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado (oltre che di alcune specifiche censure in esso contenute), riproposte in questo grado di giudizio, e che peraltro non si appalesano connotate da fondatezza, atteso che, a tacer d’altro, la peculiare natura e la particolare impegnatività, di ordine anche “procedimentale”, dell’Accordo di programma del luglio 1998 non permettevano comunque, in assenza della prova di una piena conoscenza del provvedimento finale della procedura concorsuale acquisita per altri versi, di fare riferimento, nei confronti di un soggetto partecipante alla gara, alla pubblicazione dell’approvazione degli atti e degli esiti della procedura concorrenziale come  dies  a quo di decorrenza del termine decadenziale per l’impugnativa.

4. Maggiore attenzione merita certamente l’eccezione di incompletezza del contraddittorio instaurato in primo grado, per mancata vocazione in giudizio della società mista (Nuova Acque s.p.a.) preposta definitivamente alla gestione del servizio idrico integrato dell’A.T.O. n.4 – Alto Valdarno, che nelle more della notifica del gravame è stata costituita, omologata e iscritta nel Registro delle imprese.

A fronte dell’eventuale fondatezza di tale eccezione il Giudice di appello non avrebbe, infatti, soverchi margini di scelta, dovendo inevitabilmente  disporre l’annullamento con rinvio ai primi Giudici, visto che la sacralità del principio del contraddittorio, nella sua doverosa esplicazione nel doppio grado di giudizio, impone che si debba prescindere dall’esito, nel merito, dell’impugnativa, non potendosi condizionare a questo l’integrazione del contraddittorio dinanzi al Giudice di prime cure (si veda amplius Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 1994, n. 13).

Ma l’eccezione non merita di essere condivisa.

Il raggruppamento appellante  prende le mosse dalla circostanza che il ricorso introduttivo era volto ad  ottenere la caducazione, oltre che degli atti preordinati alla costituzione della società mista cui affidare il servizio idrico integrato, anche dell’atto costitutivo e dello statuto della predetta società di gestione del servizio, di cui peraltro l’originaria ricorrente declamava  la non conoscenza.  La società di cui si discute, essendo stata costituita, omologata e registrata prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, non poteva non considerarsi necessario contraddittore, in quanto titolare di un interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati, e pertanto nei suoi confronti il TAR avrebbe dovuto necessariamente disporre l’integrazione del contraddittorio.

Tanto premesso, è vero che il TAR, trattandosi di materia riservata alla giurisdizione esclusiva ex art. 33 d.lg. 80/98, nell’accogliere il gravame proposto dalla appellata Vivendi ha  pronunciato anche l’annullamento dell’atto costitutivo e dello statuto della neo-costituita società di gestione per il servizio in argomento, ma è altrettanto evidente che tali atti, pur formalmente impugnati (senza peraltro che la originaria ricorrente desse conto di conoscerli), non costituivano atti amministrativi censurabili, come invece la serie di atti e provvedimenti che hanno portato all’individuazione del socio privato di minoranza.

La sorte dell’atto costitutivo e dello statuto in questione poteva essere, in via del tutto derivata rispetto alla declaratoria di illegittimità della serie procedimentale sfociata nella scelta del predetto socio, la nullità per difetto dei presupposti strutturali, ma non certo quella dell’annullamento  giurisdizionale, in senso tecnico,  da parte del TAR adito.

5. Del resto convincenti si rivelano le perspicue argomentazioni formulate dalla difesa del Raggruppamento Suez nel sollevare la successiva eccezione, volta ad evidenziare che la pronunzia costitutiva del giudice, anche nella vigenza di un regime di giurisdizione esclusiva sui pubblici servizi (e pur quindi negli ambiti di giurisdizione definitivamente delimitati, in via sopravvenuta, dalla l.205/00, ritenuti, da una giurisprudenza che si sta sempre più consolidando,  comunque applicabili ai procedimenti introdotti prima della declaratoria di incostituzionalità, per eccesso di delega, dell’art.33 del d.lg.80/98, di cui a C.Cost. 17 luglio 2000, n. 292: cfr. Cass., SS.UU., 27 luglio 1999, n.516; Cons. Stato, V, ord. 28 settembre 2000, n. 4822; IV, 27 novembre 2000, n.6315; VI, 1° marzo 2001, n. 1101 e 27 marzo 2001, n. 1807; v. anche C.Cost. ord. 10 maggio 2000, n.154), relativamente alla quale di per sé non possono considerarsi estranee all’ambito del giudizio le conseguenze dell’annullamento giurisdizionale degli atti amministrativi sulla validità degli atti contrattuali in essere, non poteva violare gli stretti ambiti di intervento concessi dalla legislazione in tema di nullità della società (art.2332 c.c.). In merito, infatti, all’invalidità dell’atto costitutivo della società per azioni iscritta nel Registro delle imprese, non possono essere pretermesse le prescrizioni tassative di legge sui casi di nullità della società; in più la sentenza che dichiara la nullità della società dovrebbe comunque procedere alla nomina dei liquidatori.

Le ragioni di tale scelta ordinamentale sono evidenti, atteso che i rapporti giuridici facenti capo alla persona giuridica ormai esistente non possono rimanere adespoti e, in seguito alla sua estinzione, la successione nei rapporti medesimi non può che conseguire a una procedura di liquidazione.

Il TAR adito non aveva dunque il potere di pronunziare, conseguentemente alla declaratoria di illegittimità degli atti amministrativi che avevano portato all’individuazione del socio privato di minoranza e sulla base della ritenuta giurisdizione esclusiva, il puro e semplice annullamento  dell’atto costitutivo e dello statuto della neo-costituita società di gestione, seppur in tal senso formalmente sollecitato dall’appellata, che aveva evidentemente invocato un effetto caducante collegato all’illegittimità della procedura contestata in prima istanza.

La lettera dell’art.33, comma 2, lett. a), del d.lg. 80/98, non modificato sul punto dalla l.205/00 (e quindi esattamente reintrodotto dalla predetta legge in seguito alla pronuncia di incostituzionalità), quando statuisce la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie concernenti, tra l’altro, l’istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali, è stata, del resto, avvedutamente interpretata nel senso che la disposizione vada  eminentemente riferita alle sole procedure pubblicistiche (appunto di istituzione, modificazione o estinzione), dovendosi escludere ogni interferenza del giudice amministrativo in questioni di stretta attinenza al diritto societario. Esulano, pertanto, dall’ambito del potere cognitorio del giudice amministrativo le controversie prettamente privatistiche inerenti alle vicende del contratto sociale.

6. A questo punto però, tornando ad esaminare il profilo dell’integrità del contraddittorio nel primo grado di giudizio, il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni tratte dal raggruppamento appellante, in merito all’individuazione delle parti necessarie del processo.

Occorre, infatti, delimitare in senso oggettivo-sostanziale la sfera degli atti (amministrativi) effettivamente impugnabili e non basarsi, anche per ragioni di economia processuale,  sugli effetti caducanti, pur invocati dalla parte interessata, che comunque non ricadevano nella potestà cognitoria del giudice amministrativo adito.

Orbene, appare sufficientemente chiaro che la Nuova Acque s.p.a. veniva a collocarsi, rispetto al mantenimento in vita degli atti di gara effettivamente impugnabili, in una posizione di indifferenza, o tutt’al più di vantaggio di fatto e del tutto indiretto, e quindi non risultava titolare di un interesse qualificato e differenziato tale da farla assurgere a contraddittore necessario.

Ha ragione dunque l’appellata a sottolineare, al riguardo, che gli atti procedurali oggetto delle censure di legittimità parzialmente accolte dal TAR – a prescindere dall’effetto  che l’annullamento giurisdizionale poteva produrre sulla compagine sociale, in termini di nullità – costituivano l’unico elemento anche temporalmente rilevante  ai fini dell’individuazione dei controinteressati, dovendosi fare riferimento, per l’esatta cognizione dei medesimi, al momento dell’emanazione dei provvedimenti amministrativi.

Nulla escludeva, come è ovvio, che la neo-costituita società, in quanto comunque titolare, nella sua sopravvenuta autonomia e personalità, di un interesse di fatto al mantenimento in vita degli atti procedimentali impugnati, potesse intervenire spontaneamente nel giudizio di primo grado, ma la Nuova Acque ha ritenuto di non avvalersi di tale facoltà.

Non diverse considerazioni, seppur non investito direttamente da una richiesta di annullamento giurisdizionale dell’atto costitutivo e dello statuto, merita la posizione del Consorzio Intesa Aretina (che ha peraltro dispiegato intervento ad adiuvandum in sede del presente giudizio di appello), anch’esso costituito e iscritto al Registro in epoca precedente alla proposizione del ricorso.

 Nella specie si tratta di uno strumento associativo di coordinamento prescelto dai legittimi controinteressati, qui appellanti, nel momento in cui sono entrati a far parte della neo-costituita società di gestione, ma, anche in questo caso, non si ravvisa una diretta attinenza con i provvedimenti amministrativi oggetto di impugnazione.

Ritenendosi, in definitiva, di individuare la platea dei contraddittori necessari esclusivamente sulla base dei provvedimenti (amministrativi) effettivamente impugnabili, prescindendo dalla prospettazione di questi ultimi fatta a suo tempo da parte dell’appellata, il contraddittorio instaurato in primo grado risulta, in tal senso, completo e non si ravvisano, pertanto, le condizioni per disporre l’annullamento della pronuncia impugnata con rinvio al primo Giudice.

7. Si può ora affrontare, nel merito, alla stregua delle deduzioni degli appellanti principali, i singoli profili di lagnanza che sono stati oggetto di adesione da parte dei primi Giudici.

Rispettando l’ordine delle censure accolte dal TAR, occorre prendere le mosse dalla doglianza relativa al settimo motivo del ricorso originario, per il tramite della quale l’appellata Vivendi  ha lamentato la violazione dell’art.22 della l.109/94.

 La predetta disposizione, in tema di accesso alle informazioni, vieta espressamente, e tassativamente (con una previsione assistita da una specifica sanzione penale, mediante richiamo dell’art. 326 c.p.), all’ente aggiudicatore, in deroga alla normativa vigente in materia di procedimento amministrativo, di comunicare a terzi o di rendere in qualsiasi altro modo noto: nel caso di pubblici incanti l’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, prima della scadenza del termine per la presentazione delle medesime; nei casi di licitazione privata, di appalto-concorso  o di gara informale che precede la trattativa privata l’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, prima della comunicazione ufficiale da parte del soggetto appaltante o concedente dei candidati da invitare o del soggetto individuato per l’affidamento a trattativa privata.

Tanto chiarito, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che i limiti al diritto di accesso alla documentazione di cui al predetto art.22 della l.109/94 integrano una regola generale valevole per tutti i procedimenti di gara, indipendentemente dalla circostanza che la richiamata  legge quadro disciplini specificamente il settore dei lavori pubblici.

Ne conseguirebbe che il suddetto disposto normativo andava osservato nel procedimento di selezione di che trattasi, con il conseguenziale divieto di rendere noti i soggetti che avevano fatto richiesta o che avevano segnalato il proprio interesse alla selezione, il che, nella specie, non sarebbe avvenuto.

In occasione della risposta  ai vari chiarimenti chiesti dalle imprese che avevano manifestato il proprio interesse alla selezione, l’A.A.T.O., in data 13  novembre 1998, ha inviato, infatti,  due note contenenti i nominativi e gli indirizzi delle imprese destinatarie, consentendo in tal modo alle stesse di conoscere i rispettivi potenziali concorrenti.

In questo modo sarebbero stati resi noti i soggetti che avevano segnalato il proprio interesse alla gara prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte.

Il TAR non censura il metodo del chiarimento, riconosciuto come rispettoso della par condicio, visto che, indipendentemente dalla provenienza del quesito, è stato esteso a tutti i soggetti potenzialmente interessati, bensì la forma, correttamente non adottata nell’immediata  precedenza   (note dell’11 novembre 1998), costituita in pratica da una circolare divulgativa contenente i dati identificativi delle imprese interessate alla selezione.

Di qui un vizio dell’intera procedura incidente sul buon andamento, sull’imparzialità e (soprattutto) sulla segretezza del procedimento di selezione in argomento; vizio che inficerebbe insanabilmente l’intera procedura, e che quindi comporterebbe, sempre ad avviso dei primi Giudici (che hanno comunque ritenuto, per completezza di giudizio, di esaminare anche gli altri motivi di censura), il travolgimento, e quindi la necessità di rinnovazione dell’intera procedura di selezione. 

Gli appellanti principali hanno dedotto, al riguardo, motivi che non appaiono privi di pregio, soprattutto in punto di fatto.

In disparte, infatti, i pur spinosi problemi, da una parte,  dell’applicabilità della disposizione speciale dettata in tema di accesso alle informazioni dalla c.d. legge Merloni ad ambiti della materia degli appalti non di stretta competenza (sostenendo la quale voci autorevoli si sono soffermate sulla ratio di evitare accordi fraudolenti tra alcuni dei partecipanti, a discapito del libero e corretto svolgimento della gara), nonché, dall’altra, dei rapporti della disciplina speciale con la disciplina generale dettata per il procedimento amministrativo dalla l.241/90, richiamata dal Tribunale con riferimento finanche all’istituto del differimento dell’accesso (che però è rimesso al libero apprezzamento dell’Amministrazione),  occorre tenere debitamente conto dei riscontri di fatto e delle peculiarità, in concreto, della procedura selettiva di che trattasi.

Alla procedura selettiva di cui si verte, accostabile, pur con i dovuti adattamenti, ad un pubblico incanto, vista l’assenza, rilevata dagli stessi Giudici di prime cure, di una autonoma fase di preselezione dei partecipanti, poteva al limite applicarsi la sola lett. a) del citato art.22, comma 1, recante il divieto di comunicare a terzi o di rendere in qualsiasi modo noto l’elenco dei soggetti che “hanno presentato offerte” prima della scadenza del termine per la presentazione delle medesime.

Orbene, appare  fuori discussione che le contestate note in parola siano intervenute (in data 13 novembre 1998) quando ancora  nessuna offerta era stata presentata, essendo tutte le offerte pervenute in data 16 novembre 1998, ovvero l’ultimo giorno utile.

Non a caso le note dell’A.A.T.O. chiamate in causa indicavano nominativamente soltanto le imprese che avevano fatto pervenire richieste di chiarimenti, tra le quali alcune non hanno poi presentato l’offerta. Non si può dunque condividere, né trova riscontri in punto di fatto, quanto sostenuto dal Comune di Pieve S. Stefano, interveniente ad opponendum, secondo il quale i chiarimenti si riferivano ad offerte che senz’altro sarebbero state presentate. 

Inoltre, ad ulteriore conferma, tra l’altro, della peculiarità della complessa procedura selettiva di cui si discute, va sottolineata la circostanza, a cui l’appellata non ha fatto cenno nel ricorso originario, che già prima dell’adozione delle note contestate si erano tenute, come del resto consentito dagli atti generali di gara, apposite riunioni collegiali tra tutte le imprese comunque interessate ad ottenere chiarimenti; in tali occasioni ogni impresa ha potuto prendere contezza di quali fossero gli altri soggetti richiedenti informazioni sulla gara, seppur non ancora individuabili come offerenti (in questo senso non viene ad essere ulteriormente avvalorata la censura dedotta in primo grado dall’appellata), nella  totale par condicio comunque dei (futuri) partecipanti.

La censura circa la violazione del principio della segretezza deve essere dunque disattesa.

8. Con il secondo dei motivi accolti dal TAR, ovvero l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, era stata invece dedotta la violazione del principio di pubblicità delle operazioni di ammissione alla gara.

In particolare con l’indicata censura, ritenuta dai primi Giudici degna di considerazione, l’appellata si era lamentata del fatto che la Commissione di gara aveva proceduto in seduta riservata anche all’esame della regolarità dei documenti attinenti al possesso dei requisiti di partecipazione e di ammissione alla gara, impedendo quindi la presenza, alle relative operazioni, dei rappresentanti delle imprese concorrenti che avevano l’interesse a verificare la regolarità delle operazioni di controllo di competenza della Commissione.

Il TAR ha giudicato integrata la violazione del principio di pubblicità, argomentando nei termini che seguono.

La procedura di selezione di che trattasi aveva richiesto – oltre ai normali requisiti di ammissione alle gare (come l’inesistenza di cause di esclusione) – il possesso di requisiti professionali particolarmente severi che, in assenza di una precedente ed autonoma fase di preselezione, dovevano essere valutati dalla Commissione di gara. Il principio di pubblicità che regola, in generale , lo svolgimento delle gare di appalto, imponeva che per le relative operazioni (ad eccezione di quelle relative alla valutazione tecnica del progetto-offerta) la Commissione di gara procedesse in seduta pubblica, essendo facoltà delle imprese concorrenti non solo verificare la regolarità della documentazione dei partecipanti alla gara, ma anche  formalizzare nel verbale le eventuali contestazioni.

Ma le tesi difensive sviluppate dagli appellanti principali meritano condivisione, in quanto il pur apprezzabile iter argomentativo seguito dal TAR nell’accogliere il motivo non riceve, anche in questo caso, il necessario conforto dai riscontri fattuali.

Va in primis chiarito che la censura dedotta dall’appellata nel ricorso originario appare pienamente ammissibile, in quanto non risulta intervenuta alcuna acquiescenza da parte della medesima in ragione del comportamento tenuto dal proprio rappresentante nelle operazioni di gara in discussione.

Al riguardo è sufficiente, infatti, ribadire il ben noto principio per cui dalla mancata presentazione di un reclamo, e quindi per di più da un comportamento omissivo, da parte del rappresentante della ditta ricorrente che ha assistito alle operazioni di gara, non può desumersi  alcuna forma di acquiescenza, dovendosi ricondurre l’interesse a censurare atti tipicamente endoprocedimentali all’impugnazione dell’atto conclusivo della procedura di gara (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 5 marzo 2001, n. 1247).

Nel merito però, scorrendo dettagliatamente il contenuto dei verbali di gara, che per le operazioni riportate fanno fede fino a querela di falso, non è riscontrabile la dedotta violazione del principio di pubblicità.

Risulta, infatti, che la Commissione, in ottemperanza alle decisioni assunte nella seduta del 16 novembre 1998, ed approvate dal Collegio di Vigilanza, abbia aperto in seduta pubblica il 18 novembre 1998 la busta n.1, contenente i documenti di ammissione, come ha aperto, parimenti in seduta pubblica ma il 15 dicembre 1998, la busta n.2, contenente l’offerta.

Nelle suddette occasioni, alla presenza dei rappresentanti dei tre raggruppamenti partecipanti alla gara, si è proceduto non soltanto a verificare che le offerte fossero pervenute con le modalità e nei termini richiesti dal disciplinare di gara, e che i plichi fossero integri, ma anche a controllare che la busta n.1 contenesse tutti i documenti di ammissione richiesti dal bando, e che la busta n.2 contenesse invece  tutti gli elementi attinenti all’offerta.

E’ evidente che l’esame delle offerte dovesse essere poi effettuato in seduta segreta, trattandosi di offerte tecniche, rimesse quindi alla valutazione di merito della Commissione di gara.

I primi Giudici, non rilevando alcun vizio quanto alla procedura di apertura ed esame preventivo delle offerte (busta n.2, verbale n.10 del 15 dicembre 1998), hanno invece ritenuto meritevole di accoglimento la censura svolta dalla ricorrente originaria in ordine alle modalità di esame dei documenti di ammissione (contenuti nella busta n.1, di cui al verbale n.6 del 18 novembre 1998).

Risulta in realtà essere stata effettuata in pubblico l’inventariazione dei documenti, mentre il dettagliato esame nel merito degli stessi, come comunicato ai rappresentanti presenti, che nulla hanno obiettato al riguardo (anche se tale circostanza, come accennato, non rileva ai fini di un’eventuale acquiescenza dell’attuale appellata), è stato rimandato alla seduta riservata. Può al riguardo presumersi che si sia tenuto conto anche della rilevante mole dei relativi incartamenti, nonché della complessità degli adempimenti di verifica documentale, da attuarsi in una procedura selettiva assimilabile, per certi versi, ad un appalto concorso, e non solamente dunque ad un pubblico incanto

Orbene, anche in mancanza di chiari e rigorosi parametri normativi di riferimento, può affermarsi che nella specie si sia dato comunque sufficiente seguito ai principi di trasparenza e pubblicità, valevoli per ogni forma di gara e la cui portata è sicuramente inderogabile per quanto attiene alla fase dell’apertura e della verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e le offerte.

La Commissione di gara, alla presenza dei rappresentanti dei concorrenti, non solo, infatti, ha pubblicamente verificato che la documentazione fosse pervenuta con le modalità e nei termini previsti e che i plichi risultassero integri, ma ha anche consentito di prendere visione dei documenti che man mano venivano inventariati e siglati, una volta controllata pubblicamente la corrispondenza, documento per documento, con l’elencazione fornita dai concorrenti, con le garanzie del caso, dunque, contro eventuali manomissioni.

E’ pur vero, in definitiva, che la valutazione in seduta riservata è naturalmente consona all’esame tecnico-qualitativo dell’offerta e non alle fasi preliminari attinenti all’ammissione dei concorrenti, ma al tempo stesso non può dirsi che, dato riguardo ancora una volta alle peculiarità della procedura selettiva in questione e  viste le formalità procedurali svolte, siano state nella fattispecie vulnerate in maniera decisiva le garanzie di pubblicità e trasparenza del procedimento di verifica dei requisiti di ammissione alla gara. Non si può del resto escludere che, una volta assolti i sopra richiamati oneri di garanzia, anche l’esame, nel merito, dei singoli requisiti di ammissione potesse comportare l’espletamento di valutazioni non del tutto dissimili rispetto a quelle da effettuarsi in sede di stretto esame tecnico-qualitativo delle offerte (trattandosi di procedura selettiva per alcuni versi assimilabile all’appalto concorso), e quindi legittimamente operabili in seduta riservata.

Il principio di necessaria pubblicità delle operazioni di gara dei pubblici appalti pretende, in definitiva, che, in sede di apertura dei plichi contenenti i documenti di ammissione e le offerte, il materiale documentario trovi correttamente ingresso con le garanzie della seduta pubblica (quindi, per i documenti di ammissione, con riscontro, inventario e, se del caso, visione) e secondo le procedure stabilite dalle norme generali di gara, il che nella specie sembra sostanzialmente avvenuto (cfr., ma con riferimento precipuo alle offerte, anche Cons. stato, V, 14 aprile 2000, n. 2240).

Il profilo di doglianza in argomento, per come dedotto dagli appellanti principali, merita dunque adesione.

9. Il Collegio deve ora darsi carico di esaminare il terzo motivo oggetto di favorevole apprezzamento da parte dei Giudici di prime cure, ovvero il nono mezzo del ricorso introduttivo, nel quale si affermava che in ordine all’insussistenza  dei provvedimenti interdittivi di cui alla legge n.575 del 1965 ( antimafia), come successivamente modificata, la Commissione avrebbe illegittimamente consentito al raggruppamento aggiudicatario la regolarizzazione della autodichiarazione ammessa in luogo della produzione documentale, dimostratasi carente per quanto attiene alle singole persone fisiche preposte agli organi di vertice.

Scendendo nel dettaglio, nel caso di specie ognuna delle partecipanti al raggruppamento vincitore aveva presentato una dichiarazione, ai sensi dell’art.20 della l.15/68, del rappresentante della società, nella quale si dichiarava e certificava che nei confronti della società o della ditta non sussistevano provvedimenti interdittivi ai sensi della legge 575/65.

La dichiarazione resa non coinvolgeva però espressamente le persone fisiche degli amministratori, soci ecc., con palese  ed inequivocabile violazione, secondo il Tribunale di prima istanza, dell’art.10-sexies, comma 4, della citata l.575/65 (peraltro abrogato a decorrere dall’entrata in vigore del d.lg. 8 agosto 1994, n.490; più correttamente andava fatto riferimento all’art.2, comma 3, del DPR 3 giugno 1998, n. 252), nonché delle prescrizioni, a pena di esclusione, contenute nel disciplinare di gara. La dichiarazione veniva poi corretta e integrata in sede di gara da tutte le società del raggruppamento,  perentoriamente sollecitate dalla Commissione.

Ma tale regolarizzazione, o integrazione documentale che dir si voglia, avrebbe violato le norme poste a presidio della regolarità della gara e della par condicio, attenendo ad un requisito di ammissione richiesto dal disciplinare a pena di esclusione.

In altre parole, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che nella procedura in argomento la mancanza  delle dichiarazioni relative alle persone fisiche non costituiva una mera irregolarità della dichiarazione antimafia, sanabile ed integrabile successivamente alla scadenza dei termini per la presentazione dell’offerta, bensì un vizio insanabile della stessa, che ne doveva dunque cagionare la giuridica inesistenza.

La normativa antimafia richiamata, infatti, richiederebbe contemporaneamente due distinte certificazioni, ontologicamente diverse: una relativa alle società, ed un’altra, che sembrerebbe di maggior peso,  relativa a ciascuna delle persone fisiche che nella società rivestono cariche sociali, al direttore tecnico ed ai loro familiari. La mancanza dell’una non poteva essere supplita dall’altra ed il requisito di partecipazione doveva ritenersi non dimostrato nei termini perentori stabiliti dal disciplinare. In conclusione, ad avviso del TAR, il raggruppamento facente capo alla Suez-Lyonnaise doveva essere escluso per il suddetto motivo e quindi la diversa determinazione della Commissione ha reso illegittimo  il provvedimento di aggiudicazione al predetto raggruppamento.

Le appellanti contestano le argomentazioni e le conclusioni del TAR, ritenendo che l’omissione dichiarativa di specie abbia integrato una mera irregolarità, sanabile a cura del responsabile del procedimento, in virtù anche dei principi generali del favor per la più ampia partecipazione possibile dei concorrenti e della collaborazione tra Amministrazione e soggetto privato istante, sancito quest’ultimo, tra l’altro, dall’art.6, comma 1, lett. b), della l.241/90, in tema di rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete.

 Viene evidenziato come la dichiarazione di cui si verte fosse comunque conforme al tenore letterale del bando e delle norme generali di gara, che facevano generico riferimento a provvedimenti interdittivi concernenti società e consorzi, o comunque all’”offerente” come tale, senza dunque espresso coinvolgimento dei nominativi dei componenti del Consiglio di amministrazione e degli organi direttivi delle varie società.

Le autocertificazioni presentate inoltre, concludono gli appellanti, potevano comunque interpretarsi nel senso di riferirsi, sia pure a titolo di indicazione generale, a tutti i componenti degli organi, intesi come persone fisiche, non potendo esse riguardare le sole società come tali.

Tanto premesso, il disciplinare, al punto B, lett. g),  in effetti richiedeva che gli offerenti dovessero produrre una dichiarazione del legale rappresentante, rilasciata in forma autenticata con le modalità di cui all’art.20 della l. n.15 del 1968, che “l’offerente” non si trovasse nelle condizioni descritte al successivo punto C1, il quale a sua volta prevedeva che non erano ammesse a partecipare “le società e/o i consorzi”...”nei cui confronti” sussistesse un provvedimento interdittivo ai sensi della legge 575/65, come modificata ed integrata dal d.lg. 490/94.

Manca dunque uno specifico richiamo alle persone fisiche, nonché alla duplice dichiarazione di cui sopra si è accennato.

Le argomentazioni degli appellanti si appalesano allora fondate, tenuto conto soprattutto della circostanza che la Commissione ha richiesto alle società del raggruppamento aggiudicatario, che avevano comunque prodotto nei termini una dichiarazione non difforme dal tenore letterale del disciplinare di gara (che certo non brillava per chiarezza ed esaustività),  di “confermare” che la dichiarazione prodotta a corredo della documentazione di gara fosse riferibile a tutti i soggetti (quindi anche alle persone fisiche sopra richiamate) previsti dalla legge 575/65, senza dunque richiedere una documentazione non prodotta, né una vera integrazione documentale.

Sembra in effetti essersi trattato di una irregolarità formale, in  quanto tale sanabile, riconducibile non da ultimo a una formulazione generica, fuorviante, o quanto meno non sufficientemente precisa, del bando e delle norme generali di gara; carenze quest’ultime a cui non poteva ovviarsi con il solo richiamo alle disposizioni di cui alla legge 575/65, pur contenuto nella lex specialis.

Possono trovare dunque applicazione i principi generali già condivisi dalla Sezione, secondo cui le prescrizioni riguardanti specifici adempimenti in tema di gara per l'aggiudicazione di contratti della Pubblica amministrazione, quando possano dar luogo a dubbi o possano essere intese in più di un modo, devono essere interpretate con riferimento al contenuto sostanziale dell'adempimento e in modo da consentire la più ampia partecipazione di concorrenti. Il principio secondo il quale il responsabile del procedimento amministrativo è tenuto ad invitare a rettificare eventuali irregolarità formali (art. 6, lett. b), legge  7 agosto 1990 n. 241; art. 1, comma 5, d.m. 28 febbraio 1992 n. 303; art. 5 D.P.R. 25 gennaio 1994 n. 130) è applicabile anche ai procedimenti di gara d'appalto per l'aggiudicazione di contratti della Pubblica amministrazione, a condizione che non sia turbata la par condicio dei concorrenti e non vi sia una modificazione del contenuto della documentazione presentata, il che nella specie non è avvenuto. L'Amministrazione appaltante ha la facoltà, nell'ambito dei propri poteri discrezionali, di invitare le imprese a completare o a chiarire certificati, documenti o dichiarazioni presentati (si vedano le norme di derivazione comunitaria di cui agli artt. 21, comma 3, d.lg. 406/91, 15, comma 1, d.lg. 358/92 e 16, comma 1, d.lg. 157/95), costituendo questo un correttivo all'eccessivo rigore delle forme (e ciò, secondo Cons. Stato, V, 2 marzo 1999, n. 223, anche nei casi in cui il bando li prescriva a pena di esclusione; cfr. anche VI, 30 gennaio 1998, n.120).

Del resto, come accennato, nella specie non può ravvisarsi una vera e propria omissione dichiarativa o documentale, né un conclamato mancato rispetto delle  prescrizioni del disciplinare, passibili di esclusione dell’impresa o del raggruppamento concorrente.

Anche il terzo mezzo di appello risulta dunque fondato.

10. Particolarmente pregnante, viste le tematiche generali coinvolte, risulta il quarto motivo di censura, relativo all’accoglimento, da parte del Giudice di primo grado, del decimo motivo del ricorso introduttivo, col quale si contestava l’ammissibilità della partecipazione, nel raggruppamento vincitore, della società mista AMGA, a capitale pubblico maggioritario (51%), già azienda speciale e poi società per azioni del Comune di Genova.

Pur dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali, circa la tematica dell’assunzione, da parte delle società derivate dalla trasformazione delle aziende speciali costituite per la gestione dei servizi pubblici locali, di servizi pubblici operanti in ambiti territoriali diversi da quelli propri degli enti titolari dei servizi stessi,  il TAR adito ha ritenuto fondata la censura dedotta dall’appellata.

Sulla questione, ritenuta attinente al c.d. principio di strumentalità dell’attività di gestione, inteso come identificazione dello scopo sociale nella cura degli interessi delle comunità locali, perseguibili attraverso l’attività di gestione funzionalmente svolta dalla società nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa è stata costituita, è intervenuto in via risolutiva, ad avviso del Tribunale, l’art.17, comma 58, della l.127/97, che, sostituendo la lett. e) dell’art.22, comma 3, della l.142/90, ha previsto la possibilità per gli Enti locali di gestire i servizi pubblici nella forma della società per azioni, o a responsabilità limitata, a prevalente capitale pubblico locale, costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale  del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati.

Lo specifico riferimento, per l’attività gestionale della costituenda società, alla “natura  o all’ambito territoriale del servizio”, evidenzierebbe, secondo i primi Giudici, l’intento perseguito dalla novella legislativa di imprimere un vincolo funzionale, in pratica di scopo,  alla nascita e all’operatività gestionale della società stessa, che renderebbe incompatibile l’assunzione di attività gestionali extraterritoriali, e ciò per due ordini di motivi: la scelta della forma societaria risponde all’esigenza del miglior impiego delle potenzialità proprie dell’organizzazione imprenditoriale al fine del conseguimento dei migliori risultati  sul piano dei costi e dei risultati della gestione del servizio; ma l’assunzione di altri  impegni imprenditoriali, coerenti agli scopi societari, al di fuori dell’ambito territoriale degli Enti locali di cui la società è espressione, si tradurrebbe nella sottrazione – quanto meno – di parte dell’organizzazione societaria (uomini, beni e risorse) alle esigenze della comunità locale, per la sua utilizzazione in scopi estranei a quelli per i quali la società stessa è stata costituita.

Il Tribunale non ha ritenuto coerente con la ratio che contrassegna l’art.22 della l.142/90, che nel delineare le diverse forme organizzative di gestione dei servizi pubblici muove sempre da un’implicita ma ben presente valutazione degli  interessi degli Enti pubblici titolari dei servizi medesimi, l’affermazione di un modello di società di capitali a partecipazione pubblica che si ponga sul mercato in posizione concorrenziale,  come un operatore privato del settore, al di fuori di ogni collegamento funzionale con la realtà territoriale su cui deve operare.

I Giudici di prima istanza hanno così applicato alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale (maturato però con riguardo all’assunzione di un pubblico servizio da parte di un’azienda speciale di altro comune e non quindi di una s.p.a.), secondo il quale l’estensione dell’attività delle aziende speciali comunali al di fuori del territorio dell’Ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamento funzionale - che non può essere ridotto al puro dato dell’interesse imprenditoriale -  tra il servizio eccedente l'ambito locale e le necessità della collettività locale, sussistente ad esempio nel caso dell’integrazione funzionale della propria attività con quella del Comune confinante, sicché vengano in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell'Ente che l'ha costituita (Cons. Stato, V, 23 aprile 1998, n.475).

Ne conseguirebbe, in definitiva, che l’AMGA, a causa delle limitazioni che le finalità pubblicistiche che ne hanno determinato la costituzione impongono sul piano dell’ambito territoriale delle attività che può assumere e svolgere, era priva della legittimazione in ordine all’assunzione del servizio idrico integrato di che trattasi, con conseguente illegittimità della selezione compiuta a favore del raggruppamento  che ne ha deciso la cooptazione (e questo  prescindendo dal possesso in capo a un altro componente di tutti i requisiti richiesti dal disciplinare, nonché dall’ipotizzabilità o meno di una causa di nullità, ex art. 1419 c.c., dell’accordo contrattuale che ha dato luogo al rapporto temporaneo finalizzato alla partecipazione alla selezione ed all’eventuale costituzione della società mista  per l’assunzione del servizio idrico integrato).

Le argomentazioni, fin qui  esposte, dei primi Giudici possono essere sovvertite sulla base di alcune  fondate considerazioni rassegnate dagli appellanti, di modo che, tra l’altro, il Collegio può ritenersi esonerato dall’approfondito esame delle eccezioni – peraltro di non immediata fondatezza - sollevate dai medesimi ricorrenti in appello, relativamente alla presunta  tardività, e inammissibilità per difetto di interesse, della doglianza proposta in primo grado dall’appellata Vivendi e ritenuta fondata dal TAR.

Nel merito, in primis, pur prendendosi atto dell’evoluzione che ha visto la giurisprudenza amministrativa, soprattutto di primo grado, prevalentemente assumere, in merito all’ambito territoriale di operatività delle s.p.a. a partecipazione pubblica locale, una posizione piuttosto omogenea  a quella adottata in relazione alle aziende speciali, occorre tuttavia rimarcare le differenze che, tutt’altro che superate dalla disciplina normativa vigente, ancora interessano  questi due fondamentali moduli gestionali dei servizi pubblici locali.

L’orientamento secondo cui, proprio tenendo conto di questa presunta affinità con le aziende speciali, le s.p.a. a partecipazione pubblica locale, dovendo anch’esse svolgere attività strumentale rispetto ai fini dell’ente pubblico di pertinenza, non possono di norma operare al di fuori dell’ambito territoriale di quest’ultimo, nella sua radicalità e assolutezza merita di essere rivisto.

I limiti di ammissibilità dell’attività extraterritoriale delle aziende speciali e delle s.p.a. a partecipazione pubblica locale non possono essere, infatti, affrontati negli stessi termini, proprio perché altrimenti, come rileva il raggruppamento aggiudicatario, si assisterebbe nel caso delle s.p.a. locali, a dispetto del nome e soprattutto della disciplina, ad un inaccettabile duplicato dell’azienda speciale o ad una sorta di “azienda speciale in forma societaria”, in contrasto evidente con le norme vigenti e in controtendenza con le linee di riforma del settore.

Né può affermarsi che l’omogeneizzazione delle due formule organizzative può essere per così dire limitata, nella sua portata, proprio ad un aspetto come quello degli ambiti funzionali e  territoriali dell’attività, che riveste, all’evidenza, vitale rilevanza in un assetto commerciale di mercato sempre più globalizzato.

 Se voci autorevoli, anche della dottrina specializzata, rilevano che - conseguita dall’azienda speciale, e quindi dalla ex municipalizzata,  la natura di ente pubblico economico con personalità giuridica - la differenza rispetto alla società mista sotto dominanza pubblica si disvela assai flebile nella prospettiva comunitaria di tutela della concorrenza, non possono essere del tutto pretermesse le peculiarità che caratterizzano, anzitutto ai sensi di legge, la stessa figura dell’azienda speciale.

Disciplinata ora dagli artt. 113, lett. c) e 114 del T.U. 267/00, l’azienda speciale ha natura, come è noto, di ente pubblico economico, strumentale, dotato di autonomia imprenditoriale. L’economicità della gestione, non riconducibile a un fine di lucro, pretende, come per tutti gli enti economici, la copertura dei costi corrispondenti alla remunerazione dei fattori della produzione impiegati.

Orbene la Sezione ha avuto modo recentemente di affermare (seppur in specifica relazione all’applicabilità della giurisdizione del giudice amministrativo alla luce dei connotati pubblicistici della sua natura  e del suo modus agendi) che l'azienda speciale è comunque soggetto istituzionalmente dipendente dall’Ente locale ed è con esso legata da stretti vincoli (sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza), al punto da farla ritenere elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso ente territoriale, ovvero, pur con l'accentuata autonomia derivantele dall'attribuzione della personalità giuridica, finanche parte dell'apparato amministrativo del Comune (Cons. Stato, V, 19 settembre 2000, n. 4850; 15 maggio 2000, n.2735; v. anche C.Cost.  12 febbraio 1996, n. 28).

L'attribuzione della personalità giuridica non ha trasformato l'azienda speciale in un soggetto privato, ma l'ha solo configurata come un nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici, distinto dal Comune e con una propria autonomia decisionale, e l'ha facoltizzata, per l'esercizio di un'attività che ha rilievo economico, ad effettuare scelte di tipo imprenditoriale, cioè ad organizzare i fattori della produzione secondo i modelli propri dell'impresa privata (compatibilmente peraltro con i fini sociali dell'Ente titolare) per il conseguimento di un maggiore grado di efficacia, di efficienza e di economicità del servizio pubblico.

La “capacità imprenditoriale” non va, però, oltre tali confini e subisce restrizioni anche in detti ambiti. Basti pensare che spetta al Comune la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti dall'azienda speciale.

L'art. 22 della legge n. 142 del 1990 (ora art.113 d.lg. 267/00),  nel dare al Comune la facoltà di gestire i servizi pubblici, oltre che nella forma dell'azienda speciale, anche a mezzo di società private (società per azioni o società a responsabilità limitata ex art. 17, comma 58, della legge n. 127 del 1997, costituite o partecipate dall'Ente locale) “qualora sia opportuno in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”, ha allora evidentemente indicato un modulo alternativo di gestione, seppur anch’esso non del tutto alieno a finalità e connotati ancora sostanzialmente pubblicistici.

A tal ultimo proposito, ma con precipuo riguardo alla tematica  del riparto di giurisdizione, questo Consiglio ha in effetti con chiarezza affermato che ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria assume veste  neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sé in contraddizione con il fine societario lucrativo, descritto dall’art. 2247 c.c. (cfr. Cons. Stato, VI, 27 ottobre 1998, n. 1478 e più di recente 2 marzo 2001, nn. 1206  e 1207, e 1° aprile 2001, n.1885; quest’ultima pronunzia peraltro non attiene in alcun modo ai profili di capacità “territoriale” delle società pubbliche locali, trattandosi della ben diversa ipotesi di una società di gestione aeroportuale, partecipata in via totalitaria da Enti locali e affidataria di un servizio di interesse statale, che rivendicava comunque la natura di società privata al fine di sfuggire al limite di partecipazione azionaria, imposto per decreto ai soli soggetti pubblici, in occasione della privatizzazione di altra società pubblica di gestione aeroportuale).

I dicta di questo Consesso non risultano però richiamati in maniera particolarmente conferente dal TAR nella pronunzia impugnata, non mostrandosi convincente la rigida e intransigente connessione tra permanenza di natura e finalità pubblicistiche in capo alle  società miste locali e limitazioni all’attività extraterritoriale.

Del resto gli elementi che pur comportano, ai sensi di legge, l’inquadramento delle società in argomento nell’ambito degli organismi di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori tenuti al rispetto delle procedure dell’evidenza pubblica ai fini della stipula di contratti di appalto con terzi, e quindi sottoposti alla giurisdizione del giudice amministrativo, non possono giungere al punto di far configurare anche tali società, al pari delle aziende speciali, come organi strumentali intimamente collegati all’ente territoriale,  conseguentemente  imponendo loro, in maniera indiscriminata, gli stessi stringenti limiti posti all’attività espletata al di fuori del territorio dell’Ente locale che le ha costituite.

Limiti che nel caso delle aziende speciali in effetti conseguono all’elemento della strumentalità, sulla cui base ha poggiato le fondamenta l’orientamento giurisprudenziale - fatto proprio anche dalla Sezione - secondo il quale l’estensione dell'attività delle aziende speciali comunali al di fuori del territorio dell'Ente locale di riferimento presuppone comunque un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l'ambito locale e le necessità della collettività locale, e richiede il rispetto di regole procedimentali e limiti sostanziali posti da norme positive (Cons. Stato, V, 6 aprile 1998, n.432; 20 marzo 2000, n. 1520).

E sono le stesse norme ad indicare che il nesso eziologico che necessariamente deve sussistere tra le funzioni che è chiamata ad assolvere l'azienda speciale, quale ente strumentale del Comune che l'ha costituita, e la tutela degli interessi di cui sono portatori i cittadini residenti nel Comune stesso, può essere proteso verso l'esterno della stretta dimensione locale solo nei casi e con le modalità particolari normativamente previste dalle speciali disposizioni in tema di convenzioni e di consorzi,  ai sensi degli artt. 24 e 25 L. 8 giugno 1990 n. 142 (si veda anche l’art.5 del DPR 902 del 1986, del quale è discussa l’abrogazione implicita).

Le aziende speciali, al di fuori degli speciali moduli convenzionali e consorziali tra Enti locali previsti dalle norme di legge e regolamentari, non sono legittimate a partecipare, in concorrenza con altri soggetti privati ed alla stregua di una qualsiasi impresa operante sul mercato, alle gare per l'appalto di pubblici servizi da svolgersi presso altri Enti locali.

La strumentalità dell’azienda speciale e il regime normativo vigente in materia pretendono, in definitiva, un collegamento molto saldo, seppur di natura “funzionale”, tra l’attività dell’azienda stessa e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’Ente che l’ha costituita.

Ma il quadro necessariamente cambia per il modello societario di gestione dei servizi pubblici locali, dal punto di vista sia dei vincoli funzionali che delle attività consentite, con riferimento anche all’interpretazione che va resa di queste ultime nozioni.

E’ vero che anche in questo  ambito il limite rigidamente territoriale ha da tempo ceduto definitivamente il passo, come si è visto anche per le aziende speciali, a un vincolo di tipo “funzionale”, coincidente con l’inerenza dell’attività delle società locali alla cura degli interessi della collettività di riferimento, e questo grazie anche a fondamentali, seppur non più recentissimi, arresti della Corte delle leggi e di questo Consiglio (trattasi di C.Cost. 2 febbraio 1990, n.51 e Cons. Stato, VI, 12  marzo 1990, n.374, secondo i quali, rispettivamente, “per le attività inerenti alla capacità di diritto privato ciò che va considerato concerne essenzialmente l’esistenza di un rapporto servente o di collegamento strumentale tra tali attività e le finalità proprie della regione come ente esponenziale degli interessi della comunità regionale”, nonché, da parte del Consiglio di Stato con prospettiva più specificamente indirizzata alla problematica in esame, “l’ente pubblico, quale soggetto giuridico, ha una pienezza di capacità che gli consente di far tendenzialmente ricorso a tutti gli strumenti conosciuti dall’ordinamento  per raggiungere i propri scopi; dunque, non può dubitarsi della facoltà degli enti locali territoriali di costituire società per azioni, per la cui attività il territorio non rileva, potendo rappresentare un limite all’esercizio delle potestà pubblicistiche ma non della capacità di diritto privato; sarà dunque ammissibile lo svolgimento di tutte quelle attività – e solo di quelle – in cui sia rinvenibile un obiettivo e diretto riferimento al complesso degli interessi della collettività impersonata dall’ente”).

Ricollegandosi a tali pronunce ci si è orientati nel senso di consentire che le società miste locali partecipino alla gestione di servizi locali di altri enti territoriali, e che l’unico limite effettivamente prospettabile, venuto meno quello strettamente fisico-territoriale, è quello costituito dall’inerenza funzionale dell’attività  alla cura degli interessi della collettività di riferimento, precisandosi che la determinazione del campo di azione della società può rappresentare il mezzo attraverso il quale potersi realizzare la soddisfazione degli interessi locali, attuata attraverso modelli di indole non pubblicistica (cfr. anche  Cons. Stato, A.G., par. 16 maggio 1996, n. 90).

Ma di recente, soprattutto nella giurisprudenza di primo grado, hanno preso piede interpretazioni applicative piuttosto restrittive del vincolo di funzionalità (emblematico è l’esempio di TAR Liguria, II, 8 maggio 1997, n. 134, che ha, tra l’altro, anche ribadito che nel sistema della l. 142/90 l'affidamento del servizio pubblico a costituenda società per azioni a capitale pubblico locale  maggioritario costituisce una conseguenza diretta della deliberazione di avvalersi del modulo societario, senza che sia necessario un ulteriore provvedimento, sia pure necessitato, quale fonte dell'affidamento del servizio, cosi come non è configurabile un rapporto concessorio ope legis; v. anche TAR Lombardia, Brescia, 21 agosto 1998, n.746).  Possono così rinvenirsi, relativamente alla delimitazione degli ambiti dell’attività extra moenia delle società di capitali a partecipazione comunale (nel caso della citata pronunzia del Tribunale ligure la stessa AMGA di Genova), affermazioni piuttosto nette in base alle quali la rigida strumentalità dell'attività non è un principio ristretto all'ambito di azione delle aziende speciali (già municipalizzate), ma è configurabile anche in relazione alle società di tipo commerciale costituite da Enti territoriali; pertanto l'estensione dell'attività di Società a prevalente capitale pubblico al di fuori del territorio dell'Ente locale che l'ha costituita presupporrebbe un collegamento che, si ribadisce fermamente, non può essere ridotto al puro dato dell'interesse imprenditoriale (in tema cfr. anche Cons. Stato, V, 14 novembre 1996, n. 1374).

La società mista, nata per la gestione di un servizio pubblico locale, troverebbe il proprio limite di intervento nello scopo, consistente nella doverosa promozione dello sviluppo della comunità locale. In altri termini, caduto definitivamente il criterio del territorio come limite insuperabile per l’attività della società mista, il necessario collegamento funzionale con la collettività locale escluderebbe tuttavia che tale società possa porsi sul mercato come un qualunque altro imprenditore, giacché si imporrebbe la dimostrazione che la gestione di un servizio pubblico di un diverso ente soddisfi specifiche, non quindi meramente generiche, esigenze della collettività originaria.

Orbene il Collegio non intende tentare di scardinare in questa sede l’impianto argomentativo che  prevede la sussistenza anche per le società miste locali di un vincolo di ordine funzionale che leghi comunque l’attività societaria agli interessi della collettività di cui l’ente costituente la società è figura esponenziale, e questo tanto più considerando che al modulo privatistico della società per azioni continuano in effetti a corrispondere, in questo periodo di transizione, connotati tipicamente pubblicistici (basti pensare, oltre agli elementi già accennati, alle facilitazioni e  ai privilegi che le società miste locali ancora incontrano nell’affidamento del servizio e nell’accesso ai finanziamenti), che confermano il permanere della natura speciale e “ibrida” di questa figura societaria.

Non per questo, però, può accettarsi tout court che il collegamento funzionale prescinda dalla natura giuridica, di soggetto di diritto privato, seppur “speciale”, o di ente pubblico economico, del gestore del servizio, condizionando nell’identica misura l’attività dell’azienda speciale e della  società mista locale.

Se dunque si insiste nell’affermare che l’attività extraterritoriale, per tutte le figure per le quali esiste un vincolo teleologico  al soddisfacimento dei bisogni della collettività locale, si appalesa subordinata alla dimostrazione che in tal guisa viene soddisfatta una specifica esigenza della medesima collettività, che non si traduca in un mero ritorno di carattere imprenditoriale, non può al contempo ricondursi l’utilità del modello societario prescelto alla sola maggiore agilità procedurale, precludendo del tutto al medesimo di prodursi in attività e confronti (che dovrebbero essere a questo punto per loro natura concorrenziali, non potendosi ipotizzare uno schema legittimo di affidamento diretto a società mista costituita da altro Comune) al pari dei liberi soggetti economici.

In altre parole il pur apprezzabile fine di non snaturare lo scopo per il quale la società è sorta non può portare, a sua volta, a snaturare completamente il, seppur speciale, modello privatistico societario prescelto.

Per sostenere una visione in concreto più attenta alle peculiarità del modello societario, senza un atteggiamento di chiusura aprioristica nei confronti delle attività societarie extra moenia, non vi è bisogno di scomodare, come pure ha tentato un Tribunale di prima istanza, la disciplina organizzativo-statutaria delle società (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 25 luglio 1998, n.507, che peraltro ha aderito alla visione tipicamente privatistica del modello societario in argomento, autorevolmente sostenuta dalla Suprema Corte - cfr. Cass., SS.UU., 6 maggio 1995, n. 4989 e 4991 – ma non fatta propria da questo Consiglio).

Non ritenendo il Collegio di aderire alla visione esclusivamente privatistica del modello della società mista locale, come soggetto  privato dotato di capacità imprenditoriale a tutti gli effetti e del tutto sganciato, anche funzionalmente, dalla collettività di riferimento, non può considerarsi, infatti,  elemento decisivo, ai fini del riconoscimento di una maggiore libertà di azione,  l’assenza nello statuto societario omologato di una specifica previsione che limiti l’attività extraterritoriale della società medesima.

Una volta optato cioè per l’ipotesi pubblicistica non possono assumere effetto dirimente le insindacabili previsioni dello statuto societario circa gli spazi di manovra concessi all’attività della società.

Ben più rilevanti si appalesano, invece, i dati emergenti dal sistema normativo, che non depongono nei sensi indicati dall’appellata e dalla pronunzia di primo grado impugnata.  

E’ vero che la “defunzionalizzazione” della società mista non è stata ancora definitivamente sancita dal legislatore, seppur il disegno di legge n.4014, approvato da uno dei rami del Parlamento, sembra chiaramente ipotizzare un quadro di omogeneità dei moduli organizzativi gestionali, operanti in un ambito tipicamente concorrenziale, con obbligo di gara per l’affidamento di tutte le tipologie di servizio pubblico locale e ammissione alle procedure selettive, senza limiti territoriali, delle società miste, le quali tra l’altro, con l’obbligatoria trasformazione delle aziende speciali (ora facoltativa a norma dell’art. 115 del T.U. 267/00), sembrerebbero dover rappresentare l’unica formula organizzatoria realmente a disposizione dei Comuni e degli altri Enti locali.

Non per questo però, come invece pretende il primo Giudice, può farsi discendere dall’entrata in vigore della modifica apportata dall’art. 17, comma 58, della l.127/97 (c.d. legge Bassanini II) all’art.22, comma 3, lett. e) della l.142/90 - che ha subordinato l’affidamento di servizi  pubblici a società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio alla condizione che la partecipazione  di più soggetti pubblici o privati sia opportuna “in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio” – un rinvigorimento del vincolo territoriale-funzionale di cui si è discusso.

Come, infatti, avvedutamente rilevato dagli appellanti, in primo luogo il riferimento all’ambito territoriale sembra concernere più da vicino la possibilità di affidare direttamente il servizio ad una società per azioni, non ponendo direttamente limiti all’attività della società stessa, limiti che creerebbero, tra l’altro, non indifferenti momenti di criticità anche con l’ordinamento comunitario; in secondo luogo l’ambito territoriale del servizio sembra profilarsi come un criterio di individuazione degli Enti locali da coinvolgere nella composizione societaria (ad esempio privilegiando la costituzione di società da parte di enti locali confinanti o aventi  necessità essenziali comuni) e non dunque come un criterio di delimitazione territoriale dell’attività della società di capitali.

A questo punto  il nocciolo della questione è individuare, cum grano salis,  gli ambiti che devono essere residualmente concessi al vincolo funzionale che lega la società mista locale alla collettività di riferimento, tenendo conto che si ha a che fare sostanzialmente con un soggetto imprenditoriale di diritto privato, per lo più, come nella specie, quotato in borsa e pertanto logicamente sensibile alle esigenze anche dei privati investitori, ma non del tutto alieno alle finalità pubblicistiche ed agli interessi pubblici della realtà territoriale che ha proceduto alla sua costituzione.

Non è accettabile che sotto le mentite spoglie del limite funzionale torni a vigere uno stringente limite di carattere fisico-territoriale, né può pensarsi ad un vincolo interpretato negli stessi identici termini delle aziende speciali.

Tanto premesso, ad avviso del Collegio il vincolo funzionale  va dimensionato di volta in volta valutandone gli  effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se l’impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza risorse e mezzi,  senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali  rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento.

Il vincolo funzionale opera in termini  residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di riferimento.

Nella specie non si assiste ad un diretto e singolare impegno extraterritoriale dell’AMGA  volto alla gestione del servizio, bensì solamente all’assunzione, da parte della medesima, di una partecipazione finanziaria del tutto  minoritaria (2%) nell’ambito di un consesso di ditte, risultate aggiudicatarie della selezione, destinato, a sua volta, ad assumere il ruolo di partner privato di minoranza della neo-costituita società per la gestione del servizio idrico integrato.

Non si vede, pertanto, come una partecipazione finanziaria minoritaria di siffatto tipo,  non gravata da diretti oneri gestionali del servizio, nell’ambito di un socio privato a sua volta di minoranza, possa integrare una rilevante distrazione di mezzi e risorse a discapito  della collettività territoriale  di originario riferimento, e quindi quel paventato depauperamento dell’organizzazione societaria operante a servizio del Comune istitutore.

Anzi, oltre a potersi ipotizzare ritorni di carattere finanziario,  comunque non del tutto trascurabili per una società quotata in borsa, ammessa al mercato telematico e per il 49% collocata sul mercato anche mediante azionariato diffuso, non possono realisticamente escludersi  vantaggi dal punto di vista dell’esperienza acquisita per il Comune costituente, a fronte di un’esposizione a rischi presumibilmente  trascurabili e di ordine meramente finanziario.

Si può, in definitiva, convenire con gli appellanti principali sul punto che la partecipazione minoritaria, di ordine meramente finanziario, di AMGA all’interno del soggetto che si è aggiudicato, in seguito a procedura concorrenziale, la quota minoritaria di una s.p.a. a prevalente capitale pubblico locale per la gestione del servizio idrico integrato di cui si verte, non può essere assimilata ad una diretta assunzione di servizi pubblici operanti in ambiti territoriali diversi da quelli di ordinaria pertinenza.

 Mancando gli effettivi riscontri della lamentata sottrazione di parte dell’organizzazione societaria, nel senso di uomini, beni e risorse, alle esigenze delle comunità locale, per la sua eventuale utilizzazione in scopi  estranei a quelli per i quali la società stessa è stata costituita, non può dirsi concretamente vulnerato il vincolo funzionale con la collettività di riferimento.

Nei sensi suddetti la censura dedotta dagli appellanti merita dunque adesione.

11. Il Collegio è chiamato a questo punto ad affrontare gli ulteriori profili di doglianza ritenuti degni di adesione dal TAR, incentrati più da vicino sull’operato della Commissione esaminatrice e aventi riguardo, in particolare, all’applicazione che la Commissione ha fatto dei criteri di valutazione delle offerte dalla medesima prefissati.

Giova premettere che il disciplinare di gara stabiliva tre parametri di selezione, riassumibili nei termini che seguono:

1)                criterio H.1: esperienze di gestione e qualifiche soggettive dell’offerente desumibili  dalla documentazione di offerta di cui ai punti E.1, E.2, E.3 ed E.5 (fino a 50 punti);

2)                criterio H.2: modifiche migliorative al piano d’ambito, secondo quanto previsto ai punti E.7 e E.8 (fino a 35 punti);

3)                criterio H.3: modalità di finanziamento da parte di terzi degli investimenti previsti nel piano d’ambito, secondo quanto indicato al punto E.12 (fino a 15 punti).

I parametri H.1, H.2 e H.3 facevano dunque espresso riferimento ai documenti richiesti per l’offerta di cui ai punti E.1 e seguenti.

La Commissione giudicatrice, nella seduta del 16 novembre 1998 (verbale n.5), ha predeterminato i sottoparametri per ciascun criterio di selezione, stabilendo un’ulteriore suddivisione all’interno dei punteggi fissati dallo stesso disciplinare. In particolare ha distribuito i 50 punti a disposizione del parametro H.1 stabilendo di assegnare da 1 a 5 punti al parametro E1, da 1 a 20 punti al parametro E2 come pure al parametro E3, da 1 a 5 punti al parametro E5; ha invece distribuito i 35 punti del parametro H.2 stabilendo di assegnare da 1 a 17 punti al parametro E7 e da 1 a 18 punti al parametro E8. Per ciascuna suddivisione del punteggio, la Commissione ha specificato, nello stesso verbale n.5, i criteri ai quali si sarebbe attenuta nella valutazione delle offerte e nell’attribuzione del punteggio.

12. Connotata da fondatezza anzitutto è stata ritenuta dai primi Giudici la censura (risalente al terzo degli otto profili di illegittimità tutti dedotti con il primo motivo del ricorso introduttivo) che denunciava l’erronea valutazione che la Commissione avrebbe compiuto in ordine al parametro E3, riguardante le esperienze maturate nella gestione di progetti di investimento attuati nella funzione di gestore  di servizi idrici.

Il TAR ha, nella specie, ritenuto illegittimo l’operato della Commissione che avrebbe stravolto, una volta conosciute le offerte, il criterio che lei stessa aveva predeterminato, decidendo di assegnare peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione relativo alla quota di partecipazione.

Da quanto riportato dai verbali emergerebbe in particolare, ad avviso dei Giudici di prime cure,  che il criterio di ponderazione relativo alla quota di partecipazione ed al ruolo gestionale ricoperto è stato immotivatamente, e quindi illegittimamente, pretermesso.

Ma, al contrario, emergono elementi che accreditano le argomentazioni degli appellanti, in quanto la Commissione, nella seduta del 14 gennaio 1999 (verbale n.18), dopo aver dato atto di aver istituito una apposita tabella sinottica per valutare gli importi relativi ai progetti di investimento pregressi, elencati e descritti da ciascun offerente, e la dimensione economica totale dei progetti per ciascun raggruppamento, a seguito dell’esame delle documentazioni presentate  ha deciso di assegnare un peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione relativo alla quota di partecipazione.

Non vi è stata dunque la lamentata omissione di  valutazione del sottoparametro al cui esame la Commissione si era autovincolata, bensì una consapevole e non aprioristica attribuzione di peso unitario e paritetico al coefficiente di ponderazione, una volta appurato che la documentazione prodotta dai concorrenti in ordine alle gestioni pregresse deponeva nel senso di una sostanziale equivalenza nel ruolo gestionale e nella quota di partecipazione.

Che vi sia stata, precedentemente al predetto giudizio di equivalenza, un’analisi sufficientemente dettagliata delle pregresse esperienze di gestione è confermato, inoltre, dall’allegato n.24, seppur non direttamente attinente al parametro in discussione, ove sono stati indicati sia il ruolo nella gestione dei servizi idrici sia lo schema contrattuale  in funzione del quale risulta essere stato conferito l’affidamento del servizio.

Né tali risultanze sono contraddette dall’allegato n.28, dove sono state riportate, in termini di dati aggregati, le  pregresse esperienze dettagliatamente illustrate nell’allegato n.24.  

13. Con la sentenza appellata ha trovato poi parziale accoglimento anche il quinto, peraltro piuttosto complesso, profilo di illegittimità dedotto dall’appellata con il primo motivo del ricorso originario, riguardante la valutazione delle proposte di  modifica al piano d’ambito per migliorare i livelli gestionali di servizio (parametro E7) ed il piano degli investimenti (parametro E8).

Dichiarato inammissibile il profilo di doglianza attinente al frazionamento valutativo dei due parametri, in quanto sfuggente alle scelte sindacabili da parte del giudice amministrativo,  ritenuti invece inconsistenti, nel merito, i rilievi dell’appellata circa le pretese modifiche del piano d’ambito, asseritamente operate dal raggruppamento aggiudicatario  nella formulazione dell’offerta, nonché circa l’accensione di finanziamenti in favore dei Comuni, in quanto non supportati da idonei riscontri documentali, il TAR ha però giudicato fondati gli altri profili di censura, concernenti gli aspetti delle “tariffe” e degli “ammortamenti”, elementi che entrambi involgono, anch’essi, la coerenza del comportamento della Commissione ai criteri che la stessa si era imposta.

Il Tribunale ha ritenuto consistente la censura della Vivendi, relativamente al parametro E7, rilevando che la Commissione, dopo aver fatto riferimento al riepilogo delle proposte di variante riportate in un’apposita tavola e sommariamente richiamato i tratti più qualificanti  delle varianti stesse per ogni concorrente, avrebbe concluso attribuendo direttamente i punteggi senza farsi carico in alcun modo, in palese contraddizione con i criteri che aveva predeterminato, di ponderare le migliorie con le eventuali ripercussioni sulla tariffa applicabile, riferendo in ordine alla necessaria coerenza con la bozza di regolamento d’utenza. Né vale sostenere, proseguono i primi Giudici, che la ponderazione con le eventuali ripercussioni tariffarie sarebbe dovuta intervenire in via eventuale ove effettivamente rilevabile dalle proposte migliorative, in quanto dal verbale si evince che la Commissione si è semplicemente dimenticata di farsi carico di verificare la stessa eventualità di tali ripercussioni.

La sentenza appellata riconosce che la Commissione ha dato ampio spazio all’aspetto tariffario in sede di valutazione del parametro E8, ma questo sarebbe avvenuto sotto altra prospettazione, ossia in relazione alle migliorie al piano degli investimenti e non con riguardo alle eventuali ripercussioni  sulla tariffa delle migliorie apportate sui livelli gestionali. La Commissione, a conclusione delle sue considerazioni sul parametro E8, avrebbe inoltre ritenuto di non dovere attribuire valenza preminente, in sede di valutazione selettiva, al livello tariffario proposto dai singoli partecipanti, assumendo, secondo il TAR, una decisione in controtendenza su un elemento di valutazione ritenuto invece sensibile in sede di predeterminazione dei criteri.

Ne conseguirebbe, in definitiva, la palese omissione, se non una vera modifica, di un criterio di giudizio che la Commissione si era autovincolata a seguire nella sua valutazione.

Anche in questo caso le conclusioni dei primi Giudici  non resistono efficacemente alle deduzioni degli appellanti.

Come può ricavarsi dal verbale n.18 del 14 gennaio 1999, al fine di poter esprimere un giudizio circa le varianti proposte, nei termini e per le finalità previste dal disciplinare  e dal parimenti citato verbale n.5 del 16 novembre 1998, l’esame è stato condotto considerando l’eventuale differenziale esistente in termini di livello di servizio ottenuto sulla base della variante, “tenendo conto delle possibili ripercussioni in termini di costi sulla tariffa applicabile”.

La valutazione delle proposte dei concorrenti è stata dunque condotta anche considerando le possibili ripercussioni sulla tariffa, come può evincersi pure dalla tabella n.29, riassuntiva delle proposte migliorative.

Il punteggio attribuito rappresenta il giudizio sintetico complessivo della Commissione, legittimamente espresso da un valore numerico, sulle migliorie presentate dagli offerenti, sotto il duplice profilo  della valutazione del livello del servizio e della valutazione delle ripercussioni  in termini di costi sulle tariffe.

Problemi di legittimità sarebbero potuti sorgere ove la Commissione non si fosse premurata di chiarire, con dichiarazione  verbalizzata, che il punteggio complessivo aveva tenuto conto anche delle ripercussioni delle migliorie sulla tariffa.

La circostanza infine che i livelli di tariffa risultanti dalle proposte degli offerenti  non si discostassero tra di loro in misura significativa ha giustificato, dal punto di vista della logicità, il fatto che la Commissione si sia soffermata maggiormente sulle migliorie ai livelli dei servizi, che costituivano a quel punto l’elemento centrale di valutazione con riferimento al parametro E7. 

Ma è stata una specifica e ponderata disamina, nel quadro di tutte le componenti tecniche, economiche e finanziarie dell’offerta, che ha condotto la Commissione a non considerare preminente l’elemento tariffario nell’attribuzione del punteggio, coerentemente del resto al fatto che la gara in questione era basata sui miglioramenti al piano d’ambito e non sul ribasso della tariffa.

14. Il TAR ha poi ritenuta fondata la doglianza dell’appellata Vivendi incentrata  sul rilievo dato dalla Commissione al criterio di ammortamento di natura finanziaria utilizzato nella proposta migliorativa della Suez-Lyonnaise, nonostante che questo fosse contrario all’art.69 del T.U.I.R. (DPR 917/86), nonché all’art.28 dello schema di convenzione approvato dalla Regione.

La fondatezza della censura è stata rilevata dai primi Giudici con precipuo riferimento al contrasto con l’art.28 della convenzione.

La citata disposizione non prevede  l’ammortamento di natura finanziaria bensì quello c.d. tecnico, stabilendo espressamente per le installazioni finanziate dal gestore un regime indennitario ove non completamente ammortizzate.

L’utilizzo del criterio dell’ammortamento finanziario per le opere finanziate dal gestore, al quale ha fatto ricorso il raggruppamento aggiudicatario nella sua proposta migliorativa, avrebbe dovuto essere valutato dalla Commissione nell’ottica della compatibilità con l’inderogabile art.28 della convenzione, tenendo conto anche del principio derivante dall’art.69 T.U.I.R., secondo il quale l’ammortamento finanziario è consentito, in luogo dell’ammortamento tecnico, solo per i beni gratuitamente devolvibili, laddove, come sopra notato, per quelli in questione è espressamente previsto l’indennizzo.

Da un punto di vista fiscale, quindi, l’esistenza di una clausola di indennizzo non avrebbe comunque consentito la deduzione di quote di ammortamento finanziario quali componenti negativi del bilancio e anche se la soluzione proposta dalla Suez-Lyonnaise era la più conveniente per l’Amministrazione, in quanto la esonerava dall’indennizzo delle opere strumentali alla gestione del servizio idrico integrato non completamente ammortizzate, risultava nondimeno integrata la violazione delle prescrizioni inderogabili della convenzione, il cui schema tipo era stato predisposto dal legislatore regionale con  l.r. 26/97.

 Ma anche in questo caso le argomentazioni degli appellanti colgono nel segno.

Il predetto art.28 dello schema di “convenzione tipo” si limita a prevedere che al momento della cessazione dell’affidamento spetterà al gestore  un indennizzo solo ove i beni da restituire ai comuni, e realizzati dal gestore stesso, non siano stati completamente ammortizzati, nulla dicendo quanto ai criteri di ammortamento di tali beni, né escludendosi la possibilità di devoluzione dei beni senza alcun indennizzo a favore del gestore, come nel caso in cui i beni in questione siano stati interamente ammortizzati.

In disparte il problema della vincolatività della menzionata prescrizione della convenzione-tipo, quel che più rileva è che l’ammortamento finanziario, e non tecnico, consistente nel suddividere il costo dei beni per tutta la durata della concessione, non è affatto inconciliabile con il predetto schema di convenzione.

Manca del resto una disposizione espressa in tal senso, né l’esclusione del suddetto tipo di ammortamento è ricavabile dalla previsione di un indennizzo residuale, poiché, come evidenziato dal raggruppamento aggiudicatario, quell’indennizzo, rimediando ad una possibile perdita del gestore, non in grado di esaurire il processo di ammortamento per eventi anomali, non contraddice affatto la gratuità essenziale della devoluzione, ma corregge solo un pregiudizio certo, lesivo dell’equilibrio sul quale si regge l’affidamento.

Il quadro normativo (cfr. il d.l. 669/96 convertito, con modificazioni, dalla l.30/97) depone, inoltre,  nel senso dell’alternatività dell’ammortamento tecnico e di quello finanziario, tipico quest’ultimo peraltro delle operazioni di project financing, rimettendosi la scelta alle valutazioni discrezionali insindacabili del gestore.

Quanto alla violazione delle norme del T.U.I.R. è sufficiente osservare che allorché la Suez-Lyonnaise ha prospettato l’ammortamento finanziario, da compiersi come accennato nel  periodo di concessione, ha evidentemente escluso la corresponsione di qualsiasi indennizzo, rispettando la condizione legale di legittimità dell’ammortamento medesimo, ovvero che si tratti di beni gratuitamente devolvibili.

15. Il Tribunale di prima istanza ha, infine, affermato, pronunciandosi sempre su uno dei profili di doglianza contenuti nel primo motivo del ricorso introduttivo, che il maggiore punteggio (sette punti in più rispetto agli altri concorrenti) attribuito al raggruppamento aggiudicatario relativamente al parametro E12, attinente alle modalità di finanziamento per gli investimenti contenuti nel piano d’ambito o come modificati dalle concorrenti, non troverebbe adeguata motivazione nei verbali di gara. E questo pur non avendo, ad avviso dei primi Giudici, la Commissione trasceso i limiti del disciplinare (la censura per questa parte è stata dunque disattesa).

La Commissione non avrebbe sufficientemente motivato  circa le valutazioni rese in ordine agli importi erogabili ed al piano di rimborso degli stessi, e, soprattutto, avrebbe dato rilievo alla documentazione dell’impegno cogente da parte degli istituti finanziatori indicati dal raggruppamento vincitore, trascurando però di valutare che tale impegno era subordinato alla approvazione del piano economico (nonché dello Statuto e dei patti parasociali) e che l’impegno stesso era parziale rispetto all’intero piano di finanziamento.

Tanto premesso, hanno ragione gli appellanti a lamentare che il profilo di doglianza in questione, nei limiti della sindacabilità concessa al giudice amministrativo, non meritava l’esito favorevole ottenuto in primo grado.

Dai documenti di gara (verbale n.18) emerge una valutazione non macroscopicamente irrazionale di maggior favore nei confronti della proposta Suez-Lyonnaise, una volta presi in considerazione, anche mediante opportuna tabella riassuntiva,  gli importi erogabili e il piano di rimborso degli stessi, e quindi in particolare il tasso più basso e il minor tempo previsto per il rimborso.

 Per il resto basta rilevare che il raggruppamento risultato vincitore ha ottenuto una valutazione preferenziale avendo documentato un impegno cogente da parte degli istituti di credito a concedere il finanziamento, mentre gli altri due raggruppamenti hanno documentato unicamente intendimenti o disponibilità a finanziare i progetti.

E la circostanza che l’impegno cogente non abbia riguardato  l’intera esigenza di copertura finanziaria,  ma comunque una parte cospicua di essa (su 85 miliardi complessivi da finanziare 70 miliardi erano coperti da un “cogente impegno” mentre gli ulteriori 15 miliardi da un “impegno condizionato”, che peraltro dà sempre più garanzie di una mera dichiarazione di intendimento), non può mutare nella sostanza le conclusioni raggiunte, al solo considerare che nel caso degli altri concorrenti necessità finanziarie ben maggiori sono state fatte oggetto unicamente di mera disponibilità al finanziamento da parte degli istituti creditizi.

 Gli Enti locali appellanti principali giustamente evidenziano, infine, come appaia nella realtà delle cose che un istituto di credito si impegni formalmente all’erogazione di un finanziamento solo agganciando rigorosamente l’impegno ad un preciso piano finanziario, che non può essere certo modificato ad libitum dal richiedente il finanziamento. Sotto questo profilo è evidente che il gruppo aggiudicatario non avrebbe potuto presentare un piano di finanziamento degli investimenti, documentando seriamente l’impegno degli istituti di credito a concedere il finanziamento, se non si fosse a sua volta obbligato nei confronti dei finanziatori a non modificare il suddetto piano di finanziamento. Per tale motivo è stato giocoforza costretto a subordinare la cogenza dell’impegno assunto dagli istituti di credito all’approvazione da parte dell’A.A.T.O. del piano economico, esigenza non sussistente per gli altri offerenti che, come accennato, si sono limitati a documentare  intendimenti o disponibilità a finanziare i progetti.

Non si tratta dunque, nel caso dell’appellante aggiudicataria, di una vera e propria offerta condizionata, che, come è noto, sarebbe risultata inammissibile.

16. Quanto alla censura conclusiva dedotta dall’A.A.T.O. appellante che, investendo il dispositivo della pronunzia di primo grado, ha chiesto, sulla base però di una giurisprudenza piuttosto datata e comunque di molto antecedente alle ben note recenti innovazioni legislative in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che venga dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito relativamente al disposto annullamento dell’atto costitutivo  e dello statuto della neo-costituita società di gestione del servizio idrico integrato, si è già ampiamente discettato del tema, e peraltro concluso nel senso della sostanziale fondatezza della doglianza, nella parte iniziale della parte motiva, analizzando un’apposita eccezione preliminare sollevata dal raggruppamento vincitore.

In ogni caso, alla luce del combinato esito dei gravami principali, in definitiva da accogliersi, e del gravame incidentale proposto dall’appellata Vivendi, invece da respingere,  viene meno l’interesse alla decisione della doglianza in argomento, che investe alcuni  effetti della pronuncia giurisdizionale di annullamento, sovvertita nel presente grado di giudizio.

17. Resta a questo punto da analizzare l’appello incidentale proposto dalla Vivendi, con il quale vengono riproposte alcune censure non condivise dal Giudice di prime cure.

L’appello incidentale deve essere respinto, risultando la sentenza appellata immune dalle censure dedotte in questo caso dall’appellata Vivendi.

In tal senso il Collegio può prescindere dalle eccezioni di inammissibilità nonché di tardività (di alcune censure) sollevate dal raggruppamento aggiudicatario e dall’A.A.T.O.

18. La Vivendi, appellante incidentale, ha anzitutto riproposto il vizio contenuto nel decimo (rectius undicesimo) motivo del ricorso introduttivo, con il quale era stato sostanzialmente dedotto  un vizio di incompetenza relativamente al procedimento di scelta del partner privato della società di gestione del servizio idrico integrato.

In particolare sostiene l’appellata che nella nuova configurazione normativa seguita all’entrata in vigore della legge 142 del 1990, l’Autorità d’ambito, creata per ciascun ambito territoriale ottimale, avrebbe il compito di svolgere in modo coordinato tutte le funzioni degli Enti locali nel settore del servizio idrico integrato e, pertanto, non sarebbe coerente una soluzione di continuità nell’esercizio delle funzioni che attengono più specificamente alla costituzione del soggetto gestore, restituendo esse agli Enti locali, nonostante questi siano stati privati di ogni competenza all’atto di costituzione del consorzio.

Spetterebbe quindi al Consorzio - Autorità d’ambito organizzare e promuovere la costituzione del soggetto gestore e pertanto l’intero procedimento sarebbe inficiato perché promosso da soggetti privi di alcuna competenza.

Il TAR adito che, per evidenti ragioni di priorità logica, ha preso le mosse proprio dall’esame di tale motivo, pur apprezzando la pregevolezza delle argomentazioni esposte dall’attuale appellante incidentale non ha ritenuto di poter condividerne le conclusioni.  

I primi Giudici hanno richiamato l’art.7 della l.r. 81/95, rilevando che all’A.A.T.O., costituito come consorzio obbligatorio e dotato di personalità giuridica pubblica, sono state attribuite le funzioni amministrative di programmazione, organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio idrico integrato, con esclusione di ogni attività di gestione diretta, “restando questa propria degli Enti titolari del servizio seppure nelle varie forme di gestione esistenti alla data di costituzione dell’A.A.T.O.” E la scelta della forma di gestione del servizio, come pure l’affidamento del medesimo, sono decisioni da assumere nell’ambito dell’esercizio di funzioni prettamente programmatorie ed organizzatorie.

Il disposto della legge regionale appare, secondo il Tribunale, coerente, sul punto, con l’art.9, comma 2, della l.36/94,  che mantiene in capo ai Comuni e alle Province il compito di provvedere alla gestione del servizio idrico integrato mediante le forme anche obbligatorie previste dalla legge 142/90.

Ne consegue secondo il TAR, in definitiva, che in base al combinato disposto delle due richiamate disposizioni devono essere gli Enti locali e non l’A.A.T.O. a predisporre tutte le procedure per la costituzione dell’organo di gestione, successivamente alla scelta della forma di gestione stabilita dall’A.A.T.O. medesima, non potendo essere scisso il momento costitutivo della forma di gestione scelta (nella specie la s.p.a.) da quello prodromico  alla stessa costituzione, dato dalla procedura concorsuale da indire per l’individuazione del socio privato di minoranza. 

 La censura della Vivendi deve essere in effetti disattesa, in quanto all’Autorità d’ambito spetta, ai sensi della disciplina normativa vigente, la specifica competenza di scegliere la forma organizzativa della gestione del servizio.

Una volta operata la scelta - nella specie si è optato per la società per azioni a prevalente capitale pubblico - è riservata all’Autorità la sola funzione di programmazione e controllo dell’attività di gestione, ma il procedimento di costituzione della società medesima non può che competere agli Enti locali ricompresi nell’ambito territoriale, i quali saranno chiamati tra l’altro ad esprimere, attraverso l’organo consiliare competente, la volontà relativa all’adesione all’organismo societario.

Infatti, come è noto, se per gli Enti locali è obbligatoria l’adesione al Consorzio – Autorità d’ambito, non lo è altrettanto l’adesione al soggetto gestore del servizio idrico integrato.

Non può dunque invocarsi un del tutto presunto principio di continuità per sostenere che l’Autorità possa surrogarsi nelle decisioni, spettanti agli Enti locali titolari del servizio, relative alle modalità di adesione al soggetto gestore del servizio e di partecipazione al relativo capitale sociale, e quindi nelle attività finalizzate alla costituzione dell’apposita società mista.

La legge 36/94, infatti, non incide sulla titolarità del servizio e sugli assetti di proprietà delle reti e degli impianti, che permangono in capo agli Enti locali, né perciò sulle modalità costitutive delle società miste di gestione del servizio.

L’aspetto innovativo della c.d. legge Galli va invece riferito all’individuazione di un momento di cooperazione tra gli Enti locali, mediante la creazione di un organismo sovracomunale  a partecipazione obbligatoria, che assume in sé le funzioni amministrative di coordinamento, programmazione e controllo della gestione del servizio e, non da ultimo, la scelta del modello organizzativo di gestione, probabilmente da ritenersi l’espressione massima del momento di cooperazione voluto dalla legge.

Una volta operata la scelta, non potevano che essere gli Enti locali a dare vita alla società di gestione, secondo le procedure previste dalla normativa sulle autonomie locali, non modificate dalla disciplina speciale in argomento, non spettando al nuovo organismo di coordinamento né la titolarità del servizio, né la proprietà dei beni relativi, né i compiti di gestione del servizio stesso.

Anche la l.r. 81/95 appare pienamente e letteralmente rispettata, sia per quanto concerne l’art.7 che anche l’art.9, dal quale in alcun modo può ricavarsi che all’Autorità d’ambito spetti, oltre alla scelta del modello di gestione del servizio idrico integrato, anche la procedura finalizzata alla costituzione della società di gestione.

19. Con il secondo motivo dell’appello incidentale la Vivendi, riproponendo il sesto motivo del gravame originario, si duole che la procedura concorsuale, cui la stessa ha partecipato, sia stata impostata prescindendo da modelli normativi di riferimento.

 In sostanza l’originaria ricorrente sostiene che la procedura di selezione doveva essere disciplinata da un preciso modello normativo, come quello fornito dal DPR 533/96, previsto formalmente però per la scelta del solo partner privato di maggioranza, che individua nella procedura concorsuale ristretta di cui al d.lg. 157/95, da assimilarsi all’appalto concorso, il sistema di scelta da seguire, con le inevitabili ricadute sul piano degli obblighi di pubblicità per le gare di rilevanza comunitaria.

L’appellante incidentale contesta la sentenza di primo grado impugnata nella parte in cui, rimarcato che una procedura di selezione ad evidenza pubblica  è stata comunque garantita, ha affermato che la scelta del socio privato di minoranza della costituenda società a partecipazione pubblica per la gestione del servizio idrico integrato non rientra in alcuna delle tipologie di procedimento ad evidenza pubblica soggette alla disciplina comunitaria, trattandosi tra l’altro di impegnare un capitale iniziale ben al di sotto della soglia di rilievo CEE.

Vengono altresì censurate le affermazioni dei Giudici di prime cure secondo le quali il DPR 533/96 riguarda esclusivamente i procedimenti finalizzati alla scelta del socio privato di maggioranza e non può essere dunque imposto come regola nei procedimenti ad evidenza pubblica concernenti l’individuazione del socio privato di minoranza, anche alla luce del fatto che, in assenza di una disposizione normativa specifica, l’Amministrazione procedente dispone di una sfera di discrezionalità nell’individuare il modello di procedura concorsuale più confacente alla situazione concreta, seguendo gli schemi dei modelli concorsuali che la legge disciplina in via generale.

Anche se dunque il DPR 533/86 fungesse da modello per l’individuazione del socio di minoranza, la sua mancata utilizzazione non potrebbe concretare un vizio di legittimità del procedimento di selezione che non se ne sia avvalso.

Il giudizio di infondatezza della censura, reso dai primi Giudici, va sostanzialmente confermato, soprattutto con riferimento ad alcuni aspetti chiave della motivazione.

Occorre in effetti dare atto che, pur in assenza di un obbligo specifico normativamente previsto, la Sezione in precedenti significative occasioni  si è  pronunciata nel senso della necessità del ricorso al confronto concorrenziale per la scelta anche del socio privato di minoranza nelle società a capitale pubblico maggioritario, trattandosi di principi ormai immanenti nell’ordinamento, tutte le volte in cui debba effettuarsi la scelta di un operatore privato chiamato a svolgere attività per conto e nell’interesse della P.A. (Cons. Stato, V, 19 febbraio 1998, n.192; v. anche V,19 settembre 2000, n. 4850).

Orbene, che nella specie vi sia stato un confronto concorrenziale  appare fuori discussione, e per la verità nemmeno è messo in dubbio dalla stessa appellante incidentale, la quale si sofferma invece sulla mancata utilizzazione di modelli normativi di riferimento, da individuarsi preferibilmente nel DPR 533/96, con tutti gli effetti che ne derivano dal punto di vista dell’obbligo della pubblicità a livello europeo, nonché relativamente al ricorso alla procedura dell’appalto concorso ai sensi del d.lg. 157/95 ed al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 Le argomentazioni dei Giudici di prime cure convincono quando rilevano che l’aspetto essenziale era comunque garantire, come è puntualmente avvenuto, una procedura di confronto concorrenziale, e che il riferimento agli schemi procedurali indicati dal regolamento di cui al DPR 533/96 (espressamente riguardante le società a capitale pubblico minoritario di cui all’art.12, comma 1, della legge 23 dicembre 1992, n.498; cfr. ora anche l’art.116, comma 2, del T.U. 267/00) era sì possibile ma non certo obbligatorio per la scelta di un socio privato di minoranza. In assenza di chiari parametri normativi di riferimento, anche a livello comunitario, non può, pertanto, ritenersi integrato un vizio di legittimità del procedimento di selezione che non si sia avvalso delle procedure ad evidenza pubblica tipizzate dalle norme citate.

Le peculiarità del servizio da affidarsi, unitamente all’assenza di chiari riferimenti normativi, rendono  in definitiva sostanzialmente corretta, e comunque non manifestamente illogica, la scelta di adottare una procedura concorsuale in parte atipica ma comunque rispettosa dei principi generali della contabilità di Stato e della contrattualistica degli Enti locali; una procedura di gara sicuramente avvicinabile ad un pubblico incanto, attesa anche la mancanza di una autonoma fase di preselezione, ma con i criteri di selezione previsti dal disciplinare che sembrano, almeno ad una prima lettura, più propriamente tipici di un appalto concorso.

Sulla scorta anche di quanto in precedenza affermato dalla Sezione, può concludersi che la procedura di evidenza pubblica da adottarsi nella specie non è quella dettata dalle norme di recepimento della normativa comunitaria sugli appalti di servizi, di cui al d.lg. 157/95, con riferimento anche alle forme di pubblicità, ma va ricavata, con i necessari adattamenti, dalla disciplina generale, tenendo conto, se del caso, della disciplina relativa alla s.p.a. a partecipazione pubblica minoritaria, di cui al più volte citato regolamento n.533/96 (Cons. Stato, V, ord. 9 marzo 1999, n.506). 

Anche questa lagnanza dell’appellante incidentale non appare  dunque persuasiva.

 20. Vengono poi  riproposte alcune doglianze, disattese dal TAR, che riguardano più da vicino l’operato della Commissione.

La Vivendi lamenta, anzitutto, il mancato accoglimento del motivo riferito al criterio valutativo E1 (sottoscrizione del capitale sociale), anche con riferimento al criterio E8  (investimenti).

La doglianza riguarda, in particolare, il criterio seguito dalla Commissione per l’attribuzione del punteggio relativo al parametro E1, individuato nella tempistica dell’assolvimento dell’obbligo di aumento del capitale, con la conseguenza che sono stati attribuiti 4 punti al raggruppamento aggiudicatario, contro i 2 punti assegnati agli altri due raggruppamenti, sulla base del fatto che solo la prima si impegnava ad effettuare il versamento delle somme corrispondenti all’aumento del capitale “non appena richiesto”, mentre le altre si limitavano a riferirsi al termine fissato dal disciplinare (un anno).

L’originaria ricorrente ha contestato tale apprezzamento sul piano della rispondenza al cogente criterio fissato dal disciplinare, nonché sul piano della coerenza rispetto alle valutazioni espresse dalla stessa Commissione in occasione del punteggio assegnato alla Suez-Lyonnaise per il parametro E8.

Il TAR non ha ritenuto di poter condividere i rilievi mossi, sul punto, all’operato della Commissione, rilevando innanzitutto che la doglianza, nella parte relativa alla logicità del criterio, finiva per sindacare nel merito ambiti riservati all’apprezzamento discrezionale dell’organo giudicatore che, fermo restando il traguardo minimo dato dall’obiettivo da raggiungere, ben poteva premiare, sulla base di un criterio temporale, l’anticipata sottoscrizione del 46% di aumento di capitale e la liberazione delle relative azioni alla semplice richiesta della società (e quindi in un tempo anche di molto inferiore all’anno), ad evidente vantaggio della realizzazione degli obiettivi dell’A.A.T.O.

Sotto tale aspetto poteva semmai apparire illogica l’attribuzione di 2 punti alle proposte della Vivendi e dell’Acea, che si erano limitate  a riportarsi alle prescrizioni (minime) del disciplinare.

Quanto al profilo di incoerenza o contraddittorietà rilevato con riferimento alla valutazione di cui al parametro E8, la doglianza era, ad avviso dei primi Giudici, priva di pregio, in quanto la proposta formulata relativamente al parametro E8, riguardante le migliorie che la Lyonnaise ha ritenuto di predisporre e presentare secondo la facoltà concessa dallo stesso disciplinare, andava valutata all’interno del progetto migliorativo preso nel suo  insieme e non in rapporto al progetto base predisposto dall’A.A.T.O., che comprendeva, appunto, l’obbligo di liberare entro un anno l’aumento del 46% (obbligo che il raggruppamento vincitore non solo ha assunto, ma che si è impegnato ad assolvere alla semplice richiesta del Consiglio di amministrazione della costituenda società di gestione).

Rimaneva alla Commissione l’onere di valutare, infine, la convenienza di una proposta migliorativa che suggeriva di distribuire nell’arco dei primi cinque anni il versamento delle risorse a titolo di capitale da parte di tutti i soci pubblici e privati (e quindi non per la sola parte  di spettanza del socio privato di minoranza), per favorire in concomitanza una politica degli investimenti più dilazionata rispetto a quella prevista dal piano d’ambito.

Le riportate considerazioni del TAR meritano condivisione.

Va in primo luogo ribadito che il disciplinare di gara riconduceva esplicitamente il punto E1 al parametro di valutazione H.1, riferito all’offerta “base”, mentre il punto E8 al parametro di selezione H.2, ovvero “modifiche migliorative al piano d’ambito”.

Il punto E1 faceva riferimento all’offerta di sottoscrizione del capitale sociale e prevedeva che l’offerente dovesse impegnarsi a liberare le azioni corrispondenti al 46 % del capitale di costituzione della società, ed a sottoscrivere l’aumento del capitale sociale, entro e non oltre l’anno dalla delibera di aumento.

Dal momento che il punto E1 era stato indicato dal disciplinare tra gli elementi suscettibili di valutazione, la Commissione decideva di modulare il punteggio ad esso riservabile con riferimento alla tempistica dell’assolvimento dell’obbligo, che rappresentava l’unica variabile consentita ai concorrenti dalle prescrizioni del disciplinare relative all’offerta base.

E’ dunque perfettamente coerente con i criteri di giudizio fissati dalla lex specialis, e con i sottocriteri decisi dalla Commissione, che sia stato attribuito al raggruppamento aggiudicatario, unico ad impegnarsi ad effettuare il versamento a semplice richiesta dell’organo competente, un punteggio superiore di due punti, in relazione ai benefici connessi al versamento immediato della residua parte di aumento di capitale.

Il medesimo raggruppamento, avvalendosi inoltre della facoltà, espressamente prevista dal disciplinare, di proporre modifiche migliorative al piano, ha proposto di dilazionare in cinque anni il versamento delle somme costituenti il capitale sociale della società, e tale proposta è stata favorevolmente apprezzata dalla Commissione, ma questa volta in sede di valutazione discrezionale degli elementi di cui al parametro E8.

Orbene, come colto dai primi Giudici, non vi era nessuna contraddittorietà tra l’apprezzamento del dilazionamento in cinque anni del versamento del capitale sociale, ed il punteggio già attribuito alla Commissione in base al parametro E1.

Difatti, per espressa previsione delle norme speciali di gara, i due criteri E1 e E8 erano destinati ad operare su due piani del tutto diversi, avendo come riferimento differenti parametri di selezione delle offerte, rispettivamente riferiti all’offerta “base” (H.1) e alle proposte di modifica migliorativa del piano (H.2).

Va poi precisato che la proposta (alternativa) di diluire nel tempo il versamento del capitale, avanzata dal raggruppamento vincitore senza violare gli obblighi del disciplinare, era peraltro scaturita dalla necessità di ovviare, in una maniera evidentemente apprezzata dalla Commissione, ad alcuni inconvenienti derivanti dalle previsioni del piano d’ambito in tema di tariffe applicabili.

In ogni caso assume rilievo decisivo la circostanza che non potevano essere collocati sullo stesso piano, anche ai fini di una valutazione di contraddittorietà, un impegno inderogabile, come quello relativo al versamento del capitale sociale (di cui al punto E1), e una proposta di modifica migliorativa del tutto rimessa all’apprezzamento discrezionale della Commissione (punto E8).

Anche il terzo mezzo di censura dedotto con l’appello incidentale, costituente la riproposizione del primo profilo di doglianza contenuto nel primo motivo del ricorso originario, non merita dunque adesione.

21. Non migliore sorte spetta al quarto motivo, con cui viene  invece riproposto il secondo profilo del primo motivo del ricorso introduttivo, relativo all’attribuzione da parte della Commissione dei punteggi relativi al parametro di valutazione E2, ovvero “esperienze pregresse dei concorrenti nella gestione dei servizi idrici”.

  Ai concorrenti si chiedeva di elencare, quale elemento che sarebbe stato oggetto di valutazione, le principali esperienze, nell’ultimo quinquennio, nella gestione dell’insieme dei servizi idrici (captazione, distribuzione, fognatura e depurazione), eventualmente nel medesimo ambito territoriale.

Ma, come giustamente evidenziato dal TAR, il parametro in questione non andava confuso con i prerequisiti, di cui alle lettere B2 e B3, che erano richiesti ai concorrenti per potere essere ammessi alla selezione, relativamente alla “gestione diretta o indiretta dei servizi idrici per almeno 400.000 abitanti nell’ultimo biennio, di cui 200.000 serviti con un unico contratto”.

La Commissione, nel disciplinare le metodologie di valutazione del parametro E2, ha poi stabilito che avrebbe privilegiato le eventuali esperienze di gestione di tutti i servizi idrici, il livello di integrazione dell’insieme dei servizi idrici nel medesimo ambito territoriale, la dimensione infine per ciascuna gestione.

L’appellante incidentale, nel dolersi che al raggruppamento aggiudicatario sono stati assegnati 19 punti, contro i 16 punti a lei attribuiti, sostiene che la Commissione non si sarebbe attenuta ai criteri dalla stessa stabiliti e che una corretta valutazione avrebbe dovuto condurre ad un risultato ben diverso, vantando la Vivendi maggiori titoli sia per numero di gestioni e ruolo gestionale, sia per abitanti serviti.

Il più volte citato verbale n.18  del 14 gennaio 1999 reca le motivazioni che hanno portato la Commissione, sulla base delle tabelle predisposte da apposito organismo di consulenza, a ritenere di maggior peso, seppur per soli tre punti, le esperienze maturate dalla Suez-Lyonnaise. La Commissione ha espresso un giudizio di leggera prevalenza del raggruppamento vincitore per ciò che attiene alle dimensioni dei servizi svolti; ha ritenuto sostanzialmente di identico peso le esperienze gestionali; ha rilevato che il medesimo raggruppamento  poteva vantare esperienze numericamente maggiori relativamente all’effettuazione dell’intero ciclo dei servizi idrici.

Vivendi sostiene che la Commissione avrebbe illegittimamente omesso di considerare sia il numero complessivo delle gestioni, sia le gestioni relative ad ambiti territoriali simili a quello di Arezzo.

Ma né dal disciplinare, né dai criteri prefissati dalla Commissione, può evincersi uno stringente obbligo di considerare tali elementi ai fini dell’attribuzione di punteggio in sede di valutazione del parametro E2, fatta salva la possibile rilevanza quali requisiti di partecipazione, ai sensi del punto B3.

Il criterio principale di selezione era chiaramente basato su una valutazione qualitativa che privilegiava la gestione integrata di tutti i servizi idrici in un medesimo ambito territoriale, e non su una valutazione meramente quantitativa fondata sul numero dei servizi svolti.

Quanto al preteso maggiore numero complessivo di abitanti serviti, elemento che non trova perfetto riscontro negli allegati ai verbali di gara, occorre rilevare che anche in questo caso  la circostanza non poteva rivestire, nella sua singolarità, diretto effetto ai fini della valutazione ai sensi del parametro E2, dovendo la Commissione prendere in considerazione la tipologia dell’ambito gestionale ed il livello di integrazione dei servizi.

Priva di fondamento e di riscontro documentale risulta, infine, l’affermazione secondo la quale la Commissione avrebbe illegittimamente ammesso alla valutazione gestioni nelle quali non era stato chiarito il ruolo della aggiudicataria.

Non mancano negli allegati ai verbali di gara elementi che conducono a ritenere che la Commissione abbia svolto una dettagliata analisi sul profilo delle quote di partecipazione del vincitore nelle società gestione dove ha maturato le esperienze pregresse.

Risulta, in definitiva, che la Commissione giudicatrice abbia adeguatamente ponderato il ruolo gestionale e le quote di partecipazione nelle singole società di gestione.

In ogni caso la ponderazione in questione non ha assunto valenza decisiva in ordine all’attribuzione del punteggio, in quanto il ruolo delle due società partecipanti (Suez-Lyonnaise e Vivendi) nelle gestioni era comunque di pari livello, cioè sempre molto elevato.

22. Anche il quinto ed ultimo  mezzo dell’appello incidentale, con cui vengono in pratica riproposti il secondo e terzo motivo del ricorso introduttivo, non ha pregio.

Con esso viene riproposta la lagnanza circa una presunta arbitraria, e quindi illegittima, introduzione da parte della Commissione, in violazione di quanto già prescritto dal disciplinare di gara, di ulteriori criteri di valutazione.

Così, ripercorrendo censure già dedotte, e in questa sede già esaminate, per quanto concerne il criterio E1 sarebbe stata illegittimamente inserito l’elemento di valutazione della tempestività nel liberare le azioni (nel caso del raggruppamento vincitore, come si è visto, a semplice richiesta); per quanto riguarda, invece, il criterio E2, sarebbe stato illegittimamente introdotto l’elemento del livello di integrazione tra i servizi, non contenuto nel disciplinare, mentre non sarebbero stati menzionati gli elementi di valutazione indicati nel disciplinare medesimo, ovvero le gestioni su ambiti territoriali ed il numero degli abitanti serviti. Per quanto poi attiene ai profili dello scorporo dei criteri E7 e E8, che rappresenterebbero il cuore del confronto concorrenziale - trattandosi delle proposte migliorative degli interventi strutturali, delle modalità gestionali e delle ripercussioni di dette proposte sotto il profilo economico-finanziario e quindi tariffario -  la Commissione, in violazione dei più elementari principi di trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, avrebbe operato, come del resto già  lamentato, un illegittimo frazionamento valutativo dei due criteri. Infine, per quanto riguarda il criterio E12, la Commissione, nonostante il disciplinare già individuasse i criteri ai quali la medesima avrebbe dovuto attenersi nella valutazione delle singole proposte, avrebbe anche qui ampliato illegittimamente i parametri valutativi, inserendo elementi non previsti  dalle previsioni generali di gara, come l’economicità e la sostenibilità delle soluzioni finanziarie proposte, nonché la reperibilità, l’adeguatezza e la coerenza temporale  dei mezzi finanziari, e comunque poi in concreto avrebbe disatteso gli stessi criteri dalla stessa illegittimamente fissati.

 Il TAR, rilevato che la ricorrente, in questa sede appellante incidentale, è ritornata su alcuni punti di contestazione già oggetto di esame nell’ambito dell’articolato primo motivo, richiamando le considerazioni già svolte all’interno della sentenza appellata, ha comunque giustamente sottolineato  che il disciplinare conteneva un insieme di parametri e punteggi di valutazione che abbisognavano di ulteriori criteri di specificazione che delimitassero l’ampio margine di discrezionalità rimesso alla Commissione, la quale aveva a disposizione ben 100 punti distribuiti in tre sub-categorie. La Commissione si è dunque correttamente fatta carico di assegnare a ciascun parametro un suo peso, indicando comunque preventivamente le linee guida che avrebbero contraddistinto il suo giudizio.

Le argomentazioni dei primi Giudici sono pienamente condivisibili, in quanto, anche sulla base delle considerazioni già precedentemente svolte in occasione dell’esame della complessa struttura censoria che caratterizzava il primo motivo del ricorso introduttivo, come riproposto con l’appello incidentale in trattazione per la parte disattesa dal TAR, risulta, nei limiti della sindacabilità del  giudice amministrativo, un quadro complessivo di coerenza e logicità dell’azione della Commissione, sia nel fissare preventivamente ulteriori criteri di valutazione  e di attribuzione dei punteggi, che nell’applicare i criteri dalla stessa fissati ovvero indicati in sede di disciplinare di gara.

La Commissione (cfr. il verbale n. 5 del 16 novembre 1998), infatti, esercitando una facoltà che secondo logica non poteva esserle preclusa, si è limitata ad introdurre preventivamente elementi di specificazione di ciascun criterio, graduando l’apporto di ognuno di essi negli ambiti fissati in via più generale dalle norme di gara, alle quali si è comunque, con sufficiente rigore, attenuta.

Per il resto possono essere richiamate le considerazioni rassegnate in occasione della disamina dei singoli profili di doglianza facenti parte del primo motivo del ricorso originario, nei limiti della riproposizione nell’attuale grado di giudizio.

23. L’appello incidentale, proposto dall’originaria ricorrente nella medesima foggia per tutti i ricorsi in appello in trattazione, deve essere  in definitiva rigettato.

All’accoglimento degli appelli principali, e dell’appello incidentale del Comune di Castiglion Fibocchi, che ripercorre l’iter argomentativo dei primi, consegue invece, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso introduttivo proposto in primo grado dall’appellata Vivendi.

Sussistono i motivi per compensare tra tutte le parti costituite le spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti in epigrafe, accoglie gli appelli principali e l’appello incidentale del Comune di Castiglion Fibocchi, respinge gli appelli incidentali proposti dalla Vivendi e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado proposto dalla Vivendi.

Compensa le spese di lite relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

            Così deciso in Roma, il 5 giugno 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Alfonso Quaranta                                  Presidente       

Andrea Camera                                    Consigliere

Pier Giorgio Trovato                         Consigliere      

Aldo Fera                                          Consigliere

Gerardo Mastrandrea                             Consigliere est.