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LA VEXATA QUAESTIO DELL’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO PRODOTTO DAGLI ELETTRODOTTI di |
Il problema dei possibili effetti nocivi sugli esseri viventi delle radiazioni non ionizzanti (individuate con l’acronimo internazionale NIR – NO IONIZING RADIATION – e che hanno energia talmente bassa da non essere in grado di ionizzare la materia, cioè di rompere i legami delle molecole), sia quelle a bassa frequenza prodotte dagli elettrodotti, (individuate con l’acronimo internazionale ELF extremely low frequencies), sia quelle ad alta frequenza ( RF radio frequency, stazioni radio base, microonde), ha assunto, nel volgere degli ultimi tre decenni, i contorni una vera e propria vexata quaestio, sulla quale si è impegnata tutta la comunità scientifica mondiale e che, purtroppo, ancora oggi, continua a rimanere priva di risultati certi in relazione alla possibile eziologia tra l’insorgenza di alcuni tipi di malattie (tumori, leucemie in età infantile) e l’esposizione a lungo termine a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
L’incertezza sul piano dei risultati scientifici si è riverberata inevitabilmente anche sulle scelte del legislatore nella predisposizione di norme di tutela della salute dell’uomo e del territorio. Infatti, sia a livello internazionale, sia a livello domestico, tutta la produzione legislativa è pervasa dal PRINCIPIO DI PRECAUZIONE, tra l’altro sancito, per gli stati appartenenti all’Unione europea, nell’articolo 174, alinea 2, del TRATTATO ISTITUTIVO DELL’UNIONE, secondo il quale “la politica della Comunità in materia ambientale … è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio <chi inquina paga>”. Il diretto corollario di tale principio consiste nella necessità, sia per il legislatore comunitario che per il legislatore nazionale, di intervenire anche in presenza di un rischio potenziale e grave, senza attendere i risultati della ricerca scientifica. Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in due sentenze del luglio e del dicembre 1998, ha confermato che il principio di precauzione è un principio di applicazione generale che deve trovare ingresso in tutti quei settori ad elevato livello di protezione, e ciò indipendentemente dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano, in quanto, precisa la Corte comunitaria, l’esigenza di tutela della natura umana diviene imperativa, in presenza di rischi solo possibili, ma non ancora sufficientemente accertati. Al principio di precauzione, ad esempio, da ultimo, sul piano della legislazione nazionale, è espressamente improntata la recente legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge 22 febbraio 2001, n.36). In precedenza ed anche successivamente alla pubblicazione della legge quadro nel periodo transitorio (rispetto alla pubblicazione dei decreti attuativi), anche la legislazione regionale italiana ha adottato tale criterio, anche dal punto di vista definitorio. Ad esempio, la legge della Regione Puglia n. 5 dell’8 marzo 2002, utilizza espressamente la definizione di “valore di attenzione” del campo elettromagnetico in relazione ad ambienti particolarmente sensibili, come abitazioni, scuole o immobili di uso prolungato superiore a quattro ore giornaliere.
I RISULTATI DELLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE.
In un convegno sui campi elettromagnetici del 1998 ( Torino ), è stato verificato che, nell’arco dell’ultimo trentennio, erano stati pubblicati circa 12.000 lavori di ricerca scientifica sull’argomento dell’inquinamento elettromagnetico. Il problema è stato affrontato sia sotto l’aspetto epidemiologico (il cui approccio di indagine non è di facile valutazione per le numerose variabili che possono interferire, sovrapponendosi, sia negli ambienti di vita che di lavoro, “per cui le eventuali patologie riscontrate sono tipicamente multifattoriali e difficilmente imputabili ad una sola causa”; sia in campo sperimentale di ricerca in vitro e in vivo per la comprensione “dei meccanismi biologici a livello cellulare e a livello molecolare che vengono coinvolti nella interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi” [1]. Tuttavia, anche gli studi sperimentali in vitro, pur avendo portato alla osservazione di varie anomalie in seguito all’esposizione anche a campi elettromagnetici ELF (bassa frequenza, elettrodotti), come la “alterazione nello scambio dallo ione calcio attraverso la membrana cellulare”, ovvero una anomalia nella produzione dell’ormone della melatonina in relazione al ciclo giorno – notte, allo stato, questi studi non sono ritenuti suscettivi di attribuire “plausibilità biologica” ad ipotesi di fenomeni di carcinogenesi.
Nel 1992, un rapporto di una apposita Commissione scientifica istituita dal Presidente degli Stati uniti d’America, formata da studiosi riuniti dalle Università associate di OAK RIDGE[2], concludeva che, la letteratura pubblicata fino ad allora non permetteva di evidenziare un rapporto eziologico certo tra esposizione a campi ELF e rischi sanitari di qualsiasi natura. Alle stesse conclusioni erano giunti, negli stessi anni, i documenti governativi emanati in Gran Bretagna e in Olanda, che compendiavano le conoscenze scientifiche sugli effetti dell’elettromagnetismo fino ad allora pubblicate.
Tra l’altro, in un contesto caratterizzato da incertezza scientifica, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), con una raccomandazione del 2000[3], ha sancito, in subiecta materia, come fondamentale il principio di cautela, di “prudent avoidance”; ai quali è speculare, nel campo delle radiazioni ionizzanti, il principio A.L.A.R.A. (As Low As Reasonably Achievable), secondo il quale deve essere garantita la esposizione ai livelli più bassi possibili, onde minimizzare i rischi per la salute dell’uomo già conosciuti. Non solo, ma già dal 1996, la WHO, proprio in relazione al problema dell’incidenza sanitaria dei campi a frequenza estremamente bassa (quindi ai campi generati dagli elettrodotti), aveva promosso il Progetto internazionale Campi elettromagnetici (indicati con l’acronimo CEM), procedendo alla revisione critica dei risultati della ricerca fino ad allora raggiunti, prevedendo “di condurre una valutazione di tutti gli effetti sanitari dovuti all’esposizione a campi ELF nel 2002 – 2003”.
Inoltre, la stessa WHO, nel promemoria n. 263 dell’ottobre 2001, informa che l’AGENZIA INTERNAZIONALE PER LA RICERCA SUL CANCRO (IARC – istituzione specialistica della stessa WHO), nel giugno 2001, sulla base di tutti gli studi relativi alla cancerogenicità dei campi elettrici e magnetici statici ed ELF, ha classificato i campi magnetici ELF – cioè quelli a bassa frequenza prodotti dagli elettrodotti – come POSSIBILMENTE CANCEROGENI PER L’UOMO, prendendo a base del rapporto, precipuamente gli studi epidemiologici relativi alla leucemia infantile. Sempre la WHO aggiunge che la locuzione “POSSIBILMENTE CANCEROGENI PER L’UOMO” è una classificazione usata dall’Agenzia Internazionale per “connotare un agente per il quale vi sia una limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo ed un’evidenza meno che sufficiente negli animali di laboratorio”.
I DOCUMENTI UFFICIALI NAZIONALIIn Italia, dal punto di vista scientifico, è di fondamentale importanza il documento congiunto pubblicato nel 1995 dall’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ E DALL’ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO Il documento, riferendosi agli studi internazionali di cui innanzi si è fatto cenno, precisa che la perturbazione di un organismo a causa dell’interazione con un campo elettromagnetico non si traduce automaticamente in un effetto biologico apprezzabile e ancor meno in un effetto sanitario; intendendo per effetto biologico la presenza di “variazioni morfologiche o funzionali a carico di strutture di livello superiore, dal punto di vista organizzativo, a quello molecolare” e per effetto sanitario un danno alla salute, che insorge solo quando l’effetto biologico superi i limiti di efficacia dei meccanismi di adattamento dell’organismo. Forse, non è pleonastico ricordare che in natura esiste un elettromagnetismo di fondo generato dalla terra e dalla sua atmosfera. Elettromagnetismo perfettamente compatibile con la vita umana.
Il documento dell’Istituto superiore della Sanità afferma, inoltre, che il sistema di valutazione più indicato per trattare la problematica degli EFFETTI A LUNGA SCADENZA dei campi elettromagnetici sulla salute dell’uomo è quello che, secondo lo stesso dato testuale utilizzato dall’Istituto, sia “finalizzato a trattare le situazioni nelle quali il nesso causale fra esposizione e malattia non sia stato stabilito con sufficiente certezza”. Speculare a questo sistema di valutazione è la necessità di adozione del PRINCIPIO CAUTELATIVO, in base al quale devono essere conformate le scelte di definizione degli standards di protezione della salute umana, in quanto, sempre secondo l’Istituto nazionale della Sanità, in campo ambientale “sono la regola, e non l’eccezione, le situazioni nelle quali i dati scientifici sono insufficienti per sostenere una conclusione definitiva, e nonostante questo, una decisione va presa. L’adozione di questo tipo di approccio comporta l’abbandono del limite di esposizione inteso quale limite sanitario, a favore dell’adozione di obiettivi di qualità, da raggiungere in un certo arco di tempo in modo differenziato per diversi scenari di esposizione e che si integrino con il principio cautelativo”. Purtroppo c’è da osservare, come ha rilevato uno studioso del Centro interforze Studi per le applicazioni militari in un suo recente intervento, che la difficoltà oggettiva della scienza internazionale ad individuare l’entità dei livelli di campo che possano costituire un effettivo pericolo a lungo termine ha “contribuito a creare una zona di pericolosità indefinita dove molte organizzazioni, spinte da interessi di parte e spesso ben poco umanitari, possono allestire il balletto di cifre che quasi quotidianamente infarcisce le discussioni sull’argomento”[4].
LA LEGGE QUADRO 22 FEBBRAIO 2001 N. 36 E RACCOMANDAZIONI DI ORGANISMI INTERNAZIONALI E COMUNITARI.
In questo quadro di incertezza che ha caratterizzato e caratterizza lo scenario scientifico internazionale sugli effetti a lungo termine della esposizione a campi elettrici ed elettromagnetici, il parlamento italiano il 14 febbraio 2001 ha approvato in via definitiva la legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 7 marzo 2001. C’è da rilevare che, a differenza di altri recenti interventi legislativi organici in materia ambientale ( come il decreto Ronchi del 1997 in materia di rifiuti, e la nuova legge quadro in tema di tutela delle acque del 1999), che hanno sostanzialmente recepito direttive comunitarie, la legge quadro sull’elettromagnetismo non recepisce alcuna direttiva comunitaria, anzi si è inserita in un vuoto di principi o di concetti di riferimento da parte dal legislatore europeo, se si eccettua la raccomandazione agli Stati membri n. 519 del 12 luglio 1999 del Consiglio dell’Unione Europea[5] e il suo pentant storico costituito dalla risoluzione del Parlamento europeo del 5 maggio 1994 in tema di lotta contro gli effetti nocivi delle radiazioni non ionizzanti. La raccomandazione il Consiglio di Europa del 1999 proponeva agli Stati membri l’adozione di provvedimenti legislativi uniformi tesi alla limitazione della esposizione dei lavoratori e della popolazione alle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti da 0 Hz a 300 GHz, indicando due parametri : i LIMITI BASE e i LIVELLI DI RIFERIMENTO. Sia i limiti base che i relativi livelli di riferimento sono stati ancorati esclusivamente agli effetti accertati derivanti da esposizione acuta a campi elettromagnetici, poiché, secondo il Consiglio d’Europa, “l’insorgere del cancro per gli effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici di lungo periodo non è considerato accertato. Tuttavia, lo stesso Consiglio d’Europa ha individuato un fattore di sicurezza di circa 50 tra i valori limite per gli effetti acuti e i limiti di base, lasciando, comunque, agli Stati membri la facoltà di fornire un livello di protezione più elevato di quello previsto dalla raccomandazione in parola. Tale ultima affermazione del Consiglio è importante, laddove andiamo a scorgere che il legislatore italiano, in sede di decretazione attuativa della legge quadro del 2001, (decreti attuativi approvati dal Consiglio dei Ministri il 27 febbraio 2003, approvati anche dalle Commissioni ambiente della Camera e del Senato ma non ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale), ha previsto, ad esempio, un valore di attenzione per gli elettrodotti ( 10 microtesla), dieci volte inferiore a quello adottato dagli altri paesi UE (come Olanda e Belgio) e un obiettivo di qualità addirittura di 3 microtesla, in corrispondenza di aree da gioco per l’infanzia, di ambienti abitativi, di ambienti scolastici e di luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore, restringendo anche i limiti consigliati dalla Commissione internazionale sulla protezione da radiazioni non ionizzanti.
La legge quadro, inoltre, è intervenuta in un contesto normativo nazionale e regionale frammentario e non uniforme, incapace di confrontarsi adeguatamente con l’enorme proliferare delle linee elettriche aeree esterne, degli impianti per la trasmissione radio e televisiva e, soprattutto, con l’incremento esponenziale delle stazioni radio – base per telefonia mobile (sia impianti cd. ROOF TOP, costituiti da antenne di ridottissime dimensioni, generalmente collocate su lastrici solari di edifici preesistenti; sia impianti cd. ROW LAND, posti normalmente su pali o su tralicci). E’ stato accertato che in Italia, già nel 2000, i soli impianti di trasmissione radio e televisivi erano circa 63.000 (fonte Corriere della Sera del 31 luglio 2000); mentre è stato stimato che nell’arco di tre anni a partire dal 2001, in Italia il numero di linee di telefonia cellulare potrebbe raggiungere la quota di 59 milioni, pari ad una penetrazione del mercato del 100% (fonte Sole 24 Ore del 13 novembre 2000). Come sintomo più rilevante della non uniformità degli strumenti normativi precedenti alla legge quadro del 2001 (strumenti normativi costituiti fondamentalmente dalla legge 28 giugno 1986, n.339 in materia di realizzazione di linee elettriche esterne e il relativo d.m. del 1998 di attuazione; dal dpcm 23 aprile 1992 di fissazione dei limiti massimi di esposizione per inquinamenti di natura fisica; nonché dalla legge 1 luglio 1997, n. 189, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2 del 1996 sulle comunicazioni mobili) è possibile individuare il conflitto tra Stato e Regione Veneto affrontato dalla Corte Costituzionale nella decisione n.382 del 7 ottobre 1999, proprio in relazione alla adozione, con legge regionale, di prescrizioni cautelari più restrittive rispetto a quelle fissate dal dpcm 23 aprile 1992, in materia di distanze di rispetto dagli elettrodotti. Il Giudice delle leggi, nell’occasione, ha salvaguardato l’autonomia legislativa della Regione sulla scorta della considerazione che le misure cautelative adottate incidevano direttamente sugli strumenti urbanistici generali e sulle loro varianti e, pertanto, erano rapportabili alla funzione di governo del territorio che presuppone ed ingloba anche una competenza in materia di interessi ambientali, ad essa funzionalmente ed attribuita alle Regione.
E’ evidente quindi l’importanza fondamentale di una legge quadro che, oltre all’aspetto meritorio della definizione normativa dei concetti utilizzati ( quali il limite di attenzione, il valore di attenzione, gli obbiettivi di qualità; ad esempio, l’elettrodotto viene definito normativamente come l’insieme delle linee elettriche, delle sottostazioni e delle cabine di trasformazione), individua, tra l’altro, una precisa architettura di competenze tra Stato ed enti locali, che, nell’ambito del principio generale della leale collaborazione tra poteri centrali e poteri locali e dell’altrettanto importante principio della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo, semplifica l’iter di adozione delle misure di tutela della salute e del territorio e la procedura dei controlli e, soprattutto prevede un regime dei vari limiti e valori di campo unitario a livello nazionale, considerato che “i sistemi di trasporto dell’energia elettrica, di trasmissione di segnali radio e televisivi hanno caratteristiche di sistemi a rete, operanti con tecnologie standard su mercati nazionali” di difficile compatibilità con una regolazione diseguale (Presidenza della commissione ambiente e territorio del Senato. F. Giovannelli).
Il rispetto del precetto delle norme quadro è affidato ad un apparato sanzionatorio amministrativo pecuniario e cautelare, che punisce sia il superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione individuati nei DPCM attuativi ( che come detto, sebbene giunti alla fine del loro iter deliberativo, non sono stati ancora pubblicati in G.U.); sia la violazione delle misure di tutela; sia la violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento abilitativo all’installazione e all’esercizio degli impianti disciplinati dalla legge.
In conclusione, non sembra inutile precisare che la legge quadro n. 36 del 2001 disciplina, sotto il profilo sanitario di tutela della salute e dell’ambiente, anche le infrastrutture di telecomunicazioni per impianti radioelettrici, (quali ad esempio stazioni radio – base per reti di comunicazione mobili GSM/UMTS), disciplinati sotto l’aspetto urbanistico – edilizio e paesaggistico dal decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, che, come è noto, ha sancito la possibilità di localizzazione delle stesse in deroga a qualsiasi prescrizione urbanistica o regolamentare. Ciò significa che, pur essendo derogabile la disciplina urbanistico edilizia e paesaggistica, non possono comunque essere derogati i valori limite individuati nei decreti attuativi della legge 36 del 2001. Da ultimo, si deve fare un brevissimo accenno alla giurisprudenza di merito in sede di prima applicazione della legge quadro, in quanto, recentemente, il Tribunale di Catanzaro[6] ha respinto una istanza di tutela cautelare atipica avanzata in sede civile da alcuni cittadini nei confronti dell’ENEL, ritenendo che il legislatore del 2001 “è intervenuto in via assolutamente prudenziale e cautelativa, dal momento che sul piano scientifico internazionale non esiste alcuna evidenza certa dei rischi per la salute umana derivanti da immissioni elettromagnetiche, con conseguente incertezza relativamente all’individuazione di una soglia il cui superamento rappresenti effettivamente un pericolo per la salute dell’uomo”. Pertanto, secondo il Giudice di Catanzaro, i termini temporali per il risanamento previsto dalla legge quadro per gli elettrodotti già esistenti (31.12.2004 e 31.12.2008) sono sufficienti ed idonei a garantire la salute dei cittadini “rappresentando il parametro normativo al quale rapportare il carattere dell’imminenza del periculum in mora”. Sul piano penalistico, invece, il giudice di legittimità, pur ammettendo, già nel 1999, la astratta sussumibilità dell’inquinamento elettromagnetico nella fattispecie del getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 CP, anche recentemente ha affermato che, comunque, non si potrebbe mai prescindere dalla prova concreta della effettiva idoneità delle onde a ledere o infastidire le persone o a produrre nocumento certo per la loro salute; mentre i limiti fissati dalla normativa vigente sono improntati al principio di semplice cautela. (Cass. Pen. Sez. I, 27 febbraio 2002). Anche il procedimento penale instaurato presso il Tribunale di Roma a carico dei responsabili di Radio Vaticana, prevede una imputazione ex art. 674 del codice penale, per la diffusione di “radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento”. Come è noto, il procedimento è ancora sub iudice nel merito, dopo che la prima sezione penale della Corte di Cassazione, il 9 aprile 2003, ha annullato con rinvio la sentenza del Tribunale di Roma che aveva ritenuto il difetto di giurisdizione dello Stato italiano nei confronti della Santa Sede, sulla scorta della considerazione che, essendoci un collegamento diretto tra le emanazioni elettromagnetiche e gli impianti radi trasmittenti, “il dimensionamento, l’ubicazione, l’organizzazione e la potenza di tali impianti sono ovviamente finalizzati al raggiungimento degli scopi istituzionali affidati alla Radio vaticana, con particolare riferimento alla necessità di diffondere in tutto il mondo il messaggio evangelico. Interferire unilateralmente con i predetti impianti, condizionandone i requisiti equivale ad interferire direttamente con l’attività istituzionale dell’ente”[7]. [1] G. A. Lovisolo, C. Marino, L. Raganella, P. Tognolatti e F. Mauro, Elettrodotti e campi elettromagnetici a bassa frequenza: ricerca scientifica e politica normativa, in Bollettino SIRR, anno V, n. 2, luglio 1995 [2] Oak Ridge Associated Universities, Health effects of low frequency electric and magnetic fields. ORAU, 1992 [3] WHO, Campi elettromagnetici e salute pubblica – Politiche cautelative [4](A. Trialongo, I campi elettromagnetici questi sconosciuti, in RivistaAmbiente, luglio – agosto 2001 [5] In G.U. delle Comunità europee n. 199/59 del 30.7.1999. [6] Tribunale di Catanzaro, sez. II civile,G.I. dott. Rizzo, ordinanza 30 maggio 2001 [7] Tribunale ordinario di Roma, sezione prima penale, Giudice dott. Andrea Calabria, n. 3472 del 19.2.2002
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